ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  5,
commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 4  aprile  2012,  n.  7
(Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in  materia  di
entrate  e  di  spese  -  Modificazioni  ed  integrazioni  di   leggi
regionali), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato il 4-6 giugno 2012, depositato in cancelleria il 7
giugno 2012 ed iscritto al n. 88 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria; 
    udito nell'udienza pubblica del  24  settembre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Paola Manuali per la  Regione
Umbria. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 4-6 giugno  2012  e  depositato  il
successivo 7  giugno,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso - per violazione degli articoli  9  e  117,  primo  comma  e
secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione  -  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 5  della  legge  della  Regione
Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate  alla  manovra  di
bilancio 2012 in materia di entrate e di  spese  -  Modificazioni  ed
integrazioni di leggi regionali), che ai commi 1 e  2,  definisce  un
modello   procedimentale   semplificato   per   la   proroga    delle
autorizzazioni all'esercizio dell'attivita' estrattiva  vigenti  alla
data del 31 dicembre 2011 e per le quali e' in corso,  ovvero  si  e'
concluso positivamente, il procedimento di accertamento di giacimento
di   cava   (comma   1),   e   delle   autorizzazioni   all'esercizio
dell'attivita' estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2011, per
le quali non sia stato completato il progetto autorizzato e  non  sia
stata presentata richiesta di  accertamento  di  giacimento  di  cava
(comma 2). Il ricorrente rileva che, in entrambi  i  casi,  la  norma
regionale  prevede  espressamente  che  si  tratti  di  una   proroga
ulteriore rispetto ai termini biennali di cui agli artt. 8, comma  4,
della legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme  per  la
disciplina dell'attivita'  di  cava  e  per  il  riuso  di  materiali
provenienti da demolizioni) e 4, comma 1, della legge  della  Regione
Umbria 12 febbraio 2010, n. 9 (Disposizioni collegate alla manovra di
bilancio 2010 in materia di entrate e di spese). 
    La difesa dello Stato osserva  preliminarmente  che,  secondo  la
consolidata giurisprudenza costituzionale (confermata dalla  sentenza
n.  67  del  2010),  spetta  allo  Stato  disciplinare  l'ambiente  e
l'ecosistema  come  entita'  organiche,  attraverso  una   disciplina
unitaria e complessiva (inerente ad un interesse pubblico  di  valore
costituzionale primario ed assoluto) tesa a garantire, come prescrive
il diritto dell'Unione europea, un  elevato  livello  di  tutela,  in
quanto tale inderogabile da altre discipline di settore;  sicche'  la
disciplina  ambientale,  che   scaturisce   dall'esercizio   di   una
competenza esclusiva  dello  Stato,  investendo  l'ambiente  nel  suo
complesso, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e  le
Province autonome  dettano  in  altre  materie  di  loro  competenza,
sottoposte al rispetto degli standard minimi ed  uniformi  di  tutela
posti in essere in materia dalla legislazione nazionale e  da  quella
comunitaria di riferimento. 
    In particolare, per il  ricorrente,  i  censurati  commi  1  e  2
dell'art. 5 si pongono in contrasto sia  con  le  disposizioni  della
direttiva 27 giugno 1985,  n.  85/337/CEE  (Direttiva  del  Consiglio
concernente la valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati
progetti pubblici e privati), sia con la vigente normativa  nazionale
di settore recata dal decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale) ed in particolare con  le  disposizioni
di cui agli artt. da 20 a 28 ed agli Allegati III, lettera s), e  IV,
punto 8, lettera i), secondo le quali - se e'  ammissibile  sottrarre
alla procedura  VIA  quei  rinnovi  di  autorizzazione  per  progetti
estrattivi autorizzati  sulla  base  di  una  previa  valutazione  di
impatto ambientale ovvero di una verifica di assoggettabilita' a  VIA
(tenendo comunque  presente  il  termine  di  decadenza  quinquennale
stabilito dall'art. 26, comma 6,  di  detto  decreto  legislativo)  -
tuttavia  cio'  non  puo'  avvenire  nel  caso  in  cui  l'originaria
autorizzazione alla  realizzazione  dell'impianto  e  la  conseguente
autorizzazione  all'esercizio  risultino   rilasciate   anteriormente
all'entrata  in  vigore  della  normativa  nazionale  in  esame,   di
recepimento della disciplina comunitaria. 
