ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito del provvedimento del Ministro della giustizia del 14
luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011,  con  il  quale  e'
stato disposto di non dare esecuzione all'ordinanza del Magistrato di
sorveglianza di Roma del 9  maggio  2011,  n.  3031,  promosso  dallo
stesso Magistrato di sorveglianza di Roma con ricorso notificato il 3
aprile 2012, depositato in cancelleria il 23 aprile 2012 ed  iscritto
al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase  di
merito. 
    Udito nell'udienza pubblica  del  7  maggio  2013  il  Presidente
Franco Gallo, in luogo e con l'assenso del Giudice  relatore  Gaetano
Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma,  con  ricorso  dell'11
novembre 2011, depositato il  14  novembre  successivo,  ha  promosso
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti  del
«Governo della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio
dei ministri e del Ministro  della  giustizia»,  al  fine  di  sentir
dichiarare che - ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110  e  113  della
Costituzione - non spetta al Ministro  della  giustizia  e  ad  alcun
organo di Governo disporre  che  non  venga  data  esecuzione  ad  un
provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a  norma  degli
artt. 14-ter, 35 e 69 della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  con  il  quale  sia  stato
dichiarato, in  via  definitiva,  che  un  determinato  comportamento
dell'Amministrazione penitenziaria e' lesivo di un diritto  in  danno
del detenuto reclamante. 
    1.1.- Il ricorrente premette in fatto che, con provvedimento  del
29 ottobre 2010, il competente Direttore generale del Ministero della
giustizia  aveva   disposto   che   venisse   preclusa   nella   Casa
circondariale Rebibbia di Roma, per tutti  i  detenuti  sottoposti  a
regime di sospensione delle regole trattamentali  (art.  41-bis  ord.
pen.), la visione dei programmi irradiati dalle emittenti «Rai Sport»
e «Rai Storia». Al provvedimento era stata data immediata esecuzione. 
    Uno dei detenuti interessati aveva proposto, a norma degli  artt.
35 e 69 ord. pen., un reclamo innanzi al magistrato di  sorveglianza,
prospettando l'intervenuta lesione  del  proprio  diritto  soggettivo
all'informazione.  Il  giudice  investito  del  reclamo,  dopo   aver
condotto il procedimento regolato dall'art. 14-ter ord.  pen.,  aveva
provveduto  con  ordinanza  del  9  maggio   2011,   stabilendo   che
l'oscuramento delle emissioni di «Rai Sport» e di «Rai Storia»  aveva
leso, in effetti, un diritto soggettivo del detenuto  reclamante.  Lo
stesso giudice, di  conseguenza,  aveva  annullato  il  provvedimento
assunto dall'Amministrazione penitenziaria, ordinando  il  ripristino
della possibilita', per  l'interessato,  di  assistere  ai  programmi
trasmessi dalle emittenti indicate. 
    In particolare, il Magistrato  di  sorveglianza  aveva  affermato
sussistere uno specifico diritto soggettivo dei  detenuti  ad  essere
informati, promanante dall'art. 21 Cost. ed  esplicitamente  tutelato
dagli artt. 18  e  18-ter  ord.  pen.  L'esercizio  di  tale  diritto
potrebbe essere oggetto di particolari restrizioni, nei confronti dei
detenuti sottoposti a sospensione delle  regole  trattamentali,  solo
nei limiti fissati al comma 2-quater, lettera  a),  dell'art.  41-bis
ord. pen., cioe' allo scopo di prevenire contatti tra il detenuto  ed
i membri delle organizzazioni criminali di riferimento. Nel  caso  di
specie, il giudice  del  reclamo  non  aveva  accertato  alcun  nesso
concreto tra l'oscuramento del segnale  delle  due  emittenti  Rai  e
l'esigenza di impedire che, attraverso la trasmissione  in  video  di
brevi messaggi scritti provenienti dagli spettatori,  giungessero  ai
detenuti indebite comunicazioni. Cio'  anche  in  considerazione  del
fatto che era rimasta libera, comunque, la ricezione dei programmi di
altre sette reti nazionali, mentre le trasmissioni di  una  ulteriore
emittente,  effettivamente  adusa  alla  riproduzione  in  video  dei
messaggi inviati dal pubblico televisivo, erano gia' state «oscurate»
con un precedente provvedimento,  ritenuto  legittimo  dall'autorita'
giudiziaria. 
