ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma
1-ter, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125 (Misure urgenti per il
settore  dei  trasporti  e  disposizioni  in  materia   finanziaria),
aggiunto dalla legge di conversione 1° ottobre 2010, n. 163, promosso
dal Tribunale di  Roma  nel  procedimento  vertente  tra  Z.M.  e  il
Ministero  dell'Economia  e  delle  Finanze,  con  ordinanza  del  22
febbraio 2012, iscritta al  n.  96  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  21,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  Z.M.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  aprile  2013  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Giorgio Cosmelli per  Z.M.  e  l'avvocato  dello
Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 22 febbraio 2012 il Tribunale ordinario di
Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  2,  comma   1-ter,   del
decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125 (Misure urgenti  per  il  settore
dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria.), aggiunto dalla
legge di  conversione  1°  ottobre  2010  n.  163,  denunciandone  il
contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    Detto art. 2, comma 1-ter, stabilisce che «L'articolo  45,  comma
1,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si  interpreta  nel
senso che l'incarico onorario di esperto del servizio  consultivo  ed
ispettivo tributario si intende in ogni caso cessato ad ogni effetto,
sia giuridico sia economico, a decorrere dalla  data  di  entrata  in
vigore della predetta disposizione». 
    Riferisce il giudice a quo che la questione e' sorta nella  causa
in materia di lavoro promossa dal  dott.  Z.M.  contro  il  Ministero
dell'economia e delle finanze (MEF). 
    Si legge nell'ordinanza di rimessione che il ricorrente era stato
nominato nel 2007,  con  incarico  di  durata  triennale,  componente
esperto  a   tempo   pieno,   esterno   ai   ruoli   della   pubblica
amministrazione, del  Servizio  Consultivo  ed  Ispettivo  Tributario
(SECIT), originariamente istituito dalla legge 24 aprile 1980 n.  146
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 1980) e regolato, quanto a  funzioni,
composizione e funzionamento, da svariate fonti normative successive;
che, in seguito, l'art. 45 del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, stabiliva, con decorrenza dal 26 giugno 2008, la
soppressione  del  SECIT,  attribuiva   le   relative   funzioni   al
Dipartimento delle finanze  del  MEF  e  disponeva  che  il  relativo
personale  di  ruolo  fosse  restituito   alle   amministrazioni   di
appartenenza (ovvero, se gia' personale del ruolo del MEF,  assegnato
al Dipartimento stesso); che, conseguentemente, al dott. Z.M.  veniva
comunicata, verbalmente, la  cessazione  immediata  dell'incarico  di
esperto SECIT. 
    Riferisce il giudice a  quo  che  il  ricorrente,  sostenendo  la
natura subordinata a termine del suo rapporto con il  SECIT,  si  era
rivolto al  giudice  del  lavoro  lamentando  l'illegittimita'  della
risoluzione cosi' intervenuta e l'inadempienza del MEF rispetto  alle
obbligazioni retributive assunte con il  conferimento  dell'incarico,
domandandone la condanna al pagamento delle spettanze economiche  dal
momento della sua anticipata cessazione sino  a  quella  di  scadenza
contrattualmente prevista. In  subordine,  e  per  l'ipotesi  che  il
rapporto con il SECIT dovesse essere qualificato  come  autonomo,  il
ricorrente aveva invocato l'applicazione dell'art.  2227  del  codice
civile sul recesso unilaterale del committente e aveva  domandato  la
condanna della controparte al pagamento del relativo indennizzo. 
    Nel giudizio davanti al giudice del lavoro di Roma - prosegue  il
giudice a quo - si era costituito il MEF, negando la configurabilita'
di un rapporto subordinato di pubblico impiego  e  rilevando  che  la
disposizione legislativa che aveva soppresso il SECIT costituiva  una
causa sopravvenuta  d'impossibilita'  totale  della  prestazione,  ai
sensi dell'art. 1463 cod. civ., ed in ogni caso segnalando  l'entrata
in vigore, sin dal 6 ottobre 2010, dell'art. 2 comma 1-ter  del  d.l.
n. 125 del 2010, introdotto dalla legge di  conversione  n.  163  del
2010, norma d'interpretazione autentica che aveva chiarito la  natura
onoraria dell'incarico di esperto SECIT e  la  definitiva  cessazione
del medesimo incarico, ad ogni effetto giuridico ed  economico,  alla
data di soppressione legislativa del Servizio. 
    Espone il  rimettente,  nel  sollevare  la  questione,  che,  con
particolare riguardo alla disciplina vigente  all'atto  della  nomina
del ricorrente (giugno  2007),  i  compiti  e  finalita'  del  SECIT,
risultanti dall'art. 22, comma 1, del d.P.R. 26 marzo  2001  n.  107,
recante «Regolamento di organizzazione del Ministero delle  finanze»,
consistevano nell'elaborazione  di  studi  di  politica  economica  e
tributaria e di analisi fiscale in  conformita'  agli  indirizzi  del
Ministro (gia' delle finanze, poi dell'economia e delle finanze).  Il
giudice a quo provvede, poi, a ricostruire il quadro normativo. 
