ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 2,  3,
5, 6, comma 1, 7, 8, comma 2, e 9 della legge della Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia  30  novembre  2011,  n.  16  (Disposizioni  di
modifica  della  normativa  regionale  in  materia  di  accesso  alle
prestazioni sociali e di  personale),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso, notificato il 7-10 febbraio 2012,
depositato in cancelleria il 14 febbraio 2012 ed iscritto  al  n.  25
del registro ricorsi 2012. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  6  novembre  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo, sostituito per la redazione  della  sentenza
dal Giudice Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso spedito a mezzo posta per la notificazione  il
7 febbraio 2012 e depositato il successivo 14 febbraio, il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli articoli  3  e
117, secondo comma, lettera  m),  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli articoli 2, 3, 5, 6, comma l, 7, 8,
comma 2, e 9 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
30 novembre 2011, n. 16 (Disposizioni  di  modifica  della  normativa
regionale in  materia  di  accesso  alle  prestazioni  sociali  e  di
personale), pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione  n.  49
del 7 dicembre 2011. 
    1.1.- Il ricorrente, in premessa,  richiama  il  contenuto  delle
disposizioni impugnate. 
    In particolare, l'art. 2, che sostituisce il comma 6 dell'art.  9
della legge regionale 14 agosto 2008, n. 9 (Assestamento del bilancio
2008 e del bilancio p1uriennale  per  gli  anni  2008-2010  ai  sensi
dell'articolo 34 della legge regionale 8 agosto 2007, n. 21), prevede
contributi  economici  straordinari   in   relazione   a   temporanee
situazioni di emergenza individuali o familiari, a condizione  che  i
beneficiari risiedano in territorio regionale da almeno  ventiquattro
mesi, in favore di: a) cittadini  italiani;  b)  cittadini  di  Stati
appartenenti all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia e
loro familiari, ai sensi del decreto legislativo 6 febbraio 2007,  n.
30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE  relativa  al  diritto  dei
cittadini  dell'Unione  e  dei  loro  familiari  di  circolare  e  di
soggiornare  liberamente  nel  territorio  degli  Stati  membri);  c)
titolari di permesso  di  soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, ai sensi del  decreto  legislativo  8  gennaio  2007,  n.  3
(Attuazione della  direttiva  2003/109/CE  relativa  allo  status  di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo); d)  titolari
dello status di rifugiato e dello status di  protezione  sussidiaria,
ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione
della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione,  a
cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del  rifugiato  o
di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche'
norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta). 
    L'art. 3, che sostituisce il comma l dell'art. 8-bis della  legge
regionale 7 luglio 2006, n. 11 (Interventi regionali a sostegno della
famiglia e della genitorialita'), dispone l'attribuzione  di  assegni
una tantum, a sostegno della natalita' e delle adozioni di minori,  a
favore dei nuclei familiari in cui almeno uno  dei  genitori  risieda
nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi e che appartenga
ad una delle categorie di soggetti elencati  nell'art.  12-bis  della
medesima legge regionale n. 11 del 2006. 
    Ai sensi del citato art. 12-bis della legge regionale n.  11  del
2006, sostituito dall'impugnato art. 5, gli interventi  finanziari  a
favore delle famiglie e della genitorialita' di cui agli artt. 8-bis,
8-ter, 9, 10 e 11 della medesima legge regionale n.  11  del  2006  -
recanti,  rispettivamente,  interventi  a  sostegno  delle   nascite,
soluzioni  abitative  per  nuove  famiglie,  sostegno  alla  funzione
educativa, istituzione della Carta Famiglia - sono attuati  a  favore
dei nuclei familiari in cui  almeno  uno  dei  genitori  risiede  nel
territorio regionale da almeno ventiquattro mesi e appartiene ad  una
delle medesime categorie di soggetti indicate nell'art. 2. 
    L'art. 6, comma l, che sostituisce il  comma  l.l.  dell'art.  12
della legge regionale 7 marzo 2003, n. 6 (Riordino  degli  interventi
regionali in materia di edilizia residenziale  pubblica),  stabilisce
che  possono  essere  destinatari  degli   interventi   di   edilizia
convenzionata,  agevolata  e  di  sostegno  alle  locazioni,  purche'
residenti da almeno ventiquattro  mesi  in  territorio  regionale,  i
cittadini italiani, i  cittadini  di  Stati  appartenenti  all'Unione
europea regolarmente soggiornanti in Italia e i  loro  familiari,  ai
sensi del decreto legislativo  n.  30  del  2007,  e  i  titolari  di
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo  ai  sensi
del medesimo decreto legislativo n. 30 del 2007. 
    Sempre in materia di edilizia residenziale  pubblica,  l'art.  7,
che sostituisce l'art. 18 della predetta legge  regionale  n.  6  del
2003, prevede che i medesimi soggetti indicati nel precedente art.  6
possano essere assegnatari di alloggi di  edilizia  sovvenzionata,  a
condizione  di  essere  residenti  da  almeno  ventiquattro  mesi  in
territorio regionale. 
    L'art. 8, comma 2, che aggiunge il comma l-bis all'art.  2  della
legge regionale 2 aprile 1991, n. 14 (Norme integrative in materia di
diritto allo studio), prevede che possano  accedere  agli  interventi
regionali in materia di diritto allo studio gli alunni nel cui nucleo
familiare almeno uno dei genitori risieda nel territorio regionale da
almeno ventiquattro mesi  e  che  appartenga  a  una  delle  medesime
categorie di soggetti indicati al precedente art. 2. 
