ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5 [recte:
5, comma 13]; 9, comma 1, lettere a) e c); 10, comma 5; 16, comma  5;
20; 24, comma 5; 25, comma 2 [recte: 25, comma 1, lettera l];  e  36,
comma 2, della legge della Regione Campania  9  agosto  2012,  n.  26
(Norme  per  la  protezione  della  fauna  selvatica   e   disciplina
dell'attivita' venatoria in Campania), promosso  dal  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  con  ricorso  notificato  il  10  ottobre-6
dicembre 2012, depositato  in  cancelleria  il  16  ottobre  2012  ed
iscritto al n. 148 del registro ricorsi 2012. 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  5  novembre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    udito  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Letizia  Guida   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato a mezzo del  servizio  postale  il  10
ottobre-6  dicembre  2012  e  depositato  il  16  ottobre  2012,   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ha  promosso,  in  riferimento
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),   della   Costituzione,
questioni di legittimita'  costituzionale  in  via  principale  degli
artt. 5 [recte: 5, comma 13]; 9, comma l, lettere a) e c); 10,  comma
5; 16, comma 5; 20; 24, comma 5; 25, comma 2  [recte:  25,  comma  1,
lettera l]; e 36, comma 2,  della  legge  della  Regione  Campania  9
agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione della fauna  selvatica  e
disciplina dell'attivita' venatoria in Campania). 
    Il ricorrente premette  che,  secondo  i  principi  costantemente
affermati da questa Corte con  riguardo  ai  rapporti  tra  normativa
statale e regionale sulla caccia, spetta allo  Stato,  nell'esercizio
della  competenza  legislativa  esclusiva  in   materia   di   tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost.,  stabilire  soglie  minime  e  uniformi  di
protezione della fauna valevoli per l'intero territorio nazionale, le
quali vincolano le Regioni, impedendo  loro  di  prevedere  forme  di
tutela piu' ridotta. 
    Le disposizioni regionali impugnate violerebbero, di conseguenza,
il predetto parametro costituzionale, recando previsioni contrastanti
con la normativa statale di riferimento e,  in  particolare,  con  la
legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione  della  fauna
omeoterma e per il  prelievo  venatorio),  che,  appunto,  stabilisce
standard minimi e uniformi di tutela  della  fauna  da  applicare  in
tutto il territorio nazionale. 
    In particolare, l'art. 5 della legge regionale campana n. 26  del
2012, nel disciplinare l'esercizio venatorio da  appostamento  fisso,
non prevede, come stabilito invece dall'art. 5, comma 4, della  legge
n. 157 del 1992, che l'autorizzazione per l'impianto di  appostamento
fisso possa essere richiesta solamente da  coloro  che  ne  erano  in
possesso nell'annata venatoria 1989-1990  e,  «Ove  si  realizzi  una
possibile  capienza»,  dagli  ultrasessantenni  nel  rispetto   delle
priorita' definite dalle norme regionali. 
    Il successivo art. 9, comma 1, lettera  a),  stabilendo  che  sia
destinata a protezione della fauna selvatica una quota di  territorio
agro-silvo-pastorale regionale non superiore al trenta per cento  del
totale, si porrebbe in contrasto con l'art. 10, comma 3, della  legge
n. 157 del 1992, che prevede anche un limite minimo per detta  quota,
pari al venti per cento. 
    La lettera c) del medesimo art. 9, comma 1, nel ricomprendere  le
aree  contigue  dei  parchi  nazionali  e  regionali  nel  territorio
agro-silvo-pastorale  regionale  destinato  a   forme   di   gestione
programmata della caccia, confliggerebbe, a sua volta, con l'art. 32,
comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree
protette), secondo  il  quale  le  Regioni,  all'interno  delle  aree
contigue, possono  disciplinare  l'esercizio  della  caccia  soltanto
nella forma della caccia  controllata,  riservata  ai  residenti  dei
comuni dell'area naturale protetta e dell'area contigua. 
