ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 6, comma 1, lettera b), della legge della Regione Molise 13 novembre 2012, n. 25 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea - Istituzione del ruolo dei conducenti di veicoli o natanti di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 15-22 gennaio 2013, depositato in cancelleria il 17 gennaio 2013 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2013. Udito nell'udienza pubblica del 22 ottobre 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi; udito l'avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato, a mezzo del servizio postale, il 15-22 gennaio 2013 e depositato il 17 gennaio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 6, comma 1, lettera b), della legge della Regione Molise 13 novembre 2012, n. 25 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea - Istituzione del ruolo dei conducenti di veicoli o natanti di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21). La difesa dello Stato rileva che - tra gli altri requisiti richiesti per l'iscrizione all'istituito ruolo provinciale dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, gia' previsto dall'art. 6 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea) - la disposizione impugnata, alla lettera b), prevede che i soggetti che aspirino all'iscrizione debbano «essere residenti in un comune compreso nel territorio della Regione da almeno un anno ed avere la sede legale dell'impresa nel territorio regionale». Secondo il ricorrente, tale previsione costituisce una illegittima misura restrittiva della liberta' di stabilimento, in quanto determina una discriminazione "indiretta" dei cittadini dell'Unione europea, cosi' come dei cittadini italiani residenti in altre Regioni, ed ha l'effetto di favorire i cittadini della Regione Molise, i quali verosimilmente dispongono piu' facilmente del requisito. La norma, dunque, violerebbe l'articolo 117, primo comma, della Costituzione - che impone nell'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni il rispetto, tra l'altro, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario - per contrasto con l'art. 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che vieta le restrizioni (se non alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini) alla liberta' di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, ed estende tale divieto anche alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. Il ricorrente deduce come sia evidente l'ostacolo alla liberta' di stabilimento posto dalla norma censurata, ove si consideri che il cittadino europeo che si trasferisca nella Regione Molise dovrebbe attendere almeno un anno per poter esercitare legittimamente l'attivita' economica in questione, e come la circostanza che la sede dell'impresa debba essere nel territorio regionale si ponga anch'essa in insanabile contrasto con l'ordinamento comunitario. Considerato in diritto 1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'articolo 6, comma 1, lettera b), della legge della Regione Molise 13 novembre 2012, n. 25 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea - Istituzione del ruolo dei conducenti di veicoli o natanti di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21). La disposizione censurata - tra gli altri requisiti richiesti per l'iscrizione all'istituito ruolo provinciale dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea - prevede, alla lettera b), che i soggetti che aspirino all'iscrizione medesima debbano «essere residenti in un comune compreso nel territorio della Regione da almeno un anno ed avere la sede legale dell'impresa nel territorio regionale». Secondo il ricorrente, la norma si pone in contrasto con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione, per violazione dell'art. 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che vieta restrizioni (se non alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini) alla liberta' di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, ed estende tale divieto anche alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. Per il Governo, infatti, la previsione censurata limita la liberta' di stabilimento, determinando una discriminazione "indiretta" dei cittadini dell'Unione europea, cosi' come dei cittadini italiani residenti in altre Regioni, con l'effetto di favorire i cittadini della Regione Molise, i quali verosimilmente dispongono piu' facilmente del requisito. 2.- La questione e' fondata. 2.1.- La legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea) - definiti gli autoservizi pubblici non di linea come «quelli che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta» (art. 1, comma 1) -, stabilisce che «Costituiscono autoservizi pubblici non di linea: «a) il servizio di taxi con autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale; b) il servizio di noleggio con conducente e autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale» (art. 1, comma 2). Cio' specificato, l'art. 6 della medesima legge prevede, in particolare, che «Presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e' istituito il ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea» (comma 1); che «Il ruolo e' istituito dalle regioni entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Entro lo stesso termine le regioni costituiscono le commissioni di cui al comma 3 e definiscono i criteri per l'ammissione nel ruolo» (comma 4); e