    L'art. 9, infine, dispone che gli interventi previsti dalle norme
regionali che sono state modificate dagli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e  8
della legge in esame siano attuati anche in favore  dei  soggetti  di
cui all'art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), vale a dire nei  confronti
degli stranieri titolari della carta di soggiorno o di  permesso  non
inferiore ad un anno, nonche' dei minori iscritti nella loro carta di
soggiorno o nel loro permesso di soggiorno,  a  condizione  che  tali
soggetti siano residenti da non meno di cinque  anni  nel  territorio
nazionale e da almeno ventiquattro mesi nel territorio regionale. 
    1.2.- Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  le
disposizioni in esame discriminerebbero i  possibili  fruitori  delle
provvidenze sociali fornite  dalla  Regione,  sia  in  ragione  della
residenza regionale protratta da almeno ventiquattro mesi,  sia,  per
gli  stranieri  extracomunitari  di  cui  all'art.  9,   in   ragione
dell'ulteriore requisito della residenza nazionale per  non  meno  di
cinque anni richiesto da quest'ultima norma. 
    Le disposizioni impugnate eccederebbero, quindi, i  limiti  della
competenza legislativa regionale: sia con riferimento alla materia di
«assistenza   sociale»,   attribuita   alla   potesta'    legislativa
integrativa della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall'art. 6,
numero 2),  dello  statuto  di  autonomia  (legge  costituzionale  31
gennaio 1963, n. 1), sia con riferimento alla piu'  ampia  competenza
residuale in materia di servizi  sociali  riconosciuta  alle  Regioni
ordinarie dall'art. 117, quarto  comma,  Cost.,  da  estendersi  alla
Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  in  base  alla  clausola  di
equiparazione di  cui  all'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione). 
    La  Regione,  infatti,  dovrebbe  comunque  rispettare  i  limiti
stabiliti dall'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,  che
riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia  di
«determinazione  di  livelli  essenziali  di  prestazioni»,  con   la
conseguenza che  ogni  disposizione  che  «crei  differenziazioni  di
trattamento si verrebbe a porre, a livello locale, in  contrasto  con
le garanzie di uniformita' riservate alla legislazione statale». 
    Inoltre, le disposizioni impugnate sarebbero lesive  dell'art.  3
Cost., perche' introdurrebbero nel tessuto normativo un  elemento  di
differenziazione arbitrario,  non  essendovi  corrispondenza  tra  la
condizione di ammissibilita' al  beneficio  e  gli  altri  requisiti,
quali la situazione di bisogno e di  disagio,  che  costituiscono  il
presupposto di fruibilita' di un beneficio assistenziale:  verrebbero
in tal modo esclusi proprio coloro che sono maggiormente esposti alle
condizioni di bisogno e  di  disagio,  che  un  siffatto  sistema  di
prestazioni e servizi si proporrebbe di superare. 
    Infine, per quanto concerne l'art. 9 impugnato,  con  particolare
riferimento all'attribuzione  delle  prestazioni  assistenziali  alle
persone straniere regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale,
la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza  n.  61  del  2011)
avrebbe gia' evidenziato la  contrarieta'  di  analoghe  disposizioni
all'art. 3 Cost. 
    L'art. 9, peraltro, sarebbe in contrasto con l'art. 41 del d.lgs.
n. 286 del 1998 e con l'art. 80, comma 19, della  legge  23  dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), che, ai fini della
fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale, equiparano ai cittadini  italiani  gli  stranieri
titolari della carta di soggiorno  o  di  permesso  di  soggiorno  di
durata non inferiore ad un anno. 
    2.- Si e' costituita la Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,
la quale ha eccepito,  in  via  preliminare,  l'inammissibilita'  del
ricorso per tardivita' della notifica, effettuata il 7 febbraio 2012,
oltre il sessantesimo giorno dalla pubblicazione  nel  B.U.R.  del  7
dicembre 2011. 
    3.- Con successiva memoria  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia ha, preliminarmente, ribadito l'eccezione di  inammissibilita'
del ricorso, perche' notificato oltre il termine perentorio  previsto
dall'art. 127, primo comma, Cost. 
    4.- La difesa regionale ha poi  svolto  ulteriori  considerazioni
difensive, rilevando anzitutto che l'art. 117, quarto comma, Cost. le
attribuisce, nella materia dell'assistenza  sociale,  una  competenza
piu' ampia dell'art. 6, numero 2), dello statuto di autonomia. 
    5.- Inoltre, la censura relativa alla violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost.  sarebbe  inammissibile,  in  quanto
priva  della  necessaria  indicazione   delle   norme   statali   che
determinerebbero  i  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e   che
sarebbero state violate. 
    6.- Inammissibile sarebbe poi l'impugnazione degli artt. 2, 5, 6,
comma 1, e 7 della legge regionale n. 16 del 2011. 
    Secondo  la  Regione,  tali   disposizioni   avrebbero   abrogato
espressamente  la  pregressa  normativa  regionale   concernente   la
prestazione sociale in oggetto, la quale richiedeva  condizioni  piu'
rigorose  di  accesso,   sicche',   per   effetto   di   un'eventuale
dichiarazione di illegittimita' costituzionale, quest'ultima dovrebbe
rivivere,  reintroducendo  requisiti  di   godimento   «ancora   piu'
irragionevoli  e  discriminatori  di  quelli   recati   dalla   legge
impugnata». 
    7.- Con riferimento all'asserita lesione dell'art.  3  Cost.,  la
Regione sostiene la legittimita' costituzionale del  requisito  della
residenza continuativa nella Regione e della  residenza  quinquennale
nel territorio dello Stato per gli stranieri in possesso del permesso
di soggiorno. 
