ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito dell'ordinanza del  Tribunale  ordinario  di  Milano,
sezione I penale, del 1° marzo 2010, relativa al procedimento  penale
n. 11776/06 R.G.T., con la quale e' stata respinta  la  richiesta  di
rinvio dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010 formulata  dalla
difesa del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  per  legittimo
impedimento, promosso dal Presidente del Consiglio dei  ministri  con
ricorso notificato il 16 dicembre 2011, depositato in cancelleria  il
27 dicembre 2011 ed iscritto al  n.  2  del  registro  conflitti  tra
poteri dello Stato 2011, fase di merito. 
    Udito nelle udienze pubbliche del 22 maggio 2012 e del 23  aprile
2013 il Giudice relatore Sabino Cassese; 
    uditi per il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  l'avvocato
dello Stato Michele Dipace, nell'udienza pubblica del 22 maggio 2012,
e l'avvocato dello Stato Maurizio Borgo, nell'udienza pubblica del 23
aprile 2013. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso depositato in data 22 aprile 2011, il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato,  ha  proposto  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato nei confronti del Tribunale ordinario  di  Milano,
sezione I penale, in relazione all'ordinanza con la quale il predetto
tribunale  ha  rigettato  la   richiesta   di   rinvio   dell'udienza
dibattimentale  del   1°   marzo   2010,   formulata   dalla   difesa
dell'imputato, allora Presidente del Consiglio dei ministri, on.le S.
B., per legittimo impedimento di quest'ultimo, in  quanto  impegnato,
nella medesima data, nella presidenza della  riunione  del  Consiglio
dei ministri. 
    Il ricorrente chiede, in particolare, che questa Corte  «dichiari
che non spetta al Tribunale di Milano stabilire che  non  costituisce
impedimento assoluto  alla  partecipazione  alle  udienze  penali,  e
percio' causa di giustificazione della sua assenza, il diritto-dovere
del Presidente del Consiglio dei ministri a presiedere  una  riunione
del Consiglio dei ministri, anche nell'ipotesi  in  cui  la  predetta
riunione, gia' fissata in una precedente data non coincidente con  un
giorno di udienza  dibattimentale,  venga  differita  ad  altra  data
coincidente con un giorno di udienza»,  e  «annulli  conseguentemente
l'ordinanza, pronunciata in data 1° marzo 2010,  con  riferimento  al
procedimento penale  n.  11776/06  R.G.T.,  con  la  quale  e'  stata
rigettata la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale  del  1°
marzo 2010, [...] nonche' l'attivita' istruttoria compiuta nel  corso
della prefata udienza». 
    2. - Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  espone  che  il
Tribunale ordinario di Milano ha rigettato  la  richiesta  di  rinvio
dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010 motivando come segue la
propria decisione: «Ritiene  il  Collegio  che  la  deduzione  di  un
impedimento per una udienza gia'  concordata  non  possa  prescindere
quantomeno dalla allegazione della specifica inderogabile  necessita'
della  sovrapposizione  dei  due  impegni  perche',  altrimenti,   la
funzione giudiziaria verrebbe ad essere svilita, con  la  conseguenza
che  il  contemperamento  tra  gli  opposti  interessi   di   rilievo
costituzionale allo svolgimento in tempi ragionevolmente  rapidi  del
processo e all'esercizio delle funzioni  parlamentari  o  governative
verrebbe ad essere risolto nel dare esclusiva rilevanza al secondo di
tali  interessi.  Nella  specie  nulla  e'  stato  dedotto  circa  la
necessita' di fissare in data 24.2.2010 una  riunione  del  Consiglio
dei Ministri per la data dell'1 marzo 2010 coincidente con  l'udienza
gia' concordata e pertanto non  puo'  essere  ritenuto  il  legittimo
impedimento». 
    Il ricorrente  osserva,  inoltre,  che  nel  processo  penale  in
questione - nel corso del  quale  si  sarebbero  «svolte  25  udienze
preliminari, 41 udienze dibattimentali» - prima della udienza cui  si
riferisce l'ordinanza contestata nel  presente  giudizio,  l'imputato
aveva chiesto il rinvio  dell'udienza  per  legittimo  impedimento  a
comparire soltanto in altre due occasioni, in una sola delle quali  -
ancora a detta del ricorrente -  invocando,  nella  sua  qualita'  di
Presidente del Consiglio dei ministri, il diritto-dovere di  svolgere
le funzioni costituzionali proprie di tale  carica.  Successivamente,
peraltro, una volta  intervenuta  la  legge  7  aprile  2010,  n.  51
(Disposizioni in materia di impedimento a comparire in  udienza),  la
difesa dell'imputato aveva dedotto, in base  a  tale  disciplina,  un
legittimo impedimento a comparire all'udienza  del  12  aprile  2010,
consistente nell'impegno dell'imputato stesso a svolgere  un  viaggio
di Stato nella propria  qualita'  di  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. Il Tribunale ordinario  di  Milano  aveva  quindi  promosso
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 3 e  4  della
legge n. 51 del 2010, che e' stata decisa  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 23 del 2011. Questa sentenza, ad avviso  del  ricorrente,
ha stabilito alcuni principi fondamentali  in  materia  di  legittimo
impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri;
principi che sono da ritenersi  -  sempre  secondo  il  ricorrente  -
applicabili al presente conflitto di attribuzione. 
    3. - Ad avviso del ricorrente, sussistono i requisiti  soggettivi
e i presupposti oggettivi ai fini dell'ammissibilita' del ricorso. 
    3.1. - Sotto il profilo soggettivo, sarebbe  «pacifica  [...]  la
spettanza della qualificazione di potere dello Stato sia in  capo  al
ricorrente che al resistente». 
