ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  10,
comma 5, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni  urgenti
in  materia  di  semplificazioni  tributarie,  di  efficientamento  e
potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  26  aprile  2012,  n.  44,  promossi  dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con  cinque  sentenze
del 30 gennaio 2013, con una sentenza  del  5  febbraio  2013  e  con
undici sentenze ed un'ordinanza del 30 gennaio 2013,  rispettivamente
iscritte ai nn. 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95,  96,  97,
98, 99, 100, 101 e 102 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  19  e  20,  prima  serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione della s.a.s. Il Bagatto di Valiani
Alessandro & C., dell'Agenzia Ippica Monza  s.r.l.  ed  altri,  della
SNAI  s.p.a.  ed  altra,  dell'Agenzia  Ippica  Mosti  s.n.c.,  della
Societa' Bingo ed  altri,  della  Sisal  Match  Point  s.p.a.,  della
Cogetech s.p.a. ed altra, della Beach Bet s.r.l.  ed  altri,  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 2013 e nella camera di
consiglio del 9 ottobre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni  per  l'Agenzia  Ippica  Monza
s.r.l. ed altri, per la SNAI s.p.a. ed altra e per la Agenzia  Ippica
Mosti s.n.c., Annalisa Lauteri e Luigi Medugno  per  la  Sisal  Match
Point s.p.a., Filippo Lattanzi per la Cogetech s.p.a. ed altra e  per
la Beach Bet s.r.l. ed altri, Raffaele Bifulco per la Societa'  Bingo
ed  altri,  Paolo  Mazzoli  per  la  s.a.s.  Il  Bagatto  di  Valiani
Alessandro & C. e l'avvocato  dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza del  30  gennaio  2013,  iscritta  al  n.  85  del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge
2  marzo  2012,  n.  16   (Disposizioni   urgenti   in   materia   di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento  delle
procedure di  accertamento),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 26 aprile 2012, n. 44. 
    1.1.- Il rimettente premette che le ricorrenti, societa' titolari
di concessioni per la raccolta di scommesse  ippiche,  ai  sensi  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  8  aprile  1998,  n.  169
(Regolamento  recante  norme  per  il   riordino   della   disciplina
organizzativa, funzionale e fiscale  dei  giochi  e  delle  scommesse
relativi alle corse dei cavalli, nonche' per il riparto dei proventi,
ai sensi dell'art. 3, comma 78, della  legge  23  dicembre  1996,  n.
662), avevano agito  in  giudizio  per  ottenere  l'annullamento  dei
provvedimenti con cui  l'Amministrazione  autonoma  dei  monopoli  di
Stato   (di   seguito   AAMS)   aveva   richiesto    il    versamento
dell'integrazione dei cosiddetti minimi garantiti per  gli  anni  dal
2006 al 2010, lamentandone l'illegittimita' -  oltre  che  per  altri
motivi - per violazione e falsa applicazione dell'art. 38,  comma  4,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,  nonche'  dell'art.
1-bis, del decreto-legge 25  settembre  2008,  n.  149  (Disposizioni
urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di  giochi),
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2008, n. 184. 
    1.1.1.- Prosegue il Tribunale rimettente,  evidenziando  che  nel
giudizio a  quo  le  ricorrenti  avevano  riferito  che:  a)  secondo
ciascuna convenzione di concessione il  concessionario  e'  tenuto  a
versare all'Unione nazionale incremento razze equine  (UNIRE)  -  poi
Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) - una quota annuale
della raccolta ex art. 12 del d.P.R. n. 169 del 1998, fermo  restando
che,  qualora  essa  non  raggiunga  la  soglia  annuale  dovuta,  il
concessionario  e'  tenuto,  ai  sensi  dell'art.  4  della  predetta
convenzione,  ad  integrare  i  versamenti  fino  a  raggiungere   il
cosiddetto minimo garantito annuo, determinato ai sensi  del  decreto
interdirigenziale del 10 ottobre 2003;  b)  con  il  decreto-legge  4
luglio 2006, n. 223 il  legislatore  aveva  previsto  l'indizione  di
bandi di gara per l'assegnazione di un considerevole numero di  nuove
concessioni per la raccolta del gioco pubblico, sia  su  base  ippica
che sportiva, e cio' aveva determinato la saturazione del mercato  ed
una drastica riduzione degli incassi dei concessionari ricorrenti; c)
anche in ragione di quanto precede, l'AAMS, con comunicazione del  28
giugno 2007, aveva sospeso il  pagamento  dei  minimi  garantiti  per
l'anno 2006; d) con  provvedimenti  emessi  nel  2009,  aveva  quindi
richiesto alle societa' ricorrenti il pagamento dei minimi  garantiti
per l'anno 2008; e) tali provvedimenti erano stati impugnati  innanzi
al Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,  che,  con  la
sentenza n. 7469 del 2009, aveva accolto il ricorso, evidenziando  in
motivazione che i provvedimenti di riscossione delle somme  dovute  a
titolo di minimi garantiti non avrebbero potuto essere adottati prima
della definizione delle cosiddette misure  di  salvaguardia  previste
dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223 del 2006;
f) stessa sorte era toccata ai provvedimenti  con  cui  l'AAMS  aveva
richiesto i minimi garantiti per  l'anno  2009;  g)  nonostante  tali
precedenti  arresti  giurisprudenziali,  l'amministrazione,   con   i
provvedimenti impugnati con il ricorso principale, aveva richiesto il
versamento dei minimi garantiti per gli esercizi dal  2006  al  2010,
dando  atto  in  parte  motiva  dell'avvenuta  convocazione  di   una
conferenza di servizi  con  il  Ministero  delle  politiche  agricole
alimentari e forestali finalizzata alla individuazione delle  "misure
di salvaguardia", e del fatto che, all'esito di tale  conferenza,  si
era ritenuto non possibile procedere a tale individuazione. 
    1.1.2.- Riferisce ancora il giudice  a  quo  che,  con  ordinanza
cautelare resa in  corso  di  causa,  aveva  accolto  la  domanda  di
sospensione  degli  atti  impugnati,  poiche'  l'Amministrazione  era
ancora inadempiente all'obbligo di adozione delle  citate  misure  di
salvaguardia. 
    1.1.3.- Le ricorrenti proponevano, quindi,  motivi  aggiunti  per
contestare la tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo la quale
nella sentenza della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  16
febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e  C-77/10,  Costa-Cifone,
sarebbero state trattate tematiche connesse all'adozione delle misure
di salvaguardia ed evidenziavano, per contro, che ivi  sarebbe  stato
messo in luce come la rete del gioco  lecito  fosse  stata  di  fatto
penalizzata dall'esistenza di altra rete illecita e parallela. 
    1.1.4.- Soggiunge il remittente che, nelle more della definizione
del giudizio, era sopravvenuto il citato art. 10,  comma  5,  e  che,
sulla  scorta  del  mutato  quadro  normativo,  l'AAMS,  preso   atto
dell'eliminazione delle misure di salvaguardia, aveva notificato alle
ricorrenti nuove richieste di pagamento delle somme dovute  a  titolo
di minimi garantiti, ricalcolate con una riduzione equitativa  del  5
per cento. 
    1.1.5.- Tali richieste erano state quindi impugnate con ulteriori
motivi aggiunti volti a fare valere  la  loro  illegittimita'  per  i
motivi gia' spiegati con il ricorso principale, nonche' per  asserita
violazione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16  del  2012,
in quanto tale disposizione non avrebbe efficacia retroattiva ma solo
pro futuro e richiederebbe, comunque, un'attivita' non  autoritativa,
ma negoziata  con  le  parti  interessate;  in  via  subordinata,  le
ricorrenti avevano  sollecitato  la  rimessione  della  questione  di
costituzionalita'  della  disposizione  sopravvenuta  per  violazione
degli artt. 3, secondo comma, 41, primo comma, 103, primo comma, 108,
secondo comma, 111, primo comma, e 113, commi primo e terzo Cost. 
    1.1.6.- L'AMMS, prosegue il  rimettente,  si  era  costituita  in
giudizio, eccependo che la  norma  sopravvenuta  non  sarebbe  lesiva
degli interessi delle  ricorrenti,  perche',  anzi,  risolverebbe  la
materia controversa, stabilendo  una  misura  economica  delle  somme
dovute e non versate, e abrogando la disposizione fonte delle  misure
di salvaguardia, in linea  con  i  principi  enunciati  nella  citata
sentenza della Corte di giustizia Costa-Cifone del 16 febbraio 2012. 
    1.1.7.- Dopo avere cosi' ricostruito i fatti  di  causa,  il  TAR
Lazio osserva, in punto di rilevanza, che il piu' volte  citato  art.
10,  comma  5,  nella  misura  in  cui  impone  alle  amministrazioni
interessate «un vero e proprio obbligo di procedere alla definizione,
anche   in   via    transattiva,    delle    controversie    relative
all'integrazione  dei  c.d.   minimi   garantiti»,   ha   determinato
l'inefficacia delle precedenti richieste di pagamento  impugnate  con
il ricorso principale e i primi motivi aggiunti, sicche' essi  devono
essere  dichiarati  improcedibili   per   sopravvenuta   carenza   di
interesse. 