    La resistente precisa che, come risulta  dal  testo  della  legge
impugnata (art. 1, comma 1), il primo requisito e'  stato  introdotto
allo scopo di valorizzare  un  collegamento  non  occasionale  tra  i
destinatari delle politiche  sociali  e  la  comunita'  regionale.  E
poiche' la Regione  e'  ente  esponenziale  di  detta  comunita',  la
residenza sul  territorio  regionale  e'  il  «piu'  naturale  indice
sintomatico  del  radicamento  e  della  integrazione  della  persona
all'interno della comunita' locale». 
    Trattandosi di  prestazioni  che  non  fanno  parte  dei  livelli
essenziali,  la  Regione  potrebbe  condizionarne  l'erogazione  alle
condizioni indicate dalla norma, a tutela dell'integrita' del proprio
bilancio e per scoraggiare l'utilizzazione di «residenze  occasionali
e meramente opportunistiche». 
    8.-   In   ordine   all'ulteriore   requisito   della   residenza
quinquennale nel territorio dello Stato per gli stranieri in possesso
del permesso di soggiorno, la Regione  resistente  evidenzia  che  la
previsione contenuta nell'art. 9  impugnato  estende  le  prestazioni
sociali di cui alla legge oggetto di giudizio  anche  agli  stranieri
privi di carta di  soggiorno  (condizione,  invece,  richiesta  dalla
normativa statale di riferimento: art. 80, comma 19, della  legge  n.
388  del  2000)  purche'  soggiornanti  da  almeno  cinque  anni  nel
territorio. 
    La  disposizione  impugnata  sarebbe,  dunque,   per   un   verso
«oggettivamente  progressiva»  e  per  altro  verso  ragionevole,  in
quanto, ai fini dell'equiparazione con gli stranieri in possesso  del
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, considera
il medesimo requisito della residenza quinquennale, che e'  anche  il
presupposto per la concessione di tale speciale titolo di soggiorno. 
    9.- Con riferimento alle specifiche  censure,  la  resistente  fa
presente che l'art. 2 della legge n. 16 del 2011,  novellando  l'art.
9, comma 6, della legge regionale n. 9 del 2008, amplia la classe dei
beneficiari degli interventi di contrasto dei fenomeni di poverta'  e
disagio sociale, previsti dal precedente comma 5 dello stesso art. 9,
e finanziati dalla Regione con un apposito fondo, riducendo a 24 mesi
la durata della residenza e riconoscendo quali beneficiari anche  gli
stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per i soggiornanti  di
lungo periodo e gli stranieri titolari dello status  di  rifugiato  e
dello status di  protezione  sussidiaria,  residenti  in  Regione  da
almeno ventiquattro mesi. Tali interventi  sono  aggiuntivi  rispetto
agli ordinari interventi  di  assistenza  sociale,  i  quali  restano
regolati dalla legge regionale del  31  marzo  2006,  n.  6  (Sistema
integrato di interventi e servizi per la promozione e la  tutela  dei
diritti di cittadinanza sociale), e sono  assicurati  a  cittadini  e
stranieri indipendentemente da requisiti di residenza qualificata. 
    Ne conseguirebbe che, nel momento in cui la Regione finanzia  con
un fondo speciale interventi aggiuntivi rispetto a quelli previsti in
via ordinaria, finalizzati,  secondo  quanto  espressamente  indicato
nella legge regionale, al  «contrasto  dei  fenomeni  di  poverta'  e
disagio  sociale  nel  territorio  regionale»,  sarebbe   ragionevole
concentrare le  risorse  sui  fenomeni  piu'  radicati,  anche  sotto
l'aspetto temporale, entro i confini della Regione. 
    10.- La censura relativa all'art. 3 della legge regionale  n.  16
del 2011 -  che  sostituisce  l'art.  8-bis,  comma  1,  della  legge
regionale n. 11 del 2006 - sarebbe inammissibile e infondata, perche'
priva di oggetto,  dal  momento  che  l'individuazione  dei  soggetti
beneficiari delle provvidenze, verso cui si  indirizzano  le  censure
del ricorrente, sarebbe operata non  dalla  norma  impugnata,  bensi'
mediante il rinvio all'art. 12-bis, comma 1, della predetta legge  n.
11 del 2006 (anch'esso novellato dalla legge impugnata ed oggetto  di
giudizio). 
    Il menzionato art. 12-bis risulta infatti modificato dall'art.  5
della  legge  regionale  impugnata   ed   attualmente   individua   i
destinatari di  alcune  provvidenze  a  favore  delle  famiglie  e  a
sostegno della genitorialita' nei nuclei familiari in cui almeno  uno
dei genitori risieda nel territorio regionale da almeno  ventiquattro
mesi e  sia  cittadino  italiano,  cittadino  di  Stati  appartenenti
all'Unione  europea,  oppure  straniero  titolare  di   permesso   di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo  periodo  o  dello  status  di
rifugiato o di  protezione  sussidiaria.  E'  stata  conseguentemente
abrogata  la  norma  secondo  cui  tali  prestazioni  erano  disposte
prioritariamente a favore dei nuclei familiari in cui quantomeno  uno
dei genitori risiedesse da almeno otto anni, anche non  continuativi,
in Italia, di cui uno nella Regione. 
    Dette provvidenze, specificamente previste agli artt.  8-bis,  9,
10 e 11 della legge regionale n. 11 del 2006, costituiscono  benefici
aggiuntivi  rispetto  a  quelli  statali  e  alcuni  di   essi   sono
condizionati al mancato superamento di limiti  di  reddito  piuttosto
elevati e tali, dunque, da attenuare la socialita' dell'intervento. 