    Il  ricorrente  aggiunge  che  l'ordinanza  del   Magistrato   di
sorveglianza era  stata  comunicata  ritualmente  all'Amministrazione
penitenziaria,  la  quale  non  aveva  proposto  la  pur   consentita
impugnazione. 
    1.2.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma  prosegue  informando
d'essere stato investito, in data 1° luglio  2011,  di  un  ulteriore
reclamo del detenuto che aveva promosso il  precedente  procedimento,
dal quale si apprendeva che l'Amministrazione penitenziaria non aveva
riattivato il segnale di «Rai Sport» e di «Rai Storia». 
    La conseguente istruttoria ha posto  in  luce  come  il  Ministro
della   giustizia,   su   proposta   del   Capo   del    Dipartimento
dell'Amministrazione penitenziaria, avesse disposto, con decreto  del
14 luglio 2011, la  «non  esecuzione»  del  provvedimento  giudiziale
adottato in esito al primo reclamo. 
    In queste condizioni il Magistrato di sorveglianza non sarebbe in
grado di assicurare effettiva tutela al  diritto  soggettivo  la  cui
lesione e' gia' stata accertata e dichiarata con l'ordinanza  che  il
Ministro della giustizia ha espressamente disposto di non eseguire. 
    Sarebbe dunque inevitabile,  secondo  il  ricorrente,  che  venga
dichiarato che non spetta al Ministro e ad alcun organo  del  Governo
di  stabilire  se  debba  o  non  essere  data   esecuzione   ad   un
provvedimento assunto dal magistrato di sorveglianza,  quale  giudice
della tutela dei diritti soggettivi dei detenuti. Cio' anche al  fine
di procedere, da parte della Corte  costituzionale,  all'annullamento
del citato provvedimento ministeriale del 14 luglio 2011. 
    1.3.- Il ricorrente, in particolare, prospetta  una  lesione  per
menomazione delle  attribuzioni  costituzionalmente  riconosciute  al
potere giudiziario, avuto riguardo alla magistratura di  sorveglianza
quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti
e  di  eventuali  loro  violazioni  ad   opera   dell'Amministrazione
penitenziaria. 
    La rilevanza costituzionale della specifica attribuzione  sarebbe
dimostrata, con immediatezza, dal fatto che la  tutela  in  questione
non e' regolata da norme positive, ma costituisce il  frutto  di  una
«necessita'»  individuata  dalla  Corte  costituzionale,  sul   piano
generale, con la sentenza  n.  26  del  1999,  e  poi  specificamente
assicurata, mediante il procedimento per reclamo, in seguito  ad  una
decisione delle  Sezioni  unite  penali  della  Corte  di  cassazione
(sentenza n. 25079 del 2003) e  ad  una  successiva  pronuncia  della
stessa Corte costituzionale (sentenza n. 266 del 2009). 
    L'indicata attribuzione, che si connette al disposto degli  artt.
2,  3,  24  e  113  Cost.,  sarebbe  pregiudicata  dal  provvedimento
ministeriale di «non esecuzione» del  deliberato  del  Magistrato  di
sorveglianza di Roma, che pure espressamente accerta la lesione di un
diritto  soggettivo  in  capo  al  detenuto  reclamante.  La   tutela
giurisdizionale dei  diritti  delle  persone  ristrette  in  carcere,
costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettivita', ove  si
riconoscesse  all'Amministrazione   la   possibilita'   di   decidere
discrezionalmente se dare  esecuzione  o  non  ai  provvedimenti  del
magistrato.  Dunque  il  decreto  del   Ministro   della   giustizia,
implicando un'omissione tale da menomare le attribuzioni  del  potere
confliggente, dovrebbe essere annullato (sono citate le ordinanze  n.
228 e n. 229 del 1975, n. 354 del 2005, e  la  sentenza  n.  132  del
1993). 