    Quanto ai provvedimenti impugnati con i secondi  motivi  aggiunti
ed adottati dall'amministrazione in forza del predetto art. 10, comma
5, osserva il  rimettente  che  tale  disposizione  non  puo'  essere
interpretata nel  senso,  proposto  dalle  societa'  ricorrenti,  che
disponga solo per il futuro e, quindi, non debba trovare applicazione
nei giudizi pendenti. 
    Il TAR, in altri termini, «condivide la tesi (su cui  si  fondano
le richieste di pagamento formulate dall'AAMS, secondo la quale  -  a
fronte della mancata definizione in via amministrativa  delle  misure
di salvaguardia previste dall'art.  38,  comma  4,  lettera  l),  del
decreto-legge n. 223 del 2006 e delle numerose controversie insorte a
seguito delle richieste di pagamento dei minimi  garantiti  formulate
dall'AAMS all'inizio del 2012 nonostante la  mancata  definizione  in
via  amministrativa  delle  predette  misure  di  salvaguardia  -  il
legislatore  e'  intervenuto  con  una  legge   provvedimento   [...]
destinata ad  incidere  sulle  controversie  pendenti,  abrogando  il
meccanismo di salvaguardia previsto dall'art. 38,  comma  4,  lettera
l), del decreto-legge n. 223 del 2006 e sostituendo  tale  meccanismo
con  un  diverso  meccanismo,  costituito   essenzialmente   da   una
riduzione, predeterminata per legge in misura non superiore al 5  per
cento, delle somme ancora dovute dai concessionari a titolo di minimi
garantiti». 
    1.2.- Il giudice rimettente, quindi, passa ad illustrare i  dubbi
di costituzionalita' della disposizione impugnata. 
    Rammenta, in primo luogo, come la  giurisprudenza  costituzionale
ed amministrativa sia ormai consolidata, in punto  di  compatibilita'
costituzionale delle anzidette leggi-provvedimento, nel ritenere che:
a) esse sono astrattamente  legittime,  non  sussistendo  nel  nostro
ordinamento una riserva di amministrazione; b) i  diritti  di  difesa
del soggetto leso non vengono «ablati»,  ma  si  trasferiscono  dalla
giurisdizione amministrativa a quella costituzionale, per il  tramite
del sindacato sulla ragionevolezza; c) se e' vero, fermo restando  il
limite invalicabile del giudicato, che la mera presenza di un ricorso
giurisdizionale    non    impedisce     l'approvazione     di     una
legge-provvedimento,  e'  anche  vero,  pero',  che   l'eventuale   e
comprovata esclusiva finalizzazione  della  legge  alla  «sottrazione
dell'oggetto del sindacato giurisdizionale» costituirebbe  un  indice
sintomatico della sua irragionevolezza. 
    Alla   luce   di   tali   considerazioni   e   della   precedente
giurisprudenza dello stesso TAR Lazio in punto  di  necessita'  della
previa adozione delle  misure  di  salvaguardia  per  l'esazione  dei
minimi garantiti, al  rimettente  la  disposizione  impugnata  appare
illogica ed irrazionale, quindi in  contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  perche'  il  legislatore   avrebbe
apprestato  uno  strumento  evidentemente   inadeguato   a   tutelare
l'equilibrio economico dei concessionari storici. 
    Tale inadeguatezza si apprezzerebbe ancora di  piu'  considerando
«il  mutato  assetto  del  mercato  delle  scommesse  ippiche»  e  la
«riconfigurazione dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta
di gioco, come ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38  del
decreto-legge n. 223 del 2006,  che  ha  determinato  l'apertura  del
mercato dei giochi pubblici  e  l'attivazione  di  nuove  concessioni
secondo una diffusione capillare sul territorio e con piu' favorevoli
condizioni di esercizio e di redditivita'», nonche' «gli effetti  del
"mercato parallelo" gestito dai centri trasmissione dati (CTD), ossia
gli effetti della presenza nel mercato italiano  delle  scommesse  di
operatori economici di altri stati membri che agiscono  attraverso  i
predetti CTD, in assenza di concessione [...]». 
    In secondo luogo,  la  disposizione  sopravvenuta  avrebbe  quale
unico scopo  quello  di  sottrarre  al  sindacato  giurisdizionale  i
provvedimenti dell'AAMS impugnati con  i  ricorsi  principali,  cosi'
vanificando il diritto alla tutela giurisdizionale dei  concessionari
storici. 
    1.3.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata. 
    1.3.1.- Osserva l'interveniente che la  disposizione  oggetto  di
sindacato  di  costituzionalita'  va  vista  nell'ottica  complessiva
dell'evoluzione normativa che ha caratterizzato il settore  economico
delle scommesse ippiche; che, in  particolare,  in  base  all'art.  2
della legge 24 marzo 1942, n. 315 (Provvedimenti per la  ippicoltura)
e successivamente a norma dell'art.  6  del  decreto  legislativo  14
aprile 1948, n.  496  (Disciplina  delle  attivita'  di  giuoco),  la
gestione dei giochi e delle scommesse sulle corse dei cavalli e sugli
eventi sportivi  era  riservata,  rispettivamente,  all'UNIRE  ed  al
Comitato  olimpico  nazionale  italiano  (CONI),  i  quali   potevano
scegliere tra la gestione diretta  o  l'affidamento  a  terzi  e  che
l'UNIRE aveva affidato la gestione alle agenzie  ippiche,  rinnovando
le concessioni in capo ai titolari per un periodo di  oltre  sessanta
anni; che, come ridisciplinate dal d.P.R. n. 169 del 1998,  le  nuove
concessioni erano state messe a concorso ed aggiudicate per sei  anni
a partire dal  gennaio  2000,  mentre  le  restanti  329  concessioni
"storiche", con decreto ministeriale  del  21  dicembre  1999,  erano
state rinnovate, a domanda degli  interessati,  fino  al  1°  gennaio
2006. 
    Rammenta,  poi,  la  difesa  dello  Stato  che,  a   seguito   di
difficolta' economiche emerse nel settore di  riferimento,  l'art.  8
del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452 (Disposizioni  urgenti  in
tema di accise, di gasolio per autotrazione, di  smaltimento  di  oli
usati, di  giochi  e  scommesse,  nonche'  sui  rimborsi  IVA,  sulla
pubblicita' effettuata con veicoli, sulle contabilita' speciali,  sui
generi di monopolio,  sul  trasferimento  di  beni  demaniali,  sulla
giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale  della
riscossione dei tributi e su contributi  ad  enti  ed  associazioni),
convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002,  n.  16,
aveva attribuito all'amministrazione  il  compito  di  ridefinire  le
condizioni  economiche  delle  concessioni  in  parola  e   che,   in
attuazione di tale  disposizione,  con  decreti  ministeriali  del  6
giugno e del 2  agosto  2002  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze-AAMS e del Ministero delle politiche agricole e forestali, si
era provveduto in tal senso. 
    Ulteriori modalita' di versamento dei corrispettivi  erano  state
poi stabilite dall'art. 8, del decreto-legge 24 giugno 2003,  n.  147
(Proroga  di   termini   e   disposizioni   urgenti   ordinamentali),
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 200,  e
con il decreto interdirigenziale del 10 ottobre 2003. 
    L'UNIRE aveva quindi provveduto a  concedere  una  proroga  delle
concessioni storiche fino al 31 dicembre 2011, mentre nel  corso  del
2005  quelle  assegnate  con  gara  pubblica  nel  1999  erano  state
rinnovate, sulla base di appositi decreti ministeriali,  fino  al  30
giugno 2012. 
    Nel corso del 2006, in sede di rinnovi dei  rapporti  concessori,
era stata sottoscritta una nuova convenzione, approvata  con  decreto
direttoriale AAMS del 12 maggio 2006, che, all'art. 4,  teneva  conto
delle novita' normative intervenute in materia di determinazione  del
minimo garantito. 
    Rammenta, ancora, la difesa statale che nel 2001  la  Commissione
delle  Comunita'  europee  aveva  dato  avvio  ad  una  procedura  di
infrazione ex art. 226 del Trattato UE, contestando  alla  Repubblica
italiana   la    non    conformita'    all'ordinamento    comunitario
dell'affidamento senza gara delle 329 concessioni storiche, rinnovate
a norma dell'art. 25 del d.P.R. n. 169 del 1998, procedura che si era
conclusa con la sentenza della Corte di giustizia, 13 settembre 2007,
in causa C-260/04, Cattabriga, con cui l'Italia era stata  condannata
per violazione degli artt. 43 e  seguenti  del  Trattato  CE,  avendo
provveduto ad assegnare le concessioni in questione senza gara e  non
avendo garantito un adeguato livello di pubblicita'. 
    Con  il  decreto-legge  n.  223  del   2006,   poi,   era   stato
liberalizzato  il  mercato  delle  scommesse,  con  l'attuazione   di
procedure  concorsuali  di   rilievo   comunitario   conclusesi   con
l'affidamento, anche ad operatori stranieri, di 158 nuove concessioni
ippiche e sportive, con scadenza 30 giugno 2016,  per  un  totale  di
circa 14.000 punti aggiuntivi di raccolta. 