    11.- Per  gli  interventi  relativi  alla  materia  dell'edilizia
residenziale pubblica e dei servizi abitativi (art. 8-ter della legge
n. 11 del 2006 e artt. 6, comma 1, e 7 della legge n. 16  del  2011),
attuati in favore dei residenti da  almeno  24  mesi  nel  territorio
regionale, cittadini italiani  o  di  Stati  appartenenti  all'Unione
europea, oppure stranieri titolari di permesso di  soggiorno  CE  per
soggiornanti di lungo periodo  o  dello  status  di  rifugiato  o  di
protezione sussidiaria, vi sarebbe  il  precedente  gia'  richiamato,
costituito dall'ordinanza di questa Corte n.  32  del  2008.  D'altro
canto, la residenza protratta e' richiesta anche  dalla  legislazione
statale in tema di diritto sociale all'abitazione (artt. 11, comma 2,
e 23 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante  «Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133). 
    Non sarebbe pertanto irragionevole la previsione del requisito di
residenza di soli 24 mesi, applicato indistintamente  a  cittadini  e
stranieri  per  un  beneficio  la  cui  concreta  fruizione  richiede
comunque tempi lunghi di attesa. 
    12.- Infine, per quanto concerne l'attribuzione degli assegni  di
studio a favore delle famiglie degli alunni di scuole dell'obbligo  e
secondarie non statali, parificate o  paritarie  o  riconosciute  con
titolo di studio avente valore legale, istituite senza fine di lucro,
regolato dall'art. 8, comma 2,  della  legge  impugnata,  la  Regione
evidenzia, da un canto, la portata ampliativa del  riconoscimento  di
tale  provvidenza;  dall'altro,  la  compatibilita'  con  il  diritto
dell'Unione. Essendo,  inoltre,  detto  beneficio  previsto  per  gli
alunni frequentanti  scuole  non  statali,  il  diritto  fondamentale
dell'istruzione,  tutelato  dall'art.  33  Cost.,  sarebbe   comunque
assicurato  mediante  la  possibilita'   dell'accesso   alla   scuola
pubblica. Rileva, infine, che anche per questa prestazione  i  limiti
economici sono elevati. 
    La Regione ha, quindi, concluso per l'inammissibilita' o  per  la
non fondatezza del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli articoli 2, 3, 5, 6, comma 1, 7, 8,
comma 2, e 9 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
30 novembre 2011, n. 16 (Disposizioni  di  modifica  della  normativa
regionale in  materia  di  accesso  alle  prestazioni  sociali  e  di
personale), in riferimento agli articoli  3  e  117,  secondo  comma,
lettera m), della Costituzione. 
    2.- La Regione ha eccepito in via preliminare  l'inammissibilita'
del ricorso, che sarebbe stato notificato un giorno dopo la  scadenza
del termine previsto dall'art. 127, primo comma, Cost. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il termine di sessanta giorni previsto per la  notificazione  del
ricorso dall'art. 127 Cost. e dall'art. 31, comma 2, della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), scadeva il 5 febbraio 2012 e,  trattandosi  di
una  domenica,  era  prorogato  al  6  febbraio   2012,   mentre   la
notificazione e' stata effettuata il 7  febbraio  2012;  ma  cio'  e'
avvenuto  in  presenza  di  una  «proroga  dei  termini  per  mancato
funzionamento degli Uffici giudiziari di Roma Capitale e  dei  Comuni
della provincia di Roma compresa la Corte  di  Cassazione»,  disposta
dal Ministro della giustizia con decreto  dell'8  febbraio  2012,  in
applicazione degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 9 aprile 1948,
n. 437 (Proroga dei termini di decadenza in conseguenza  del  mancato
funzionamento degli uffici giudiziari). 
    Questi articoli stabiliscono che qualora  gli  uffici  giudiziari
non siano in grado di funzionare regolarmente per eventi di carattere
eccezionale, riconosciuti con decreto del Ministro  della  giustizia,
«i termini di decadenza per il compimento di atti presso  gli  uffici
giudiziari, o a mezzo  del  personale  addetto  ai  predetti  uffici,
scadenti durante il periodo di mancato o irregolare funzionamento,  o
nei cinque giorni successivi, sono prorogati di  quindici  giorni,  a
decorrere dal giorno in cui e' pubblicato» il decreto. 
    Nel caso di specie una precipitazione nevosa aveva paralizzato la
citta' di Roma e  i  Comuni  della  provincia,  e  il  Prefetto,  con
provvedimento del 4 febbraio 2012, aveva  disposto  la  «chiusura  di
tutti gli Uffici  Pubblici  di  Roma  Capitale  e  dei  Comuni  della
provincia, compresi gli Uffici Giudiziari e la  Corte  di  Cassazione
per il giorno 6 febbraio 2012». In tale periodo il ricorrente non era
percio' in condizione di valersi degli ufficiali giudiziari  ai  fini
della notificazione. 
    Al provvedimento del Prefetto aveva fatto seguito il decreto  del
Ministro della giustizia di cui si e' detto, percio' e' da  escludere
che nel caso in esame si sia verificata l'eccepita  inammissibilita',
dato che con il decreto ministeriale era stata disposta, a  decorrere
dalla pubblicazione,  la  proroga  di  quindici  giorni  dei  termini
scadenti nei giorni 3, 4 o 6, «o nei cinque giorni successivi». 