    3.2. - Sotto il profilo oggettivo, il  Presidente  del  Consiglio
dei  ministri  rivendica  «l'integrita'  delle  proprie  attribuzioni
costituzionali  nell'esercizio  della   funzione   istituzionale   di
presidenza delle riunioni  del  Consiglio  dei  ministri»,  le  quali
sarebbero  state  lese  dall'ordinanza  del  Tribunale  ordinario  di
Milano, che ne avrebbe «disconosciuto la rilevanza,  quale  legittimo
impedimento», «arrivando a  richiedere  addirittura  la  prova  della
necessita'  di  fissare  la  data  del  Consiglio  dei  ministri   in
coincidenza con il giorno di udienza»,  in  tal  modo  tenendo  conto
«solo dell'esigenza di propria pertinenza [...] e non  dell'interesse
costituzionalmente tutelato della funzione governativa del Presidente
del Consiglio dei ministri, al quale e' esclusivamente attribuito  il
potere di fissare le riunioni del Consiglio». 
    4. - Nel  merito,  ad  avviso  del  ricorrente,  l'ordinanza  del
Tribunale ordinario di Milano avrebbe violato gli artt. 92 e 95 della
Costituzione, in relazione all'art. 5 della legge 23 agosto 1988,  n.
400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento   della
Presidenza del Consiglio dei Ministri), e agli artt. 1, 5, 6 e 7  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  10  novembre  1993
(Regolamento interno del  Consiglio  dei  Ministri),  in  quanto  dal
complesso di tali disposizioni emerge che «il Consiglio dei  ministri
e' il momento  delle  decisioni  fondamentali  per  la  politica  del
Governo», che «per il Presidente del Consiglio dei ministri,  che  lo
presiede,   e'   l'atto   piu'   elevato   della   propria   funzione
costituzionale di direzione della politica di governo  e  dell'unita'
di indirizzo politico-amministrativo»  e  che,  di  conseguenza,  «la
convocazione del Consiglio dei ministri e  l'eventuale  rinvio  della
data della riunione dello stesso Consiglio  sono  atti  politici  del
Presidente del Consiglio dei ministri». 
    Secondo il ricorrente, l'ordinanza del  Tribunale  avrebbe  anche
violato il principio di  leale  collaborazione  tra  i  poteri  dello
Stato, nel rispetto del quale, il giudice deve valutare l'impedimento
a comparire dei titolari di  funzioni  di  governo,  cosi'  come  dei
membri del  Parlamento.  Per  il  ricorrente,  il  Tribunale  avrebbe
disatteso  i  principi  affermati  dalla  richiamata   giurisprudenza
costituzionale, in quanto, pur  avendo  inizialmente  programmato  il
calendario delle udienze in  modo  da  evitare  coincidenze  con  gli
impegni istituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri  gia'
calendarizzati, avrebbe poi, a fronte  di  un  impegno  istituzionale
sopravvenuto, applicato le regole generali sull'onere della prova del
legittimo   impedimento,   «senza   tenere   in   debito   conto   il
diritto-dovere  dell'esercizio  della   funzione   di   governo   del
Presidente del Consiglio dei ministri». 
    Il Tribunale, ad avviso dello stesso ricorrente,  nel  richiedere
al Presidente del Consiglio dei ministri di allegare i  motivi  della
«specifica inderogabile  necessita'  della  sovrapposizione  dei  due
impegni», si sarebbe «arrogato un inammissibile potere  di  sindacato
delle ragioni  politiche  sottese  al  rinvio  di  una  riunione  del
Consiglio dei ministri, incorrendo in [nel] "cattivo  esercizio"  del
proprio  potere  giurisdizionale»:   la   valutazione   del   giudice
sull'assolutezza  dell'impedimento  dovrebbe  infatti,   secondo   il
ricorrente, limitarsi alla verifica della «impossibilita' dell'organo
governativo [...] ad  essere  presente  all'udienza  penale  data  la
improrogabilita' del fatto impeditivo  di  pertinenza  costituzionale
costituito dalla presidenza del Consiglio dei ministri»,  mentre  non
puo'  riguardare  «le  motivazioni  e   le   ragioni   (di   politica
governativa) sottese alla decisione di fissare, in una certa data, la
seduta  del  Consiglio  dei  ministri»,  ne'  puo'  pretendersi  «che
l'organo governativo fornisca la prova della necessita'  di  svolgere
la funzione governativa in un dato momento  e  in  una  certa  data»,
attenendo   tali   valutazioni   «alla   sfera   delle   attribuzioni
costituzionali del Presidente del Consiglio e del Governo». 
    Il ricorrente lamenta, poi, che il suddetto Tribunale non avrebbe
tenuto conto della peculiare natura della funzione  di  governo  che,
rispetto a quella parlamentare, si svolge secondo  cadenze  temporali
piu' difficilmente  preventivabili  ed  e'  maggiormente  soggetta  a
variazioni, come dimostrerebbe, nel caso di  specie,  lo  spostamento
della riunione del Consiglio dei ministri, «dipeso  dalla  necessita'
di procedere ad una compiuta stesura dell'importante disegno di legge
contenente le disposizioni anti-corruzione,  che  ha  comportato  una
complessa elaborazione e la cui adozione era stata  imposta  dai  ben
noti avvenimenti legati ad una  indagine  giudiziaria  avviata  nelle
ultime settimane del febbraio 2010». 
    A  fronte  delle  esigenze   sopraggiunte   che   imponevano   lo
spostamento della riunione del Consiglio dei ministri, il  ricorrente
ritiene  che  il  Tribunale,  disattendendo  il  principio  di  leale
collaborazione, abbia «privilegiato  esclusivamente  l'esercizio  del
potere giudiziario», senza tenere in debito conto  il  diritto-dovere
del Presidente del Consiglio dei  ministri  di  svolgere  le  proprie
funzioni  costituzionali.   Conseguentemente,   il   Presidente   del
Consiglio  dei  ministri  chiede  l'annullamento  dell'ordinanza  del
Tribunale, nonche' dell'attivita' istruttoria compiuta  in  occasione
dell'udienza del 1° marzo 2010. 