    Richiamata la giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema
di proroghe automatiche delle  attivita'  estrattive  in  assenza  di
procedure di VIA, che «equivarrebbe(ro)  a  rinunciare  al  controllo
amministrativo dei requisiti che, medio tempore,  potrebbero  essersi
modificati  o  essere  venuti  meno,  con  esclusione,  peraltro,  di
qualsiasi sindacato in sede giurisdizionale comune»  (vengono  citate
le sentenze n. 67 del 2010 e n. 273 del 1998;  nonche'  le  decisioni
della Corte di giustizia 3 luglio 2008,  C-215/06;  7  gennaio  2004,
C-201/02; 16 settembre 1999, C-435/07; 2 maggio  1996,  C-133/94),  e
ribadito che la censurata normativa regionale prevede che l'attivita'
di  estrazione  di  materiale  di  scavo  possa  avvenire  senza   la
prescritta  autorizzazione  ambientale,  il  ricorrente   deduce   la
lesione: a) dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  che
attribuisce potesta' legislativa  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente e del territorio; b) dell'art. 117, primo comma,
Cost., in ragione della lesione  delle  disposizioni  di  derivazione
comunitaria (la direttiva comunitaria n. 85/337/CEE) di cui  i  testi
normativi  statali  (il  d.lgs.  n.  152  del   2006)   costituiscono
attuazione; c) dell'art. 9 Cost., in quanto non viene  assicurata  la
dovuta tutela dell'ambiente,  rimanendo  sostanzialmente  esclusa  la
possibilita' di verificare l'eventuale compromissione del  territorio
conseguente  alla  prosecuzione  dell'attivita'  estrattiva  dopo  la
naturale scadenza dell'autorizzazione o in sua assenza. 
    2.- Si e' costituita la Regione Umbria, in persona del Presidente
pro-tempore della Giunta regionale, concludendo  preliminarmente  per
l'inammissibilita' della censura di violazione dell'art. 9 Cost. alla
quale la relazione del Ministro per gli affari regionali, il  turismo
e lo sport, allegata alla delibera di  impugnazione  delle  norme  de
quibus, non fa alcun riferimento. 
    Nel merito, la resistente -  analizzata  la  normativa  regionale
pregressa e vigente riguardante il  procedimento  di  rilascio  e  la
durata delle autorizzazioni alle attivita' di cava -  rileva  che  le
proroghe contenute nei due  commi  impugnati  sono  espressamente  ed
esclusivamente  riferite   alle   sole   autorizzazioni   contemplate
dall'art. 8 della legge reg. n. 2 del 2000, per  le  quali  e'  stata
gia' espletata la procedura  di  valutazione  di  impatto  ambientale
(ovvero la verifica di assoggettabilita') prevista per la prima volta
dalla legge della Regione Umbria 9  aprile  1998,  n.  11  (Norme  in
materia di impatto ambientale), e non gia'  a  quelle  rilasciate  ai
sensi della precedente legge della Regione Umbria 8 aprile  1980,  n.
28 (Coltivazione  di  cave  e  torbiere),  senza  il  rispetto  della
normativa di impatto ambientale ove il procedimento di autorizzazione
fosse stato svolto prima del 23  aprile  1998,  data  di  entrata  in
vigore della citata legge reg. n. 11 del 1998. 