    Il servizio esplicava  le  sue  attivita'  mediante  un  organico
composto di cinquanta esperti (art. 22, comma 1, del  d.P.R.  n.  107
del 2001), scelti (art. 10, secondo comma, della  legge  n.  146  del
1980, tra i funzionari dell'amministrazione finanziaria e delle altre
pubbliche amministrazioni con qualifica non  inferiore  a  dirigente,
tra il personale di magistratura avente almeno  la  ex  qualifica  di
appello (esperti gia' di ruolo), e tra soggetti non appartenenti alla
pubblica  amministrazione  in  possesso  di  elevate  competenze   ed
esperienza  professionale  nelle  discipline   economico-finanziarie,
statistiche, contabili  o  aziendalistiche  (esperti  non  di  ruolo,
esterni alla pubblica amministrazione, quale  appunto  il  ricorrente
dott. Z.M.). 
    Per soddisfare esigenze di studio del dipartimento,  il  Ministro
suddetto poteva distaccare presso lo stesso - come  accaduto  per  il
dott. Z.M. -  esperti  del  SECIT  sino  alla  concorrenza  di  meta'
dell'organico; esperti posti in tal caso alle  dipendenze  funzionali
del capo dipartimento (art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 107 del 2001). 
    Gli esperti erano tutti nominati con decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle  finanze  (art.
10, terzo comma, della legge n. 146 del 1980). 
    La durata  massima  dell'incarico  -  antecedentemente  stabilita
(dall'art. 10, quarto comma, della legge n. 146  del  1980)  mediante
richiamo alla disciplina  sulla  temporaneita'  degli  incarichi  dei
dirigenti della P.A. - era triennale, rinnovabile per non piu' di una
volta (art. 3, comma 1, lettera d, terza  proposizione,  del  decreto
legislativo 3 luglio 2003, recante  «Riorganizzazione  del  Ministero
dell'economia e delle  finanze  e  delle  agenzie  fiscali,  a  norma
dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137»). 
    Gli esperti appartenenti  a  ruoli  diversi  dall'Amministrazione
delle  finanze  erano  collocati  fuori  ruolo,   od   in   posizione
equivalente, per la durata  dell'incarico  (art.  10,  quarto  comma,
della legge n. 146 del 1980). 
    Gli esperti (art. 11, settimo comma, della legge n. 146 del 1980)
dovevano osservare il segreto d'ufficio, ed  astenersi  relativamente
ad  affari  nei  quali  essi  stessi  o  parenti  o  affini  avessero
interesse; non  potevano  esercitare  attivita'  professionali  o  di
consulenza ne' ricoprire altri uffici pubblici di  qualsiasi  natura,
pena la decadenza dall'incarico, salvo che per gli  esperti  a  tempo
parziale. 
    Gli  esperti  a  tempo  parziale  (art.  4,  comma   3-bis,   del
decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, recante «Interventi  urgenti  in
materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento  della  spesa
farmaceutica  e  per  il  sostegno  dell'economia  anche  nelle  aree
svantaggiate», convertito, con modificazioni, dalla  legge  8  agosto
2002, n. 178) potevano essere assunti o  con  rapporto  dipendente  a
tempo parziale, o mediante rapporto di  collaborazione  coordinata  e
continuativa. 
    Per quanto riguarda lo stato giuridico, agli  esperti  del  SECIT
non appartenenti alla P.A. si  applicavano,  indipendentemente  dalla
loro  provenienza,  le  disposizioni  in  materia   riguardanti   gli
impiegati civili dello Stato (art. 18, comma 3, del d.P.R.  27  marzo
1992 n. 287, recante «Regolamento degli uffici e  del  personale  del
Ministero delle finanze»). 
    Quanto al trattamento economico, agli  esperti  ne  spettava  uno
onnicomprensivo,  pari  al  trattamento  fondamentale  previsto   dal
contratto collettivo nazionale  di  lavoro  dei  dirigenti  di  prima
fascia, oltre ad una speciale  indennita'  (art.  22,  comma  3,  del
d.P.R. n. 107 del 2001). 
    Successivamente era sopravvenuto l'art. 45, comma 1, del d.l.  n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133  del
2008, che - prosegue il giudice a quo - aveva segnato  per  il  dott.
Z.M.,  esperto  non  di  ruolo,  l'impugnata   immediata   estinzione
dell'incarico. 
    Secondo  il  rimettente  il  quadro  normativo  sopra   descritto
rifletterebbe, in modo palese, con  riguardo  all'esperto  del  SECIT
estraneo alla P.A., l'esistenza di un rapporto di lavoro,  di  natura
dipendente ed a termine, stante l'inequivoco richiamo, da parte delle
disposizioni sopra  esaminate,  alla  disciplina  inerente  lo  stato
giuridico dei pubblici dipendenti e, quanto al trattamento economico,
a  quella  dei  dirigenti  (che   sono,   pacificamente,   lavoratori
subordinati), richiamo valevole indistintamente sia per i  componenti
del Servizio gia' nei ruoli della P.A. (e, dunque, in forza  a  tempo
indeterminato)  sia  per  i   componenti   non   di   ruolo,   legati
all'Amministrazione medesima da vincolo a tempo determinato. 
    Anche concretamente, prosegue il giudice del lavoro, risulterebbe
pacificamente provato che  al  dott.  Z.M.  era  stato  applicato  il
trattamento specificamente previsto per i lavoratori  dipendenti  (in
via esemplificativa, con riguardo al recupero delle ore  di  ritardo,
alle ferie, ai permessi, alla tredicesima) e che  egli  era  iscritto
alla Cassa dipendenti statali dell'Istituto nazionale  di  previdenza
per i dipendenti  dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP);  ed  alla
cessazione del rapporto gli era stato corrisposto il  trattamento  di
fine rapporto. 