    5. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 297 del 9 novembre 2011.  Il  ricorso,  unitamente  alla  suddetta
ordinanza, e' stato notificato dal ricorrente il 16 dicembre 2011  al
Tribunale  ordinario  di  Milano,  sezione  I  penale,  ed  e'  stato
depositato presso la cancelleria di questa  Corte  il  successivo  27
dicembre 2011. 
    6. - In data 27 aprile  2012  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha  depositato  una  memoria  illustrativa  in  cui  vengono
ribadite le ragioni del ricorso. 
    Il   ricorrente,   innanzitutto,   osserva   che    l'abrogazione
referendaria della legge n. 51 del 2010, intervenuta  successivamente
al ricorso, non preclude ai componenti del Governo  «di  invocare  un
fatto  impeditivo  a  comparire  all'udienza  penale   derivante   da
concomitanti impegni istituzionali». Anche prima dell'approvazione di
tale legge, infatti, la sussistenza di un legittimo  impedimento  era
stata dedotta -  nei  processi  in  cui  e'  imputato  -  dall'allora
Presidente del Consiglio dei ministri e,  in  applicazione  dell'art.
420-ter del codice di procedura penale, i giudici, «anche in mancanza
di una specifica normativa al riguardo,  avevano  rinviato  l'udienza
riconoscendo pacificamente l'esistenza di un legittimo impedimento  a
comparire derivante dallo svolgimento delle attivita' istituzionali».
Per i  membri  del  Governo,  dunque,  trova  piena  applicazione  la
disciplina dell'art. 420-ter cod. proc. pen. che,  a  differenza  del
caso fortuito e della forza maggiore, ha «carattere ostativo sotto un
profilo non materiale,  bensi'  giuridico  che,  per  i  soggetti  in
questione, si identifica con gli impegni di natura istituzionale». 
    Nella specie, riconosciuto che la partecipazione al Consiglio dei
ministri e la presidenza del Consiglio stesso rientrano tra  i  fatti
legittimamente    impeditivi,    «la    valutazione    del    giudice
sull'assolutezza dell'impedimento, una volta accertato che  il  fatto
ostativo  della  presenza  in  aula   rientrava   nello   svolgimento
dell'attivita' di Governo, avrebbe dovuto  riguardare  esclusivamente
l'impossibilita' dell'organo governativo (Presidente  del  Consiglio)
ad essere presente all'udienza penale, data la improrogabilita' della
funzione governativa  di  pertinenza  costituzionale  costituita  dal
presiedere il Consiglio dei ministri». La  valutazione  del  giudice,
secondo  il  ricorrente,  «non  puo'  riguardare  le  ragioni  e   le
motivazioni (di  politica  governativa)  sottese  alla  decisione  di
fissare, in una certa data, la riunione del Consiglio dei ministri, e
meno che mai, si puo' pretendere che  il  Presidente  del  Consiglio,
come richiesto nell'ordinanza del Tribunale penale, fornisca la prova
della  necessita'  di  svolgere  la   funzione   governativa,   fatto
impeditivo, in un dato momento o in una certa data». 
    Di  conseguenza,  in  applicazione   del   principio   di   leale
collaborazione, il  Tribunale  ordinario  di  Milano  avrebbe  dovuto
considerare   che,   «date   le   acquisizioni   documentali   e   le
argomentazioni della difesa sulle motivazioni del  fatto  impeditivo,
la partecipazione e la direzione della  riunione  del  Consiglio  dei
ministri   dovesse   avere   la   prevalenza,   in   quell'occasione,
sull'esigenza  alla   speditezza   del   processo,   in   quanto   la
partecipazione dell'imputato-Presidente del Consiglio dei ministri al
processo  avrebbe  impedito  l'esercizio   di   preminenti   funzioni
governative». 
    7. - In data 18 maggio 2012, il ricorrente ha  depositato,  fuori
termine, l'attestazione del Segretario generale della Presidenza  del
Consiglio dei ministri relativa alla convocazione della riunione  del
Consiglio del 1° marzo 2010,  una  copia  di  tale  convocazione  con
allegato l'ordine del giorno e la richiesta di rinvio  per  legittimo
impedimento  firmata  dai  difensori   dell'allora   Presidente   del
Consiglio dei ministri, on.le S. B. 
    8. - Con l'ordinanza istruttoria n.  91  del  6-14  giugno  2012,
questa Corte, «in considerazione del  nesso  tra  la  disciplina  del
legittimo  impedimento  per  concomitante   esercizio   di   funzioni
parlamentari e/o governative e il rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione tra poteri», ha disposto l'acquisizione della seguente
documentazione: a) l'istanza di rinvio dell'udienza del 1° marzo 2010
presentata dalla difesa dell'on.le S. B. e tutta la documentazione ad
essa allegata; b) la lettera del 20 gennaio 2010 prodotta all'udienza
del 25 gennaio 2010, citata nell'ordinanza del 1° marzo  2010;  c)  i
verbali  di  udienza  dall'inizio  della  fase  dibattimentale   sino
all'udienza del 1° marzo 2010. 
    Tale  documentazione  e'  stata  trasmessa  a  questa  Corte  dal
Tribunale ordinario di Milano in data 18 luglio 2012. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto conflitto di
attribuzione tra poteri  dello  Stato  nei  confronti  del  Tribunale
ordinario di Milano, sezione I penale, in relazione all'ordinanza con
la quale il predetto Tribunale ha rigettato la  richiesta  di  rinvio
dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa
dell'imputato, allora Presidente del Consiglio dei ministri, on.le S.
B., per legittimo impedimento di quest'ultimo, in  quanto  impegnato,
nella medesima data, nella presidenza della  riunione  del  Consiglio
dei ministri. 
    1.1. - Il ricorrente chiede alla  Corte  di  dichiarare  che  non
spettava «al  Tribunale  di  Milano  stabilire  che  non  costituisce
impedimento assoluto  alla  partecipazione  alle  udienze  penali,  e
percio' causa di giustificazione della sua assenza, il diritto-dovere
del Presidente del Consiglio dei ministri a presiedere  una  riunione
del Consiglio dei ministri, anche nell'ipotesi  in  cui  la  predetta
riunione, gia' fissata in una precedente data non coincidente con  un
giorno di udienza  dibattimentale,  venga  differita  ad  altra  data
coincidente con un giorno di udienza». 