    Alla citata sentenza di condanna del 13 settembre 2007 ci si  era
conformati dapprima con l'art.  4-bis  del  decreto-legge,  8  aprile
2008, n.  59  (Disposizioni  urgenti  per  l'attuazione  di  obblighi
comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia  delle
Comunita' europee), convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  6
giugno 2008, n. 101, e poi con  l'art.  1-bis  del  decreto-legge  25
settembre  2008,  n.  149  (Disposizioni   urgenti   per   assicurare
adempimenti  comunitari  in  materia  di  giochi),  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 19 novembre 2008,  n.  184;  disposizioni,
queste, che avevano  previsto  l'attribuzione  tramite  procedura  ad
evidenza pubblica di 3.000 negozi di gioco su base ippica. La gara si
era conclusa con l'affidamento di piu' di 800 negozi ippici  fino  al
30  giugno  2016  ed  alla  procedura  avevano  partecipato   diversi
concessionari  storici  e  rinnovati,  aderendo  cosi'   alle   nuove
disposizioni e al  nuovo  disciplinare  di  concessione,  recanti  un
diverso  sistema  di  oneri  economici  con  abbandono   dei   minimi
garantiti. 
    Osserva ancora la difesa dello Stato che il  punto  nodale  della
questione odierna  sta  nel  fatto  che  la  riforma  realizzata  dal
decreto-legge  n.  223  del  2006  aveva  rinviato  a   provvedimenti
attuativi,  che,  tra  l'altro,  avrebbero  dovuto  provvedere   alla
«definizione delle modalita' di salvaguardia dei concessionari  delle
raccolte di scommesse ippiche disciplinate dal regolamento di cui  al
d.P.R.  n.  169  del  1998»:  in  altri  termini,  «era  previsto  un
meccanismo tendente ad un complessivo riequilibrio  delle  condizioni
di esercizio delle concessioni antecedenti, a fronte  dell'incremento
dell'offerta di gare sul canale dell'ippica nazionale introdotto  con
la citata riforma». 
    Sul piano sovranazionale, ancora,  la  sentenza  della  Corte  di
giustizia, 6 marzo 2007, grande sezione, in causa C-338/04,  C-359/04
e C-360/04, Placanica,  aveva  affermato  l'incompatibilita'  con  il
diritto  comunitario  della  normativa  italiana,  che  «impone   una
sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause  principali
per  avere  esercitato  un'attivita'  organizzata  di   raccolta   di
scommesse in  assenza  della  concessione  o  dell'autorizzazione  di
polizia  richieste  dalla  normativa  nazionale,   allorche'   questi
soggetti  non  hanno  potuto  ottenere  le   dette   concessioni   od
autorizzazioni  a  causa  del  rifiuto  di  tale  Stato  membro,   in
violazione del diritto comunitario del diritto di  concederle  loro»:
di qui una nuova totale apertura del mercato delle scommesse ippiche,
cui in precedenza non era pervenuta nemmeno la  liberalizzazione  del
decreto-legge n. 223 del 2006. 
    Decisiva, tuttavia, in questa complessa vicenda sarebbe,  secondo
il Presidente del Consiglio, la sentenza della Corte di giustizia, 16
febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e  C-77/10,  Costa-Cifone,
che, in un'ottica  di  completa  rilettura  del  sistema  concessorio
vigente in Italia in materia di giochi, precluderebbe ogni  ulteriore
vantaggio ai concessionari storici. 
    1.3.2.- Cosi'  ricapitolata  l'intera  evoluzione  normativa  del
settore,  l'Avvocatura  generale  osserva,  in   primo   luogo,   che
l'abrogazione della norma che prevedeva  le  misure  di  salvaguardia
avrebbe effetto solo per il periodo successivo all'entrata in  vigore
della legge: di qui la sua irrilevanza nei giudizi in corso. 
    In ogni caso la  ratio  dell'intervento  normativo  starebbe  nel
fatto che «il debito a titolo di integrazione delle quote di prelievo
[...] possa essere compensato con  eventuali  crediti  derivanti  dai
lodi arbitrali attivati da un gran numero di concessionari ippici». 
    Infine, alla luce della  citata  sentenza  Costa-Cifone,  l'unica
misura di salvaguardia applicabile secondo il diritto europeo sarebbe
proprio la riduzione,  in  sede  transattiva,  degli  importi  ancora
dovuti dai concessionari a titolo di quote di prelievo. 
    2.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenze n. 1050 e n.  1052  del  30  gennaio  2013,  rispettivamente
iscritte al n. 86 ed  al  n.  89  del  registro  ordinanze  2013,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma,  103,  primo
comma,  e  113  Cost.,  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    2.1.- Dopo avere riferito i fatti di  causa,  il  giudice  a  quo
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproducendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  85  del  registro
ordinanze 2013. 
    2.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata ed  in  particolare
illustrando  eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    3.- Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Lazio  con  le
sentenze n. 1057 e n.  1049  del  30  gennaio  2013,  rispettivamente
iscritte ai n. 87 ed  al  n.  95  del  registro  ordinanze  2013,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma,  103,  primo
comma,  e  113  Cost.,  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    3.1.- Dopo  avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della  questione  di  costituzionalita',  prospettando  le   medesime
motivazioni dell'analogo atto di rimessione iscritto  al  n.  85  del
registro ordinanze 2013. 
    Il TAR Lazio, tuttavia, nella parte motiva della sentenza (e  non
in quella dispositiva) evoca gli  ulteriori  parametri  di  cui  agli
artt. 97, 111 e 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in
avanti: «CEDU»),  nella  misura  in  cui  la  disposizione  censurata
inciderebbe sul giusto processo, privando i concessionari del diritto
di agire in giudizio «per tutelare il proprio equilibrio economico  a
fronte del mutato assetto delle scommesse» ed eliminando il sindacato
giurisdizionale sulla mancata adozione delle misure di salvaguardia. 
    3.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    4.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1051 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 88 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito  di  un  ricorso  proposto  da  una  societa'  titolare  di
concessione per la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del  d.P.R.
n. 169 del 1998 e volto ad ottenere l'annullamento dei  provvedimenti
con cui l'AMMS aveva richiesto il  versamento  dell'integrazione  dei
minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010. 
    4.1.- Dopo avere riferito i fatti di  causa,  il  giudice  a  quo
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  85  del  registro
ordinanze 2013. 
    4.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    4.3.- Si e' costituita anche la  s.a.s.  Il  Bagatto  di  Valiani
Alessandro  &  C.,  ricorrente  nel  giudizio  principale,  con  atto
depositato nella cancelleria di questa Corte il 22 maggio 2013. 
    4.4.- La societa' ha depositato in data  17  settembre  2013  una
memoria illustrativa per «evidenziare taluni elementi di  criticita'»
della disposizione scrutinata che spiegherebbe un diverso effetto sui
rapporti pendenti e pro futuro, in entrambi i casi  confliggendo  con
diversi parametri costituzionali. 
    Sottolinea la societa' come il regime dei minimi garantiti avesse
una  ragion  d'essere  nel  momento  storico  in  cui   l'ordinamento
consentiva esclusivamente la raccolta fisica del  gioco  nel  settore
dell'ippica e limitatamente a 899 concessionari, mentre l'apertura  a
nuovi operatori, alle scommesse sportive ed all'on  line,  unitamente
alla previsione per i nuovi  concessionari  di  oneri  meno  gravosi,
aveva condotto ad una trasformazione radicale del sistema  che  aveva
inciso profondamente sui flussi economici della raccolta: per  questo
motivo il legislatore del 2006 aveva  previsto  l'introduzione  delle
misure  di  salvaguardia,  che  avrebbero  dovuto   essere   adottate
dall'amministrazione  sulla  base  di  un'adeguata  ponderazione  del
mutato contesto, al dichiarato  fine  di  salvaguardare  l'equilibrio
economico dei concessionari storici. 
    Questa essendo la ratio  della  norma  abrogata,  e'  evidente  -
prosegue  la  societa'  concessionaria  -  l'irragionevolezza   della
disposizione abrogante, che,  prevedendo  un  meccanismo  rigido,  e'
completamente inidonea a scongiurare il collasso del  sistema  e  non
legifera pro futuro, con la conseguenza di  lasciare  inalterato  per
gli anni a venire il regime dei minimi garantiti. 
    La disciplina introdotta dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge
n. 16 del 2012,  inoltre,  inibirebbe  il  sindacato  giurisdizionale
sulla  mancata  adozione  delle  misure   di   salvaguardia   e   sui
provvedimenti  di  riscossione  dei  minimi  garantiti,  privando   i
concessionari delle garanzie costituzionali della difesa ed incidendo
sulla tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti  degli  atti
della pubblica amministrazione. 
    5.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1218 del 5 febbraio 2013, iscritta al n. 90 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2009. 
    5.1.- Dopo avere riferito i fatti di causa, il giudice a  quo  ha
quindi  illustrato  le  ragioni  della  rilevanza  e  non   manifesta
infondatezza della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le
motivazioni dell'analogo atto di rimessione iscritto  al  n.  85  del
registro ordinanze 2013. 