    Osserva in proposito  il  giudice  rimettente  che  in  casi  del
genere, se non ricorrono le ipotesi di recesso per  giusta  causa  di
cui  all'art.  2119  cod.  civ.,  il  rapporto  puo'  essere  risolto
anticipatamente non gia' per  un  giustificato  motivo  oggettivo  ai
sensi dell'art. 3 della legge 15  luglio  1966,  n.  604  (Norme  sui
licenziamenti individuali), ma  soltanto  ricorrendo  le  ipotesi  di
risoluzione del  contratto  previste  dagli  artt.  1453  e  seguenti
cod.civ. Ne conseguirebbe che, qualora il datore di lavoro proceda ad
una  riorganizzazione  del  proprio  assetto  produttivo,  egli   non
potrebbe avvalersi di tale evenienza per  risolvere  in  anticipo  un
contratto di lavoro a tempo determinato (e' citata la sentenza  della
Cassazione civile n. 3276 del 2009). 
    In proposito, il medesimo giudice osserva che la soppressione del
SECIT, per  decisione  sovrana  del  legislatore,  costituisce  senza
dubbio un atto di primaria  rilevanza  incidente  sull'organizzazione
datoriale, ma non tale tuttavia  da  integrare,  nell'ambito  di  una
locatio operarum a  tempo  determinato,  un'ipotesi  d'impossibilita'
sopravvenuta totale della prestazione, che sarebbe riscontrabile solo
a fronte dell'accertata preclusione di ogni proficuo  riutilizzo  del
lavoratore; circostanza che tuttavia non era stata ne'  compiutamente
allegata dall'Amministrazione, ne'  comunque  dimostrata,  risultando
anzi il contrario, tenuto conto che l'art. 45 del  d.l.  n.  112  del
2008 avrebbe attribuito al Dipartimento le funzioni gia' intestate al
SECIT, ed il MEF mostrava all'epoca numerose  scoperture  nei  ruoli,
tanto ad averlo indotto a bandire un concorso  pubblico  per  coprire
tali vacanze. 
    Pertanto, il Tribunale di  Roma  ritiene  fondato  l'assunto  del
lavoratore di essere destinato, successivamente alla soppressione del
SECIT  e  sino  alla  scadenza  del  proprio  incarico,  a   mansioni
equivalenti presso il Dipartimento delle finanze,  mantenendo  quindi
il diritto di percepire l'intera  retribuzione  come  originariamente
pattuito. Ma, si prosegue, e' sopraggiunto l'art. 2, comma 1-ter, del
d.l. n. 125 del 2010, nel testo introdotto dalla legge di conversione
n. 163 del 2010, che ha "interpretato" l'articolo 45,  comma  1,  del
d.l n. 112 del 2008 nel senso che l'incarico onorario di esperto  del
servizio consultivo ed ispettivo tributario si  doveva  intendere  in
ogni caso cessato ad ogni effetto, sia  giuridico  sia  economico,  a
decorrere dalla data di entrata in vigore di tale disposizione. 
    Sostiene  il  giudice  a  quo  che  con  tale   disposizione   il
legislatore avrebbe inteso sia qualificare imperativamente,  ora  per
allora,  come  "onorario"  l'incarico  dell'esperto  SECIT  sia,   in
coerenza con tale qualificazione, disporne la cessazione  contestuale
alla soppressione di  tale  servizio,  con  esclusione  di  qualsiasi
eventuale pretesa del lavoratore, di ordine giuridico ed economico. 
    Evidenzia  il  Tribunale  ordinario  di  Roma   che   in   questo
significato la disposizione ha trovato  gia'  applicazione  in  varie
decisioni del giudice del lavoro  romano,  restando  quindi  precluso
ogni tentativo di offrirne una diversa interpretazione  che  non  sia
incompatibile con le richieste del ricorrente. 
    Per tali ragioni,  il  rimettente  ritiene  evidente  l'incidenza
dell'art. 2, comma 1-ter, del d.l. n. 125 del  2010  nel  giudizio  a
quo, che sarebbe stato indirizzato da tale disposizione ad  un  esito
opposto a  quello  che  il  preesistente  assetto  normativo  avrebbe
determinato. 
    Il  medesimo  giudice  ritiene  fondato  anche   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale di siffatta disposizione legislativa, con
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. 
    Tale disposizione - si argomenta - non  rispetterebbe  difatti  i
limiti piu' volte enunciati dalla Corte costituzionale in materia  di
norme di interpretazione autentica, per le quali la loro applicazione
a rapporti precedenti deve trovare adeguata giustificazione sul piano
della ragionevolezza, a patto quindi  che  la  scelta  cosi'  imposta
dalla legge rientri tra le possibili  varianti  di  senso  del  testo
originario, cosi' rendendo vincolante un significato  ascrivibile  ad
una norma  anteriore,  e  sempre  che  lo  ius  superveniens  neppure
contrasti con altri valori e interessi  costituzionalmente  protetti,
tra  cui  il  divieto  d'introdurre  ingiustificate   disparita'   di
trattamento, la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti dell'ordinamento quale principio connaturato allo  Stato  di
diritto, la coerenza e la certezza dell'ordinamento stesso. 
    A fronte di tale quadro, osserva innanzi tutto il giudice  a  quo
che l'interpretazione-qualificazione data dal legislatore con  l'art.
2 , comma 1-ter, del d.l. n. 125 del 2010 non potrebbe in alcun  modo
essere ricondotta ad uno dei possibili  originari  significati  della
disposizione interpretata. 