    Il medesimo ricorrente  chiede,  conseguentemente,  di  annullare
«l'ordinanza, pronunciata in data 1° marzo 2010, con  riferimento  al
procedimento penale  n.  11776/06  R.G.T.,  con  la  quale  e'  stata
rigettata la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale  del  1°
marzo 2010, [...] nonche' l'attivita' istruttoria compiuta nel  corso
della prefata udienza». 
    1.2. - La richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri non
e' diretta a mettere in  discussione  la  spettanza  del  potere,  in
quanto tale, di  accertare  il  legittimo  impedimento  dell'imputato
titolare di funzioni governative, atteso che detto  potere  non  puo'
che competere al giudice. Tale spettanza e' stata ribadita da  questa
Corte con la sentenza n.  23  del  2011  -  successiva  alle  vicende
oggetto del presente conflitto e piu' volte richiamata  nello  stesso
ricorso - nella quale  essa  ha  affermato  che  il  giudice,  quando
«valuta in concreto, in base  alle  ordinarie  regole  del  processo,
l'impedimento consistente nell'esercizio di funzioni governative,  si
mantiene  entro  i  confini  della  funzione  giurisdizionale  e  non
esercita un sindacato di merito sull'attivita' del potere  esecutivo,
ne', piu' in generale, invade la sfera di competenza di altro  potere
dello Stato». Il principio della separazione dei poteri, cioe',  «non
e' violato dalla previsione del potere del  giudice  di  valutare  in
concreto l'impedimento, ma, eventualmente, soltanto dal  suo  cattivo
esercizio» (sentenza n. 23 del 2011). 
    Il conflitto e' sollevato, dunque, perche' si lamenta un «cattivo
esercizio» del potere da parte dell'autorita'  giudiziaria  che,  nel
rigettare la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale  del  1°
marzo 2010, ha cosi' motivato: «la deduzione di  un  impedimento  per
una udienza gia' concordata non p[uo'] prescindere  quantomeno  dalla
allegazione   della   specifica   inderogabile    necessita'    della
sovrapposizione dei due  impegni  perche',  altrimenti,  la  funzione
giudiziaria verrebbe ad essere svilita, con  la  conseguenza  che  il
contemperamento tra gli opposti interessi di  rilievo  costituzionale
allo svolgimento in  tempi  ragionevolmente  rapidi  del  processo  e
all'esercizio delle funzioni parlamentari o governative  verrebbe  ad
essere risolto nel  dare  esclusiva  rilevanza  al  secondo  di  tali
interessi. Nella specie nulla e' stato dedotto circa la necessita' di
fissare in data 24.2.2010 una riunione del Consiglio dei Ministri per
la data dell'1 marzo 2010 coincidente con l'udienza gia' concordata e
pertanto non puo' essere ritenuto il legittimo impedimento». 
    Il punto su cui la Corte e'  chiamata  ad  esprimersi  e'  se  il
Tribunale ordinario di Milano, sezione I penale,  nell'esercizio  del
proprio  potere  di  valutare  in  concreto   l'impedimento   dedotto
dall'imputato  titolare  di  cariche  governative,  abbia   leso   le
prerogative costituzionali del Presidente del Consiglio dei  ministri
per aver applicato la regola sull'onere di "allegazione" relativa  al
legittimo   impedimento,   «senza   tenere   in   debito   conto   il
diritto-dovere» dell'imputato di esercitare la funzione  di  governo,
cosi' violando il principio di  leale  collaborazione  tra  i  poteri
dello Stato. Infatti, l'autorita' giudiziaria ha posto  a  fondamento
della  propria  decisione  di  rigetto  della  richiesta  di   rinvio
dell'udienza l'asserita  mancanza  di  «allegazione  della  specifica
inderogabile    necessita'»    della    concomitanza     dell'impegno
istituzionale sopravvenuto con il giorno di  udienza  precedentemente
concordato. La Corte deve percio' stabilire se la richiesta di rinvio
sia effettivamente priva di tali  "allegazioni",  come  asserito  dal
Tribunale, ed eventualmente se questa mancanza, impedendo al  giudice
di esercitare il  suo  potere  di  apprezzamento  in  concreto  circa
l'assolutezza  dell'impedimento  dedotto,   possa   giustificare   la
decisione di rigetto impugnata, nel quadro del  richiamato  principio
di leale collaborazione. 
    2. - Va affermata definitivamente l'ammissibilita' del conflitto,
gia' ritenuta, in via di prima, sommaria delibazione, con l'ordinanza
n. 297 del 2011, perche'  ne  sussistono  i  requisiti  soggettivi  e
oggettivi. 
    Quanto ai  primi,  non  vi  sono  dubbi  sulla  legittimazione  a
sollevare  conflitto  da  parte  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri (ex multis, ordinanza n. 230 del  2008),  in  quanto  organo
competente a dichiarare definitivamente la volonta'  del  potere  cui
appartiene, ne',  per  la  stessa  ragione,  sulla  legittimazione  a
resistere da parte del Tribunale che ha emesso l'atto da cui e' sorto
il conflitto (ordinanza n. 297 del 2011). 
    Circa i requisiti oggettivi, il ricorso «e' volto a tutelare  una
sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente  garantite,   che   nella
prospettazione del ricorrente sono desumibili dagli  artt.  92  e  95
della Costituzione [...]  e  sarebbero  state  lese  in  ragione  del
mancato riconoscimento giudiziale del relativo esercizio quale  causa
di legittimo impedimento a comparire nelle udienze penali» (ordinanza
n. 297 del 2011). 