    5.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    5.3.- Si sono costituite 46 societa'  concessionarie,  ricorrenti
nel giudizio principale, con atto depositato nella cancelleria  della
Corte il 28 maggio 2013, evidenziando, in primis, come la materia del
contendere concerna  i  termini  di  esigibilita'  di  una  peculiare
componente  economica  del  sinallagma  concessorio:  i  c.d.  minimi
garantiti, cioe' l'obbligazione  di  versare  all'erario  un  importo
certo, predeterminato e comunque garantito nel minimo, salvi maggiori
esiti di redditivita' proporzionati  alla  massa  di  gioco  raccolto
dagli scommettitori. 
    5.3.1.- Osservano  le  societa'  come  il  minimo  garantito,  in
origine,  fosse  stato  predeterminato  in  maniera   sostanzialmente
indifferente rispetto al generale andamento della raccolta di  gioco,
costituendo una soglia di garanzia nei casi di  patologica  flessione
della  raccolta  imputabili  a  inadeguata  capacita'  operativa  del
singolo concessionario. 
    5.3.2.-   Il   mercato   di   settore   presupposto    da    tale
regolamentazione - proseguono le societa'  -  negli  ultimi  anni  e'
stato tuttavia sconvolto da un andamento decrescente della  raccolta,
in ragione, da un lato, degli  sviluppi  tecnologici  innovativi  che
hanno introdotto nuovi canali telematici di raccolta  e,  dall'altro,
dell'avvento di nuove forme di gioco. 
    Tale mutamento del mercato avrebbe «trasfigurato la natura stessa
del minimo  garantito,  dato  che  nessun  operatore  riesce  piu'  a
raggiungere  la  soglia  fisiologica  della  raccolta  e  il   minimo
garantito da essere una misura limite  di  correzione  di  sporadiche
situazioni  individuali  di  occasionale  criticita'   si   viene   a
configurare come una generalizzata pura fonte  di  prelievo  erariale
indifferente alla capacita' di raccolta». 
    5.3.3.-  Piu'  precisamente,  proseguono  le  concessionarie,   a
partire dal  2002  ed  alle  prime  avvisaglie  di  un  significativo
scostamento tra l'andamento del mercato  programmato  e  quello  meno
roseo riscontrato  nel  concreto,  era  stata  operata,  dal  decreto
interdirettoriale del 6 giugno  2002,  una  prima  ridefinizione  dei
criteri   di   computo   del   minimo   garantito   in   senso   piu'
«oggettivizzato»: l'importo  dovuto  era  parametrato  alla  raccolta
media provinciale. 
    La disciplina del corrispettivo della concessione era  stata  poi
modificata nel corso del 2006, quando vennero a  sovrapporsi,  da  un
lato,  il  rinnovo  delle  concessioni  aggiudicate   nel   2000   e,
dall'altro, l'entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006, di
riforma del mercato della raccolta di  giochi  pubblici,  comportante
l'apertura di diverse migliaia di nuovi  punti  vendita  diffusi  sul
territorio. 
    All'atto del rinnovo dei rapporti concessori instaurati nel  2000
e soltanto pochi mesi prima della  predetta  apertura  massiccia  del
mercato, i  concessionari  avevano  quindi  stipulato  appositi  atti
convenzionali integrativi, che, all'art. 4, comma 3,  prevedevano  un
nuovo meccanismo di commisurazione dei minimi garantiti, sganciandolo
dalla somma offerta in sede  di  gara  e  sancendo  la  regola  della
garanzia del prelievo dell'anno precedente, in modo  da  sterilizzare
per l'erario il crollo dei volumi  di  raccolta  registrato  anno  su
anno. 
    5.3.4.- Sottolineano ancora le societa' come l'effetto distorsivo
del minimo garantito sia conseguito non solo al crollo del mercato ma
anche e soprattutto alla  riconfigurazione  della  rete  distributiva
territoriale degli esercizi  pubblici  di  raccolta  ad  opera  della
riforma realizzata nel 2006: non solo si  e'  ridotto  il  volume  di
gioco  in  assoluto,  ma  e'  stato  frazionato  in   una   rete   di
concessionari che alle 800 agenzie preesistenti ha visto  aggiungersi
ulteriori 8.077 punti di vendita. 
    Proprio in ragione di  tale  mutamento  epocale  del  mercato  di
riferimento    il    legislatore     dell'epoca     aveva     imposto
all'amministrazione di riconsiderare la situazione dei  concessionari
preesistenti, adottando nei loro confronti specifiche  «modalita'  di
salvaguardia». 
    Lamentano le societa' concessionarie che tale precetto  normativo
in realta' non sia mai stato osservato dall'amministrazione,  il  cui
silenzio rispetto  all'obbligo  di  individuazione  delle  misure  di
salvaguardia aveva ingenerato un articolato  contenzioso  davanti  al
giudice amministrativo. 
    Il TAR Lazio, infatti,  sempre  secondo  le  parti  private,  era
intervenuto,  in  prima  battuta,  ad  annullare  le   richieste   di
integrazioni dei minimi garantiti per il 2006 ed il 2007;  poi  aveva
accolto i ricorsi  di  alcuni  concessionari  volti  all'accertamento
dell'obbligo della pubblica amministrazione di adottare le misure  di
salvaguardia ed alla conseguente condanna a provvedere; erano  quindi
seguite numerose altre pronunce di annullamento  delle  richieste  di
pagamento per gli anni 2008 e 2009, tutte incentrate sulla necessita'
della previa adozione delle misure di salvaguardia; l'ultimo capitolo
della vicenda era rappresentato  proprio  dai  ricorsi  proposti  dai
concessionari per ottenere l'annullamento delle  ulteriori  richieste
di pagamento per il quinquennio 2006-2011. 
    5.3.5.- Cio' premesso in punto di fatto e  di  ricostruzione  del
quadro normativo, le societa'  aderiscono  alle  considerazioni  gia'
svolte dal giudice rimettente in punto di rilevanza  della  questione
di costituzionalita', avendo la norma  impugnata  inciso  sulla  loro
pretesa,  giudizialmente  avanzata,  di  condizionare  il   richiesto
pagamento dei minimi garantiti alla previa  adozione  delle  predette
misure di salvaguardia. 
    5.3.6.- Nel merito le societa' concessionarie deducono  in  primo
luogo che, con l'art. 10, comma 5,  citato,  il  legislatore,  da  un
lato, ha violato il fondamentale limite  esterno  all'utilizzo  delle
leggi-provvedimento,  rappresentato  dall'incisione   su   situazioni
soggettive coperte da giudicato, dall'altro, ha sacrificato  il  loro
diritto ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva  (artt.  24,
111 e 113 Cost.), al contempo incidendo sulle prerogative di pieno  e
libero esercizio del potere  giurisdizionale  da  parte  del  giudice
amministrativo (artt. 101 e 103 Cost.). 
    La sostanziale vanificazione della  tutela  gia'  apprestata  dal
legislatore del 2006 con  le  misure  di  salvaguardia  sarebbe  resa
evidente  dalla   «concreta   sostanza   delle   misure   transattive
sopravvenute», ovverosia dall'esiguita' dello  «sconto»  fissato  dal
legislatore (peraltro con  una  palese  discriminazione  rispetto  ai
nuovi concessionari non tenuti al pagamento del minimo garantito). 
    La predetta esiguita' e  l'incongruenza  del  risultato  rispetto
agli obiettivi prefissati, poi,  da  un  lato,  sarebbero  misura  di
irragionevolezza  ed  irrazionalita'  della  norma,   in   violazione
dell'art. 3 Cost., dall'altro,  azzerando  i  margini  di  utile  dei
concessionari ed espellendoli dal  settore,  determinerebbero  minori
guadagni per l'amministrazione, con conseguente violazione anche  del
principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. 
    Il minimo garantito, non accompagnato da  ragionevoli  misure  di
salvaguardia, si configurerebbe, infine,  come  «un  generalizzato  e
diffuso obbligo dell'operatore a  versare  ingenti  somme  all'erario
[...] anche oltre la soglia di redditivita' della raccolta, e  quindi
come forma di prelievo forzoso del tutto sganciato dal benche' minimo
parametro di capacita' contributiva [...] »:  di  qui  la  violazione
anche degli artt. 53, 41 e 43 Cost. 
    Le societa' concessionarie, quindi, hanno concluso chiedendo alla
Corte  di  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
impugnata per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma, 41, 43, 53,
97,  103,  primo  comma,  111,  113  e  117,  primo   comma,   Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 della CEDU. 
    5.3.7.- Le societa' hanno depositato in data  16  settembre  2013
una  memoria  illustrativa,  ribadendo  le  deduzioni   gia'   svolte
nell'atto di intervento  ed  in  particolare  sottolineando  come  il
mutamento radicale dello scenario economico e normativo  del  mercato
delle scommesse abbia determinato  l'insostenibilita'  economica  dei
minimi garantiti sganciati dall'adozione di misure  di  salvaguardia,
finendo  con  «l'elidere  lo  stesso  margine   di   corrispettivita'
connaturata allo schema contrattuale di concessione». 
    6.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1065 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 91 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 97, 103, primo comma, 111, 113 e 117  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione  all'art.  6  della   CEDU,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    6.1.- Dopo avere riferito i fatti di causa, il TAR Lazio illustra
le  ragioni  della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della
questione   di   costituzionalita',   parzialmente   riportando    le
motivazioni dell'analogo atto di rimessione iscritto  al  n.  85  del
registro ordinanze 2013. 