    Difatti, anche  se  non  si  condividesse  la  ricostruzione  del
rapporto  dell'esperto  esterno   del   SECIT   nei   termini   della
subordinazione, l'unica alternativa sarebbe quella  di  ammettere  la
ricorrenza  degli  elementi   della   collaborazione   coordinata   e
continuativa (o "para-subordinazione"), tesi in effetti  recepita  da
altre pronunce del medesimo Tribunale, che peraltro giungono comunque
all'accoglimento dei ricorsi. 
    Ma comunque sia, prosegue  il  giudice  rimettente,  non  sarebbe
possibile escludere l'esistenza, nella fattispecie,  di  un  rapporto
professionale di servizio tra l'esperto e l'Amministrazione, sicche',
ricondurre il primo alla figura del funzionario onorario, verrebbe ad
urtare  manifestamente  con  tutti  gli  indici   di   riconoscimento
elaborati  dalla  giurisprudenza  (viene  citata  la  sentenza  della
Cassazione, sezioni unite civili, n. 11272  del  1998):  infatti,  si
evidenzia che l'esperto SECIT non era scelto con valutazioni di  tipo
politico-discrezionale (ma di carattere  tecnico-professionale);  era
inserito in  modo  strutturale  e  professionale  nell'organizzazione
dell'Amministrazione; svolgeva, come visto, un rapporto provvisto  di
specifica e minuziosa disciplina; percepiva un compenso non meramente
di  natura  indennitaria,  ma  inerente  al  rapporto  sinallagmatico
esistente tra  le  parti  (e  parametrato,  infatti,  al  trattamento
economico della dirigenza pubblica). 
    Con riguardo poi al legittimo affidamento, osserva  il  Tribunale
ordinario di Roma che non e' contestabile che gli esperti del  SECIT,
in   particolare   quelli   esterni   ai   ruoli    della    pubblica
amministrazione, avessero  riposto  un  legittimo  affidamento  sulla
natura professionale dell'attivita' da essi esercitata, pacificamente
riconosciuta  dalla  pressoche'  unanime  giurisprudenza,   e   sulle
conseguenze che ne sarebbero derivate in ordine alla  permanenza  del
rapporto per il tempo stabilito. 
    In sostanza, secondo il giudice a quo la norma di cui  si  tratta
non avrebbe imposto una scelta rientrante tra le  possibili  varianti
di senso del testo originario, ne' sarebbe intervenuta per  risolvere
contrasti  giurisprudenziali,  ma  avrebbe  posto  in   essere,   con
efficacia  retroattiva,  una  sostanziale  modifica  della  normativa
precedente, incidendo in modo irragionevole, in violazione  dell'art.
3 Cost., sul legittimo affidamento  nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto. 
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    Secondo la difesa erariale la norma in  realta'  andrebbe  intesa
nel senso che essa chiarisce che l'incarico di esperto del SECIT  non
resiste alla soppressione del servizio, cosi' come avviene  per  ogni
altro  incarico  onorario;  e  poiche'  secondo  la  Presidenza   del
consiglio non potrebbe dirsi  consolidata  alcuna  giurisprudenza  od
opinione in tema di natura del rapporto fra il SECIT  e  gli  esperti
che lo componevano, sarebbe ben possibile un'interpretazione  diversa
da quella che fa il Tribunale ordinario di  Roma,  qualificandola  in
termini di servizio onorario. 
    Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo,  secondo  il
patrocinio erariale, nel rapporto unitario fra il SECIT e gli esperti
sarebbero - in realta'  -  ravvisabili  caratteri  che,  comunemente,
vengono riferiti al servizio onorario. Infatti, secondo la Presidenza
del Consiglio, tale rapporto  sarebbe  frutto  di  nomina  ampiamente
discrezionale  (con  connotazioni  fiduciarie)  e  certo  non  deriva
dell'esperimento   di   procedure   di   concorso;   il   legislatore
utilizzerebbe  termini  del  tutto  compatibili  con  la  sua  natura
onoraria (il rapporto viene definito come «incarico» e sono  previste
cause di decadenza e di revoca); l'attivita' dell'esperto sarebbe ben
lungi  dall'essere  minuziosamente  disciplinata  (si  evidenzia  che
l'art. 11, comma 7, della legge n. 146 del  1980  prevede  unicamente
che «gli esperti devono osservare il segreto di ufficio ed  astenersi
relativamente agli affari nei quali essi  stessi  e  loro  parenti  o
affini   hanno   interesse,   non   possono   esercitare    attivita'
professionali o  di  consulenza  ne'  ricoprire  uffici  pubblici  di
qualsiasi natura»); 1'inserimento nell'apparato  organizzativo  della
P.A.  non  parrebbe   quindi   potersi   definire   professionale   e
strutturale, bensi' solo funzionale; infine, dall'art. 22 del  d.P.R.
n. 107 del 2001 non potrebbe trarsi alcun elemento per definire  come
"retribuzione", quanto corrisposto all'esperto del SECIT. 
    Cio' posto, la difesa erariale conclude osservando  che  parrebbe
del tutto fuori di luogo sostenere, come fa  il  giudice  a  quo,  la
violazione dell'affidamento nella natura professionale  del  rapporto
ed ancor piu' la lesione  di  un  affidamento  di  chi  si  e'  visto
conferire un  incarico  temporaneo  di  consulenza  -  specificamente
riferito a determinate funzioni svolte da un servizio dotato  di  ben
precise connotazioni - di  permanere  nell'incarico,  una  volta  che
venga soppresso il servizio stesso. 
    3. - Si e' costituito il ricorrente del giudizio di primo  grado,
dott. Z. M. 