    L'attualita' del conflitto e l'interesse a ricorrere da parte del
Presidente del Consiglio permangono anche se il sen.  S.  B.  non  e'
piu' Presidente del  Consiglio  dei  ministri.  Infatti,  l'ordinanza
impugnata e' stata ritenuta lesiva delle  prerogative  costituzionali
proprie dell'organo esecutivo e  riguarda  le  attribuzioni  di  tale
organo  e  non  dell'imputato,  ancorche'   titolare   della   carica
governativa all'epoca dei fatti da cui ha tratto origine il  presente
conflitto (sentenza n. 263 del 2003). 
    Quanto, infine, al  petitum,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri chiede l'annullamento sia dell'ordinanza  da  cui  ha  avuto
origine il conflitto, sia della attivita'  istruttoria  compiuta  nel
corso di tale udienza. Questa  seconda  richiesta  e'  inammissibile,
perche' la Corte, ove  accogliesse  il  ricorso,  potrebbe  annullare
l'ordinanza, ma  dovrebbe  lasciare  all'autorita'  giudiziaria  ogni
valutazione  circa  l'effetto  di  tale  annullamento  sull'attivita'
istruttoria compiuta in quella sede. Gli effetti  caducatori  di  una
eventuale  «dichiarazione  di  non   spettanza»,   infatti,   «devono
limitarsi ai provvedimenti, o alle parti di  essi,  che  siano  stati
riconosciuti   lesivi   degli   interessi   oggetto   del    giudizio
costituzionale per conflitto di attribuzione» (sentenza  n.  451  del
2005). 
    3. - Al fine di accertare se vi sia  stato,  con  riferimento  al
principio  di  leale  collaborazione  e  all'asserita  lesione  delle
attribuzioni dell'organo  di  governo,  un  «cattivo  esercizio»  del
potere giurisdizionale da parte del Tribunale  ordinario  di  Milano,
questa Corte ha acquisito, con l'ordinanza istruttoria n. 91 del 6-14
giugno  2012,  la  richiesta  di  rinvio  per  legittimo  impedimento
presentata dall'imputato e gli  atti  ad  essa  allegati,  nonche'  i
verbali  di  udienza  dall'inizio  della  fase  dibattimentale   sino
all'udienza del 1° marzo 2010. 
    3.1. - L'esame di tali documenti evidenzia che, dall'inizio della
fase dibattimentale (il 13 febbraio 2007) al 1° marzo  2010  vi  sono
state 37 udienze (piu' 2 riguardanti altro  processo,  poi  riunito),
che possono essere suddivise in due periodi: il primo periodo, in cui
l'imputato  non  era  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   va
dall'inizio della fase dibattimentale sino al 5 maggio 2008,  per  un
totale di 24 udienze; il  secondo  periodo,  in  cui  l'imputato  era
Presidente del Consiglio dei ministri, va dal 12 maggio 2008 sino  al
1° marzo 2010, per un totale di 13 udienze, piu' 2 relative ad  altro
procedimento penale, poi  riunito.  In  questo  secondo  periodo,  il
Tribunale ha sospeso il processo dal 26 settembre 2008 al 16 novembre
2009, a seguito dell'entrata in vigore della legge 23 luglio 2008, n.
124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo  penale  nei
confronti delle alte cariche dello  Stato)  e  per  la  questione  di
costituzionalita' promossa, in relazione a tale legge,  dalla  stessa
sezione I del Tribunale ordinario di  Milano  (sentenza  n.  262  del
2009). 
    Ai fini del  presente  conflitto,  rilevano  le  udienze  in  cui
l'imputato era Presidente del Consiglio. 
    3.2. -  I  verbali  confermano  quanto  riportato  dal  Tribunale
nell'ordinanza impugnata: il 1° marzo 2010 era stato  preventivamente
indicato,  nell'udienza  del  25  gennaio  2010,  come  «unica   data
disponibile» per  la  partecipazione  dell'imputato;  nella  medesima
udienza del 25 gennaio,  a  fronte  della  richiesta  di  rinvio  per
legittimo  impedimento  presentata  per  il  1°  febbraio  2010,   il
Tribunale aveva "soppresso" tre udienze gia'  calendarizzate  per  il
mese  di  febbraio;  l'imputato   non   ha   fornito   al   Tribunale
"allegazioni"  circa  la  necessita'  di  fissare  la  riunione   del
Consiglio dei ministri, gia' convocata per il 26  febbraio  2010,  in
una data coincidente con  l'unico  giorno  d'udienza  precedentemente
comunicato come utile per la sua partecipazione, ossia  il  1°  marzo
2010. 
    In   particolare,   la   richiesta   presentata   dalla    difesa
dell'imputato - datata 26 febbraio 2010, ossia  due  giorni  dopo  la
nuova convocazione della  riunione,  avvenuta  il  24  febbraio  2010
tramite «telescritto urgentissimo» del  Presidente  del  Consiglio  -
indica che «il Consiglio dei ministri gia' convocato per il giorno 26
febbraio 2010 e' stato rinviato al giorno 1 marzo 2010 ad  ore  11.30
[...] All'udienza del giorno 1° marzo 2010  sono  previste  audizioni
testimoniali alle quali vuole,  come  gia'  prospettato  piu'  volte,
essere presente  l'on.  [S.  B.],  il  quale,  ovviamente,  non  puo'
esimersi dal partecipare al  Consiglio  dei  ministri».  Inoltre,  la
comunicazione del Segretario generale della Presidenza del  Consiglio
dei ministri,  allegata  all'istanza,  si  limita  a  confermare,  su
richiesta dei difensori,  che  il  Presidente  del  Consiglio  «nella
giornata di lunedi' 1 marzo prossimo [...]  sara'  impegnato  in  una
riunione del Consiglio dei ministri, gia' debitamente convocata». 