    Con tale  atto  di  promovimento,  in  punto  di  ragionevolezza,
risulta altresi' dedotto che «la misura  stabilita  direttamente  dal
legislatore [...] appare del tutto slegata  dalla  realta'  fattuale,
tanto che nemmeno dagli atti parlamentari e' possibile  capire  quale
tipo di istruttoria sia stata compiuta». 
    Ne' appare al rimettente  che  la  necessita',  richiamata  dalla
difesa statale, di adeguarsi ai principi di parita' di trattamento  e
di tutela della concorrenza di matrice comunitaria sia  incompatibile
con la «riduzione ad  equita'»  delle  condizioni  delle  convenzioni
accessive alle cosiddette concessioni storiche; l'individuazione  del
punto di equilibrio tra un eventuale vantaggio competitivo goduto  in
passato dai titolari di concessioni e l'attuale assetto  del  mercato
avrebbe dovuto essere, a giudizio del rimettente, frutto, quantomeno,
di una compiuta analisi, di cui non vi e' alcuna traccia. 
    Il giudice a quo, nel ribadire, con le medesime argomentazioni di
cui agli altri atti di rimessione sopra indicati,  l'incidenza  della
norma sospettata d'incostituzionalita' sui diritti dei  concessionari
e sull'esercizio della funzione giurisdizionale,  aggiunge  che  tale
intervento violerebbe anche il principio del giusto processo  di  cui
agli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della CEDU. 
    6.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    6.3.-  Si  sono  costituite  tre  delle  societa'  concessionarie
ricorrenti  nel  giudizio  principale,  con  atto  depositato   nella
cancelleria della Corte il 28 maggio 2013, aderendo alle  censure  di
incostituzionalita' sollevate dal giudice rimettente. 
    6.4.- Le societa' hanno quindi depositato in  data  17  settembre
2013 una memoria illustrativa volta,  in  primo  luogo,  a  delineare
l'evoluzione del quadro normativo di riferimento dal  1996  al  2012,
come gia' fatto dalle intervenienti nel giudizio di costituzionalita'
iscritto al n. 90 del registro ordinanze 2013. 
    Le  concessionarie  hanno  poi  dedotto   l'irragionevolezza   ed
arbitrarieta' della legge-provvedimento censurata, che sarebbe  volta
ad eludere un precedente giudicato del  giudice  amministrativo  e  a
incidere su procedimenti in corso. 
    Hanno evidenziato, in particolare, come dalle schede  di  lettura
di accompagnamento al disegno di legge «A.A.  n.  3184»  si  evincano
palesi le reali intenzioni del legislatore, ossia quella di sottrarre
ai   concessionari,   mediante   l'eliminazione   delle   misure   di
salvaguardia, «l'elemento che ne determino' la vittoria  in  giudizio
con sentenza del TAR Lazio della II sezione - Roma 7 novembre  2011»,
e ancora  quella  di  «concludere  una  vicenda  relativa  ai  minimi
garantiti dai concessionari delle scommesse ippiche, in  relazione  a
cui  esistono  diverse  pronunce  di  lodo   arbitrale,   sfavorevoli
all'amministrazione  pubblica,  per  le  quali  e'   stato   proposto
appello». 
    Sempre in punto di irragionevolezza, hanno altresi'  sottolineato
che la novella, non solo ha sostituito le misure di salvaguardia  con
un irrisorio sconto del  5  per  cento  sulle  somme  dovute  per  il
passato, ma ha anche, pro futuro,  implicitamente  escluso  qualsiasi
altra misura a tutela  dei  concessionari,  che  quindi  si  vedranno
esposti al versamento in misura integrale dei minimi garantiti. 
    A sostegno delle  proprie  tesi,  poi,  le  parti  private  hanno
ricordato come l'adozione delle misure di salvaguardia sia necessaria
«in considerazione del mutamento radicale della situazione di mercato
dei vecchi concessionari» e della profonda crisi  del  mercato  delle
scommesse ippiche, testimoniata dal  rapporto  Nomisma,  Osservatorio
gioco & giovani, dalle relazioni annuali dell'AAMS degli anni 2008  e
2009, ed infine dall'annuario statistico di ASSI relativo al 2010, da
cui emergerebbe, in particolare, nel quinquennio dal  2005  al  2010,
una perdita in termini di volume di gioco pari al 54,21 per cento. 
    Evidente sarebbe l'irragionevolezza della riduzione fino al 5 per
cento a fronte di tale drastico calo del  volume  di  gioco  e  della
circostanza che esso, a far data dal 2007,  e'  stato  ripartito  non
piu' tra 928 operatori ma tra un novero di punti vendita  comprensivo
dei nuovi 13.600 punti accettazione  immessi  sul  mercato  ai  sensi
della riforma del 2006. 
    Una situazione del genere, proseguono le intervenienti,  rafforza
la profonda discriminazione tra i vecchi ed  i  nuovi  concessionari,
che non sono tenuti  a  versare  alcuna  somma  a  titolo  di  minimi
garantiti ma solo un canone di concessione annuale a base fissa. 
    La  disposizione  oggetto  di  scrutinio   di   costituzionalita'
sarebbe, infine, in palese  contrasto  con  la  giurisprudenza  della
Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti  dell'uomo  in
punto di giusto processo e divieto di interferenza  sui  procedimenti
in corso, non sussistendo alcuna  «ragione  imperativa  di  interesse
generale»  atta  a   giustificare   l'ingerenza   dello   Stato   nei
procedimenti in cui esso e' parte, se non quella meramente  economica
di riscuotere le somme richieste  a  titolo  di  minimi  garantiti  o
comunque compensare con lo «sconto» i  propri  debiti  derivanti  dai
lodi arbitrali. 
    7.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1054 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 92 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito  di  un  ricorso  proposto  da  una  societa'  titolare  di
concessioni per la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del  d.P.R.
n. 169 del 1998 e volto ad ottenere l'annullamento dei  provvedimenti
con cui l'AMMS aveva richiesto il  versamento  dell'integrazione  dei
minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010. 
    7.1.- Dopo  avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  91  del  registro
ordinanze 2013. 
    Il giudice a quo, tuttavia, nella parte motiva della sentenza  (e
non in quella dispositiva) evoca gli ulteriori parametri di cui  agli
artt. 97, 111 e 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  6
della CEDU, nella misura in cui la disposizione censurata inciderebbe
sul giusto processo, privando i concessionari del diritto di agire in
giudizio «per tutelare il proprio equilibrio economico a  fronte  del
mutato  assetto  delle  scommesse»   ed   eliminando   il   sindacato
giurisdizionale sulla mancata adozione delle misure di salvaguardia. 
    7.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    7.3.- Si e' costituita la Snai s.p.a.,  ricorrente  nel  giudizio
principale, con atto depositato nella cancelleria della Corte  il  28
maggio 2013, aderendo alle censure di  incostituzionalita'  sollevate
dal giudice rimettente con le  medesime  argomentazioni  spese  dalle
parti private nel giudizio di costituzionalita' iscritto al n. 90 del
registro ordinanze 2013. 
    7.4.- La societa' ha depositato in data  17  settembre  2013  una
memoria illustrativa contenente le medesime  deduzioni  svolte  dalle
concessionarie nel giudizio di costituzionalita' iscritto  al  n.  90
del registro ordinanze 2013. 
    8.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1055 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 93 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito  di  un  ricorso  proposto  da  una  societa'  titolare  di
concessioni per la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del  d.P.R.
n. 169 del 1998 e volto ad ottenere l'annullamento dei  provvedimenti
con cui l'AMMS aveva richiesto il  versamento  dell'integrazione  dei
minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010. 
    8.1.- Dopo  avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2013. 
    8.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    8.3.- Si e' costituita la Sisal Match  Point  s.p.a.,  ricorrente
nel giudizio principale, con atto depositato nella cancelleria  della
Corte il 28 maggio 2013, aderendo alle censure di incostituzionalita'
sollevate dal giudice rimettente. 
    8.4.- La concessionaria ha quindi depositato in data 16 settembre
2013 una memoria illustrativa volta a ricostruire, in primo luogo, le
vicende processuali su cui si e' innestato il giudizio incidentale di
costituzionalita'. 
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,   ha   poi   dedotto
l'illegittimita' costituzionale  della  norma  censurata,  in  quanto
diretta  ad  incidere  sull'esercizio   in   corso   della   funzione
giurisdizionale,  a  mezzo  di  una  regolamentazione  arbitraria   e
irrazionale, secondo le medesime traiettorie argomentative sviluppate
dal giudice rimettente. 
    9.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
ordinanza n. 1056 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 94 del registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 103, primo comma,  e  113  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    9.1.- Dopo  avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2013. 
    9.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    9.3.- Si sono costituite la Perugia  Giochi  s.r.l.  e  l'Agenzia
Ippica Mosti s.n.c., ricorrenti nel  giudizio  principale,  con  atto
depositato nella cancelleria della Corte il 4 giugno  2013,  aderendo
alle censure di incostituzionalita' sollevate dal giudice  rimettente
e illustrando le medesime argomentazioni  spese  dalle  societa'  nel
giudizio  di  costituzionalita'  iscritto  al  n.  90  del   registro
ordinanze 2013. 