che «L'iscrizione nel ruolo costituisce requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l'esercizio del servizio di taxi e dell'autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente» (comma 5). In espressa attuazione di tali disposizioni statali, la Regione Molise ha emanato la legge reg. n. 25 del 2012, con la quale - istituito «il "ruolo provinciale dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea" presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» (art. 4, comma 1); e ribadito che «L'iscrizione nel ruolo costituisce requisito indispensabile per il rilascio delle licenze e delle autorizzazioni finalizzate all'esercizio di attivita' di servizio pubblico di trasporto non di linea di cui all'articolo 1 della legge n. 21/1992» (art. 4, comma 5) - individua e regolamenta i requisiti per detta iscrizione (art. 6). E, proprio in riferimento ad essi, la norma censurata prevede che «I soggetti che intendono iscriversi nel ruolo di cui all'articolo 4 devono essere in possesso dei seguenti requisiti: [...] b) essere residenti in un comune compreso nel territorio della Regione da almeno un anno ed avere la sede legale dell'impresa nel territorio regionale». 2.2.- Sulla scorta della giurisprudenza costituzionale in materia, risulta evidente che la previsione della necessita' - al fine di ottenere l'iscrizione del richiedente in un ruolo che costituisce, a sua volta, requisito indispensabile per il rilascio dei titoli per l'esercizio della specifica attivita' (art. 4, comma 5, citato) - della residenza (per di piu') protratta per un anno (ovvero dell'ubicazione della sede legale) nel territorio regionale determina una palese discriminazione tra soggetti o imprese, operata sulla base di un mero elemento di localizzazione. Tale elemento non trova, in se', alcuna ragionevole giustificazione in rapporto alla esigenza (chiaramente desumibile dalla natura degli altri numerosi requisiti richiesti, dal medesimo art. 6, per l'iscrizione) di garantire e comprovare, anche a tutela dell'utenza, le specifiche idoneita' tecniche e le attitudini morali del soggetto al corretto futuro svolgimento dell'attivita' in questione. Sicche', la previsione impugnata si traduce in una limitazione al libero ingresso di lavoratori o imprese nel bacino lavorativo regionale, in danno dei cittadini dell'Unione europea, nonche' dei cittadini italiani residenti in altre Regioni. Questa Corte (con riferimento a discriminazioni tra imprese sulla base di un mero elemento di localizzazione territoriale) ha ripetutamente sancito «il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonche', in base ai principi comunitari sulla liberta' di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell'Unione europea)» (sentenze n. 124 del 2010 e n. 391 del 2008). Appare indiscutibile come siffatte considerazioni possano ben estendersi al caso in cui (come nella specie) la misura protezionistica venga ad incidere sulla liberta' di stabilimento, cosi' vulnerando l'evocato parametro costituzionale, che impone l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni nel rispetto, tra l'altro, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Tra i quali - trattandosi di servizi nel settore trasporti che non rientrano nell'ambito di applicazione del Titolo V del Trattato CE, essendo quindi soggetti alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2, alinea e lettera d) della medesima direttiva - e' espressamente previsto il divieto di subordinare «l'accesso ad una attivita' di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto dei requisiti seguenti: 1) requisiti discriminatori fondati direttamente o indirettamente sulla cittadinanza o, per quanto riguarda le societa', sull'ubicazione della sede legale, in particolare: [...] b) il requisito della residenza sul loro territorio per il prestatore, il suo personale, i detentori di capitale sociale o i membri degli organi di direzione e vigilanza» (art. 14, alinea e numero 1, lettera b, della citata direttiva n. 2006/123/CE). Risulta palese, dunque, che la previsione impugnata determina un'ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato degli autoservizi pubblici non di linea e favorisce (per tale sola loro condizione) quei richiedenti gia' da tempo localizzati nel territorio regionale, con cio' violando anche il principio di parita' di trattamento (id est, di non discriminazione: sentenze n. 339 e n. 213 del 2011), sotteso alla previsione dell'art. 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in tema di liberta' di stabilimento (sentenze n. 340 e n. 180 del 2010). La conformazione della quale e', altresi', delineata nel punto 65 del Considerando della menzionata direttiva n. 2006/123/CE, secondo cui - poiche' «la liberta' di stabilimento e' basata, in particolare, sul principio della parita' di trattamento che non soltanto comporta il divieto di ogni forma di discriminazione fondata sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione indiretta basata su criteri diversi ma tali da portare di fatto allo stesso risultato» - «L'accesso ad un'attivita' di servizi o il suo esercizio in uno Stato membro, a titolo principale come a titolo secondario, non dovrebbero quindi essere subordinati a criteri quali il luogo di stabilimento, di residenza, di domicilio o di prestazione principale dell'attivita'». 2.3.- La norma impugnata, pertanto, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.