    3.3. -  Nella  stessa  udienza  del  1°  marzo  2010,  la  difesa
dell'imputato, nel chiedere la revoca  immediata  -  poi  respinta  -
dell'ordinanza con cui il Tribunale aveva rigettato la  richiesta  di
rinvio per legittimo impedimento, ha anche prospettato l'«ipotesi  di
eventuali conflitti che dovessero insorgere tra poteri».  Inoltre,  a
sostegno della richiesta di revoca, la difesa ha sottolineato che «al
primo punto» dell'ordine del giorno della riunione del Consiglio  dei
ministri del 1° marzo 2010 vi era «un disegno  di  legge  di  cui  da
molti  giorni  [si]  sta  parlando,  cioe'   "Disposizioni   per   la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella pubblica amministrazione", che e' da una decina  di  giorni  in
discussione  in  sede  politica  e  in  sede  parlamentare».   Eguale
affermazione  e'  stata   fatta,   nel   presente   giudizio,   anche
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Il  suddetto  disegno  di  legge,  approvato  dal  Consiglio  dei
ministri il 1° marzo 2010, e' stato presentato  in  Senato  due  mesi
dopo, in data 4 maggio 2010, per  poi  essere  assorbito  insieme  ad
altri  progetti  di  legge  di  iniziativa  parlamentare;  il  testo,
ampiamente modificato, e' divenuto la legge 6 novembre 2012,  n.  190
(Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione  e
dell'illegalita' nella pubblica amministrazione). 
    4. - Nel merito, il ricorso non e' fondato. 
    4.1. - Con riguardo al  legittimo  impedimento  per  concomitante
esercizio di funzioni parlamentari e/o governative, la giurisprudenza
costituzionale, in linea con quella di legittimita',  ha  piu'  volte
affermato che non  vi  possono  essere  «regole  derogatorie,  ma  il
diritto  comune  deve  applicarsi  secondo  il  principio  di   leale
collaborazione fra i poteri dello Stato» (sentenze n. 23 del 2011, n.
262 del 2009, n. 451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003 e  n.
225 del 2001). 
    Di conseguenza, spetta al giudice valutare, caso per caso, se  lo
specifico impegno addotto dall'imputato Presidente del Consiglio  dei
ministri, pur quando riconducibile «ad attribuzioni coessenziali alle
funzioni di governo [...], dia in concreto  luogo  ad  impossibilita'
assoluta  (anche  alla  luce   del   necessario   bilanciamento   con
l'interesse costituzionalmente rilevante a celebrare il processo)  di
comparire in  giudizio,  in  quanto  oggettivamente  indifferibile  e
necessariamente concomitante con  l'udienza  di  cui  e'  chiesto  il
rinvio» (sentenza n. 23 del 2011). 
    Inoltre,  il  principio  della  leale  collaborazione,  cui  deve
«rispondere» il  potere  del  giudice  di  valutare  in  concreto  il
carattere assoluto dell'impedimento  per  concomitante  esercizio  di
funzioni governative, ha natura «bidirezionale»  e  deve  «esplicarsi
mediante soluzioni  procedimentali,  ispirate  al  coordinamento  dei
rispettivi calendari»: da  un  lato,  il  giudice  deve  definire  il
calendario delle udienze «tenendo conto degli impegni del  Presidente
del Consiglio dei ministri riconducibili ad attribuzioni coessenziali
alla funzione di governo e in concreto assolutamente  indifferibili»;
dall'altro lato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  deve
programmare i propri  impegni  «tenendo  conto,  nel  rispetto  della
funzione giurisdizionale, dell'interesse alla speditezza del processo
che lo riguarda e riservando  a  tale  scopo  spazio  adeguato  nella
propria agenda» (sentenza n. 23 del 2011). 
    4.2. - L'applicazione al presente conflitto della disciplina  del
legittimo  impedimento  per  concomitante   esercizio   di   funzioni
governative richiede di considerare tre aspetti: il tipo  di  impegno
di governo dedotto  dall'imputato  quale  legittimo  impedimento;  le
indicazioni fornite dall'imputato circa  la  necessaria  concomitanza
dell'impegno  con  un  giorno  di  udienza  da  lui   precedentemente
comunicato come utile per la sua partecipazione; la  possibilita'  di
valutare in concreto il carattere assoluto di tale impedimento. 
    Nel valutare questi tre aspetti, la Corte non deve  decidere  se,
nel caso  di  specie,  l'impegno  dedotto  determinasse  in  concreto
impossibilita' assoluta  a  comparire  in  udienza,  perche'  non  e'
compito proprio,  «ma  dei  competenti  organi  della  giurisdizione,
stabilire i  corretti  criteri  interpretativi  e  applicativi  delle
regole processuali»  (sentenza  n.  225  del  2001).  Occorre  invece
verificare, alla luce del principio di  leale  collaborazione  tra  i
poteri  dello  Stato,  se  l'autorita'  giudiziaria  abbia  leso   le
prerogative costituzionali  dell'organo  esecutivo  con  un  «cattivo
esercizio» del proprio potere di valutare in  concreto  il  carattere
dell'impedimento. 
    4.2.1. - Quanto al primo di tali tre aspetti, ossia  il  tipo  di
impegno dedotto dall'imputato, la partecipazione a una  riunione  del
Consiglio dei ministri puo' indubbiamente costituire una  ipotesi  di
legittimo impedimento. Essa rientra tra gli  impegni  di  governo  ai
quali   deve   essere   riconosciuta   l'attitudine   a   determinare
un'impossibilita' a comparire, in quanto compresa  tra  le  attivita'
istituzionali  «riconducibili  [...]  alla  sfera   di   attribuzioni
previste  dagli  articoli  da  92  a   96   della   Costituzione»   e
«coessenzial[i] alla funzione tipica  del  Governo»  (sentenza  della
Corte  di  cassazione  penale,  n.  10773  del  2004).  Questa  Corte
(sentenza n. 23 del 2011) ha ritenuto legittimo l'art.  1,  comma  1,
della legge  7  aprile  2010,  n.  51  (Disposizioni  in  materia  di
impedimento a comparire in udienza) - abrogata poi  a  seguito  della
consultazione referendaria del 12 giugno 2011 -  il  quale  stabiliva
che  una  serie  di   attivita'   istituzionali,   ivi   inclusa   la
partecipazione al Consiglio dei  ministri,  costituisse  in  astratto
legittimo impedimento a  comparire  in  udienza,  fermo  restando  il
potere del giudice di valutarne in concreto il carattere assoluto. 