    9.4.- Le societa' concessionarie hanno quindi depositato in  data
17 settembre 2013 una memoria  illustrativa  contenente  le  medesime
deduzioni   svolte   dalle   parti   private    nel    giudizio    di
costituzionalita' iscritto al n. 90 del registro ordinanze 2013. 
    10.- Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza n. 1058 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 96 del  registro
ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  primo
comma, 97, 103, primo comma, 111, 113  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  CEDU,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge
n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44  del
2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi, da parte di societa'  titolari  di  concessioni
per la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n.  169  del
1998, volti ad ottenere  l'annullamento  dei  provvedimenti  con  cui
l'AMMS aveva richiesto il  versamento  dell'integrazione  dei  minimi
garantiti per gli anni dal 2006 al 2010. 
    10.1.- Dopo avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  91  del  registro
ordinanze 2013. 
    10.2.- Con memoria depositata il 22 maggio 2013 e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    10.3.- Si sono costituite alcune delle  ricorrenti  nel  giudizio
innanzi al TAR, con atto depositato nella cancelleria della Corte  il
4 giugno 2013, aderendo alle censure di incostituzionalita' sollevate
dal giudice rimettente. 
    Le  societa'  richiamano  i  fatti  e  le   vicende   giudiziarie
precedenti l'adozione della norma sospettata di  incostituzionalita',
evidenziando, in particolare, che dal 2005 in poi  il  mercato  delle
scommesse ippiche ha subito un dimezzamento dei volumi di raccolta su
base nazionale ed il legislatore, per contro, ha  indiscriminatamente
ampliato  il  novero  degli  operatori  titolari  di  concessione   e
introdotto nuovi ed ulteriori giochi  pubblici,  che  hanno  distolto
l'interesse degli scommettitori dal comparto  ippico  e  che  solo  i
nuovi concessionari sono abilitati a commercializzare. 
    Proseguono le concessionarie sottolineando come le  mai  adottate
misure  di  salvaguardia  fossero  state   pensate,   unitamente   al
correttivo delle distanze minime, proprio  per  eliminare  l'evidente
sperequazione tra i concessionari storici e i nuovi. 
    Nel  ripercorrere  adesivamente  le  considerazioni  svolte   dal
giudice rimettente prima in punto di rilevanza e poi di non manifesta
infondatezza,  le  societa'  ricorrenti   prospettano   le   medesime
considerazioni in diritto svolte dalle societa' nel giudizio iscritto
al n. 91 del registro ordinanze 2013. 
    11.- Il Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio  con  le
sentenze nn. 1059, 1060, 1063 (non definitive), 1061 e  1062  del  30
gennaio 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 97, 98, 101, 99  e  100
del registro ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3, 24, primo comma, 97, 103, primo  comma,  111,  113  e  117,  primo
comma, Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma  5,  del
decreto-legge n. 16 del 2012, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    11.1.- Dopo avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  91  del  registro
ordinanze 2013. 
    11.2.- Con memoria depositata il 30 maggio 2013 e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    12.- Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  con
sentenza non definitiva n. 1064 del 30 gennaio 2013, iscritta  al  n.
102 del registro ordinanze 2013, ha sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, primo comma, 97, 103, primo comma, 111, 113 e 117, primo
comma, Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma  5,  del
decreto-legge n. 16 del 2012, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 44 del 2012. 
    Anche in questo caso  il  rimettente  premette  di  essere  stato
investito di ricorsi proposti da societa' titolari di concessioni per
la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del  1998
e volti ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti con  cui  l'AMMS
aveva richiesto il versamento dell'integrazione dei minimi  garantiti
per gli anni dal 2006 al 2010. 
    12.1.- Dopo avere  riferito  i  fatti  di  causa,  il  rimettente
illustra le ragioni della  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di  costituzionalita',  riproponendo  le  motivazioni
dell'analogo atto di  rimessione  iscritto  al  n.  91  del  registro
ordinanze 2013. 
    12.2.- Con memoria depositata il 30 maggio 2013 e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
comunque l'infondatezza della questione sollevata, ed in  particolare
prospettando eccezioni  e  difese  identiche  a  quelle  gia'  svolte
nell'atto di intervento nel giudizio di costituzionalita' iscritto al
n. 85 del registro ordinanze 2013. 
    12.3.- Si sono costituite alcune delle ricorrenti nel giudizio  a
quo, con atto depositato nella cancelleria della Corte  il  4  giugno
2013, aderendo alle  censure  di  incostituzionalita'  sollevate  dal
giudice rimettente e svolgendo difese e deduzioni identiche a  quelle
svolte dalle societa' costituite nel giudizio iscritto al n.  96  del
registro ordinanze 2013. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Sono  sottoposti  all'esame  della  Corte  diciotto  atti  di
rimessione iscritti ai nn. 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91,  92,  93,  94,
95, 96, 97, 98, 99, 100, 101 e 102 del registro ordinanze 2013, con i
quali il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 10,  comma  5,
del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  semplificazioni   tributarie,   di   efficientamento   e
potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli
artt. 3, 24, primo comma, 103, primo comma, e 113 della  Costituzione
(tutti gli atti di rimessione), nonche' agli artt.  97,  111  e  117,
primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848  (d'ora  in  avanti:
«CEDU»), (solo gli atti di rimessione iscritti al registro  ordinanze
nn. 87, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101 e  102,  con
la precisazione che quelli iscritti ai  nn.  87,  92,  93,  94  e  95
richiamano tali parametri in parte motiva e non nel dispositivo). 
    Tutti  gli  atti  di  rimessione  hanno  ad  oggetto  la   stessa
disposizione,  censurata   con   argomentazioni   in   larga   misura
coincidenti, e, quindi, va disposta la riunione dei giudizi. 
    2.- I ricorsi proposti dinanzi al TAR Lazio da societa'  titolari
di concessioni per la raccolta di  scommesse  ippiche  ai  sensi  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  8  aprile  1998,  n.  169
(Regolamento  recante  norme  per  il   riordino   della   disciplina
organizzativa, funzionale e fiscale  dei  giochi  e  delle  scommesse
relativi alle corse dei cavalli, nonche' per il riparto dei proventi,
ai sensi dell'art. 3, comma 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662)
sono volti ad  ottenere  l'annullamento  dei  provvedimenti  con  cui
l'Amministrazione  autonoma  dei  monopoli  di  Stato  (AAMS)   aveva
richiesto, prima dell'entrata in vigore dell'art. 10,  comma  5,  del
decreto-legge n. 16 del 2012,  il  versamento  dell'integrazione  dei
cosiddetti minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010. 
    Il Tribunale sospendeva l'efficacia dei provvedimenti  impugnati,
osservando come l'amministrazione avesse richiesto il pagamento senza
la previa adozione delle misure di salvaguardia  (rectius:  modalita'
di salvaguardia), previste dall'art. 38, comma  4,  lettera  l),  del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  4  agosto  2006,   n.   248,   la   cui
imprescindibilita', ai fini dell'esazione dei crediti  in  questione,
era stata affermata in numerosi precedenti dello stesso TAR Lazio. 
    Questa norma, infatti,  sul  presupposto  dell'esistenza  di  uno
squilibrio economico, provocato nei rapporti concessori in  questione
dall'apertura  del  mercato   delle   scommesse   ippiche   a   nuovi
concessionari, e dalla nascita del "mercato  parallelo"  gestito  dai
centri di trasmissione dati (CTD), prevedeva che,  con  provvedimenti
del Ministero delle  finanze  -  AAMS,  fossero  stabilite  le  nuove
modalita' di distribuzione del gioco su base ippica, nel rispetto dei
seguenti criteri: «definizione delle modalita'  di  salvaguardia  dei
concessionari della raccolta di scommesse  ippiche  disciplinate  dal
regolamento di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  8
aprile 1998, n. 169» (i cosiddetti concessionari storici). 
    Nelle more dei giudizi sopravveniva  la  disposizione  sospettata
d'incostituzionalita', secondo cui, «al fine di  perseguire  maggiore
efficienza ed economicita' dell'azione nei settori di competenza,  il
Ministero dell'economia e delle finanze  -  Amministrazione  autonoma
dei  monopoli  di  Stato,  il  Ministero  delle  politiche   agricole
alimentari e forestali e l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico
- ASSI, procedono alla definizione, anche in via transattiva, sentiti
i competenti organi, con abbandono di ogni controversia pendente,  di
tutti i rapporti controversi nelle  correlate  materie  e  secondo  i
criteri di seguito indicati; [...] b)  relativamente  alle  quote  di
prelievo di cui all'art. 12 del d.P.R.  n.  169  del  1998,  ed  alle
relative  integrazioni,  definizione,  in  via  equitativa,  di   una
riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute  dai
concessionari  di  cui  al  citato  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 169 del 1998  con  individuazione  delle  modalita'  di
versamento  delle  relative  somme  e  adeguamento   delle   garanzie
fideiussorie».  La  disposizione  conclude  poi:   «Conseguentemente,
all'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio  2006,  n.  223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,  la
lettera l) e' soppressa». 