    L'art. 10, comma 5, prevede che nel piano  faunistico  regionale,
la cui predisposizione  e'  affidata  alla  Giunta  regionale,  debba
essere  individuato  anche  l'indice  minimo  di  densita'  venatoria
regionale. Tale disposizione sarebbe  incompatibile  con  l'art.  14,
comma 3, della legge n. 157 del 1992, che demanda al Ministero per le
politiche agricole, alimentari e forestali il compito  di  stabilire,
con periodicita' quinquennale, sulla base dei dati censuari, l'indice
di densita' venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia. 
    L'art. 16, comma  5,  prevede  che,  per  comprovate  ragioni  di
protezione  dei  fondi  coltivati  e  degli  allevamenti,  la  Giunta
regionale  possa  autorizzare  piani  di  abbattimento  di  esemplari
inselvatichiti di specie  domestiche:  esemplari  che  rientrerebbero
nella nozione di fauna selvatica ai sensi dell'art. 2 della legge  n.
157 del 1992. La menzionata disposizione regionale  si  porrebbe,  di
conseguenza, in contrasto con l'art. 19, comma 2, della legge n.  157
del 1992, nella parte in cui non prevede che i piani di  abbattimento
della fauna selvatica possano essere adottati solo dopo che sia stata
verificata l'inefficacia di metodi ecologici di  controllo  selettivo
delle specie interessate, su parere dell'Istituto  superiore  per  la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). 
    Anche  l'art.   20,   concernente   i   mezzi   per   l'esercizio
dell'attivita' venatoria, sarebbe illegittimo,  perche'  non  dispone
che i bossoli delle cartucce debbano essere recuperati dal cacciatore
e non lasciati sul suolo  di  caccia,  come  espressamente  stabilito
dall'art. 13, comma 3, della legge n. 157 del 1992. 
    L'art.  24,  comma  5,   nella   parte   in   cui   prevede   che
l'addestramento  dei  cani  da  caccia  possa   essere   svolto   per
quarantacinque giorni nei due mesi precedenti  il  mese  di  apertura
della caccia, non sarebbe, a sua volta, in linea con  i  principi  di
conservazione imposti dalla legge n. 157  del  1992.  L'attivita'  di
addestramento, se esercitata nel delicato periodo della nidificazione
e della conseguente dipendenza della prole, potrebbe infatti arrecare
danni alla conservazione delle specie  coinvolte.  In  tal  senso  si
sarebbe espresso piu' volte l'ISPRA (l'organo scientifico  e  tecnico
di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni  e  le  Province  in
materia  di  prelievo  venatorio),  nei  pareri  resi  sui  calendari
venatori di diverse Regioni italiane. 
    L'art. 25, comma 2 [recte: art. 25, comma 1,  lettera  l],  nello
stabilire il divieto di caccia nelle zone colpite in tutto o in parte
da incendio per i dodici mesi successivi a tale evento,  si  porrebbe
in contrasto con  quanto  previsto  dall'art.  10,  comma  1,  ultimo
periodo, della legge  21  novembre  2000,  n.  353  (Legge-quadro  in
materia di incendi  boschivi),  che,  limitatamente  «ai  soprassuoli
delle zone boscate percorsi dal  fuoco»,  vieta  per  dieci  anni  il
pascolo e la caccia. 
    Infine, l'art. 36, comma 2, autorizzando ogni cacciatore iscritto
in un ambito territoriale di caccia (ATC) della Regione  Campania  ad
esercitare il prelievo venatorio  in  tutta  la  Regione,  violerebbe
l'art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, secondo cui  ciascun
cacciatore ha diritto all'accesso in un ambito territoriale di caccia
o in un comprensorio alpino della Regione in cui risiede e puo'  aver
accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche di  una  diversa
Regione, previo consenso dei relativi organi di gestione. 
    2.? La Regione Campania non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale degli  artt.  5  [recte:  5,
comma 13]; 9, comma l, lettere a) e c); 10, comma 5; 16, comma 5; 20;
24, comma 5; 25, comma 2 [recte: 25, comma 1, lettera l]; e 36, comma
2, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per
la protezione  della  fauna  selvatica  e  disciplina  dell'attivita'
venatoria in Campania). 
    Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate  violerebbero
l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione,  che
riserva  alla  legislazione   esclusiva   dello   Stato   la   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, recando previsioni  non  rispettose,
per difetto, degli standard minimi e uniformi di tutela  della  fauna
fissati dalla conferente normativa statale. 
    2.- Successivamente alla proposizione  del  ricorso,  la  Regione
Campania, con la legge 6 settembre 2013, n.  12,  recante  «Modifiche
alla legge regionale 9 agosto 2012, n. 26 (Norme  per  la  protezione
della  fauna  selvatica  e  disciplina  dell'attivita'  venatoria  in
Campania)»,  ha  modificato  le  disposizioni  impugnate,   recependo
sostanzialmente i rilievi svolti dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Non ricorrono, tuttavia, le  condizioni  affinche'  questa  Corte
possa dichiarare cessata la materia  del  contendere,  non  potendosi
escludere che le norme impugnate - rimaste  in  vigore  per  l'intera
stagione  venatoria  2012-2013  -   abbiano   avuto   medio   tempore
applicazione (ex plurimis, sentenze n. 132 e n. 93 del 2013,  n.  235
del 2011). 
    3.- Per consolidata giurisprudenza di questa Corte,  spetta  allo
Stato, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,  prevista  dall'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  stabilire  standard  minini  e
uniformi di tutela della fauna, ponendo  regole  che  possono  essere
modificate  dalle  Regioni,  nell'esercizio   della   loro   potesta'
legislativa in materia  di  caccia,  esclusivamente  nella  direzione
dell'innalzamento del livello di tutela  (ex  plurimis,  sentenze  n.
278, n. 116 e n. 106 del 2012). 
    Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio  dei  ministri
con il  ricorso  in  esame  impongono,  dunque,  di  valutare  se  le
disposizioni regionali costituiscano una disciplina della materia che
implica una soglia di protezione dell'ambiente inferiore  rispetto  a
quella stabilita dalla legislazione statale. 
    4.- L'art. 5 della legge della reg. n.  26  del  2012  disciplina
l'esercizio venatorio da appostamento fisso,  per  tale  intendendosi
l'appostamento di caccia «costruit[o]  con  adeguati  materiali,  con
preparazione di sito, destinat[o] all'esercizio venatorio almeno  per
un'intera stagione di caccia e ogni altro appostamento realizzato con
strutture fisse o  mobili  che  comportano  preparazione  di  sito  o
modifica delle condizioni del luogo». 
    Per quanto in particolare riguarda il regime  autorizzatorio,  il
comma 7 del menzionato art. 5 stabilisce che, nel rispetto di  quanto
previsto dal comma 3 dell'art. 5 della legge 11 febbraio 1992, n. 157
(Norme per la protezione della fauna  omeoterma  e  per  il  prelievo
venatorio) - ove  si  prevede  che  il  numero  delle  autorizzazioni
rilasciate non deve superare quello dell'annata venatoria 1989-1990 -
gli appostamenti autorizzati non possono essere, altresi', in  numero
superiore ad un appostamento per ogni tremila  ettari  di  superficie
provinciale utile alla caccia e non possono essere ubicati a meno  di
mille metri  dalla  battigia  del  mare,  ne'  avere  una  superficie
inferiore a diecimila metri quadrati. 
    Il  successivo  comma   13   -   al   quale   devono   intendersi
esclusivamente riferite le censure del ricorrente  -  soggiunge  che,
nei limiti di  cui  al  precedente  comma  7,  le  Province  «possono
rilasciare   autorizzazioni   dando   priorita'   alle   domande   di
ultrasessantenni, di inabili, di portatori di handicap  fisici  e  di
coloro che per sopravvenuto impedimento  fisico  non  siano  piu'  in
condizioni di esercitare la caccia in forma vagante». 
    Quest'ultima previsione normativa implica, nella sostanza, che le
autorizzazioni possano essere rilasciate a prescindere  da  specifici
requisiti di legittimazione del richiedente,  essendo  le  condizioni
dianzi elencate  semplici  ragioni  di  «priorita'»  nell'ottenimento
dell'autorizzazione. 