    In sostanza, secondo il ricorrente, l'atto impugnato implica  una
situazione ordinamentale, dal punto di vista della  giurisdizione  di
tutela dei diritti dei detenuti, equivalente a quella in essere prima
della pronuncia  della  Corte  costituzionale  n.  26  del  1999.  Il
provvedimento del magistrato di sorveglianza sarebbe degradato a mera
sollecitazione  rivolta   verso   l'Amministrazione,   in   specifico
contrasto con gli approdi piu' recenti  della  stessa  giurisprudenza
costituzionale, la quale avrebbe accreditato  un'interpretazione  del
comma 5  dell'art.  69  ord.  pen.  nel  senso  che  i  provvedimenti
giudiziali devono essere eseguiti  dall'Autorita'  penitenziaria  (e'
citata la sentenza n. 266 del 2009). 
    1.4.- Il Magistrato di sorveglianza considera anche, nel  proprio
ricorso,  il  supporto  motivazionale  del  provvedimento   impugnato
(costituito  da  un  atto   del   Dipartimento   dell'Amministrazione
penitenziaria,  asseverato  dal  Ministro),  ove   si   assume:   che
l'Autorita' penitenziaria potrebbe limitare i  diritti  dei  detenuti
sottoposti allo speciale regime di cui  all'art.  41-bis  ord.  pen.,
compreso il diritto all'informazione; che l'oscuramento  del  segnale
di  alcune  emittenti  televisive  era  stato  disposto   dopo   aver
riscontrato che, nel corso  delle  relative  trasmissioni,  «venivano
trasmessi sms del pubblico»; che, d'altra  parte,  l'ottemperanza  al
provvedimento del magistrato avrebbe implicato l'accesso illimitato a
qualunque  canale  digitale  per  tutti   i   detenuti   della   Casa
circondariale. 
    Il ricorrente osserva, in primo luogo, che gli argomenti  evocati
nell'atto erano gia' stati valutati e respinti nel  procedimento  poi
concluso con l'ordine di ripristinare  la  visione  dei  canali  «Rai
Sport» e «Rai Storia», sulla considerazione, tra l'altro, che nessuna
prova era emersa circa la trasmissione di  messaggi  provenienti  dal
pubblico ad opera delle emittenti indicate (e che la circostanza  era
stata verificata, semmai, quanto  ai  programmi  di  «Rai  Due»,  mai
«filtrati» dall'Amministrazione). 
    Le difficolta' tecniche genericamente  addotte  per  l'esecuzione
del  provvedimento  non  sussisterebbero,  e  sarebbe  d'altra  parte
inaccettabile, a parere del ricorrente, l'argomento per il  quale  il
reclamante avrebbe ottenuto, in caso di adempimento,  un  trattamento
migliore  di  quello  riservato  agli  altri  detenuti   in   analoga
condizione: una pari situazione di offesa per i diritti  fondamentali
non puo' legittimare il protrarsi della  lesione  nei  confronti  dei
singoli che la facciano valere, e spetta  semmai  all'Amministrazione
riconoscere l'illegittimita' del proprio agire con un provvedimento a
carattere generale. 
    Il  rimettente  ricorda,   anche   in   questo   passaggio,   che
l'Amministrazione non si era avvalsa,  al  momento  opportuno,  della
possibilita' di impugnare l'ordinanza giudiziale mediante ricorso per
cassazione, determinandone cosi' il carattere di pronuncia definitiva
sulla regiudicanda. Il carattere reiterativo, incongruo  e  infondato
delle argomentazioni mirate a giustificare  l'inottemperanza  darebbe
conferma della mera volonta' dell'Amministrazione di disconoscere  la
forza  cogente  dei  provvedimenti  assunti  dalla  magistratura   di
sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti. 
    1.5.- Tutto cio'  premesso,  il  giudice  ricorrente  chiede  sia
dichiarato che non spetta al Ministro della giustizia non ottemperare
ad un provvedimento dato dall'Autorita' giudiziaria competente, posta
la pertinenza di questo ad un procedimento giurisdizionale,  deputato
alla difesa di diritti soggettivi della persona,  affidato  in  primo
grado al magistrato di sorveglianza ed in grado di legittimita'  alla
Corte di cassazione. Chiede di conseguenza l'annullamento del decreto
ministeriale posto ad oggetto del ricorso. 