    E' in applicazione di queste norme che l'amministrazione chiedeva
nuovamente il pagamento dei minimi garantiti con la riduzione  del  5
per cento per gli anni dal 2006 al 2011  e  le  relative  ingiunzioni
venivano impugnate dalle societa' concessionarie con motivi aggiunti,
a  seguito  dei  quali  il  TAR  Lazio,  con  diciassette  "sentenze"
(rectius:  ordinanze),  ha  sollevato  le   indicate   questioni   di
legittimita' costituzionale. 
    Anche l'ordinanza di rimessione iscritta al n.  94  del  2013  e'
stata emessa nel corso di un giudizio promosso da  societa'  titolari
di concessioni ai sensi del d.P.R. n. 169  del  1998,  ma  avente  ad
oggetto l'annullamento dei soli  provvedimenti  emessi  dall'AMMS  in
applicazione della citata disposizione di cui all'art. 10,  comma  5,
del decreto-legge n. 16 del 2012. 
    2.1.- La tesi di fondo comune a tutti gli atti di promovimento e'
che il legislatore avrebbe sostituito, con legge-provvedimento avente
efficacia retroattiva, le modalita'  di  salvaguardia  con  un  nuovo
meccanismo  che,  alla  luce  della   giurisprudenza   costituzionale
elaborata con riferimento a questo tipo di leggi, sarebbe illogico  e
irrazionale perche' in contrasto con il principio  di  ragionevolezza
(art. 3 Cost.). 
    In particolare, si contesta che il potere di riduzione dei minimi
garantiti sia configurato con il limite del cinque per cento, laddove
nel sistema precedente non  era  previsto  alcun  tetto,  «dando  per
scontata  l'esigenza  di  parametrare  le  misure   di   salvaguardia
all'andamento del mercato  delle  scommesse».  In  tal  modo,  sempre
secondo il Tribunale rimettente, si renderebbe impossibile adeguare i
rapporti concessori in  questione  al  mutamento  del  mercato  delle
scommesse ippiche. 
    2.2.- Il TAR censura la disposizione oggetto di  scrutinio  anche
per illegittima interferenza sui procedimenti in corso. 
    Deduce al riguardo la violazione degli  artt.  24,  primo  comma,
103, primo comma, e  113  Cost.,  con  riferimento  ai  «principi  in
materia   di   tutela   giurisdizionale   avverso   i   provvedimenti
dell'amministrazione», cui si aggiunge l'evocazione, in  alcuni  atti
di rimessione,  degli  artt.  111  e  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione al principio del giusto processo previsto dall'art. 6 della
CEDU. 
    Sostiene il rimettente che scopo unico della disposizione sarebbe
in realta' «quello di sottrarre i provvedimenti gia' impugnati con il
ricorso principale al sindacato giurisdizionale. Ne consegue che essa
vanifica il diritto dei concessionari storici di  agire  in  giudizio
per tutelare il proprio equilibrio  economico  a  fronte  del  mutato
assetto  del  mercato  delle  scommesse  ed  integra,  altresi',   la
violazione del diritto al giusto processo, quale consacrato nell'art.
111 della Costituzione e nell'art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
[...]». 
    3.- Preliminarmente si deve rilevare che  dei  diciotto  atti  di
promovimento uno solo ha forma di ordinanza (quello iscritto al n. 94
del registro ordinanze 2013), mentre gli  altri  hanno  la  veste  di
sentenza ed alcune recano l'indicazione «non definitiva». 
    Le sentenze sono,  peraltro,  tutte  non  definitive:  con  esse,
infatti,  il   Tribunale   amministrativo   non   si   e'   spogliato
integralmente delle  controversie,  ma,  dichiarati  improcedibili  i
ricorsi aventi ad oggetto l'impugnazione dei  provvedimenti  adottati
sotto  il  vigore  della  precedente  normativa,  ha  poi   sollevato
questione  di  costituzionalita'   dell'art.   10,   comma   5,   del
decreto-legge n. 16 del 2012, sospendendo  i  giudizi  per  la  parte
rimanente. 
    E' noto tuttavia  che,  secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, la circostanza che gli atti di promovimento abbiano  la
forma  di  sentenza   anziche'   di   ordinanza   non   comporta   la
inammissibilita' della questione, dal momento che «il giudice a quo -
dopo la positiva  valutazione  concernente  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza della stessa - ha disposto la sospensione  del
procedimento  principale  e  la  trasmissione  del   fascicolo   alla
cancelleria di questa Corte; sicche' a tali atti,  anche  se  assunti
con la forma di sentenza, deve  essere  riconosciuta  sostanzialmente
natura di ordinanza, in conformita' a quanto  previsto  dall'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenza n. 256  del  2010;  nello
stesso senso, sentenze n. 151 del 2009 e n. 452 del 1997). 
    4.- Sempre in via preliminare, deve essere esaminata  l'eccezione
di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura generale  dello  Stato,
secondo  cui  la  questione  di  costituzionalita'  difetterebbe   di
rilevanza, dal momento che l'abrogazione della norma che prevedeva le
modalita'  di  salvaguardia  avrebbe  effetto  solo  per  il  periodo
successivo all'entrata in vigore della legge:  di  qui  l'irrilevanza
nei giudizi in corso,  aventi  ad  oggetto  un  tratto  del  rapporto
concessorio che resterebbe assoggettato alla disciplina previgente. 
    L'eccezione va respinta. 
    Il giudice rimettente  ha  infatti  evidenziato  l'incidenza  sui
giudizi  in  corso,  argomentando  sulla  base  dell'esame  del  dato
normativo, e la  tesi  trova  conforto  nel  tenore  letterale  della
disposizione, che fa  riferimento  ai  «rapporti  controversi»,  alle
«controversie  pendenti»   e   alle   «somme   ancora   dovute»   dai
concessionari, e quindi, in modo inequivoco, alle vicende oggetto dei
giudizi amministrativi. 
    L'applicabilita' della disposizione ai processi in corso e', poi,
corroborata, in primo luogo, dal fatto che  l'AAMS,  come  si  evince
dalla nota del 12 maggio 2008 (non prodotta agli atti del giudizio di
costituzionalita', ma citata dalla stessa Avvocatura dello Stato alla
pagina 8 dell'atto d'intervento), stava valutando la possibilita'  di
predisporre «un testo di modifica normativa inteso a definire in  via
legislativa la portata delle misure di salvaguardia  menzionate»;  e,
in secondo luogo, dal rilievo che l'intervento  legislativo  consegue
alla presa d'atto della  stessa  AAMS  (contenuta  nei  provvedimenti
impugnati con i ricorsi principali) della impossibilita' di procedere
alla  individuazione  in   via   amministrativa   delle   misure   di
salvaguardia. Non  e'  senza  rilievo,  infine,  la  circostanza  che
l'amministrazione abbia fondato proprio sulla disposizione in  parola
i nuovi provvedimenti impugnati con motivi aggiunti. 
    Ancora plausibile e' l'assunto del  rimettente,  secondo  cui  la
portata retroattiva della disposizione  censurata  riguarderebbe  non
solo la rideterminazione del corrispettivo,  ma  anche  l'abrogazione
della norma relativa alle modalita' di salvaguardia, essendovi tra  i
due tratti normativi una stretta  connessione  teleologica,  come  si
evince dall'utilizzo dell'avverbio «conseguentemente». 
    Alla luce delle considerazioni che precedono, la tesi del giudice
rimettente della portata sostitutiva e retroattiva della disposizione
censurata e, quindi, della sua rilevanza, supera il vaglio esterno di
non palese implausibilita' rimesso alla Corte (tra le altre, sentenze
n. 280 del 2012, n. 41 del 2011 e n. 63 del 2009). 
    5.- Sempre in via preliminare, vanno dichiarate inammissibili  le
deduzioni delle parti private volte ad estendere il thema  decidendum
fissato negli atti di promovimento (sentenze n. 271 del 2011, n.  236
del 2009, n. 56 del 2009, n. 86 del 2008 e n. 244 del 2005; ordinanze
n. 174 del 2003 e n. 379 del 2001). 
    Non possono, quindi, essere prese in  considerazione  le  censure
sviluppate negli atti di intervento con riferimento al  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., per  disparita'  di  trattamento
con i "nuovi" concessionari  (espressamente  esclusa  negli  atti  di
rimessione), nonche' con riferimento ai parametri di cui  agli  artt.
41, 43 e 53 Cost. 
    6.- Nel merito, la questione e' parzialmente fondata. 
    6.1.- L'esame delle censure sollevate presuppone, in primo luogo,
la verifica dell'ascrivibilita' o meno della  disposizione  in  esame
alla categoria delle leggi-provvedimento. 
    Nella giurisprudenza di questa Corte sono  state  cosi'  definite
quelle   che   «contengono   disposizioni   dirette   a   destinatari
determinati» (sentenze n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e  n.  2  del
1997), ovvero «incidono  su  un  numero  determinato  e  limitato  di
destinatari»  (sentenza  n.  94  del  2009),  che  hanno   «contenuto
particolare e concreto» (sentenze n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n.
137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007  e  n.  2  del  1997),
«anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze  n.  270
del 2010 e n. 429 del 2009), e che comportano l'attrazione alla sfera
legislativa  «della  disciplina  di  oggetti  o  materie  normalmente
affidati all'autorita' amministrativa» (sentenze n. 94 del 2009 e  n.
241 del 2008). 