    In contrario non vale osservare che la notificazione, anziche'  a
mezzo dell'ufficiale giudiziario, avrebbe potuto essere effettuata  a
mezzo del servizio postale, perche' cio'  che  rileva,  a  norma  del
d.lgs. n. 437 del 1948, e' che era  stata  disposta  la  proroga:  in
materia di termini esiste infatti un'esigenza di  certezza  che  deve
ricollegarsi al provvedimento del Ministro,  indipendentemente  dalla
possibilita' di ovviare di fatto all'impedimento che  ha  determinato
la proroga. 
    E' da aggiungere che in base al provvedimento del  Prefetto,  che
riguardava tutti gli uffici pubblici di Roma, erano chiusi anche  gli
uffici dell'Avvocatura dello Stato e  che  sotto  questo  aspetto  si
sarebbe potuto ravvisare nel caso di specie un grave  impedimento  di
fatto,  che,  a  norma  dell'art.  37  dell'allegato  I  al   decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  Governo  per  il
riordino del processo amministrativo)  -  applicabile  in  forza  del
«rinvio dinamico» contenuto nell'art. 22 della legge n. 87  del  1953
(sentenza n. 161 del 2012) - consente, anche d'ufficio, la rimessione
in termini, in applicazione del generale principio giuridico  secondo
cui ad impossibilia nemo tenetur (Consiglio di Stato, sezione quarta,
17 ottobre 2012, n. 5342). 
    3.- La legge impugnata reca modifiche  alla  disciplina  primaria
concernente l'erogazione di prestazioni sociali, contenuta  in  altri
testi normativi della Regione, secondo un duplice criterio:  a  tutti
gli aspiranti viene richiesto di risiedere  da  almeno  24  mesi  nel
territorio regionale (artt. 2,  3,  5,  6,  7,  8),  mentre  ai  soli
stranieri si impone non solo tale requisito, ma anche di risiedere in
Italia da non meno di 5 anni (art. 9), ove essi non  siano  cittadini
dell'Unione, ovvero, per talune provvidenze, ove non  siano  titolari
dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria ai
sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007,  n.  251  (Attuazione
della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione,  a
cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del  rifugiato  o
di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche'
norme minime sul contenuto  della  protezione  riconosciuta),  ovvero
titolari di «permesso di  soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo» (in tali casi, le norme impugnate equiparano queste  persone
al cittadino italiano). 
    Il ricorrente reputa entrambi questi criteri contrari all'art.  3
Cost.,  in  quanto  manifestamente  irragionevoli,  e  all'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., in quanto lesivi dello standard  di
soddisfacimento dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  sociali
assicurato dalla normativa dello Stato. 
    Sotto quest'ultimo profilo, in particolare,  le  norme  impugnate
avrebbero ecceduto dalla competenza statutaria in materia di «lavoro,
previdenza e assistenza sociale» prevista  dall'art.  6,  numero  2),
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1  (Statuto  speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), e comunque da quella  residuale
in materia di assistenza  sociale  contenuta  nell'art.  117,  quarto
comma, Cost. 
    4.- La Regione ha eccepito  l'inammissibilita'  del  ricorso  per
carenza di interesse, con riferimento all'impugnativa degli artt.  2,
5, 6, comma 1, e 7 della legge regionale n. 16 del 2011. 
    Secondo  la  resistente  tali  disposizioni  avrebbero   abrogato
espressamente  la  pregressa  normativa  regionale   concernente   la
prestazione sociale in oggetto, la quale richiedeva  condizioni  piu'
rigorose  di   accesso,   sicche'   per   effetto   di   un'eventuale
dichiarazione di illegittimita' costituzionale, quest'ultima dovrebbe
rivivere,  reintroducendo  requisiti  di   godimento   «ancora   piu'
irragionevoli  e  discriminatori  di  quelli   recati   dalla   legge
impugnata». 
    L'eccezione e' palesemente infondata perche',  ove  questa  Corte
dovesse  reputare  costituzionalmente  illegittima  l'apposizione  di
taluni requisiti di accesso ad una prestazione sociale,  per  effetto
di tale pronuncia la prestazione diverrebbe accessibile in assenza di
essi, mentre  cio'  non  comporterebbe  alcuna  reviviscenza  di  una
normativa oramai abrogata (sentenza n. 13 del 2012). 
    5.- Le questioni di legittimita' costituzionale di tutte le norme
impugnate, in riferimento  alla  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost.  sono  inammissibili,  come  ha  esattamente
eccepito la difesa regionale. 
    Il ricorrente non contesta, come si e' appena precisato,  che  in
termini astratti le disposizioni censurate ineriscano alla competenza
legislativa regionale in tema di assistenza sociale, ma ritiene  che,
nel  caso  di  specie,  essa  debba  venire  compressa   in   ragione
dell'azione trasversale della  competenza  esclusiva  dello  Stato  a
determinare i livelli essenziali delle prestazioni sociali. 
    Questa Corte premette che  la  competenza  residuale  di  cui  al
quarto comma dell'art. 117 Cost. e' senza dubbio piu' favorevole  per
la    Regione    rispetto    alla    competenza,     di     carattere
integrativo-attuativo,  rinvenibile  nello  statuto   di   autonomia.
Pertanto e' la prima a trovare applicazione in  virtu'  dell'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante  «Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione» (sentenze  n.  10
del 2010; n. 168 del 2009; n. 50 del 2008). 