    Per questo verso, il censurato  comma  13  si  pone,  dunque,  in
contrasto con l'art. 5, comma 4, della legge n. 157 del 1992, ove  si
stabilisce che l'autorizzazione agli appostamenti fissi  puo'  essere
richiesta unicamente da coloro che ne erano in  possesso  nell'annata
venatoria 1989-1990 e  che  solo  ove  si  verifichi  una  «possibile
capienza» - in particolare, perche'  i  titolari  dell'autorizzazione
nella predetta annualita' non abbiano rinnovato  la  richiesta  -  la
stessa  puo'  essere  formulata  da  soggetti  ultrasessantenni,  nel
rispetto delle priorita' definite dalle norme regionali. In tal modo,
la normativa statale - in una prospettiva di limitazione del  ricorso
alla forma di esercizio dell'attivita' venatoria di cui si discute  -
circoscrive l'area dei soggetti ai quali l'autorizzazione puo' essere
rilasciata, individuando i relativi destinatari, da un lato,  in  una
categoria   "ad   esaurimento"   (i   titolari    dell'autorizzazione
nell'annata venatoria 1989-1990); dall'altro, e in via residuale, nei
soli cacciatori in eta' avanzata. 
    Consentendo  il  rilascio  delle  autorizzazioni  senza  analoghe
limitazioni, la suddetta norma impugnata riduce, dunque, gli standard
di tutela fissati dalla norma statale. Il comma 13 dell'art. 5  della
legge  reg.  n.  26  del  2012   va   dichiarato,   di   conseguenza,
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui  non  prevede  che
l'autorizzazione per gli impianti di appostamento fisso possa  essere
richiesta da coloro che ne erano in  possesso  nell'annata  venatoria
1989-1990 e, solo nel caso in cui si verifichi  una  capienza,  dagli
ultrasessantenni. Solo all'interno di tale categoria  potranno,  poi,
valere le ulteriori priorita' stabilite dalla norma. 
    5.- L'art. 9, comma 1, lettera a), della legge  reg.  n.  26  del
2012 destina una quota del territorio agro-silvo-pastorale  regionale
non superiore al trenta per cento del totale a protezione della fauna
selvatica. 
    Di contro, nell'ambito delle misure dirette  a  salvaguardare  la
fauna attraverso la limitazione o la proibizione dell'esercizio della
caccia - che si aggiungono a quelle volte a favorirne  la  sosta,  la
riproduzione e l'incremento - l'art. 10, comma 3, della legge n.  157
del 1992 prevede, oltre all'entita'  percentuale  massima,  anche  un
limite percentuale minimo, stabilendo che a  protezione  della  fauna
selvatica  debba  essere  destinata  una  porzione   del   territorio
agro-silvo-pastorale di ogni Regione oscillante tra  il  venti  e  il
trenta per cento. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 233 del 2010, ha gia'  affermato
che l'art. 10, comma 3,  della  legge  n.  157  del  1992  fissa  uno
standard minimo e uniforme di tutela dell'ambiente,  dichiarando,  di
conseguenza,  l'illegittimita'  costituzionale  di  una  disposizione
regionale  che  riduceva  la  quota  di  territorio  da  destinare  a
protezione della fauna selvatica. 
    Anche la disposizione regionale in esame, non fissando una soglia
minima inderogabile almeno eguale a quella stabilita dalla disciplina
statale, determina un affievolimento dei livelli di tutela da  questa
prefigurati. 
    La norma va dichiarata, pertanto, costituzionalmente  illegittima
nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la  quota   di   territorio
agro-silvo-pastorale regionale destinata  a  protezione  della  fauna
selvatica debba essere non inferiore al venti per cento del totale. 
    6.- La lettera  c)  del  medesimo  art.  9,  comma  1,  consente,
inoltre, di destinare anche le aree contigue dei parchi  nazionali  e
regionali a forme di  gestione  programmata  della  caccia,  previste
dagli artt. 36 e seguenti della legge regionale censurata. 
    Per converso, l'art. 32, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n.
394 (Legge quadro sulle aree protette) prevede che «All'interno delle
aree contigue  le  regioni  possono  disciplinare  l'esercizio  della
caccia, in deroga al terzo comma  dell'articolo  15  della  legge  27
dicembre 1977, n. 968, soltanto nella forma della caccia controllata,
riservata ai soli residenti dei comuni dell'area naturale protetta  e
dell'area contigua, gestita in base al  secondo  comma  dello  stesso
articolo 15 della medesima legge». 