    2.- Con ordinanza n. 46 del  2012,  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato ammissibile il  presente  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri, riconoscendo la  legittimazione  passiva  del  solo  Ministro
della  giustizia.  Hanno  fatto  seguito  la  rituale  notifica   del
provvedimento e del ricorso al  citato  Ministro,  ed  il  tempestivo
deposito degli atti, presso la cancelleria della stessa Corte, a cura
del Magistrato ricorrente. 
    Il Ministro della giustizia non si e' costituito nel giudizio. 
    3.- Il ricorrente ha depositato,  in  data  27  marzo  2013,  una
memoria illustrativa con allegata copia di due atti, pertinenti  alla
vicenda dalla quale e' scaturito il conflitto. 
    3.1.- Si tratta, in primo luogo, della circolare del  31  gennaio
2012 con la quale il Dipartimento dell'Amministrazione  penitenziaria
ha disposto che fosse assicurata, per tutti i detenuti sottoposti  al
regime di cui all'art. 41-bis ord. pen.,  la  visione  dei  programmi
irradiati con segnale digitale da una serie di emittenti  televisive,
tra le quali «Rai Sport» e «Rai Storia». 
    In secondo luogo, e' prodotta la nota dell'11 giugno 2012 con  la
quale  la  Direzione  della  Casa  circondariale  Rebibbia  N.C.   ha
comunicato  al  Magistrato  di  sorveglianza  di  Roma  d'avere  dato
esecuzione  alle  nuove  disposizioni  ministeriali,  includendo   le
emittenti citate  tra  quelle  i  cui  programmi  sono  fruibili  dai
detenuti in regime di sospensione delle regole trattamentali. 
    3.2.- Cio'  premesso,  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Roma
insiste  per  l'accoglimento  del  proprio  ricorso,  escludendo   in
particolare che possa considerarsi cessata la materia del contendere. 
    Secondo  il  ricorrente,  la  giurisprudenza  costituzionale   ha
costantemente affermato che l'indicata cessazione  si  verifica  solo
quando l'atto impugnato perda la propria efficacia  ex  tunc,  e  non
resti controvertibile  l'appartenenza  del  potere  contestato  (sono
citate le sentenze della Corte costituzionale n. 74 del  1960,  n.  3
del 1962, n. 150 del 1981 e n. 49 del  1998).  In  particolare  -  si
osserva - la cessazione e' stata dichiarata quando lo  stesso  potere
confliggente ha riconosciuto la spettanza alla controparte del potere
contestato (sentenza n. 469 del 1999), o quando  e'  venuta  meno  la
prerogativa sul cui esercizio era fondata la materia  del  contendere
(sentenze nn. 462 e 463 del 1993, relative all'intervenuta  modifica,
nelle more dei giudizi, dell'art. 68 Cost., nella parte relativa alla
prescritta   autorizzazione   a   procedere   nei    confronti    dei
parlamentari). 
    Nel caso di  specie,  l'Amministrazione  si  sarebbe  limitata  a
modificare un proprio precedente provvedimento, non  intervenendo  in
alcun   modo   sul   decreto   del   Ministro   posto   ad    oggetto
dell'impugnazione, e senza alcuna ammissione, neppure implicita,  che
non spettava  al  Ministro  medesimo  disporre  che  non  fosse  data
esecuzione al provvedimento giudiziale. D'altra  parte,  gli  effetti
dell'atto lesivo si sarebbero esauriti, ma non con efficacia ex tunc,
essendo rimasta lungamente preclusa, per il detenuto interessato,  la
visione dei programmi televisivi di suo interesse. 
    3.3.- Ribadendo i propri argomenti circa il merito del conflitto,
il Magistrato di sorveglianza di Roma segnala  la  recente  pronuncia
resa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  in  data  8  gennaio
2013, nella procedura Torreggiani v. Italia. 