    Cio' detto, va rilevato che la  censura  del  ricorrente  non  e'
accompagnata dalla necessaria individuazione dello specifico  livello
essenziale della prestazione, garantita dalla normativa dello  Stato,
con il quale le norme impugnate colliderebbero. E' giurisprudenza  di
questa Corte che da  tale  individuazione  il  ricorrente  non  possa
prescindere, posto che essa vale a determinare  il  limite  oltre  il
quale, cessata l'azione trasversale della normativa dello  Stato,  si
riespande  la  generale  competenza  della  Regione  sulla   materia,
residuale, oggetto di disciplina (sentenze n. 8 del 2011 e n. 383 del
2005). 
    Ne segue che le norme  impugnate  debbono  venire  valutate,  una
volta divenuta inammissibile la questione sul riparto  di  competenza
legislativa,  solo   con   riguardo   al   carattere   manifestamente
irragionevole che il  ricorrente  loro  attribuisce,  deducendone  la
violazione dell'art. 3 Cost. 
    6.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9 della
legge impugnata, nella parte in cui per il solo  straniero  subordina
l'accesso ai benefici al requisito della residenza in Italia  da  non
meno di cinque anni, e' fondata, in riferimento all'art. 3 Cost. 
    Come si e' visto, l'art. 9 esige un requisito  generale  in  capo
allo straniero per accedere alle prestazioni sociali, ovvero che egli
risieda nel territorio nazionale da non meno  di  cinque  anni.  Tale
condizione si cumula, per mezzo di un rinvio  disposto  dalla  stessa
norma  impugnata,  a  quella  stabilita  dall'art.  41  del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), vale a dire  alla  titolarita',  quanto  meno,  del
permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. 
    Non vi e' dubbio che, entro  i  limiti  consentiti  dall'art.  11
della direttiva 25  novembre  2003,  n.  2003/109/CE  (Direttiva  del
Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che  siano
soggiornanti di  lungo  periodo),  cui  ha  conferito  attuazione  il
decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della  direttiva
2003/109/CE  relativa  allo  status  di  cittadini  di  Paesi   terzi
soggiornanti di lungo periodo), e comunque nel rispetto  dei  diritti
fondamentali dell'individuo assicurati  dalla  Costituzione  e  dalla
normativa  internazionale,  il  legislatore  possa  riservare  talune
prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle  persone  ad  essi
equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di  per  se'  a
generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla  organizzazione
politica, economica e sociale della Repubblica, e l'erogazione  della
provvidenza. Tuttavia, non e' detto che  un  nesso  a  propria  volta
meritevole  di  protezione  non  possa  emergere  con  riguardo  alla
posizione  di  chi,  pur   privo   dello   status,   abbia   tuttavia
legittimamente radicato un forte legame con la  comunita'  presso  la
quale risiede e di cui sia divenuto parte, per avervi  insediato  una
prospettiva stabile di vita lavorativa, familiare  ed  affettiva,  la
cui tutela non  e'  certamente  anomala  alla  luce  dell'ordinamento
giuridico  vigente  (art.  8  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848; art. 13, comma 2-bis, del d.lgs. n.  286
del 1998). 
    In  tali  casi,  a  fronte  del  pregiudizio  che  puo'  derivare
dall'esclusione  indiscriminata  dello  straniero  dalla  prestazione
sociale, occorre particolare cura nella  identificazione  del  legame
che congiunge la provvidenza allo status di  cittadino,  anziche'  al
contributo  offerto  dall'individuo  alla  societa'  in  cui  si   e'
inserito. 
    Il  legislatore,  quindi,  per  sottrarre  eventuali  restrizioni
nell'accesso alle prestazioni sociali ad un giudizio di ineguaglianza
e di manifesta irragionevolezza, e' tenuto a rivolgere lo sguardo non
soltanto, per il passato, alla durata della residenza sul  territorio
nazionale o locale oltre una soglia temporale minima,  ma  anche,  in
prospettiva,  alla  presenza  o  all'assenza  di  indici   idonei   a
testimoniare il legame tendenzialmente stabile tra la  persona  e  la
comunita'. 
    La  norma  impugnata,  attraverso  una  previsione  generale  che
accomuna prestazioni di natura assai diversa, si limita viceversa  ad
esigere una residenza almeno quinquennale in  Italia,  nonostante  il
rinvio all'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale gia'  prevede
una soglia minima di legale permanenza sul territorio nazionale della
durata di un anno soltanto. 
    Combinando la natura indiscriminata della  restrizione,  che  non
viene apprezzata nelle sue ragioni giustificatrici,  provvidenza  per
provvidenza, con lo sproporzionato rilievo  attribuito  al  requisito
della residenza, per un periodo di  tempo  significativo  e  comunque
largamente superiore a quello indicato dall'art. 41 del d.lgs. n. 286
del 1998, il legislatore regionale e' incorso nel  dedotto  vizio  di
violazione dell'art. 3 Cost. 
    In tema di accesso degli stranieri alle prestazioni di assistenza
sociale, questa Corte ha infatti gia' affermato (sentenze n. 133,  n.
4 e n. 2 del 2013) che, mentre la residenza costituisce,  rispetto  a
una  provvidenza  regionale,  «un  criterio  non  irragionevole   per
l'attribuzione  del  beneficio»  (sentenza  n.  432  del  2005),  non
altrettanto  puo'  dirsi  quanto  alla  residenza  protratta  per  un
predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie,
quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, ove  di
carattere generale e dirimente, non risulta rispettosa  dei  principi
di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto «introduce nel  tessuto
normativo elementi di distinzione arbitrari»,  non  essendovi  alcuna
ragionevole correlazione tra la durata prolungata della  residenza  e
le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili  direttamente  alla
persona in quanto tale, che in linea astratta ben  possono  connotare
la domanda di accesso al sistema di protezione sociale  (sentenza  n.