    Secondo la resistente, dunque, le proroghe disposte  dalle  norme
impugnate   (finalizzate   a   fronteggiare   la   crisi    economica
congiunturale che ha portato a drastiche riduzioni  nella  produzione
di materiali, come emerge dai lavori preparatori) riguarderebbero  le
autorizzazioni previste dal combinato disposto dell'art. 6, comma  1,
e dell'art. 3, comma 1, lettera a), del regolamento 17 febbraio 2005,
n. 3 (Modalita' di attuazione della legge regionale 3  gennaio  2000,
n. 2 - Norme per la disciplina dell'attivita' di cava e per il  riuso
di materiali provenienti da demolizioni), rilasciate tra  il  momento
di entrata in vigore della legge reg.  n.  2  del  2000  (27  gennaio
2000), nella sua stesura originaria, e la data  di  approvazione  del
P.R.A.E. con delib. Cons. reg. 9 febbraio del  2005,  n.  465  (Piano
regionale delle attivita'  estrattive),  a  seguito  della  quale  il
rilascio delle autorizzazioni stesse  doveva  essere  necessariamente
preceduto dal procedimento di accertamento  di  giacimento  di  cava,
secondo l'articolo 5-bis della medesima legge reg.  n.  2  del  2000,
introdotto dalla legge della Regione Umbria 29 dicembre 2003,  n.  26
(Ulteriori modificazioni, nonche' integrazioni, della legge regionale
3 gennaio 2000, n. 2. Norme per la disciplina dell'attivita' di  cava
e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni). 
    Quanto alla durata del giudizio di compatibilita' ambientale,  la
Regione rileva che lo stesso art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152  del
2006, nel testo introdotto dal decreto legislativo 16  gennaio  2008,
n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del  d.lgs.  3
aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), se  da  un
lato prevede in via generale che i progetti sottoposti alla  fase  di
valutazione  devono  essere  realizzati  entro  cinque   anni   dalla
pubblicazione   del   provvedimento   di   valutazione   dell'impatto
ambientale,  dall'altro  lato  stabilisce  che  tenuto  conto   delle
caratteristiche del  progetto  il  provvedimento  puo'  stabilire  un
periodo piu' lungo, prevedendo altresi' la  possibilita'  di  proroga
del provvedimento. Laddove poi,  ai  sensi  dell'ultimo  periodo  del
comma 6  del  citato  art.  26  (introdotto  dal  comma  21-quinquies
dell'art.  23  del  decreto-legge  1  luglio  2009,  n.  78,  recante
«Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini»), tali  termini
si applicano ai procedimenti avviati  successivamente  alla  data  di
entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008, sicche'  (come  affermato
dal T.a.r. Lazio, sez. II, 15 novembre 2010, n.  33437)  «il  decreto
VIA, formatosi in un tempo anteriore, perdura  sine  die  anche  dopo
l'entrata in vigore del d.lgs. 4/2008 per evidenti ragioni di  tutela
dell'affidamento legittimamente ingenerato nel destinatario circa  la
stabilita'». 
    La resistente, infine, osserva che comunque  la  norma  censurata
non dispone (come nei casi esaminati dalla sentenza n. 67  del  2010,
che sarebbe quindi inconferente) una automatica  proroga  di  diritto
delle autorizzazioni, ma prevede la possibilita' di proroghe  (ovvero
di nuove autorizzazioni), riferite  ad  attivita'  di  cava  gia'  in
corso, che potranno essere rilasciate  da  parte  dei  Comuni  previo
espletamento delle  procedure  necessarie,  ivi  compresa  quella  in
materia di VIA. 
    3.- La Regione ribadisce le proprie  difese  in  una  memoria  di
udienza, in cui (al fine di fugare i  timori  del  Governo,  ritenuti
peraltro privi di fondamento) sottolinea  che,  con  la  sopravvenuta
legge della Regione  Umbria  30  gennaio  2013,  n.  2  (Disposizioni
collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e spese
- Modificazioni e integrazioni di leggi regionali), e' stato aggiunto
al censurato art. 5 il comma 2-bis del seguente tenore letterale: «Le
proroghe di cui ai commi 1  e  2  sono  concesse  dai  Comuni  previa
verifica  del  rispetto  della  normativa  vigente  in   materia   di
Valutazione di Impatto ambientale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  censura  l'articolo
5, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 4 aprile 2012, n.  7
(Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in  materia  di
entrate  e  di  spese  -  Modificazioni  ed  integrazioni  di   leggi
regionali). 