    Si  osserva,  in  primo  luogo,   come   il   Governo   italiano,
nell'intento di documentare l'esistenza nell'ordinamento  interno  di
uno strumento efficace di tutela  dei  diritti  dei  detenuti,  abbia
sostenuto innanzi alla Corte europea  che  la  procedura  di  reclamo
disciplinata dagli artt. 35 e 69 ord. pen. consentirebbe di  ottenere
«decisioni vincolanti e suscettibili di riparare eventuali violazioni
dei diritti dei detenuti». In  particolare  la  Corte,  motivando  il
proprio provvedimento,  ha  rilevato  che  «secondo  il  Governo,  il
procedimento davanti al magistrato  di  sorveglianza  costituisce  un
rimedio pienamente giudiziario, all'esito del quale l'autorita' adita
puo'    prescrivere    all'amministrazione    penitenziaria    misure
obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona
interessata». 
    Per un verso,  dunque,  lo  stesso  potere  confliggente  avrebbe
(altrove) riconosciuto il fondamento della pretesa fatta  valere  nel
presente  giudizio.  Per  altro  verso,  la  Corte  europea   avrebbe
constatato che  il  carattere  di  effettivita'  della  procedura  di
reclamo   e'   pregiudicato    da    inottemperanze    dell'Autorita'
amministrativa, la quale, nel caso sottoposto al suo giudizio, non ha
dato esecuzione  al  provvedimento  del  Magistrato  di  sorveglianza
concernente il ricorrente, tanto  che  sarebbe  stato  ingiunto  allo
Stato italiano di apprestare «senza  indugio  un  ricorso  che  abbia
effetti preventivi e compensativi, volti a  garantire  una  effettiva
riparazione delle violazioni della Convenzione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma ha  promosso  conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti  del  «Governo
della Repubblica, nelle persone  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  e  del  Ministro  della  giustizia»,  al  fine  di   sentir
dichiarare che - ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110  e  113  della
Costituzione - non spetta al Ministro  della  giustizia  e  ad  alcun
organo di Governo disporre  che  non  venga  data  esecuzione  ad  un
provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a  norma  degli
artt. 14-ter, 35 e 69 della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  con  il  quale  sia  stato
dichiarato, in  via  definitiva,  che  un  determinato  comportamento
dell'Amministrazione penitenziaria e' lesivo di un diritto  in  danno
del detenuto reclamante. 
    Oggetto del ricorso e'  un  provvedimento  assunto  dal  Ministro
della giustizia, in data 14 luglio  2011,  con  il  quale  era  stato
disposto  che  non  fosse  data  esecuzione  ad  una  ordinanza   del
Magistrato di sorveglianza di Roma deliberata il 9 maggio 2011, e non
impugnata dall'Amministrazione penitenziaria. 
    La decisione giudiziale aveva accolto il reclamo di un  detenuto,
con cui si denunciava l'asserita illegittimita' di  un  provvedimento
che aveva precluso, riguardo alle persone soggette al regime  di  cui
all'art. 41-bis ord. pen., la possibilita' di assistere  a  programmi
televisivi trasmessi dalle emittenti «Rai Sport» e «Rai  Storia».  Il
Magistrato di sorveglianza, con riferimento  alle  due  emittenti  in
questione, aveva ritenuto  ingiustificato  il  provvedimento  assunto
dall'Amministrazione, mancando la prova dell'esigenza di cautela  che
avrebbe dovuto giustificarlo (cioe' la trasmissione,  nel  corso  dei
programmi televisivi, di messaggi scritti inviati dal  pubblico,  con
la possibilita' che si trattasse di comunicazioni dirette ai detenuti
in regime speciale di reclusione). Per altro verso,  il  giudice  del
reclamo  aveva  ritenuto  che   il   provvedimento   implicasse   una
compressione - illegittima per le ragioni appena indicate - del pieno
esercizio di un diritto soggettivo,  cioe'  quello  all'informazione,
presidiato dall'art. 21 Cost. e ribadito dagli artt. 18 e 18-bis ord.
pen. 
    Per  quanto  non  avesse  impugnato  l'ordinanza  giudiziale,  il
Dipartimento dell'Amministrazione  penitenziaria  aveva  proposto  al
Ministro di non dare esecuzione all'ordine di ripristinare il segnale
televisivo fruibile dal reclamante, sulla base di  argomenti  critici
circa il merito della decisione, ed in tal senso  il  Ministro  aveva
disposto. 