40 del 2011). 
    Non rileva, in  senso  contrario,  la  circostanza  su  cui  pone
l'accento la difesa della  Regione  che  il  requisito  in  questione
risponda ad esigenze di  risparmio,  correlate  al  decremento  delle
disponibilita'  finanziarie  conseguente  alle  misure   statali   di
contenimento della spesa pubblica. Essa non esclude, infatti, «che le
scelte connesse alla individuazione dei beneficiari - necessariamente
da  circoscrivere  in  ragione  della   limitatezza   delle   risorse
disponibili - debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al
principio di ragionevolezza» (sentenze n. 4 del 2013; n. 40 del 2011;
n. 432 del 2005). 
    L'art. 9 impugnato  va,  percio',  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo, limitatamente alle parole «nel territorio  nazionale  da
non meno di cinque anni e». 
    L'art. 9 esige, altresi', da parte dello straniero una  residenza
di almeno 24 mesi nel territorio regionale.  Per  tale  parte  (cosi'
come per la parte in cui rinvia all'art. 41 del  d.lgs.  n.  286  del
1998), esso non e' oggetto di autonoma censura volta a denunciare  la
disparita'  di  trattamento  tra  cittadino  e  straniero,  ma  viene
investito dal ricorso, unitamente agli artt. 2, 3, 5, 6, comma 1, 7 e
8, comma 2,  in  ragione  della  manifesta  irragionevolezza  di  una
condizione imposta dalla legge impugnata a tutti gli  aspiranti  alla
provvidenza sociale, siano essi cittadini, ovvero stranieri. 
    Ne segue che tale censura va valutata unitamente a quelle  simili
mosse contro le disposizioni appena elencate. 
    7.- Questa  Corte,  relativamente  alla  analoga  violazione  del
canone di ragionevolezza determinata dalla esclusione da un beneficio
per tutti coloro (italiani e stranieri) che non siano residenti da un
periodo  protratto  e  continuativo  nel  territorio  regionale,   ha
osservato che la legittimita' di una simile scelta non esclude che  i
canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di
ragionevolezza, in quanto l'introduzione di regimi  differenziati  e'
consentita solo in presenza di una causa  normativa  non  palesemente
irrazionale  o  arbitraria,  che  sia  cioe'  giustificata   da   una
ragionevole  correlazione  tra  la  condizione  cui  e'   subordinata
l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti  che  ne
condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n.
172 del 2013). 
    Bisogna ora aggiungere  che,  diversamente  che  nell'ipotesi  di
discriminazioni introdotte tra cittadino e straniero, un elemento che
qui caratterizza il giudizio di ragionevolezza  e'  costituito  dalla
rilevanza che assume la dimensione regionale nella concessione o  nel
diniego di una prestazione sociale. 
    La Regione, in quanto ente esponenziale della comunita'  operante
sul territorio, ben puo', infatti, favorire, entro i limiti della non
manifesta irragionevolezza, i propri residenti, anche in rapporto  al
contributo che essi hanno  apportato  al  progresso  della  comunita'
operandovi per un non  indifferente  lasso  di  tempo,  purche'  tale
profilo non sia destinato  a  soccombere,  a  fronte  di  provvidenze
intrinsecamente legate ai bisogni della  persona,  piuttosto  che  al
sostegno dei membri della comunita'. 
    Tale premessa conduce alla  illegittimita'  costituzionale  degli
artt. 2 e 8, comma 2, della legge  impugnata,  e  dell'art.  9  della
medesima legge, nella parte  in  cui  tali  disposizioni  subordinano
l'accesso alle prestazioni sociali  da  esse  regolate  al  requisito
della residenza nel territorio regionale da almeno 24 mesi, e non  al
solo requisito della residenza nella Regione. 
    In  particolare,  e'  fondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 2 e 9 della  legge  regionale  n.  16  del
2011, in riferimento all'art. 3 Cost. 
    L'art. 2 indica le persone che  possono  usufruire  di  un  fondo
regionale istituito dall'art. 9, comma 5, della  legge  regionale  14
agosto 2008, n. 9 (Assestamento del  bilancio  2008  e  del  bilancio
pluriennale per gli anni 2008-2010 ai sensi  dell'articolo  34  della
legge regionale 8 agosto 2007, n. 21), per il «contrasto dei fenomeni
di poverta' e disagio sociale». 
    Si tratta, percio', di  una  provvidenza  che,  alla  luce  della
scarsita'  delle   risorse   destinabili   alle   politiche   sociali
nell'attuale contesto storico, non potra' che venire riservata a casi
di indigenza. E' percio' manifestamente irragionevole, ed  incongruo,
negare l'erogazione della prestazione  a  chiunque  abbia  la  (sola)
residenza nella Regione, posto che non vi e' alcuna correlazione  tra
il soddisfacimento dei bisogni primari dell'essere umano, insediatosi
nel  territorio  regionale,  e  la  protrazione  nel  tempo  di  tale
insediamento (sentenza n. 40 del 2011; sentenza n. 187 del 2010). 
    E' altresi' fondata la questione di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 8, comma 2, e 9 della  legge  impugnata,  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    L'art. 8, comma 2, definisce i titolari del diritto  a  percepire
assegni di studio ai sensi della legge regionale 24 aprile  1991,  n.
14 (Norme integrative in materia di  diritto  allo  studio),  tenendo
conto delle condizioni economiche  dei  rispettivi  nuclei  familiari
(art. 3, comma 2). 