    Questa Corte e' poi  costante  nell'affermare  la  compatibilita'
della legge-provvedimento con l'assetto dei  poteri  stabilito  dalla
Costituzione, poiche' nessuna  disposizione  costituzionale  comporta
una riserva agli organi  amministrativi  o  esecutivi  degli  atti  a
contenuto particolare e concreto (sentenze n. 85 del 2013  e  n.  143
del 1989). 
    6.2.- Ebbene, nel senso  dell'ascrivibilita'  della  disposizione
oggetto di scrutinio alla categoria delle leggi-provvedimento depone,
in primo luogo, la sua ratio, che, come si e'  visto,  e'  quella  di
superare in  via  legislativa  l'inerzia  dell'amministrazione  nella
individuazione delle modalita' di salvaguardia. 
    Il  legislatore,  infatti,  a  fronte  di   tale   inadempimento,
conclamato in sede giudiziaria con diverse sentenze  di  primo  grado
passate in giudicato ed ammesso  dalla  stessa  AAMS  nel  corpo  dei
provvedimenti impugnati, ha deciso di attrarre alla sfera legislativa
la definizione dei rapporti controversi, e - cio' che va sottolineato
fin d'ora - solo di questi. 
    Esso ha cosi' provveduto  direttamente  alla  determinazione  del
contenuto  delle  misure  di  riequilibrio,  sia  quanto  alla   loro
tipologia, individuata nel profilo strettamente economico, sia quanto
alla definizione quantitativa dell'assetto patrimoniale dei  rapporti
concessori,   definizione   «normalmente    affidata    all'autorita'
amministrativa» (sentenze n. 94 del 2009, riguardante un caso analogo
di  determinazione  concreta  della  misura   di   un   corrispettivo
ordinariamente rimesso alla sede amministrativa, e n. 241 del 2008). 
    Il contenuto oggettivo della disposizione  risponde,  dunque,  ai
requisiti richiesti da questa Corte per la  qualificazione  dell'atto
normativo come legge-provvedimento. 
    Dal punto di visto soggettivo, infine, la platea dei  destinatari
e' determinata e limitata, considerato che -  come  anticipato  -  la
disposizione si rivolge esclusivamente a quei concessionari "storici"
che, al momento  della  sua  entrata  in  vigore,  avessero  rapporti
controversi con l'amministrazione. 
    7.- Ascritta  la  disposizione  censurata  alla  categoria  delle
leggi-provvedimento, occorre  valutare  se  essa  rispetti  i  limiti
tracciati dalla giurisprudenza  costituzionale  e,  in  primo  luogo,
quello della ragionevolezza e non arbitrarieta' (sentenze n.  85  del
2013, n. 143 del 1989, n. 346 del 1991 e n. 429 del 1995). 
    Si  deve  premettere,  al  riguardo,  che  queste  leggi   devono
soggiacere ad un rigoroso scrutinio  di  legittimita'  costituzionale
per il pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni  di
tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85  del  2013;  in  senso
conforme sentenze n. 20 del 2012 e n. 2 del  1997),  con  l'ulteriore
precisazione che «tale sindacato  deve  essere  tanto  piu'  rigoroso
quanto piu' marcata sia [...]  la  natura  provvedimentale  dell'atto
legislativo sottoposto  a  controllo  (sentenza  n.  153  del  1997)»
(sentenza n. 137 del 2009; in senso conforme sentenze n. 241 del 2008
e n. 267 del 2007). 
    7.1.- Per applicare  questi  criteri  di  scrutinio  al  caso  di
specie, occorre prendere le mosse  dalle  finalita'  enunciate  dalla
norma, al di la' dell'eventuale intento,  attribuito  al  legislatore
storico, di interferenza con la funzione giurisdizionale. 
    Al riguardo, la disposizione e' esplicita: essa,  «al  dichiarato
fine di perseguire maggiore efficienza ed  economicita'  dell'azione»
(amministrativa), si propone di  ricondurre  ad  equita'  i  rapporti
economici  con  i  concessionari.  Inoltre,   di   «una   risoluzione
equitativa» della controversia parlano anche i lavori preparatori  e,
in particolare, la «nota di lettura» del 20 marzo 2012  citata  dalle
parti private. 
    Si tratta di una finalita' di per  se'  non  incongrua,  ed  anzi
condivisibile, dal punto di vista sia  dell'interesse  pubblico  alla
riscossione delle entrate in questione, sia  di  quello  privato  dei
concessionari, indubbiamente  danneggiati  dal  prolungato  stato  di
paralisi dell'azione amministrativa. 
    Ebbene, l'intervento sostitutivo della norma  che  in  precedenza
definiva la materia appare del tutto  coerente  con  tali  finalita'.
Esso non solo non puo' considerarsi irragionevole, ma, al  contrario,
e' stato reso necessitato dall'inadempimento  dell'amministrazione  e
dal suo espresso riconoscimento  dell'impossibilita'  di  individuare
misure  di  salvaguardia  diverse  dal  riequilibrio  "interno"   del
rapporto concessorio, anche  alla  luce  della  giurisprudenza  della
Corte di giustizia (sentenza 16 febbraio 2012, resa in cause  riunite
C-72/10 e C-77/10, Costa-Cifone;  nello  stesso  senso,  sentenza  11
marzo 2010, C-384/08, Attanasio Group), che ha escluso interventi sul
mercato delle scommesse in una logica anticoncorrenziale. 
    Per concludere sul punto, si deve osservare che non e'  rilevante
in questa sede la circostanza che la nuova disciplina,  a  differenza
di quella abrogata, preveda la riduzione dei minimi garantiti solo in
relazione ai rapporti «controversi»  e  quindi  senza  efficacia  pro
futuro: tale eventualita', lamentata dalle  societa'  concessionarie,
non emerge, ne' potrebbe emergere, dagli atti di rimessione, data  la
sua irrilevanza rispetto ai relativi giudizi. 
    In questi termini generali, pertanto, la censura non e' fondata. 
    7.2.- Cosi' ricostruita la  natura  e  la  ratio  dell'intervento
legislativo, emerge anche  l'infondatezza,  in  questa  parte,  della
censura di violazione degli artt. 24, primo comma, 103, primo  comma,
111, 113 e 117, primo comma, Cost., in  relazione  al  principio  del
giusto processo previsto dall'art. 6 della CEDU, atteso che,  di  per
se', il nuovo  meccanismo  di  riequilibrio,  analogamente  a  quello
abrogato, non sottrae, ne' condiziona il potere decisorio del giudice
(sentenze n. 160 del 2013, n. 137 e n. 94 del 2009, n. 267 del 2007 e
n. 397 del 1994). 
    7.3.- E' al contrario fondata la questione di  costituzionalita',
laddove si censura lo sbarramento del cinque per cento alla riduzione
delle somme dovute dai concessionari, sbarramento su cui  in  realta'
si incentrano le osservazioni del rimettente. 
    Lo stesso  quadro,  sia  finalistico  che  strumentale,  fin  qui
delineato,  evidenzia  la  irragionevolezza  di  questa  parte  della
disposizione. 
    Esiste, infatti, una  evidente  rottura  della  consequenzialita'
logica fra la pretesa di pervenire ad un equilibrato riassetto  delle
prestazioni economiche dei concessionari e la fissazione del tetto in
modo apodittico, prescindendo  cioe'  da  quell'attenta  e  ponderata
valutazione delle mutate circostanze  di  fatto  (i  pacifici  minori
introiti  conseguenti  all'evoluzione  in  senso  concorrenziale  del
mercato  delle  scommesse  ippiche),  che  costituiva   la   premessa
indispensabile della determinazione delle modalita' di salvaguardia e
che rimane non  meno  indispensabile  per  l'applicazione  del  nuovo
meccanismo di riequilibrio. 
    Questa carenza e' del resto riconosciuta nella  citata  «nota  di
lettura» del 20 marzo 2012, ove si legge:  «Per  quanto  riguarda  la
definizione delle controversie di cui al  comma  5,  lettera  b),  si
evidenzia che esse non siano esenti da possibili riflessi  di  natura
finanziaria, rispetto ai quali sarebbe utile disporre di una stima». 
    Al riguardo  questa  Corte,  ha  precisato  che  la  legittimita'
costituzionale delle leggi-provvedimento va valutata in relazione  al
loro specifico contenuto e che devono emergere i criteri che ispirano
le scelte con esse  realizzate,  nonche'  le  relative  modalita'  di
attuazione (sentenze n. 85 del 2013, n. 137 del 2009, n. 267 del 2007
e n. 492 del 1995), criteri e  modalita'  che  e'  sufficiente  siano
comunque  desumibili  dalla  norma  stessa  in  base  agli   ordinari
strumenti ermeneutici (sentenze n. 85 del 2013 e n. 270 del 2010). 
    Ebbene, dalla norma impugnata (e anche dagli  atti  parlamentari)
non emergono le ragioni che inducono a ritenere il  tetto  congruente
con l'obiettivo prefissato dallo stesso legislatore,  e  cioe'  -  si
ripete - la riconduzione  ad  equita'  dei  rapporti  concessori  nel
rispetto dei principi di efficienza ed economicita'. 
    8.-  Va,  pertanto,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 10, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 16 del  2012,
limitatamente alle parole «non superiore al 5 per cento». 
    Restano assorbite le altre censure.