    Il  comma  1  prevede  che   «Le   autorizzazioni   all'esercizio
dell'attivita' estrattiva vigenti alla data del 31  dicembre  2011  e
per le quali e' in corso  ovvero  si  e'  concluso  positivamente  il
procedimento di accertamento di giacimento  di  cava  possono  essere
ulteriormente prorogate rispetto ai termini di  cui  all'articolo  8,
comma 4 della legge regionale 3 gennaio 2000,  n.  2  (Norme  per  la
disciplina dell'attivita'  di  cava  e  per  il  riuso  di  materiali
provenienti da demolizioni), e di cui all'articolo 4, comma  1  della
legge regionale 12 febbraio 2010, n. 9 (Disposizioni  collegate  alla
manovra di bilancio 2010 in materia di entrate e di  spese),  con  le
modalita' stabilite dallo stesso  comma  4  dell'articolo  8  per  un
periodo non superiore ad anni due, nel rispetto  della  superficie  e
dei volumi autorizzati»  (comma  1).  Il  comma  2  dispone  che  «Le
autorizzazioni all'esercizio dell'attivita' estrattiva  vigenti  alla
data del 31 dicembre 2011, per le quali non sia stato  completato  il
progetto  autorizzato  e  non  sia  stata  presentata  richiesta   di
accertamento di  giacimento  di  cava  possono  essere  ulteriormente
prorogate rispetto ai termini di cui all'articolo 8,  comma  4  della
L.R. 2/2000, e di cui all'articolo 4, comma 1 della L.R. 9/2010,  con
le modalita' stabilite dallo stesso comma 4 dell'articolo  8  per  un
periodo  non  superiore  ad   anni   due,   ovvero   possono   essere
ulteriormente autorizzate ai sensi dell'articolo 8 della L.R. 2/2000,
nel rispetto della superficie e  dei  volumi  autorizzati  e  per  un
periodo commisurato al volume residuo da estrarre». 
    Il ricorrente - sulla premessa che, in entrambi i casi, la  norma
regionale prevede espressamente una proroga ulteriore della attivita'
estrattiva rispetto ai termini biennali previsti dall'art.  8,  comma
4, della legge reg. n. 2 del 2000 e dall'art. 4, comma 1, della legge
reg. n. 9  del  2010,  la  quale  consentirebbe  che  l'attivita'  di
estrazione di materiale di scavo possa avvenire senza  la  prescritta
autorizzazione ambientale - ritiene in sintesi che i commi  impugnati
si pongano in contrasto sia con le disposizioni  della  direttiva  27
giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del  Consiglio  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati),  sia  con  la  vigente  normativa  nazionale  in  materia
ambientale dettata dagli artt. da 20  a  28  e  dagli  Allegati  III,
lettera s), e IV, punto 8, lettera  i),  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). E, di  conseguenza
(richiamata la giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema di
proroghe  automatiche  delle  attivita'  estrattive  in  assenza   di
procedure di VIA: sentenza n. 67 del 2010),  deduce  la  lesione:  a)
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  che
attribuisce potesta' legislativa  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente e del territorio; b) dell'art. 117, primo comma,
Cost., in ragione della lesione  delle  disposizioni  di  derivazione
comunitaria (la direttiva n. 85/337/CEE) di  cui  i  testi  normativi
statali (il d.lgs. n. 152  del  2006)  costituiscono  attuazione;  c)
dell'art. 9 Cost., in quanto non viene assicurata  la  dovuta  tutela
dell'ambiente, rimanendo sostanzialmente esclusa la  possibilita'  di
verificare l'eventuale compromissione del territorio conseguente alla
prosecuzione dell'attivita'  estrattiva  dopo  la  naturale  scadenza
dell'autorizzazione o in sua assenza. 