    Secondo il ricorrente, il decreto impugnato postula  in  capo  al
Ministro della  giustizia  ed  all'Amministrazione  penitenziaria  il
potere di non dare corso alla decisioni  assunte  dal  magistrato  di
sorveglianza  a  tutela  dei   diritti   soggettivi   dei   detenuti.
L'attribuzione  di  tale  potere,  tuttavia,  priverebbe  la   tutela
giudiziale dei diritti di  ogni  effettivita',  in  contrasto  con  i
parametri costituzionali sopra indicati. Questa  Corte  viene  dunque
richiesta  di  dichiarare  che  l'inottemperanza  dei   provvedimenti
giudiziali concernenti i diritti dei detenuti menoma le  attribuzioni
costituzionali del potere giudiziario, e di annullare, per l'effetto,
il decreto ministeriale in questione. 
    2.- Il presente conflitto e'  stato  dichiarato  ammissibile  con
ordinanza n. 46 del 2012, individuando il soggetto passivo  nel  solo
Ministro della Giustizia. Tale giudizio va  integralmente  confermato
in questa sede, sussistendo in particolare la legittimazione  passiva
del  citato  Ministro  in  forza  delle   attribuzioni   direttamente
conferitegli dall'art. 110  Cost.  in  materia  di  organizzazione  e
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i  quali  sono
compresi i servizi pertinenti all'esecuzione  delle  misure  e  delle
pene detentive (tra le altre, sentenza n. 383 del 1993).  Proprio  in
rapporto all'indicata e diretta  legittimazione  del  Ministro  della
giustizia, d'altra parte, questa Corte ha ritenuto  insussistente  la
legittimazione, prospettata dal ricorrente in via di  subordine,  del
Presidente del Consiglio  dei  ministri,  quale  organo  deputato  ad
esprimere  la  volonta'   dell'intero   Governo,   relativamente   ad
attribuzioni non altrimenti assegnate in via esclusiva  (sentenza  n.
379 del 1992). 
    3.- Per iniziativa dello stesso ricorrente, che  ha  prodotto  la
relativa documentazione con una memoria depositata il 27 marzo  2013,
si e' appreso che  il  competente  Dipartimento  dell'Amministrazione
penitenziaria ha revocato, in data 31 gennaio 2012,  la  disposizione
che imponeva l'oscuramento del segnale irradiato dalle emittenti «Rai
Storia» e «Rai Sport», e che la Direzione  della  Casa  circondariale
Rebibbia di Roma ha dato notizia al Magistrato di sorveglianza,  l'11
giugno successivo,  dell'intervenuta  esecuzione  del  provvedimento.
Puo' quindi presumersi che il detenuto il  quale  aveva  promosso  il
procedimento per reclamo, poi definito con l'ordinanza giudiziale cui
si riferisce il provvedimento impugnato, abbia recuperato, di  fatto,
la possibilita' di esercitare pienamente il suo diritto. 
    Deve escludersi,  nondimeno,  che  sia  cessata  la  materia  del
contendere. 
    La revoca del provvedimento  oggetto  del  reclamo  proposto  dal
detenuto sottoposto al regime previsto dall'art. 41-bis ord. pen. non
ha efficacia ex tunc e non  e'  stata  neppure  accompagnata  da  una
dichiarazione,  del  Ministro  della  giustizia,  di   riconoscimento
dell'efficacia  vincolante  dei  provvedimenti  del   magistrato   di
sorveglianza, che  decide  sui  reclami  proposti  dai  detenuti  per
asserite violazioni dei loro diritti  da  parte  dell'Amministrazione
penitenziaria. 
    Dalle suddette circostanze si deve  dedurre  la  conseguenza  che
sussiste ancora «un interesse all'accertamento, il quale trae origine
dall'esigenza di porre fine [...] ad una situazione di incertezza  in
ordine al riparto costituzionale delle  attribuzioni»  (ex  plurimis,
sentenza  n.  9  del  2013,  in  conformita'  al  costante  indirizzo
giurisprudenziale di questa Corte). 