    Anche la norma statale  ora  menzionata,  emanata  nell'esercizio
della  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera  s),  Cost.,  delinea  uno  standard  minimo  e  uniforme  di
protezione della fauna: la  Regione,  pertanto,  non  puo'  prevedere
soglie inferiori di tutela (sentenza n. 315 del 2010). 
    La legge n.  394  del  1991  intende,  in  particolare,  limitare
l'ambito dei soggetti abilitati all'esercizio della caccia nelle aree
contigue a quelle  protette  ai  soli  residenti  nell'area  naturale
protetta e nell'area contigua, mentre la norma regionale in  esame  -
ripartendo anche il territorio compreso nelle suddette aree  contigue
in ambiti territoriali di caccia (ATC),  nei  quali  puo'  iscriversi
ogni cacciatore residente anagraficamente in Campania (come si desume
dal richiamato art. 36 della legge regionale) - consente  l'esercizio
venatorio nelle aree in questione a tutti i residenti in Campania. 
    Il censurato art. 9, comma 1, lettera c), va dichiarato,  dunque,
costituzionalmente  illegittimo,  limitatamente  alle   parole   «ivi
comprese le aree contigue dei parchi nazionali e regionali». 
    7.-  L'impugnato  art.  10,  comma  5,  prevede  che  nel   piano
faunistico regionale, proposto dalla Giunta regionale  al  Consiglio,
sia, tra l'altro, individuato l'«indice minimo di densita'  venatoria
regionale». 
    Siffatta previsione normativa  appare  incompatibile  con  quella
dell'art. 14, comma 3, della legge n. 157 del 1992,  che  demanda  al
Ministero per  le  politiche  agricole,  alimentari  e  forestali  di
stabilire  con  periodicita'  quinquennale,  sulla  base   dei   dati
censuari, l'indice di  densita'  venatoria  minima  per  ogni  ambito
territoriale di caccia. Tale indice - come la norma statale precisa -
e' costituito  dal  rapporto  tra  il  numero  di  cacciatori  ed  il
territorio agro-silvo-pastorale nazionale ed indica il livello minimo
di densita' dei cacciatori per ettaro. 
    La previsione del dato a  livello  nazionale  e'  finalizzata  ad
uniformare,  almeno  tendenzialmente,  la  pressione  venatoria   sul
territorio,  riequilibrando  la  sperequazione:   Regioni   a   bassa
pressione  venatoria  possono,  infatti,  ospitare  i  cacciatori  in
esubero  di  altre  Regioni.  Detta  finalita',  che  presuppone   la
determinazione unitaria del dato a livello nazionale,  osta,  dunque,
alla possibilita' che la  Regione  determini,  a  sua  volta,  indici
minimi, salva la  facolta'  di  individuare  un  indice  massimo  per
contenere il numero dei cacciatori (sentenza n. 4 del 2000). 
    L'art. 10, comma 5, e', dunque,  costituzionalmente  illegittimo,
nella parte  in  cui  prevede  che  la  Giunta  regionale  «individua
l'indice  minimo  di  densita'   venatoria   regionale»   nel   piano
faunistico. 
    8.- Il  censurato  art.  16,  comma  5,  prevede  che  la  Giunta
regionale, per comprovate ragioni di protezione dei fondi coltivati e
degli  allevamenti,  possa  autorizzare  piani  di  abbattimento   di
esemplari «inselvatichit[i] di specie domestiche». 