    2.-  La   Regione   resistente   ha   pregiudizialmente   dedotto
l'inammissibilita' della censura riferita alla violazione dell'art. 9
Cost., in ragione del fatto che la relazione  del  Ministro  per  gli
affari regionali, il turismo e lo sport, allegata alla  deliberazione
del Consiglio dei ministri di impugnazione delle norme de quibus, non
contiene alcun richiamo a detto parametro. 
    L'eccezione e' fondata. Questa Corte ha piu' volte  statuito  che
nei giudizi di legittimita' costituzionale  in  via  principale  deve
sussistere,  a  pena  d'inammissibilita',  una  piena  e   necessaria
corrispondenza tra la deliberazione con cui l'organo  legittimato  si
determina all'impugnazione ed il contenuto  del  ricorso,  attesa  la
natura politica dell'atto di impugnazione (sentenza n. 149 del 2012),
e che «tale principio non riguarda solamente  l'individuazione  della
norma censurata, ma anche l'esatta delimitazione  dei  parametri  del
ricorso»  (sentenza  n.  198  del  2012).  L'assenza   di   qualsiasi
riferimento, nella specie, alla sussistenza di una volonta'  politica
di impugnare la normativa de qua anche  con  riferimento  all'art.  9
Cost., rende dunque inammissibile la relativa censura. 
    3.- Sempre preliminarmente, va rilevato che, successivamente alla
proposizione del ricorso in via  principale,  l'art.  1  della  legge
della Regione Umbria  30  gennaio  2013,  n.  2,  recante  «Ulteriore
integrazione della legge regionale 4 aprile 2012, n. 7  (Disposizioni
collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e spese
- Modificazioni e integrazioni  di  leggi  regionali)»,  ha  aggiunto
all'impugnato art. 5 il comma 2-bis, secondo cui «Le proroghe di  cui
ai commi 1 e 2 sono concesse dai Comuni previa verifica del  rispetto
della  normativa  vigente  in  materia  di  Valutazione  di   Impatto
Ambientale». 
    Poiche'   il    thema    decidendum    riguarda    specificamente
l'illegittimita' derivante dalla  dedotta  mancata  previsione  della
applicabilita' delle procedure di VIA alle proroghe de quibus, se  la
sopravvenuta modifica normativa risulta pienamente satisfattiva delle
pretese del ricorrente (ricorrendo pertanto una delle due  condizioni
che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato per pervenire alla
declaratoria di cessazione della materia del contendere: sentenze  n.
93 e n. 3 del 2013, n. 300 del 2012), tuttavia, l'ulteriore requisito
della mancata applicazione medio tempore  delle  norme  censurate  e'
esplicitamente  escluso  dalla   stessa   Regione   resistente   che,
attraverso il Servizio Avvocatura regionale, ha comunicato che, dalle
risposte avute da alcuni dei Comuni interpellati in  merito,  «emerge
che  le  norme  citate,  pur  se  in   rari   casi,   hanno   trovato
applicazione». 
    Tale riscontro (che, peraltro, di per  se'  non  contiene  alcuna
specificazione in  ordine  al  fatto  che  le  proroghe  siano  state
concesse con o senza la previa verifica del rispetto della  normativa
di VIA) non consente di addivenire ad  una  pronuncia  di  cessazione
della materia del contendere (sentenze n. 93  e  n.  22  del  2013  e
ordinanza n. 31 del 2013), e rende dunque  necessario  esaminare  nel
merito le proposte questioni,  sulle  quali  la  Regione  resistente,
nonostante la sopravvenuta modifica normativa («introdotta per fugare
i timori [...] che hanno indotto il Governo a proporre  il  ricorso»)
ha continuato a difendersi, ritenendole comunque prive di  fondamento
(memoria illustrativa di udienza). 
    4.- La questione non e' fondata. 