    4.- Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    4.1.- L'art. 35 ord. pen. disciplina in generale il  diritto  dei
detenuti e degli internati  di  proporre  reclamo  ad  una  serie  di
autorita', tra cui il magistrato di sorveglianza (n. 2);  l'art.  69,
comma 6, ord. pen. stabilisce che sui reclami il suddetto  magistrato
«decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la
procedura di cui all'art. 14-ter»; quest'ultima  disposizione  (comma
3) prescrive che il procedimento si svolga con la partecipazione  del
difensore  e  del  pubblico   ministero,   mentre   l'interessato   e
l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie. 
    Questa Corte si e' ripetutamente  pronunciata  sulla  necessita',
costituzionalmente garantita, che vi sia una  tutela  giurisdizionale
nei confronti degli atti dell'Amministrazione penitenziaria  ritenuti
lesivi dei diritti dei detenuti (sentenze n. 26 del 1999 e n. 526 del
2000). Quando  il  reclamo  diretto  al  magistrato  di  sorveglianza
riguarda la pretesa lesione di un diritto, e non si  risolve  in  una
semplice   doglianza    su    aspetti    generali    o    particolari
dell'organizzazione e del funzionamento dell'istituto  penitenziario,
il procedimento che si instaura davanti al suddetto magistrato assume
natura  giurisdizionale,  giacche'  «non  v'e'  posizione   giuridica
tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice  davanti
al quale essa possa essere fatta valere» (sentenza n. 212 del 1997). 
    Se il procedimento e la conseguente decisione del  magistrato  di
sorveglianza   si   configurano   come   esercizio   della   funzione
giurisdizionale, in quanto  destinati  ad  assicurare  la  tutela  di
diritti, si impone la conclusione che quest'ultima  sia  effettiva  e
non condizionata a valutazioni discrezionali di alcuna autorita'.  In
tal senso si e' espressa la Corte europea dei diritti dell'uomo,  che
ha censurato la prassi  italiana  di  non  rendere  «effettivo  nella
pratica» il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza,  ai  sensi
degli artt. 35 e 69 ord. pen. (sentenza 8 gennaio  2013,  Torreggiani
v. Italia). Del  resto,  anche  il  Governo  italiano  ha  sostenuto,
davanti alla Corte di Strasburgo, che  «il  procedimento  davanti  al
magistrato  di  sorveglianza  costituisce   un   rimedio   pienamente
giudiziario, all'esito del quale l'autorita' adita  puo'  prescrivere
all'amministrazione  penitenziaria  misure   obbligatorie   volte   a
migliorare le condizioni detentive della persona interessata»  (punto
41 della sentenza sopra citata). 
    Si deve osservare  in  proposito  che  questa  Corte  aveva  gia'
riconosciuto  alle  «disposizioni»   adottate   dal   magistrato   di
sorveglianza - in base all'art. 69, comma 5, ord. pen. - la natura di
«prescrizioni  od   ordini,   il   cui   carattere   vincolante   per
l'amministrazione  penitenziaria  e'  intrinseco  alle  finalita'  di
tutela che la norma stessa persegue» (sentenza n. 266 del  2009).  Il
reclamo  assume  pertanto  «il  carattere   di   rimedio   generale»,
esperibile, anche da detenuti assoggettati a regimi  di  sorveglianza
particolare, «quale strumento di garanzia giurisdizionale»  (sentenza
n. 190 del 2010). 
    Solo   nel   caso   di   coinvolgimento   di    terzi    estranei
all'organizzazione  carceraria  -   quali   i   datori   di   lavoro,
nell'ipotesi di insorgenza di controversie con detenuti-lavoratori  -
il rimedio giurisdizionale di cui sopra non risulta idoneo, in quanto
estromette indebitamente una delle parti del rapporto  sostanziale  -
il  datore  di  lavoro  appunto  -  dal  contraddittorio  davanti  al
magistrato  di  sorveglianza.  Per  tale   ragione,   e   considerata
l'insussistenza   di   esigenze   di   sicurezza   che    impedissero
l'applicazione del rito  del  lavoro  (che  presenta  specificita'  e
garanzie legate alla particolare natura dei soggetti e  dei  rapporti
coinvolti) anche alle controversie di  cui  sono  parte  i  detenuti,
questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
69, sesto comma, lettera a), dell'ord.  pen.  (sentenza  n.  341  del
2006). 