    Questi evidenzia che,  confidando  sulla  durata  prevista  della
nomina ad esperto  del  SECIT,  aveva  rinunciato  ad  un  precedente
incarico di livello dirigenziale sempre alle dipendenze  del  MEF  in
corso di svolgimento, ed aveva confidato  quindi  sul  prestigio  del
nuovo incarico,  sull'avanzamento  di  carriera,  nonche'  sulla  sua
durata quantomeno triennale (fino al 4  settembre  2010,  rinnovabile
per  eguale  periodo)  e   sui   conseguenti   redditi   e   benefici
pensionistici che da tale impiego gli sarebbero derivati. 
    Secondo il  dott.  Z.M.,  il  recesso  anticipato  con  il  quale
l'Amministrazione ha posto fine all'incarico, dopo  nemmeno  un  anno
dal suo inizio, dovrebbe essere qualificato come un  vero  e  proprio
licenziamento  illegittimo  -  perche'  privo  di  giusta   causa   -
considerando  inoltre  che  il  MEF   avrebbe   potuto   riutilizzare
proficuamente l'interessato in posti per i quali esso  aveva  carenza
di organico. Secondo  l'interveniente,  proprio  per  rimediare  alle
prime pronunce favorevoli agli  ex  esperti  esterni  del  SECIT,  il
legislatore avrebbe introdotto l'impugnata norma di  "interpretazione
autentica" dell'art.  45  del  d.l.  n  112  del  2008,  al  fine  di
qualificare ex post il rapporto intercorso tra il dott.  Z.M.  ed  il
MEF  quale  "incarico  onorario"  e  non  come  rapporto  di   natura
subordinata di livello dirigenziale. 
    In proposito, evidenzia  l'interveniente  che  contrasta  con  il
principio del legittimo affidamento che un rapporto che per oltre  30
anni si e' svolto in un determinato modo, senza contestazione alcuna,
sia in seguito - addirittura quando non piu' esistenti la struttura e
le relative attivita' - qualificato da una norma in maniera  diversa,
tanto piu' quando la diversa qualificazione del rapporto  stesso  sia
operata con una norma retroattiva, con l'effetto di far venire meno i
diritti quesiti del lavoratore sui cui lo stesso  riponeva  legittimo
affidamento, quale il diritto ad un certo trattamento  sia  economico
che normativo. 
    A conferma della considerazione del rapporto instaurato presso il
SECIT come rapporto di lavoro  subordinato,  starebbero,  secondo  il
dott. Z.M., oltre a varie sentenze del giudice del  lavoro  di  Roma,
anche la regolamentazione complessiva del  rapporto  di  lavoro  alle
dipendenze del SECIT - dalla quale si  evincerebbe  che  gli  esperti
erano nominati sulla base della loro professionalita' - nonche' dalle
modalita' del concreto svolgimento del lavoro stesso. 
    Prosegue l'interveniente  osservando  che  anche  quando  non  si
riscontrasse la violazione del principio del  legittimo  affidamento,
in ogni caso, la norma di interpretazione autentica, stravolgendo  la
realta'  dei  fatti,  avrebbe  determinato  ingiuste  disparita'   di
trattamento, venendo cosi' ad integrare la  violazione  dei  principi
generali di eguaglianza e ragionevolezza. 
    Allo stesso tempo, essa avrebbe creato una grave  disparita'  tra
gli esperti esterni che hanno potuto godere e  far  valere  i  propri
diritti nei confronti del SECIT quando tale norma non esisteva e  gli
esperti esterni, come il dott. Z.M., che si sono viceversa  ritrovati
a far valere i propri diritti nella vigenza della stessa. 
    Nel caso in questione, obietta l'interveniente che  non  solo  la
norma de qua non da'  alcuna  spiegazione  di  tale  equiparazione  -
effettuata incidentalmente e in  una  sede  non  opportuna  -  ma  la
motivazione   dell'equiparazione   avrebbe   il   solo   effetto   di
pregiudicare   posizioni   soggettive   di   singoli,   senza   alcun
soddisfacimento  di  quegli  «interessi  generali»  richiamati  dalla
sentenza n. 78 del 2012 della Corte costituzionale. 
    Sulla scorta  di  tali  considerazioni  il  dott.  Z.M.  conclude
insistendo per la dichiarazione di illegittimita' dell'art. 2,  comma
1-ter, del d.l. n. 125 del 2010, convertito dalla legge  n.  163  del
2010, per contrasto con l'art. 3 Cost. e, in subordine,  chiede  alla
Corte  di  fornire  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della predetta norma, cosi' evitando  il  contrasto  con  i  precetti
dell'art. 3 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di  giudice  del
lavoro,  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125
(Misure urgenti per  il  settore  dei  trasporti  e  disposizioni  in
materia finanziaria), aggiunto dalla legge di conversione 1°  ottobre
2010,  n.  163,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   della
Costituzione, nell'ambito di un giudizio inerente ad un  incarico  di
durata triennale di componente esperto  a  tempo  pieno,  esterno  ai
ruoli della pubblica  amministrazione,  del  Servizio  Consultivo  ed
Ispettivo Tributario (SECIT). 
    La disposizione impugnata stabilisce che «L'articolo 45, comma 1,
del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si  interpreta  nel
senso che l'incarico onorario di esperto del servizio  consultivo  ed
ispettivo tributario si intende in ogni caso cessato ad ogni effetto,
sia giuridico sia economico, a decorrere dalla  data  di  entrata  in
vigore della predetta disposizione». 