    Il Consiglio, pero', e' convocato dallo stesso  Presidente;  cio'
segna una netta differenza rispetto ai casi in cui la possibilita' di
rinviare l'impegno dedotto  sfugga  interamente  alla  programmazione
dell'imputato  (come  avviene,  per  i  componenti  delle   assemblee
elettive, nel caso  di  impedimento  per  concomitante  esercizio  di
funzioni parlamentari: sentenze n. 23 del 2011, n. 451 del  2005,  n.
284 del 2004, n. 263 del 2003 e n. 225 del 2001). Inoltre, l'articolo
1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  10
novembre  1993  (Regolamento  interno  del  Consiglio  dei  ministri)
prevede espressamente l'ipotesi di assenza o  impedimento  temporaneo
del Presidente del Consiglio dei ministri,  attribuendo  le  relative
funzioni, ai sensi dell'art. 8 della legge 23  agosto  1988,  n.  400
(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri), al  «vicepresidente  del  Consiglio»  o,
«qualora vi siano piu'  vicepresidenti,  [al]  piu'  anziano  secondo
l'eta'; in mancanza, [al] Ministro  piu'  anziano»:  un'ipotesi  che,
nella XVI legislatura, si e' verificata in oltre il dieci  per  cento
delle riunioni. 
    Se, dunque, la partecipazione a una riunione  del  Consiglio  dei
ministri  puo'  in  astratto  costituire  un  impedimento  ai   sensi
dell'art. 420-ter  del  codice  di  procedura  penale,  lo  specifico
impegno dedotto dall'imputato, in quanto  Presidente  del  Consiglio,
per l'udienza del 1° marzo  2010  va  considerato  nell'ambito  delle
vicende in cui si inserisce il presente conflitto,  che  deve  essere
giudicato con riferimento al principio della leale collaborazione  e,
quindi, ai comportamenti tenuti dalle parti. 
    4.2.2. - La stessa ordinanza impugnata non nega che  il  tipo  di
impegno  dedotto  possa   costituire   in   astratto   un   legittimo
impedimento; nega tuttavia che esso lo sia in concreto, soffermandosi
in particolare sul secondo dei tre aspetti sopra indicati,  ossia  la
mancata  allegazione  da   parte   dell'imputato   «della   specifica
inderogabile  necessita'  della  sovrapposizione  dei  due  impegni»:
cioe', da un lato, l'udienza dibattimentale da tenersi  il  1°  marzo
2010, giorno precedentemente concordato tra le parti  il  25  gennaio
2010,  sulla  base   della   comunicazione   fornita   dall'imputato;
dall'altro  lato,  la  riunione  del  Consiglio  dei  ministri   gia'
convocata per il 26 febbraio 2010 e  fissata,  in  data  24  febbraio
2010, per lo stesso 1° marzo. 
    L'esame dei documenti acquisiti da questa Corte  con  l'ordinanza
istruttoria (sopra menzionati al punto 3) conferma  che,  all'udienza
del 1° marzo  2010,  la  difesa  dell'imputato  non  ha  dato  alcuna
indicazione circa la  non  rinviabilita'  dell'impegno  dedotto,  ne'
circa la sua necessaria concomitanza con l'udienza di cui chiedeva il
rinvio. 
    In due precedenti circostanze, d'altra parte, lo stesso  imputato
aveva specificato che gli impegni in quelle occasioni  dedotti  quali
impedimenti non erano rinviabili, oppure che la  loro  programmazione
non era nella sua piena disponibilita'. 
    Nella prima circostanza, all'udienza del  16  novembre  2009,  il
Tribunale  aveva  accolto  la  richiesta  di  rinvio  per   legittimo
impedimento cosi' formulata: il Presidente del Consiglio dei ministri
«e' impegnato, come risulta dall'allegata certificazione,  presso  la
FAO in  Roma  in  occasione  del  vertice  mondiale  sulla  sicurezza
alimentare, per l'intera  giornata,  e  [...]  tale  impegno  non  e'
rinviabile e non consente in alcun  modo  la  presenza  in  udienza».
Inoltre, in quella occasione, il Segretario generale della Presidenza
del Consiglio dei ministri aveva indicato  altre  date  utili,  cosi'
consentendo il rinvio all'udienza del 18 gennaio 2010. Il  Segretario
generale, infatti, aveva comunicato al giudice che «il Presidente del
Consiglio per il mese di novembre e il mese di dicembre ha nella  sua
agenda  impegni  istituzionali,  la  maggior  parte  dei  quali  gia'
prefissati da molto tempo, che  non  consentono  di  individuare  una
giornata libera per intervenire alle udienze  dei  processi  pendenti
avanti al Tribunale di Milano», precisando «di aver  individuato  due
date utili nelle quali  il  Presidente  del  Consiglio  [...]  potra'
essere presente nel mese di gennaio 2010: in particolare  nei  giorni
18 e 25». 
    Nella seconda circostanza, all'udienza del 25 gennaio 2010  -  in
riferimento alla quale l'imputato,  con  lettera  datata  21  gennaio
2010,  pur  dichiarando  di  essere   «legittimamente   impedito»   a
comparire, aveva consentito che si procedesse in sua assenza, essendo
la  medesima   udienza   «dedicata»   esclusivamente   «a   questioni
processuali» -, il giudice  aveva  accolto  una  nuova  richiesta  di
rinvio dell'udienza del 1° febbraio 2010 per  legittimo  impedimento,
nonostante tale richiesta non  fosse  stata  esplicitamente  motivata
circa la non rinviabilita' dell'impegno  dedotto  («visita  ufficiale
presso lo Stato di Israele»). Anche in tale occasione, il  Segretario
generale della Presidenza del Consiglio dei ministri  aveva  indicato
una data alternativa: con la lettera  del  25  gennaio  2010,  citata
dall'ordinanza impugnata, segnalava che «il Presidente del  Consiglio
aveva individuato gia' una data utile per  le  partecipazione  ad  un
[altro] processo» e comunicava che «l'unica data disponibile,  tenuto
conto  dei  numerosissimi  impegni  istituzionali  gia'  previsti   o
sopravvenuti e non rinviabili, e' da individuarsi nel giorno 1° marzo
2010». Come avvenuto all'udienza del 16 novembre 2009,  il  Tribunale
aveva rinviato alla prima data utile indicata dal Segretario generale
della Presidenza del Consiglio dei ministri, vale a dire al 1°  marzo
2010,  procedendo  contestualmente  a  cancellare  tre  udienze  gia'
calendarizzate per i giorni 1°, 8 e 22 febbraio 2010. 
