ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 59  del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'articolo 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.  413),  promosso
dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, nel procedimento
vertente tra P.G. e l'Agenzia delle entrate,  Direzione  provinciale,
Ufficio controlli Pesaro-Urbino, con ordinanza del 21 novembre  2012,
iscritta al numero 12 del registro ordinanze 2013 e pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  6,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  giugno  2013  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
    Ritenuto che la Commissione tributaria  regionale  delle  Marche,
con ordinanza del 21 novembre  2012,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'articolo  24  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30  dicembre
1991, n. 413), nella parte in  cui  non  contempla,  tra  i  casi  di
rimessione  alla   Commissione   provinciale,   quello   dell'erronea
dichiarazione di inammissibilita' da parte del giudice di primo grado
senza trattazione nel merito della causa; 
    che, ad avviso del rimettente, al giudice di appello nel giudizio
tributario sarebbero preclusi  l'esame  del  merito,  in  assenza  di
censure sollevate al riguardo dall'appellante,  e,  al  contempo,  la
possibilita' di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi
del citato art. 59; 
    che   il   sistema   cosi'   delineato,   non   suscettibile   di
interpretazioni correttive, darebbe luogo ad una  compromissione  del
diritto di difesa, privando la parte di una piena tutela processuale,
in violazione dell'art. 24 Cost.; 
    che, in punto di rilevanza,  la  Commissione  tributaria  osserva
come nel giudizio a quo si crei, in tal modo,  un  vuoto  processuale
che non consente il corretto svolgimento del processo; 
    che e' intervenuto nel giudizio di  costituzionalita',  con  atto
depositato il 26 febbraio  2013,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' della  questione
sollevata; 
    che, secondo la difesa dello Stato, infatti, il  diritto  vivente
gia' fornisce una risposta al caso prospettato, il che renderebbe  la
questione anche irrilevante; 
    che, nel merito, la questione  sarebbe  manifestamente  priva  di
fondamento, in quanto, alla luce del quadro normativo di  riferimento
e del consolidato orientamento della Corte di cassazione in  materia,
l'appellante, nel proprio atto di gravame, ben poteva,  anzi  doveva,
far valere, oltre all'erroneita' della decisione di primo grado,  gli
originari motivi di ricorso; 
    che, sempre nel merito, la questione sarebbe manifestamente priva
di  fondamento,  posto  che  la  norma   impugnata   costituisce   il
ragionevole punto di equilibrio tra due diverse esigenze: da un lato,
quella di evitare la perdita di un grado di  giudizio,  allorche'  la
sentenza di primo grado (pronunciando in rito) abbia illegittimamente
omesso di valutare il  merito  della  causa;  dall'altro,  quella  di
limitare l'eccessiva durata del processo, che  dovrebbe  ricominciare
dal primo grado. 
    Considerato che la Commissione tributaria regionale delle Marche,
con ordinanza del 21 novembre  2012,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'articolo  24  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30  dicembre
1991, n. 413), nella parte in  cui  non  contempla,  tra  i  casi  di
rimessione, quello dell'erronea dichiarazione di inammissibilita' del
ricorso, emessa da parte del giudice di primo grado senza trattazione
nel merito della causa; 
    che i dubbi prospettati dal rimettente in punto  di  legittimita'
costituzionale della norma censurata sono  manifestamente  infondati,
in  quanto  espressi   sulla   base   di   un   erroneo   presupposto
interpretativo; 
    che la norma censurata, infatti, non  limita  in  alcun  modo  la
trattazione del processo  ne'  pone  il  giudice  dell'appello  nella
situazione di stallo prospettata dal rimettente; 
    che, in particolare, l'art.  59  del  d.lgs.  n.  546  del  1992,
qualora non ricorra una delle ipotesi di rimessione alla  commissione
tributaria di primo grado  elencate  al  comma  1,  non  preclude  in
appello  la  possibilita'  di  esame  del  processo  nel  merito,   a
condizione che l'appellante abbia correttamente  riproposto,  insieme
alla censura di erroneita' della dichiarazione  di  inammissibilita',
le relative censure di merito; 
    che, dunque, la  preclusione  lamentata  dal  giudice  a  quo  e'
dovuta,  nel  caso  di  specie,  non  all'applicazione  della   norma
impugnata, ma alla mera circostanza di fatto della mancata  deduzione
delle questioni di merito da parte dell'appellante, il quale ha  male
esercitato il suo diritto di appellare; 
    che la  Corte  di  cassazione  ha  precisato,  al  riguardo,  che
«costituisce principio giurisprudenziale univoco e consolidato  nella
giurisprudenza di questa Corte,  quello  anche  di  recente  ribadito
secondo  il  quale  e'  ammissibile  l'impugnazione  con   la   quale
l'appellante si limiti a dedurre unicamente i vizi  di  rito  avverso
una  pronuncia  a  lui  sfavorevole,  solo  se  i   vizi   denunciati
comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi
degli artt. 353 e  354  c.p.c  e  nel  caso  specifico  del  processo
tributario, ai sensi dell'art. 59, comma 1, del  d.lgs.  n.  546  del
1992; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio non rientra in  uno  dei
casi tassativamente previsti dalle citate  norme  e'  necessario  che
l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con  la
conseguenza che, in tali ipotesi, "l'appello  fondato  esclusivamente
su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l'ingiustizia della
sentenza di primo grado dovra' ritenersi inammissibile, oltre che per
difetto  d'interesse,  per  non   rispondenza   al   modello   legale
dell'impugnazione"» (sezioni unite, sentenza  14  dicembre  1998,  n.
12541); 
    che in conclusione  la  questione  sollevata  dal  rimettente  si
risolve nella denuncia di un inconveniente di mero fatto che, secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, non rileva  ai  fini  del
controllo di legittimita' costituzionale (sentenze n. 117  del  2012,
n. 303 del 2011 e n. 329 del 2009; ordinanze n.  270  e  n.  112  del
2013). 
    Visti gli articoli 26, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.