    Il ricorrente del giudizio a quo  era  stato  nominato  nel  2007
ispettore del SECIT, organismo originariamente istituito dalla  legge
24 aprile 1980, n. 146 (Disposizioni per la formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  1980),  e
regolato,  per   quanto   riguarda   attribuzioni,   composizione   e
funzionamento, da altre fonti normative  succedutesi  nel  tempo.  In
seguito,  l'art.  45  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.   112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito con modificazioni dalla legge  6
agosto 2008, n. 133, ha stabilito, con decorrenza dal 26 giugno 2008,
la soppressione del SECIT, con attribuzione delle  relative  funzioni
al Dipartimento delle finanze del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze (MEF), disponendo che il relativo personale  di  ruolo  fosse
restituito alle  amministrazioni  di  appartenenza  ovvero,  se  gia'
personale del ruolo del MEF, assegnato al dipartimento di  precedente
appartenenza. 
    Sulla base di tale disposizione, all'ispettore veniva comunicata,
solo   verbalmente,    la    cessazione    immediata    dell'incarico
precedentemente ricevuto.  Egli  ricorreva  al  giudice  del  lavoro,
lamentando l'illegittimita' della  risoluzione  cosi'  intervenuta  e
l'inadempienza del MEF rispetto alle obbligazioni retributive assunte
con il conferimento  dell'incarico  e  domandandone  la  condanna  al
pagamento delle spettanze economiche  dal  momento  della  anticipata
cessazione fino alla scadenza prevista dall'incarico stesso. 
    La domanda  si  fonda  sulla  natura  di  lavoro  dipendente  del
rapporto con il SECIT  e,  in  subordine,  di  lavoro  autonomo,  con
conseguente applicazione dell'art. 2227 del codice civile. Ad  avviso
del ricorrente, non vi sarebbero, al di fuori  di  tale  alternativa,
altre qualificazioni possibili e pertanto il recesso unilaterale  del
datore di lavoro committente dovrebbe  dar  luogo  alla  condanna  al
pagamento  del  relativo  indennizzo,  parametrato  nel  modo   sopra
indicato. 
    Al contrario, il Ministero resistente  nega  la  configurabilita'
del rapporto  come  lavoro  subordinato  od  autonomo,  ritenendo  la
soppressione    del    SECIT    causa    sopravvenuta     comportante
l'impossibilita'  totale  della  prestazione.   Inoltre,   la   norma
impugnata avrebbe natura di interpretazione autentica chiarificatrice
della qualita' onoraria dell'incarico di esperto SECIT. Essa  avrebbe
sancito in modo inequivocabile la cessazione  del  rapporto  ad  ogni
effetto giuridico ed economico, alla data di soppressione del SECIT. 
    1.1. - Il  giudice  rimettente  dubita  che  la  disposizione  di
interpretazione autentica richiami un significato compatibile con  il
dettato originale della norma  riguardante  l'abolizione  del  SECIT,
anche alla luce di una serie di elementi sintomatici  ricavati  dalla
disciplina che regolava, anteriormente alla soppressione, il rapporto
tra il Servizio e gli ispettori, fossero essi pubblici  dipendenti  o
esterni all'amministrazione. 
    La disposizione avrebbe incidenza sulla decisione del giudizio  a
quo, dal momento che  solo  l'esistenza  di  un  rapporto  di  natura
onoraria e  la  conseguente  negazione  sia  dell'ipotesi  di  lavoro
subordinato a tempo determinato, sia di quella di prestazione d'opera
ai sensi dell'art. 2222 cod. civ. o della collaborazione coordinata e
continuativa     (o      "para-subordinazione"),      comporterebbero
l'impossibilita' di accogliere la domanda del ricorrente. 
    Nelle altre ipotesi  interpretative,  ora  precluse  dalla  norma
impugnata, non sarebbe sufficiente  per  l'amministrazione  convenuta
invocare il  factum  principis  della  soppressione  legislativa  del
SECIT,  essendo  necessaria,  secondo  un  consolidato   orientamento
giurisprudenziale,  la   prova   dell'impossibilita'   di   destinare
l'incaricato ad altra mansione utile - nel caso di specie - presso il
Dipartimento  delle  Finanze.  Possibilita',  questa,  allegata   dal
ricorrente, il quale ha evidenziato  che  le  funzioni  svolte  dagli
esperti erano state attribuite a tale Dipartimento  presso  il  quale
egli gia' era assegnato, ed  ha  citato  una  serie  di  reclutamenti
successivi - da  parte  dell'amministrazione  -  di  analoghe  figure
professionali. 
    In definitiva, la disposizione  impugnata  non  rientrerebbe  nei
canoni   di   legittimita'   piu'   volte   enunciati   dalla   Corte
costituzionale in materia di norme  di  interpretazione  autentica  e
lederebbe il legittimo affidamento  degli  esperti  del  SECIT  sulla
natura e la durata della loro prestazione. 
    2. - La questione e' fondata. 
    Va premesso che, come questa Corte ha  piu'  volte  chiarito,  il
legislatore puo' adottare  norme  di  interpretazione  autentica  non
soltanto  in  presenza  di  incertezze   sull'applicazione   di   una
disposizione o di contrasti giurisprudenziali,  ma  anche  quando  la
scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso
del  testo  originario,  cosi'  rendendo  vincolante  un  significato
ascrivibile ad una norma anteriore (ex plurimis, sentenze n. 271  del
2011, n. 209 del 2010, n. 24 del 2009, n. 170 del 2008 e n.  234  del
2007). 