    4.2.-  Alla  luce  delle  norme  e  della  giurisprudenza   prima
ricordate, si deve trarre la conclusione generale  che  le  decisioni
del magistrato di sorveglianza, rese su reclami proposti da  detenuti
a tutela di propri diritti e secondo la procedura contenziosa di  cui
all'art. 14-ter ord. pen., devono ricevere  concreta  applicazione  e
non possono  essere  private  di  effetti  pratici  da  provvedimenti
dell'Amministrazione penitenziaria o di altre autorita'. 
    5.- Nel caso oggetto del presente  conflitto,  il  Magistrato  di
sorveglianza di Roma, con ordinanza del 9 maggio 2011, aveva ordinato
all'Amministrazione penitenziaria  (Casa  circondariale  Rebibbia  di
Roma) il ripristino della possibilita' per un detenuto  -  sottoposto
al regime di  cui  all'art.  41-bis  ord.  pen.  -  di  assistere  ai
programmi trasmessi dalle emittenti televisive  «Rai  Sport»  e  «Rai
Storia», in quanto il relativo «oscuramento» aveva  leso  il  diritto
soggettivo  all'informazione  del   detenuto   medesimo.   Non   solo
l'Amministrazione penitenziaria non aveva provveduto  di  fatto  alla
riattivazione  dei  segnali  provenienti  dalle  suddette   emittenti
televisive, ma era intervenuto successivamente,  in  data  14  luglio
2011, un provvedimento del Ministro della  giustizia  -  adottato  su
conforme proposta del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria
- con cui si manifestava formalmente la volonta' di «non ottemperare»
alla decisione del Magistrato di sorveglianza. 
    6. - Il confronto tra le conclusioni  ricavabili  dalle  norme  e
dalla giurisprudenza costituzionale prima richiamate e gli  atti  che
hanno dato origine al presente conflitto non puo' che  avere  l'esito
di una dichiarazione di non spettanza al Ministro della giustizia del
potere  di  non  dare  esecuzione  all'ordinanza  del  Magistrato  di
sorveglianza di Roma del 9 maggio 2011. Nel caso di specie,  infatti,
non viene in rilievo una doglianza su aspetti generali o  particolari
dell'organizzazione  penitenziaria,  ma  la   lesione   del   diritto
fondamentale all'informazione, tutelato dall'art. 21  Cost.,  che  il
giudice competente ha ritenuto ingiustificatamente  compresso  da  un
provvedimento    limitativo    dell'Amministrazione    penitenziaria.
L'estensione e la portata  dei  diritti  dei  detenuti  puo'  infatti
subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze
di sicurezza inerenti alla custodia in carcere. In  assenza  di  tali
esigenze,  la  limitazione   acquisterebbe   unicamente   un   valore
afflittivo supplementare  rispetto  alla  privazione  della  liberta'
personale, non compatibile con l'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Il Magistrato ha adottato la sua decisione  dopo  aver  accertato
che non ricorrevano, nella  fattispecie,  le  ragioni  giustificative
delle speciali restrizioni previste dall'art. 41-bis,  mirate  a  non
consentire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza  o
di  attuale  riferimento.  L'Amministrazione  penitenziaria  non   ha
impugnato per cassazione l'ordinanza del giudice - come ad  essa  era
consentito dall'art. 69, comma 1, ord. pen. - ma ha preferito la  via
della non  applicazione  ed  ha  proposto  un  diniego  esplicito  di
ottemperanza al Ministro della giustizia, ottenendo il  suo  assenso.
Essa ha conseguentemente vanificato un provvedimento di  un  giudice,
adottato nei limiti e con  le  forme  previsti  dall'ordinamento.  La
menomazione delle attribuzioni di un organo  appartenente  al  potere
giudiziario ha avuto il risultato di rendere ineffettiva  una  tutela
giurisdizionale  esplicitamente  prevista  dalle  leggi   vigenti   e
costituzionalmente necessaria, secondo la  giurisprudenza  di  questa
Corte.