    Conformemente  a  quanto  sostenuto  dal  ricorrente,  la   fauna
«inselvatichita» rientra nella nozione di «fauna selvatica» delineata
dall'art. 2, comma 1, della legge n. 157 del 1992, in forza del quale
fanno parte della fauna selvatica, oggetto della tutela apprestata da
detta legge statale, «le specie di mammiferi e di uccelli  dei  quali
esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente  in  stato
di naturale liberta' nel territorio nazionale». Come precisato  dalla
giurisprudenza di legittimita', sotto il profilo giuridico lo  «stato
di  liberta'  naturale»  coincide  con   una   condizione   di   vita
indipendente  dall'uomo  per  quanto   attiene   alla   riproduzione,
all'alimentazione e al ricovero: condizioni, queste, riscontrabili in
rapporto agli esemplari inselvatichiti di specie domestiche. In  tale
prospettiva,  questa  Corte  ha  gia'  dichiarato  costituzionalmente
illegittima una norma provinciale  che  escludeva  dalla  nozione  di
fauna selvatica - sottraendoli cosi' alla protezione  disposta  dalla
normativa statale - i piccioni domestici inselvatichiti (sentenza  n.
278 del 2012). 
    Da quanto precede deriva che deve ritenersi riferita  anche  agli
esemplari  di  specie  domestiche  inselvatichite  la  previsione  di
"gradualita'" di cui all'art. 19, comma 2, della  legge  n.  157  del
1992, in forza della quale i piani di abbattimento  delle  specie  di
fauna selvatica per ragioni di tutela  del  suolo  e  del  patrimonio
zootecnico possono  essere  autorizzati  dalle  Regioni  solo  previa
verifica  dell'inefficacia  di  «metodi   ecologici»   di   controllo
selettivo, su parere dell'Istituto superiore per la protezione  e  la
ricerca ambientale (ISPRA). 
    La norma regionale  censurata  e',  pertanto,  costituzionalmente
illegittima, nella parte in  cui  consente  l'adozione  di  piani  di
abbattimento di animali inselvatichiti a prescindere  dalla  verifica
preventiva dianzi indicata. 
    9.- Secondo il ricorrente, anche l'art. 20 della legge  regionale
campana violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  giacche',  nel
disciplinare i «mezzi per l'esercizio dell'attivita' venatoria»,  non
prevedrebbe che  il  cacciatore  debba  recuperare  i  bossoli  delle
cartucce, conformemente a quanto stabilito  dall'art.  13,  comma  3,
della legge n. 157 del 1992. 
    L'art. 20, tuttavia, richiama espressamente il menzionato art. 13
per  la  definizione  dei  mezzi   per   l'esercizio   dell'attivita'
venatoria; inoltre, l'art. 42, comma 5, della medesima legge reg.  n.
26 del 2012, stabilisce che «Per  tutto  quanto  non  previsto  nella
presente legge si applicano le norme contenute nella legge 157/1992». 
    La questione non e', dunque, fondata, giacche' i  rinvii  operati
dalla legge regionale in esame alla normativa statale  consentono  di
ritenere comunque operante l'obbligo imposto dall'art. 13,  comma  3,
della legge n. 157 del 1992. 
    10.- L'art. 24, comma 5, della legge reg. n. 26 del 2012 consente
l'addestramento dei cani  da  ferma,  da  cerca  e  da  seguita,  nei
territori ove non sussista il  divieto  di  caccia  e  non  vi  siano
colture in atto, per quarantacinque giorni nei due mesi precedenti il
mese di apertura della caccia, ad esclusione del martedi' e venerdi'. 
    Secondo il  ricorrente,  la  previsione  sarebbe  illegittima  in
quanto l'addestramento dei cani svolto in periodi in  cui  la  caccia
non e' consentita potrebbe arrecare danni  alla  conservazione  delle
specie. 
    Al riguardo, viene in particolare rilievo  l'art.  10,  comma  8,
lettera e), della legge n. 157 del  1992,  che,  nell'individuare  il
contenuto dei piani faunistico-venatori, prevede che  esso  comprenda
anche «le zone e i periodi per l'addestramento,  l'allenamento  e  le
gare di cani anche su fauna selvatica naturale o  con  l'abbattimento
di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili». 
    Questa Corte ha, d'altro  canto,  rilevato  come  l'attivita'  di
addestramento dei cani da caccia interagisca con  l'habitat  naturale
(sentenza n. 44 del  2011),  rientrando  altresi'  indubbiamente  nel
concetto di attivita' venatoria, in quanto strumentale  all'esercizio
della caccia (sentenza n. 350 del 1991,  nonche',  piu'  di  recente,
sentenza n. 165 del 2009). 