    In un periodo  di  complessivi  tre  mesi  e  mezzo,  quindi,  il
Tribunale ha  riconosciuto  il  carattere  assoluto  dell'impedimento
dedotto dall'imputato per due volte: la prima, per l'udienza  del  16
novembre 2009; la seconda, per l'udienza del  1°  febbraio  2010.  In
entrambi i casi, il giudice, applicando la disciplina di cui all'art.
420-ter  cod.  proc.  pen.  nel  rispetto  del  principio  di   leale
collaborazione,  ha  accolto  le  richieste  formulate  dall'imputato
titolare di carica  governativa  e  ridefinito  il  calendario  delle
udienze, rinviando  il  processo  alle  date  indicate  dall'imputato
medesimo (rispettivamente il 18 gennaio e il 1° marzo 2010). 
    Di  fronte  alla  terza  richiesta   di   rinvio   -   presentata
dall'imputato in prossimita' dell'udienza del 1°  marzo  2010  e,  in
questo caso, senza "allegazioni" circa  la  non  rinviabilita'  e  la
necessaria concomitanza dell'impegno e senza aver  fornito  una  data
alternativa - il Tribunale non ha riconosciuto il carattere  assoluto
dell'impedimento  dedotto  che,   a   differenza   delle   precedenti
occasioni, risultava determinato da un atto dello stesso imputato. 
    Nel periodo in cui l'imputato era Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, dunque, l'autorita' giudiziaria ha  tenuto  conto  del  suo
dovere «di assolvere le funzioni pubbliche  assegnategli»,  riducendo
al  minimo   possibile   «l'incidenza   indiretta»   della   funzione
giurisdizionale   «sull'attivita'   del   titolare    della    carica
governativa» (sentenza n. 23 del 2011). 
    Analoga osservanza del principio di leale collaborazione  non  e'
stata mostrata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riguardo
all'udienza del 1° marzo 2010.  In  questa  circostanza,  l'imputato,
dopo aver egli stesso comunicato al Tribunale tale data,  ha  dedotto
l'impedimento e, diversamente da quanto aveva fatto nelle  precedenti
occasioni, non  si  e'  attivato  per  la  definizione  di  un  nuovo
calendario;  ne'  egli  ha  fornito  alcuna  indicazione   circa   la
necessita' di presiedere la riunione del Consiglio dei ministri senza
ricorrere alla supplenza  del  vicepresidente  del  Consiglio  o  del
ministro piu' anziano. 
    4.2.3. - La mancanza di  "allegazioni"  circa  la  necessita'  di
sovrapposizione tra l'impegno dedotto  e  il  giorno  di  udienza,  a
differenza  di  quanto  verificatosi  in  precedenti  occasioni,   ha
determinato l'impossibilita' per il giudice di valutare il  carattere
assoluto dell'impedimento «in quanto oggettivamente  indifferibile  e
necessariamente concomitante con  l'udienza  di  cui  e'  chiesto  il
rinvio» (sentenza n. 23 del 2011). Il Tribunale, nel  rispetto  delle
attribuzioni dell'organo esecutivo, non ha sindacato le ragioni della
riunione del Consiglio dei ministri, ma si e'  limitato  a  osservare
che l'imputato avrebbe dovuto fornire «quantomeno» una «allegazione»,
la quale  costituisce  presupposto  per  l'applicazione  delle  norme
processuali. 
    Pur costituendo la riunione del Consiglio dei ministri una  delle
piu'   rilevanti   modalita'   di   esercizio   delle    attribuzioni
costituzionalmente riconosciute all'organo  esecutivo,  non  puo'  da
cio'  automaticamente  desumersi  la  necessaria  concomitanza  della
riunione stessa con un giorno di udienza precedentemente  concordato.
Bisognava permettere all'autorita'  giudiziaria  sia  di  operare  un
bilanciamento tra i diversi  interessi  costituzionalmente  rilevanti
(tra cui quello della sollecita celebrazione del processo),  fornendo
allegazioni circa  la  «sovrapposizione»  dei  due  impegni,  sia  di
valutare il carattere assoluto dell'impedimento  rappresentato  dalla
partecipazione  dell'imputato  alla  riunione   del   Consiglio   dei
ministri. 
    5. - In conclusione, fermo restando che il giudice, nel  rispetto
del principio della separazione dei  poteri,  non  puo'  invadere  la
sfera  di  competenza  riservata   al   Governo,   la   mancanza   di
"allegazioni",  da  parte  dell'imputato,  circa  la  necessita'   di
partecipare a una riunione del Consiglio  dei  ministri  concomitante
con un giorno di udienza precedentemente concordato non ha consentito
al Tribunale di considerare  assoluta  l'impossibilita'  a  comparire
determinata dall'impegno dedotto quale impedimento. 
    Ne discende che il  ricorso  va  rigettato,  perche'  l'autorita'
giudiziaria ha esercitato il potere ad essa spettante ai sensi  della
disciplina del legittimo impedimento nel rispetto  del  principio  di
leale  collaborazione,  senza   ledere   prerogative   costituzionali
dell'organo  di  governo,  che  restano  tutelate   in   ordine   sia
all'attivita', sia all'organizzazione.