    4.1.- Il ricorrente deduce che  la  censurata  proroga  ulteriore
della attivita' estrattiva  rispetto  ai  termini  biennali  previsti
dall'art. 8, comma 4, della legge reg. n. 2 del 2000 e  dall'art.  4,
comma 1, della legge reg. n. 9 del 2010, consentirebbe l'attivita' di
estrazione di materiale di scavo senza la  prescritta  autorizzazione
ambientale. Ed  osserva  che  -  se  e'  ammissibile  sottrarre  alla
procedura  di  VIA  quei  rinnovi  di  autorizzazione  per   progetti
estrattivi autorizzati  sulla  base  di  una  previa  valutazione  di
impatto ambientale ovvero di una verifica di assoggettabilita' a  VIA
- cio', tuttavia, non potrebbe avvenire nel caso in cui  l'originaria
autorizzazione alla  realizzazione  dell'impianto  e  la  conseguente
autorizzazione  all'esercizio  risultino   rilasciate   anteriormente
all'entrata  in  vigore  della  normativa  nazionale  in  esame,   di
recepimento della disciplina comunitaria. 
    4.2.- Dalla analisi della copiosa normativa regionale in  materia
di  cave  e  relative  procedure  di  VIA,  ovvero  di  verifica   di
assoggettabilita', tali doglianze risultano  frutto  di  una  erronea
premessa interpretativa. 
    Preliminarmente,  si  sottolinea  come   non   sia   affatto   in
discussione che la  potesta'  legislativa  residuale  spettante  alla
Regione resistente in materia di cave  (ai  sensi  del  quarto  comma
dell'art. 117 Cost.) trovi un limite nella competenza affidata in via
esclusiva allo Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,
di disciplinare l'ambiente nella sua  interezza,  in  quanto  entita'
organica  che  inerisce  ad   un   interesse   pubblico   di   valore
costituzionale primario ed assoluto; e che, pertanto, ad essa Regione
sia  consentito,  in  tale  assetto  di  attribuzioni,  soltanto   di
incrementare  eventualmente  i  livelli  della   tutela   ambientale,
allorquando «essa costituisce esercizio di una competenza legislativa
della Regione e non compromette un punto di equilibrio  tra  esigenze
contrapposte  espressamente  individuato  dalla  norma  dello  Stato»
(sentenze n. 145 del 2013, n. 66 del 2012 e n. 225 del 2009). 
    Cio'  premesso,  va  rilevato  che  la  Regione  Umbria  ha  dato
attuazione  alla  direttiva  n.  85/337/CEE,  come  modificata  dalla
direttiva 3 marzo 1997, n.  97/11/CE  (Direttiva  del  Consiglio  che
modifica  la  direttiva   85/337/CEE   concernente   la   valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e  privati),
con la legge della Regione Umbria 9 aprile  1998,  n.  11  (Norme  in
materia di impatto ambientale), entrata in vigore il 23 aprile  1998,
ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 12. Da  tale  data,  i  progetti
relativi ad attivita' di cava sono sottoposti  a  procedura  di  VIA,
ovvero a verifica di assoggettabilita', anche secondo quanto disposto
successivamente dalla legge della Regione Umbria 16 febbraio 2010, n.
12, recante «Norme  di  riordino  e  semplificazione  in  materia  di
valutazione  ambientale   strategica   e   valutazione   di   impatto
ambientale, in attuazione dell'articolo 35 del decreto legislativo  3
aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale)  e  successive
modificazioni ed integrazioni», che nell'abrogare la legge reg. n. 11
del 1998, ne ha mantenuto il contenuto  precettivo  conformandolo  ed
aggiornandolo anche alle sopravvenute norme  statali  in  materia  di
tutela ambientale. 
    4.3.- A tale normativa regionale si aggiunge e si correla  quella
specificamente riguardante la disciplina delle attivita'  di  cava  -
originariamente posta dalla legge della Regione Umbria 8 aprile 1980,
n. 28 (Coltivazione di cave e torbiere), integrata dalla legge  della
Regione  Umbria  26  aprile  1985,  n.  27  (Norme  transitorie   per
l'esercizio delle  attivita'  di  cava  e  integrazione  della  legge
regionale 8 aprile 1980, n. 28) - di cui  alla  legge  della  Regione
Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la  disciplina  dell'attivita'
di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni)  come
successivamente modificata ed integrata. 