    Se e' pur vero che l'assimilazione  dell'attivita'  in  questione
non va spinta fino alla totale identificazione e  che,  pertanto,  si
puo' giustificare per essa una disciplina diversa da quella  generale
per la caccia, cio' non esclude  che  tale  disciplina  debba  essere
dettata con le stesse modalita', rimanendo, in particolare,  soggetta
alla  pianificazione  e  alle  relative  garanzie  procedimentali   e
sostanziali (sentenza n. 193 del 2013). 
    La  questione  e',  dunque,  fondata,  perche'  la   disposizione
impugnata consente l'attivita' di addestramento dei cani  in  periodi
differenti  da  quelli  stabiliti  per   l'esercizio   dell'attivita'
venatoria «al  di  fuori  della  pianificazione  faunistico-venatoria
prevista dall'art. 10 della legge n. 157 del 1992 e senza le garanzie
procedimentali  di  cui  all'art.  18  della   medesima   legge   che
costituiscono standard minimi  e  uniformi  di  tutela  della  fauna»
(sentenza n. 193 del 2013). 
    11.- L'art. 25,  comma  1,  lettera  l),  della  legge  regionale
campana (erroneamente indicato in ricorso come art. 25, comma  2,  ma
il cui contenuto e' comunque ivi correttamente  riportato)  vieta  di
cacciare nelle zone colpite, in tutto o in parte, da incendio  per  i
dodici mesi successivi a quest'ultimo. 
    L'art. 10,  comma  1,  della  legge  21  novembre  2000,  n.  353
(Legge-quadro in materia di incendi boschivi) prevede, per  converso,
che, nelle «zone boscate» i cui soprassuoli siano stati percorsi  dal
fuoco, la caccia e' vietata per dieci anni. 
    La  normativa  statale,  nella  prospettiva  di   consentire   la
ricostituzione dell'area boschiva  incendiata,  prevede,  dunque,  un
periodo di inibizione della  caccia  piu'  ampio  rispetto  a  quello
stabilito  in  modo  generale  e  indistinto  dalla  norma  regionale
censurata, la quale si  risolve,  percio',  in  una  riduzione  della
soglia minima di tutela. 
    La  disposizione  regionale  deve  essere,   dunque,   dichiarata
costituzionalmente illegittima, nella parte in cui vieta di  cacciare
nelle zone boschive danneggiate, in tutto o in parte, da incendio per
i dodici mesi, anziche' per i dieci anni successivi all'incendio. 
    12.- Infine,  l'art.  36,  comma  2,  della  sopra  citata  legge
regionale, consente al cacciatore iscritto in un ambito  territoriale
di caccia (ATC)  della  Regione  l'esercizio  venatorio  su  avifauna
migratoria in tutto il territorio agro-silvo-pastorale. 
    La norma contrasta con l'art. 14, comma 5, della legge n. 157 del
1992, il  quale,  nel  prevedere  che  ogni  cacciatore  «ha  diritto
all'accesso in un ambito territoriale di caccia o in un  comprensorio
alpino compreso nella regione in cui risiede e puo' avere accesso  ad
altri ambiti o ad altri comprensori anche  compresi  in  una  diversa
regione, previo consenso dei relativi organi di  gestione»,  realizza
uno stretto vincolo tra il cacciatore ed  il  territorio  in  cui  e'
autorizzato ad esercitare l'attivita' venatoria. 
    Un'analoga disposizione di una legge della Regione siciliana  che
consentiva l'indiscriminato esercizio della  caccia  alla  selvaggina
migratoria in tutti gli ambiti e' stata dichiarata costituzionalmente
illegittima,  in   quanto   «non   garanti[va]   minimamente   quella
equilibrata    distribuzione    dei    cacciatori,     nell'esercizio
dell'attivita'  venatoria,  che  costituisce  uno   degli   obiettivi
fondamentali della normativa in materia,  alla  stregua  segnatamente
dell'art. 14 della legge n. 157 del 1992» (sentenza n. 4 del 2000). 
    Per analoghe ragioni, anche la norma oggi censurata va dichiarata
costituzionalmente illegittima in parte qua.