    L'eventuale portata retroattiva della disposizione non e' di  per
se' contraria a Costituzione, purche'  non  collida  con  l'art.  25,
secondo comma, Cost., non contrasti  con  altri  valori  e  interessi
costituzionalmente protetti  e  trovi  adeguata  giustificazione  sul
piano della ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n.  271  e  93  del
2011, n. 234 del 2007 e n. 374 del 2002). 
    Quanto a tali limiti  generali  all'efficacia  retroattiva  delle
leggi, attinenti alla salvaguardia  di  principi  costituzionali,  e'
utile ricordare il  principio  generale  di  ragionevolezza,  che  si
riflette  nel  divieto  d'introdurre  ingiustificate  disparita'   di
trattamento; la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti interessati all'applicazione della norma; la coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate  al  potere  giudiziario  (ex  plurimis,
sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994). 
    Nella fattispecie in esame la disposizione impugnata riqualifica,
ora per allora, rapporti da lungo tempo instaurati, attribuendo  loro
una natura che in effetti non aveva mai trovato alcun  riconoscimento
giurisprudenziale nei quasi trent'anni di esistenza  del  SECIT.  Dal
senso letterale della disposizione interpretata e di quelle  ad  essa
geneticamente  collegate  non  si  ricava,  infatti,  il  significato
attribuitole dalla disposizione  impugnata,  ne'  esisteva  contrasto
giurisprudenziale circa la sua inascrivibilita' al servizio onorario.
Risulta  leso,  dunque,  l'affidamento   degli   ispettori   esterni,
legittimato da una serie di chiari  elementi  sintomatici  di  natura
normativa. 
    2.1. - Quanto al profilo  della  compatibilita'  della  norma  di
interpretazione  autentica  con  il  dettato  originale   di   quella
riguardante   l'abolizione   del   SECIT,   occorre   preliminarmente
sottolineare come essa  sia  sopravvenuta  a  due  anni  di  distanza
dall'altra,  senza  tenere  in  alcun  conto  le  varie  e   numerose
disposizioni precedenti, le quali  -  durante  la  vigenza  di  detto
Servizio  -  avevano  disciplinato  in  modo  incompatibile  con   la
disposizione interpretativa dei rapporti con gli esperti esterni,  le
modalita'  del  loro  svolgimento,  il  trattamento  economico  e  le
relative incompatibilita'. 
    Cosi', a titolo esemplificativo, per  quanto  riguarda  lo  stato
giuridico, agli esperti del  SECIT  non  appartenenti  alla  pubblica
amministrazione  si   applicavano,   indipendentemente   dalla   loro
provenienza, le disposizioni in  materia  riguardanti  gli  impiegati
civili dello Stato (art. 18, comma 3, del d.P.R.  27  marzo  1992  n.
287, recante «Regolamento degli uffici e del personale del  Ministero
delle finanze»). Agli stessi spettava anche un trattamento  economico
onnicomprensivo pari al trattamento previsto dal contratto collettivo
nazionale di lavoro dei dirigenti  di  prima  fascia,  oltre  ad  una
speciale indennita' (art. 22, comma 3, del d.P.R. 26  marzo  2001  n.
107, recante  «Regolamento  di  organizzazione  del  Ministero  delle
finanze»).  La  loro  selezione  era   sempre   avvenuta   attraverso
valutazioni di carattere  tecnico  professionale  e  il  loro  lavoro
all'interno dell'amministrazione era caratterizzato da un inserimento
negli uffici regolato da specifica e minuziosa disciplina. Infine, il
relativo compenso era  parametrato  al  trattamento  economico  della
dirigenza pubblica. 
    Questi caratteri, se risultano compatibili sia con un rapporto di
pubblico  impiego  a  tempo  determinato,  sia  con  un  rapporto  di
locazione  d'opera  e/o  lavoro  parasubordinato,  non  sono   invece
presenti  nei  rapporti  di  servizio   di   tipo   onorario.   Detta
qualificazione giuridica comporta, tra l'altro, che: a) i  funzionari
onorari cessano immediatamente dall'ufficio se questo - per qualsiasi
ragione - venga in seguito meno, senza che siano applicabili le norme
del contratto di lavoro a  tempo  determinato  o  con  durata  minima
garantita o di collaborazione in regime di para-subordinazione; b) il
loro rapporto non sarebbe connotato da  prestazioni  corrispettive  e
conseguentemente non azionabile nei termini del giudizio a quo. 
    Proprio la sopravvenuta qualificazione del  SECIT  come  servizio
onorario - secondo quanto meglio  specificato  nel  successivo  punto
3.4. - risulta decisiva nel mutare il quadro del contenzioso in atto,
escludendo l'applicabilita'  della  disciplina  dettata  dagli  artt.
1218, 1256 e 1463 cod. civ. 
    2.2.  -  Il  fatto  che  il  significato  oggettivo  della  norma
interpretata non risulta compatibile con  quello  attribuitole  dalla
norma interpretativa trova conferma  nella  giurisprudenza  formatasi
sul punto. 
    Occorre a tal fine premettere  che  i  giudizi  ingenerati  dalle
rivendicazioni degli esperti esterni dopo l'intervenuta  soppressione
del SECIT non hanno superato  -  al  momento  della  decisione  della
presente questione - il primo grado, di modo che non si e'  venuto  a
manifestare,  sul  punto  specifico,   l'orientamento   del   giudice
nomofilattico  (le  istanze  degli  ex  esperti  esterni  del  SECIT,
discendenti dall'anticipata cessazione dei rispettivi incarichi, sono
state oggetto di ripetuto vaglio giudiziario da parte  del  Tribunale
ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro). 