    In particolare, la legge della Regione Umbria 29  dicembre  2003,
n. 26 (Ulteriori modificazioni,  nonche'  integrazioni,  della  legge
regionale 3 gennaio 2000 n. 2. Norme per la disciplina dell'attivita'
di cava e per il riuso di materiali provenienti da  demolizioni),  ha
introdotto nella legge reg. n. 2 del  2000  l'art.  5-bis,  il  quale
regolamenta una speciale procedura dell'accertamento  dei  giacimenti
di cava, preliminare all'approvazione del progetto ed  al  successivo
rilascio dell'autorizzazione (comma 1),  nel  cui  ambito  si  svolge
anche, ove necessaria, la procedura di verifica di  assoggettabilita'
a VIA (comma 7). Il procedimento di approvazione del  progetto  resta
regolato dall'art. 7, anch'esso modificato dalla legge reg. n. 26 del
2003, che ne prevede la sospensione «nei casi in cui il progetto deve
essere sottoposto alla procedura di VIA» (comma 5). 
    Sotto altro aspetto, va poi evidenziato che - diversamente  dalla
legge  reg.  n.  28  del  1980,  che  stabiliva  la  durata   massima
dell'attivita' di cava in venti anni, con possibilita' di  rinnovo  a
richiesta del titolare, da presentarsi almeno sei  mesi  prima  della
scadenza, con l'osservanza delle norme previste per il rilascio (art.
7), senza prevedere la possibilita' di  proroghe  -  l'art.  8  della
legge reg. n. 2 del 2000, come modificato dalla legge reg. n. 26  del
2003,   stabilisce   che    «Il    termine    massimo    di    durata
dell'autorizzazione e' fissato in anni  dieci,  prorogabile  per  non
piu' di due anni nel solo caso in  cui  alla  data  prevista  per  la
scadenza non siano state estratte le quantita'  autorizzate»,  e  che
«La domanda di proroga e' inoltrata al  Comune  trenta  giorni  prima
della data di scadenza, con indicazione delle quantita' non  estratte
e dei tempi  occorrenti  per  completare  l'escavazione»  (comma  4).
Viceversa, le  proroghe  delle  autorizzazioni  rilasciate  sotto  il
vigore della normativa precedente alla legge reg. n. 2 del 2000  sono
disciplinate nell'art. 19, comma 6, della legge stessa,  che  non  ha
subito modifiche, e  che  prevede  la  possibilita'  di  prosecuzione
dell'attivita' alla scadenza per un periodo non superiore a due  anni
«per consentire l'estrazione della quantita' massima di materiale  di
cava in banco autorizzata ovvero per le aree autorizzate». 
    4.4.-  Cio'  premesso  (analogamente  a  quanto  ritenuto   nella
sentenza n. 145 del 2013),  anche  in  questo  contesto  erroneamente
viene  richiamata  dal   Governo   ricorrente,   a   sostegno   della
illegittimita' delle norme impugnate, la sentenza n. 67 del 2010, che
si fonda sulla riscontrata illegittimita' di normative regionali,  le
quali, nella  materia  de  qua,  avevano  introdotto  eccezionali  ed
automatiche "proroghe di diritto" per autorizzazioni all'esercizio di
cave, rilasciate in assenza di procedure di VIA, e per di  piu'  gia'
soggette a "rinnovi", in una situazione dunque  di  sicuro  contrasto
con l'effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE, perche'  manteneva
«inalterato  lo  status  quo,  sostanzialmente  sine  die,  superando
qualsiasi esigenza di "rimodulare" i provvedimenti  autorizzatori  in
funzione  delle  modifiche  subite,  nel  tempo,  dal  territorio   e
dall'ambiente». 
    Al contrario, le norme impugnate  (come  quelle  della  Provincia
autonoma di Trento scrutinate nella citata sentenza n. 145 del  2013)
risultano immuni dai dedotti profili di incostituzionalita',  potendo
essere inquadrate, e doverosamente lette in senso  costituzionalmente
conforme, nel contesto (teso a dare sollecita ed effettiva attuazione
alla direttiva n. 85/337/CEE) delle richiamate normative regionali in
tema  di  regolamentazione  della  disciplina  della  valutazione  di
impatto ambientale e della attivita' di cava. 
    In particolare, come detto, le proroghe di cui ai  commi  1  e  2
dell'articolo 5 della legge reg. n. 7 del 2012 (cosi' come la proroga
di cui all'art. 4, comma 1, della legge reg. n. 9 del 2010) risultano
espressamente   ed   esclusivamente   riferite   (non    gia'    alle
autorizzazioni rilasciate sotto il vigore della legge reg. n. 28  del
1980,  senza  il  rispetto  della  normativa   relativa   alla   VIA,
disciplinate dalla specifica normativa di cui all'art. 19,  comma  6,
della legge reg. n. 2 del 2000, in alcun modo richiamata, neppure per
implicito, dalle disposizioni oggetto di impugnazione),  bensi'  alle
autorizzazioni disciplinate dall'art. 8 della legge  reg.  n.  2  del
2000, per le quali la legge vuole che sia  stata  gia'  espletata  la
procedura, con esito positivo, di valutazione di  impatto  ambientale
(ovvero la verifica di  assoggettabilita'),  anch'essa  espressamente
prevista (dall'art. 7, comma 5), quale condizione per la  definizione
del procedimento per l'approvazione del relativo progetto. 
    4.5.- D'altronde, va ritenuta in se' non  censurabile  la  scelta
del legislatore regionale (in una materia di competenza residuale) di
disporre una mera posticipazione  della  durata  dell'autorizzazione,
per un tempo che deve ritenersi non incongruo  ove  commisurato  alle
contingenti  reali  esigenze  degli   operatori   del   settore,   in
considerazione della «crisi economica congiunturale che ha portato  a
drastiche riduzioni nella produzione di materiali  considerato  anche
l'attuale periodo di contrazione del mercato» (come  evidenziato  nei
lavori preparatori). 
    Questa si configura quale scelta che  non  contrasta  con  quanto
disposto dall'art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, ne' con i
principi della direttiva n. 85/337/CEE. 
    Rilevato, infatti che (per espressa previsione) i termini di  cui
al richiamato comma 6 dell'art. 26 si applicano solo ai  procedimenti
avviati successivamente alla data di entrata in  vigore  del  decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni  correttive
ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale), va comunque sottolineato che tale norma
- nel porre la regola della realizzazione  entro  cinque  anni  dalla
pubblicazione   del   provvedimento   di   valutazione   dell'impatto
ambientale dei progetti sottoposti alla fase di valutazione -  tiene,
pur sempre, conto delle "caratteristiche del progetto" perche'  possa
stabilirsi un periodo piu'  lungo,  prevedendo  contestualmente  che,
solo trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza  del
proponente,  dall'autorita'  che  ha  emanato  il  provvedimento,  la
procedura  di  valutazione  dell'impatto  ambientale   debba   essere
reiterata. 
    Non si tratta, quindi, ne' di  una  proroga  automatica  atta  ad
eludere l'osservanza nell'esercizio della  attivita'  di  cava  della
normativa di VIA (come nel caso della sentenza n. 67 del  2010),  ne'
di un rinnovo, anch'esso  non  autorizzabile,  in  virtu'  di  quanto
disposto  dalla  legislazione  regionale  vigente,  se   non   previa
riedizione del procedimento di VIA (v. in tal senso, sentenza n.  114
del  2012),  ma  di  un  mero  allungamento  dei   termini   per   il
completamento delle attivita' gia' autorizzate. 
    4.6.-  Tale  assetto  normativo  risulta  dunque  rispondente  ai
livelli di tutela ambientale perseguita dal d.lgs. n. 152  del  2006,
in coerenza con la salvaguardia dello "effetto utile" (sentenza n. 67
del 2010) perseguito dalla direttiva comunitaria n. 85/337/CE (di cui
la normativa statale  costituisce  attuazione),  e  quindi  le  norme
censurate non vulnerano nessuno dei parametri evocati dal ricorrente.