    Questa Corte, a proposito di una norma  regionale  che  parimenti
valorizzava il prolungamento della  residenza  nel  territorio  dello
studente oltre una certa soglia temporale, ha infatti  gia'  rilevato
che le misure di sostegno si ispirano ad una ragione giustificatrice,
connessa al diritto allo studio, che non ha alcun  rapporto  con  «la
durata della residenza» (sentenza n. 2 del 2013). 
    8.- La questione di legittimita' costituzionale degli artt. 3 e 9
della legge impugnata non e' fondata, in riferimento all'art. 3 Cost. 
    L'art. 3 ha ad oggetto gli assegni di sostegno alla natalita', in
caso di nascita ed adozione. L'individuazione  degli  aventi  diritto
avviene mediante rinvio materiale all'art.  12-bis,  comma  1,  della
legge regionale 7 luglio 2006, n. 11 (Interventi regionali a sostegno
della famiglia e della genitorialita'). 
    Contrariamente a quanto eccepito dalla difesa regionale, percio',
la disposizione censurata provvede in tal modo  essa  stessa,  e  con
precetto  che  sarebbe  autonomamente   lesivo,   a   selezionare   i
beneficiari della provvidenza, e si rende per tale parte senza dubbio
impugnabile. 
    Gli assegni in questione sono misure indirizzate  a  favorire  lo
sviluppo  del  nucleo  famigliare,  affinche'  esso  costituisca  una
cellula vitale della comunita'. In tale caso, non  e'  manifestamente
irragionevole  che  il  legislatore  si  rivolga  proprio  a   quelle
formazioni sociali che non solo  sono  presenti  sul  territorio,  ma
hanno gia' manifestato, con il passare degli  anni,  l'attitudine  ad
agirvi stabilmente, cosi' da  poter  venire  valorizzate  nell'ambito
della dimensione regionale. 
    Il legislatore friulano, in altri termini, non viene qui incontro
ad un bisogno primario dell'individuo che non  tollera  un  distinguo
correlato  al  radicamento  territoriale,  ma  appronta  misure   che
eccedono il nucleo intangibile dei diritti fondamentali della persona
umana, e che premiano, non  arbitrariamente,  il  contributo  offerto
dalla famiglia  al  progresso  morale  e  materiale  della  comunita'
costituita su base regionale. 
    9.- La questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 9
della legge  regionale  impugnata  non  e'  fondata,  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    L'art. 5, al pari dell'art. 3  appena  esaminato,  circoscrive  i
destinatari di prestazioni economiche  destinate  alle  famiglie.  Si
tratta, in particolare, dell'accesso ad abitazioni in locazione (art.
8-ter della legge regionale n. 11 del 2006), del sostegno in caso  di
contrazione del reddito familiare (art. 9 della legge regionale n. 11
del 2006), della  fruizione  di  beni  e  servizi,  e  dell'eventuale
riduzione di imposte e tasse, per mezzo della "Carta Famiglia"  (art.
10 della legge regionale n. 11 del 2006), e  per  mezzo  di  vouchers
volti a favorire il reinserimento lavorativo dei  genitori  (art.  11
della legge regionale n. 11 del 2006).  Anche  in  tali  ipotesi,  il
legislatore ha lo  scopo  di  valorizzare,  con  misure  eccedenti  i
livelli essenziali delle  prestazioni,  il  contributo  offerto  alla
comunita' dal nucleo famigliare, con adeguata costanza,  sicche'  non
e' manifestamente irragionevole indirizzare i propri sforzi a  favore
dei nuclei gia' attivi da tempo apprezzabile, e percio' stesso  parti
vitali della comunita'. 
    10.- Le questioni di legittimita' costituzionale degli  artt.  6,
comma 1, 7 e 9 della  legge  impugnata,  in  riferimento  all'art.  3
Cost., non sono fondate. 
    L'art. 6, comma 1, concerne interventi di edilizia  convenzionata
ed agevolata, e di sostegno alle locazioni, mentre l'art. 7 indica  i
beneficiari dell'assegnazione di alloggi di  edilizia  convenzionata,
in riferimento, rispettivamente, agli  artt.  12  e  18  della  legge
regionale 7 marzo 2003, n. 6 (Riordino degli interventi regionali  in
materia di edilizia residenziale pubblica). 
    Questa Corte ha gia' ritenuto che «il requisito  della  residenza
continuativa, ai fini dell'assegnazione,  risulta  non  irragionevole
(sentenza n. 432  del  2005)  quando  si  pone  in  coerenza  con  le
finalita' che il legislatore intende perseguire» (ordinanza n. 32 del
2008), e ha escluso  l'illegittimita'  costituzionale  di  una  norma
della Regione Lombardia che  prescrive,  ai  fini  dell'accesso  agli
alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica,  il  requisito   della
residenza o dello svolgimento di attivita' lavorativa in  Regione  da
almeno cinque anni. 
    In  effetti,  le  politiche  sociali  delle  Regioni  legate   al
soddisfacimento  dei  bisogni  abitativi  ben  possono  prendere   in
considerazione un radicamento territoriale  ulteriore  rispetto  alla
sola  residenza,  purche'  contenuto  entro  limiti  non  palesemente
arbitrari  ed  irragionevoli.  L'accesso  a  un  bene   di   primaria
importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l'abitazione,
per un verso si colloca a conclusione del  percorso  di  integrazione
della persona presso la comunita' locale e,  per  altro  verso,  puo'
richiedere garanzie di stabilita', che, nell'ambito dell'assegnazione
di alloggi pubblici in locazione, scongiurino  avvicendamenti  troppo
ravvicinati tra  conduttori,  aggravando  l'azione  amministrativa  e
riducendone l'efficacia.