    Tutte le  decisioni  intervenute  a  ricostruire  la  natura  del
rapporto degli esperti esterni oscillano tra la  configurabilita'  di
un  rapporto  di  pubblico  impiego  a   tempo   determinato   e   la
collaborazione di tipo  professionale,  iure  privatorum,  rientrante
nell'ambito della para-subordinazione, equiparata ex lege, quanto  al
trattamento economico ed al restante regime giuridico, agli incarichi
a tempo determinato del personale dirigenziale dello Stato. 
    E' opportuno, per inquadrare esattamente l'influenza della  norma
in esame sui giudizi pendenti, che,  ai  fini  dell'applicazione  dei
principi desumibili dagli artt. 1218, 1256  e  1463  cod.  civ.,  non
assume rilievo la distinzione tra  rapporto  di  pubblico  impiego  e
para-subordinazione,  poiche'  entrambe  le   fattispecie   rientrano
comunque  in  tipi   contrattuali   caratterizzati   da   prestazioni
corrispettive assoggettabili al principio dell'indennizzo  quando  e'
provata l'utilizzabilita' alternativa del prestatore.  Al  contrario,
tale possibilita' e' preclusa in caso di servizio onorario. 
    2.3. - Strettamente  legato  alla  qualificazione  giuridica  del
rapporto degli esperti esterni del SECIT e' il rilievo della  lesione
all'affidamento ingenerato  dal  pacifico  trattamento  giuridico  ed
economico riservato loro per circa trent'anni . 
    Da quanto argomentato, infatti,  si  ricava  che  la  censura  di
violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.  e'   fondata   sotto
l'assorbente profilo della  lesione  del  legittimo  affidamento:  la
norma e'  sopraggiunta,  infatti,  solo  quando  il  SECIT  gia'  non
esisteva piu' ed i relativi rapporti di lavoro erano oramai esauriti,
per riqualificarli retroattivamente, attribuendo loro la veste  della
funzione onoraria, mai precedentemente considerata. Il legislatore ha
in tal modo leso le  legittime  aspettative  degli  esperti  esterni,
consistenti nel convincimento che i rispettivi  incarichi  restassero
assoggettati alla generale normativa prevista dal  codice  civile  in
materia di contratti a prestazioni corrispettive. 
    2.4. - Le precedenti osservazioni chiariscono come  la  norma  di
interpretazione  autentica  in  realta'  abbia  prodotto  un  effetto
assolutamente innovativo su  fattispecie  chiuse,  in  pregiudizio  a
posizioni  gia'  maturate  ed  influenzando  situazioni   processuali
altrimenti indirizzate in modo diverso. 
    La soppressione del SECIT per  factum  principis  costituisce  un
evento che incide sul contesto  organizzativo  presso  il  quale  era
svolto il servizio. Pur non essendo imputabile la  causa  soppressiva
all'amministrazione,  nondimeno  sotto  il  profilo  contrattuale  la
risoluzione del rapporto non potrebbe conseguire  senz'altro  a  tale
evento, se esso non comportasse  l'impossibilita'  di  ogni  proficuo
riutilizzo dell'ispettore.  Infatti,  l'istituto  dell'impossibilita'
sopravvenuta, di cui all'art. 1463  cod.  civ.,  sarebbe  applicabile
alla descritta fattispecie di cessazione anticipata del contratto  di
lavoro a tempo determinato solo nel caso in cui  l'evento  generatore
della cessazione rendesse assolutamente  impossibile  la  prestazione
lavorativa. Nel caso dei contratti  a  prestazioni  corrispettive  e'
infatti da escludere che il factum principis costituisca, di per se',
elemento  sufficiente  a  configurare  l'impossibilita'  sopravvenuta
della prestazione  lavorativa,  dal  momento  che  ad  esso  si  deve
accompagnare la dimostrazione, da parte del datore di  lavoro  o  del
dante  causa,  dell'impossibilita'  di  continuare  a   ricevere   la
prestazione (ex plurimis Cass. civ. n. 3276 del 2009,  n.  14871  del
2004 e n. 4437 del 1995). Ove, al contrario, fosse possibile  adibire
il lavoratore a  mansioni  analoghe  nella  organizzazione  aziendale
"sopravvissuta"  agli  effetti  del  factum  principis,  la   mancata
utilizzazione  dello  stesso  renderebbe  fondate  le   ragioni   del
prestatore. 
    In  sostanza,  questo  era  il  thema  decidendum  del   giudizio
instaurato dall'ispettore fino al  momento  in  cui  la  sopravvenuta
qualificazione di servizio onorario non  ha  alterato  i  presupposti
normativi della controversia. Detta qualificazione, infatti, comporta
che la cessazione anzitempo preclude l'obbligo risarcitorio a  carico
dello Stato. Al contrario, senza la nuova norma,  sarebbe  possibile,
ove  ne  ricorrano  i  presupposti,  l'accoglimento   delle   pretese
economiche, stante l'applicabilita' dell'art. 1463 cod. civ. 
    3. - In conclusione, la norma impugnata non  ha  attribuito  alla
disposizione interpretata un significato rientrante tra le  possibili
varianti di senso del testo originario. 
    Essa  ha  invece  realizzato,  con  efficacia  retroattiva,   una
sostanziale  modifica  della  normativa  precedente,  cosi'   ledendo
l'affidamento  ingenerato  dal  trattamento   riservato   per   circa
trent'anni agli ispettori esterni del SECIT.  Pertanto,  deve  essere
dichiarata illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost.