ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  1
e 2, della legge della Regione autonoma  della  Sardegna  12  ottobre
2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in  materia  di  beni
paesaggistici), promosso dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri
con  ricorso  notificato  il  17-19  dicembre  2012,  depositato   in
cancelleria il 21 dicembre 2012 ed iscritto al n.  193  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Regione  autonoma   della
Sardegna; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  22  ottobre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi l'avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Massimo Luciani  per  la  Regione
autonoma della Sardegna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso, depositato il 21 dicembre  2012,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, in via  principale,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della  legge  della
Regione Sardegna 12 ottobre 2012, n.  20  (Norme  di  interpretazione
autentica in materia di  beni  paesaggistici),  in  riferimento  agli
artt. 9, 24, 97, 103, 113 e 117, primo comma, della Costituzione,  in
relazione agli artt. 6 e 13 della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU), all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
all'art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto
speciale  per  la  Sardegna),   nonche'   al   principio   di   leale
collaborazione. 
    1.1.- Il ricorrente impugna il citato  art.  1,  comma  1,  della
legge regionale n. 20 del 2012, nella parte in cui stabilisce che «La
Giunta regionale, nel rispetto della norma  fondamentale  di  riforma
economico-sociale di cui all'articolo 142 del decreto legislativo  22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  ai
sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137)  e  successive
modifiche ed integrazioni,  ed  in  particolare  in  applicazione  di
quanto disposto alle lettere a) e b) di detto  articolo,  assume  una
deliberazione di interpretazione autentica dell'articolo 17, comma 3,
lettera  g),  delle  norme  di  attuazione  del  Piano  paesaggistico
regionale nel senso che la fascia  della  profondita'  di  300  metri
dalla linea di battigia e' da riferirsi esclusivamente, come in  tali
disposizioni  gia'  stabilito,  ai  laghi  naturali  e  agli   invasi
artificiali e non si applica alle zone umide». 
    1.2.-  Cosi'  disponendo,  il  citato  articolo   contrasterebbe,
anzitutto, con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «con  le
norme interposte di fonte  ordinaria,  direttamente  attuative  degli
artt. 9 e 117 Cost., contenute nel Codice dei beni  culturali  e  del
paesaggio di cui al decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,
concernenti la pianificazione paesaggistica  congiunta  Stato-Regioni
(artt. 135 e 143), con  la  stessa  disciplina  di  statuto  speciale
(attributiva  alla  Regione  Sardegna  di  una  potesta'  legislativa
regionale propria in materia di tutela del paesaggio, ma  nei  limiti
del   rispetto   delle   norme    statali    di    "grande    riforma
economico-sociale"  di  cui  all'art.  3,  comma   1,   della   legge
costituzionale 26  febbraio  1948,  n.  3),  nonche'  infine  con  il
principio  di  leale  collaborazione».  La   disposizione   regionale
impugnata violerebbe i richiamati parametri costituzionali in  quanto
attribuirebbe alla sola Giunta regionale, senza alcun coinvolgimento,
ne' preventivo, ne' successivo, dei  competenti  organi  statali,  il
compito di interpretare unilateralmente l'art. 17, comma  3,  lettera
g),  delle  norme  di  attuazione  del  vigente  Piano  paesaggistico
regionale, che individua, tra le categorie di beni paesaggistici,  le
«zone  umide,  laghi  naturali  ed  invasi  artificiali  e  territori
contermini compresi in una fascia  della  profondita'  di  300  metri
dalla linea di battigia, anche per i territori  elevati  sui  laghi»,
predeterminando il contenuto di tale delibera  regionale  nel  senso,
riduttivo dell'ambito di  protezione,  che  la  tutela  paesaggistica
della fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia non  si
applica per le suddette zone umide,  in  violazione  dell'obbligo  di
pianificazione congiunta. 
    1.3.- L'impugnata disposizione  regionale  violerebbe,  altresi',
l'art. 97 Cost., nonche' gli artt. 24, 103 e  113  Cost.,  in  quanto
mirerebbe a vanificare gli effetti del  giudicato  formatosi  con  la
sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2188  del  16  aprile
2012, che  ha  annullato  una  concessione  edilizia  rilasciata,  in
assenza  della  necessaria  autorizzazione  paesaggistica,   per   la
realizzazione di un edificio, collocato nella fascia di  rispetto  di
300 metri dalla linea di battigia in una zona  umida,  imponendo  per
legge e con efficacia retroattiva  una  soluzione  opposta  a  quella
affermata dal giudice e favorevole ad una delle parti in contesa,  in
violazione  del  principio  di  buon  andamento  e  di  imparzialita'
dell'amministrazione,  nonche'  del  principio  di  separazione   dei
poteri. 
    1.4.- Infine, secondo il ricorrente, la norma regionale impugnata
contrasterebbe anche con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto il legislatore regionale, con
norma sopravvenuta dotata di efficacia  sostanzialmente  retroattiva,
avrebbe inteso interferire nei giudizi in corso  e,  in  particolare,
eliminare gli effetti di una  decisione  irrevocabile  dell'autorita'
giudiziaria. 
    1.5.- Il ricorrente chiede,  altresi',  a  questa  Corte  se,  «a
seguito dell'auspicata declaratoria di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20  del  2012»,  debba
ritenersi «automaticamente caducato anche il  comma  2  del  predetto
articolo, poiche' privo di presupposto e quindi inapplicabile». 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Sardegna, in  persona
del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta  regionale,  la   quale,
nell'atto di costituzione e nelle memorie  depositate  nell'imminenza
dell'udienza pubblica, ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile
e comunque infondato il ricorso promosso nei confronti  dell'art.  1,
comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012. 
    2.1.-   In   via    preliminare,    la    resistente    eccepisce
l'inammissibilita' del ricorso, per il fatto che  il  ricorrente  non
avrebbe  sufficientemente  dato  conto   dell'ambito   di   autonomia
legislativa affidato alla Regione resistente dalle norme  statutarie.
Tutte  le  censure  sarebbero,  poi,  inammissibili  per  difetto  di
motivazione e sarebbe anche inammissibile la richiesta di «automatica
caducazione» del comma 2 dell'art. 1, sia perche' un simile  istituto
non sarebbe previsto  dall'ordinamento,  sia  perche'  non  sarebbero
indicate  le  norme  da  colpire,  ne'  sarebbero  fornite   adeguate
motivazioni a sostegno della richiesta di caducazione. 
    2.2.-  Nel  merito,  le  questioni  sarebbero  tutte   prive   di
fondamento. 
    2.2.1.- Quanto alla prima questione, la resistente rileva che  il
legislatore regionale, esercitando la propria competenza  in  materia
di tutela paesaggistica, prevista  dallo  statuto  e  dalle  relative
norme  di  attuazione,  preso  atto  della  particolare   difficolta'
interpretativa  delle  norme  tecniche  di   attuazione   del   Piano
paesistico regionale, ben poteva e puo' risolvere  detta  difficolta'
attraverso  un'interpretazione   autentica   delle   predette   norme
tecniche, senza dover sottostare al  procedimento  di  pianificazione
congiunta  ai  sensi  dell'art.  135  del  d.lgs.  n.  42  del  2004.
Quand'anche le previsioni del Codice dei beni culturali invocate  dal
ricorrente fossero considerate quali limiti alla potesta' legislativa
regionale, la Regione sostiene che esse non sarebbero applicabili nel
caso di specie, posto che le zone umide di cui alla  norma  regionale
impugnata non sono quelle per le  quali  e'  prescritta,  dal  citato
d.lgs. n. 42 del 2004, la procedura di pianificazione  congiunta.  In
ulteriore subordine, la Regione rileva che, nel caso in cui la  Corte
dovesse ritenere viceversa che il  procedimento  di  copianificazione
debba seguirsi anche al fine dell'individuazione delle  "zone  umide"
in esame, la questione risulterebbe  comunque  infondata,  in  quanto
nulla impedirebbe che il procedimento per l'adozione  della  delibera
di interpretazione autentica, per la quale la legge da' mandato  alla
Giunta regionale, passi attraverso il raggiungimento dell'intesa  con
il Ministero dei beni e delle attivita' culturali. 
    2.2.2.- Anche il secondo  gruppo  di  censure  sarebbe  privo  di
fondamento. 
    Quanto, infatti, alla  pretesa  lesione  del  principio  di  buon
andamento ed imparzialita' della pubblica amministrazione, la Regione
ne contesta la fondatezza sulla base del rilievo che la  disposizione
impugnata non detterebbe alcuna misura relativa all'organizzazione ed
al funzionamento degli uffici regionali o  degli  enti  territoriali,
cosicche' non risulterebbe chiaro come essa possa influenzare il buon
andamento  dell'apparato  burocratico  pubblico.  Anche  la   dedotta
violazione degli artt. 24, 103 e  113  Cost.  risulterebbe  priva  di
fondamento, considerato che la disposizione impugnata non impedirebbe
ad alcuno di agire per la tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
legittimi, ne' inciderebbe in alcun modo sul riparto di giurisdizione
tra magistratura ordinaria, Consiglio di Stato,  Corte  dei  conti  e
magistratura militare. 
    2.2.3.- Infine, anche la censura inerente alla pretesa violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione  agli  artt.  6  e  13
della CEDU, sarebbe  infondata.  La  norma  impugnata,  infatti,  non
avrebbe  alcuna  pretesa  di   travolgere   il   giudicato,   ma   si
configurerebbe quale  norma  di  interpretazione  autentica,  il  cui
effetto retroattivo sarebbe  coerente  con  la  giurisprudenza  della
Corte  EDU,  essendo  volta,  da  un  lato,  a   porre   rimedio   ad
un'imperfezione tecnica della norma interpretata,  dall'altro  a  far
fronte ad impellenti motivi di ordine generale. 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della  legge  della
Regione  autonoma  Sardegna  12  ottobre  2012,  n.  20   (Norme   di
interpretazione autentica in materia di  beni  paesaggistici),  nella
parte in cui stabilisce che «La Giunta regionale, nel rispetto  della
norma fondamentale di riforma economico-sociale di  cui  all'articolo
142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ai  sensi  dell'articolo  10  della  L.  6
luglio 2002, n. 137) e successive modifiche ed  integrazioni,  ed  in
particolare in applicazione di quanto disposto alle lettere a)  e  b)
di  detto  articolo,  assume  una  deliberazione  di  interpretazione
autentica dell'articolo 17, comma  3,  lettera  g),  delle  norme  di
attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso che la  fascia
della profondita'  di  300  metri  dalla  linea  di  battigia  e'  da
riferirsi esclusivamente, come in tali disposizioni  gia'  stabilito,
ai laghi naturali e agli invasi artificiali e  non  si  applica  alle
zone umide». 
    1.1.-  Tale  norma  e'  in  primo  luogo  censurata  in   quanto,
attribuendo alla sola Giunta regionale,  senza  alcun  coinvolgimento
(ne' preventivo, ne' successivo) dei competenti  organi  statali,  il
compito di interpretare unilateralmente l'art. 17, comma  3,  lettera
g),  delle  norme  tecniche   di   attuazione   del   vigente   Piano
paesaggistico regionale, violerebbe il  principio  di  pianificazione
congiunta dei beni paesaggistici, contenuto negli artt. 135 e 143 del
d.lgs. n. 42 del 2004, che costituisce, in attuazione degli artt. 9 e
117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  l'oggetto  di  una  norma
fondamentale  di  riforma  economico-sociale  e  quindi  limite  alla
competenza primaria attribuita alla  Regione  Sardegna  dall'art.  3,
primo comma, della  legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3
(Statuto speciale per la Sardegna). 
    La predetta norma e' inoltre censurata in quanto sarebbe  diretta
a vanificare gli effetti del giudicato formatosi con la sentenza  del
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, imponendo
per legge e con efficacia retroattiva una soluzione opposta a  quella
affermata dal giudice e favorevole ad una delle parti in contesa,  ed
incidendo sui procedimenti in corso, in violazione del  principio  di
buon andamento  e  di  imparzialita'  dell'amministrazione  (art.  97
Cost.), nonche' del principio di separazione dei poteri (artt. 103  e
113 Cost.). 
    Un'ulteriore censura e' prospettata in riferimento all'art.  117,
primo comma, Cost., nella parte in cui impone al potere  legislativo,
anche   regionale,   il   limite   del   rispetto   degli    obblighi
internazionali, in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in  quanto
il legislatore  regionale,  con  una  norma  sopravvenuta  dotata  di
efficacia sostanzialmente retroattiva, avrebbe inteso interferire nei
giudizi in corso e, in particolare,  eliminare  gli  effetti  di  una
decisione irrevocabile dell'autorita' giudiziaria. 
    2.-  In  linea  preliminare,  occorre  valutare  l'eccezione   di
inammissibilita'  del  ricorso  sollevata  dalla   Regione   autonoma
Sardegna  per  il  fatto  che  il   ricorrente   non   avrebbe   dato
adeguatamente  conto  delle  specifiche  competenze  assegnate   alla
medesima Regione dallo statuto speciale e  dalle  relative  norme  di
attuazione, concentrando le  censure  sulla  dedotta  violazione  del
Titolo V della Parte seconda della Costituzione. 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte  ha  affermato  che,  ai  fini  del  giudizio  sulla
ammissibilita' dei ricorsi proposti nei confronti di una  Regione  ad
autonomia speciale, cio' che assume rilievo e'  il  riferimento  alle
competenze stabilite dallo  statuto  e  l'indicazione,  con  riguardo
all'art. 117 Cost., di quale  tra  le  diverse  sfere  di  competenza
statale sarebbe stata in concreto invasa (sentenza n. 18 del 2012). 
    Nella  specie,  il  ricorrente  riconosce  espressamente  che  la
materia appartiene  alla  competenza  attribuita  dall'art.  3  dello
statuto speciale alla  Regione  Sardegna  e  sostiene  che  la  norma
regionale impugnata viola  il  limite  delle  norme  fondamentali  di
riforma  economico-sociale,  che  riguarda  le  competenze   primarie
assegnate dallo statuto, con conseguente  invasione  della  sfera  di
competenza  legislativa  statale  esclusiva  in  materia  di   tutela
del'ambiente. 
    3.-  Ancora  preliminarmente,  si  deve  rilevare  che  la  norma
impugnata e' stata oggetto di modifica da parte dell'art. 2, comma 4,
della legge della Regione autonoma Sardegna  2  agosto  2013,  n.  19
(Norme  urgenti  in  materia  di  usi   civici,   di   pianificazione
urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici).  A  seguito
di tale modifica l'impugnato art. 1, comma 1, della  legge  regionale
n. 20 del 2012, recita: «La  Giunta  regionale,  nel  rispetto  della
norma  fondamentale  di   riforma   economico-sociale   del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137),
e successive modifiche ed integrazioni, assume una  deliberazione  di
interpretazione autentica dell'articolo  17,  comma  3,  lettera  g),
delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso
che la fascia della profondita' di 300 metri dalla linea di  battigia
e' da  riferirsi  esclusivamente,  come  in  tali  disposizioni  gia'
stabilito, ai laghi naturali e agli  invasi  artificiali,  e  non  si
applica alle citate zone  umide  tipizzate  e  individuate  ai  sensi
dell'articolo 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42
del 2004, come modificato  dall'articolo  4,  comma  1,  del  decreto
legislativo  24  marzo  2006,  n.  157  (Disposizioni  correttive  ed
integrative al  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  in
relazione al paesaggio)». 
    Occorre, pertanto,  verificare  se  detta  modifica  soddisfi  le
condizioni richieste per determinare la cessazione della materia  del
contendere (fra le tante, sentenze n. 228 e n. 93 del 2013). 
    3.1.- Siffatta modifica  elimina  essenzialmente  il  riferimento
all'art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e  precisa
che le zone umide oggetto di disciplina devono ritenersi solo  quelle
«tipizzate e individuate ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera
c),  del  decreto  legislativo  n.  42  del  2004,  come   modificato
dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo  2006,  n.
157». Essa, dunque, ha solo esplicitato quanto gia'  stabilito  nella
norma  originariamente  impugnata,  senza  incidere   sul   contenuto
precettivo della stessa, ma confermandone la portata retroattiva. 
    Pertanto,  posto  che  la  sopravvenienza  legislativa   non   e'
satisfattiva  delle  censure  del  ricorrente,   non   e'   possibile
dichiarare cessata la materia del contendere. 
    In  considerazione  della  sostanziale  identita'  del  contenuto
precettivo della norma modificata, la questione,  come  proposta,  si
intende trasferita sul testo attualmente vigente dell'art.  1,  comma
1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012. 
    4.-  Quanto   alla   asserita   violazione   del   principio   di
pianificazione congiunta  dei  beni  paesaggistici,  contenuto  negli
artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, in  attuazione  degli
artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., costituisce  oggetto
di una norma  fondamentale  di  riforma  economico-sociale  e  quindi
limite  alla  competenza  primaria  regionale,   va   preliminarmente
esaminata l'eccezione di inammissibilita' per difetto di  motivazione
sollevata dalla Regione. 
    Quest'ultima sostiene  che  il  ricorrente  non  avrebbe  affatto
dimostrato - come avrebbe dovuto - che le aree di  cui  all'art.  17,
comma 3, lettera g), delle norme tecniche  di  attuazione  del  Piano
paesaggistico regionale rientrano tra quelle per le quali e' prevista
la procedura collaborativa in esame, ai sensi dell'art. 135, comma 1,
secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    4.1.1. - L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Il ricorrente,  nel  prospettare  la  suddetta  questione,  muove
chiaramente dall'assunto che le aree di cui  all'art.  17,  comma  3,
lettera g), delle norme tecniche di attuazione  siano  soggette  alla
procedura collaborativa prescritta dall'art. 135 del d.lgs. n. 42 del
2004: la dimostrazione della fondatezza di tale assunto non attiene a
profili di ammissibilita' della questione, ma al merito della stessa. 
    4.1.2.- E, nel merito, la questione non e' fondata. 
    Lo statuto speciale della Regione  autonoma  Sardegna  assegna  a
quest'ultima, all'art. 3, primo  comma,  lettera  f),  la  competenza
legislativa primaria in materia  di  «edilizia  ed  urbanistica».  In
attuazione di tale norma statutaria, il decreto del Presidente  della
Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione
dello Statuto speciale della Regione  autonoma  della  Sardegna»,  al
Capo III, intitolato «Edilizia  ed  urbanistica»,  precisa  che  tale
materia  concerne  non  solo  le  funzioni  di  natura   strettamente
urbanistica,  ma  anche  quelle  relative  ai   beni   culturali   ed
ambientali, considerato che, all'art.  6,  dispone  il  trasferimento
alla Regione delle  funzioni  attribuite  al  Ministero  per  i  beni
culturali ed ambientali con decreto-legge 14 dicembre  1974,  n.  657
(Istituzione del Ministero per i beni culturali  e  per  l'ambiente),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1  della  legge  29  gennaio
1975, n. 5, ivi compresa la «redazione  e  l'approvazione  dei  piani
territoriali paesistici, di cui all'art. 5 della legge  n.  1497  del
1939». 
    Questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare che, sulla base
delle norme richiamate, «la Regione Sardegna dispone,  nell'esercizio
delle  proprie  competenze  statutarie  in  tema   di   edilizia   ed
urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai  profili
di tutela paesistico-ambientale», fatto salvo il rispetto dei  limiti
espressamente  individuati  nell'art.  3  del  medesimo  statuto   in
riferimento alle materie affidate alla potesta' legislativa  primaria
della Regione (sentenza n. 51  del  2006).  Il  legislatore  statale,
pertanto, conserva il potere di  vincolare  la  potesta'  legislativa
primaria della Regione  speciale  attraverso  l'emanazione  di  leggi
qualificabili come «riforme economico-sociali». Cio' anche sulla base
del  titolo  di  competenza   legislativa   nella   materia   «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto
della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali  o
culturali; «con la conseguenza che le  norme  fondamentali  contenute
negli atti legislativi  statali  emanati  in  tale  materia  potranno
continuare ad imporsi al necessario rispetto  del  legislatore  della
Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria  nella
materia «edilizia ed urbanistica» (v.  sentenza  n.  536  del  2002)»
(sentenza n. 51 del 2006). 
    In tale quadro costituzionale di distribuzione delle  competenze,
il d.lgs. n.  42  del  2004,  oltre  a  stabilire  espressamente  che
«restano ferme le potesta' attribuite alle Regioni a statuto speciale
ed alle Province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti  e  dalle
relative  norme  di  attuazione»  (art.  8),   nell'individuare   gli
strumenti della pianificazione paesaggistica, all'art.  135,  «affida
alle Regioni la scelta di approvare piani paesaggistici ovvero  piani
urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei  valori
paesaggistici,  con  cio'   confermando   l'alternativa   tra   piano
paesistico  e  piano  urbanistico-territoriale  gia'  introdotta  con
l'art. 1-bis del d.l. n. 431 del 1985» (sentenza n. 51 del 2006). 
    Sulla base delle richiamate indicazioni, la Regione  Sardegna  ha
appositamente previsto e disciplinato i piani territoriali paesistici
gia' con la legge 22 dicembre 1989, n.  45  (Norme  per  l'uso  e  la
tutela del territorio  regionale)  e,  all'indomani  dell'entrata  in
vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, con la legge 25 novembre 2004, n. 8
(Norme urgenti di  provvisoria  salvaguardia  per  la  pianificazione
paesaggistica e la tutela del territorio regionale),  ha  recepito  e
fatta propria la  disciplina  statale  paesistico  ambientale  ed  ha
introdotto misure di  salvaguardia  finalizzate  alla  redazione  del
nuovo piano paesistico  regionale,  qualificando  quest'ultimo  quale
«principale strumento della pianificazione territoriale regionale  ai
sensi dell'articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.
42 [...] al fine di assicurare un'adeguata  tutela  e  valorizzazione
del paesaggio» (art. 1, comma 1), che  «assume  i  contenuti  di  cui
all'articolo 143 del decreto legislativo n. 42  del  2004»  (art.  1,
comma 2). 
    In attuazione delle disposizioni di cui alla legge regionale n. 8
del 2004, con deliberazione n. 36/7 del 5 settembre 2006,  la  Giunta
regionale  ha  approvato  il  Piano  paesaggistico  regionale  (PPR),
adottato con  successivo  decreto  del  Presidente  della  Regione  7
settembre 2006, n.  82,  il  quale,  recependo  le  prescrizioni  del
cosiddetto Codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  nel  testo
modificato, con riguardo al paesaggio, dal d.lgs. n.  157  del  2006,
detta le norme tecniche di attuazione. 
    L'art.  17  delle  predette  norme  tecniche  ha  stabilito   che
rientrano nell'assetto regionale ambientale alcune categorie di  beni
paesaggistici, «tipizzati e individuati nella cartografia del PPR  di
cui all'art. 5 e nella tabella allegato 2, ai  sensi  dell'art.  143,
comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,
come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n.  157».  Fra
di essi indica, alla lettera g), la categoria inerente a «Zone umide,
laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini  compresi
in una fascia della profondita' di 300 metri dalla linea di battigia,
anche per i territori elevati sui laghi», in relazione alla quale  e'
intervenuta la norma regionale impugnata di cui all'art. 1, comma  1,
della legge n. 20 del 2012, che impone alla Giunta  di  assumere  una
deliberazione di interpretazione autentica con specifico  riferimento
alle zone umide. 
    Sulla base delle espresse indicazioni contenute nel predetto art.
17  delle  norme  tecniche,   pertanto,   tali   beni   paesaggistici
corrispondono a quegli immobili ed  a  quelle  aree  che,  in  quanto
tipizzati  ed  individuati  dallo  stesso  PPR,  sono  sottoposti   a
specifica  disciplina  di  salvaguardia  e   di   utilizzazione,   in
attuazione di quanto stabilito dall'art. 143, comma 1, lettera i),  e
dall'art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42  del  2004,  nel
testo in vigore a seguito delle modifiche del 2006. Tali  beni  sono,
quindi, diversi da quelli indicati all'art. 142 del medesimo decreto,
sempre nel testo in vigore nel 2006, che comprendeva  le  zone  umide
incluse  nell'elenco  previsto  dal  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 13  marzo  1976,  n.  448  (Esecuzione  della  convenzione
relativa alle zone  umide  d'importanza  internazionale,  soprattutto
come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2  febbraio
1971), adottato in esecuzione  della  cosiddetta  Convenzione  Ramsar
sulle  zone  umide  di  importanza  internazionale,  le  quali   sono
assoggettate a specifici vincoli posti  dal  legislatore  statale  in
attuazione dell'obbligo internazionale. 
    Le zone umide cui fa riferimento l'art. 17, comma  3,  lett.  g),
delle norme tecniche e sulla cui disciplina e' intervenuta  la  norma
impugnata, sono, dunque, quelle individuate dallo stesso PPR, per  le
quali ne' l'art. 135, ne' l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del  2004,  nel
testo vigente nel settembre  2006,  prescrivevano  la  pianificazione
congiunta, ma si limitavano a prevederla  come  mera  facolta'  delle
Regioni. Infatti, l'art. 135, nel testo allora in  vigore,  disponeva
che  «Lo  Stato  e  le  regioni  assicurano  che  il  paesaggio   sia
adeguatamente conosciuto, tutelato e  valorizzato.  A  tale  fine  le
regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle  forme  previste
dall'articolo  143,  sottopongono  a  specifica  normativa  d'uso  il
territorio,   approvando   piani    paesaggistici,    ovvero    piani
urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei  valori
paesaggistici, concernenti l'intero territorio regionale, entrambi di
seguito denominati "piani paesaggistici"». L'art. 143 del Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, nel testo allora vigente, al comma 3,
prevedeva che «le regioni, il Ministero ed il Ministero dell'ambiente
e  della  tutela  del  territorio  possono   stipulare   intese   per
l'elaborazione congiunta dei piani paesistici». 
    Con il decreto  legislativo  26  marzo  2008,  n.  63  (Ulteriori
disposizioni integrative e  correttive  del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio) sono stati sostituiti
svariati articoli della Parte III del d.lgs. n. 42 del  2004,  fra  i
quali anche l'art. 135 e l'art. 143. A seguito di tali  modifiche  e'
stata  inserita  la   previsione   della   pianificazione   congiunta
obbligatoria in relazione, pero', ad  appositi  beni  paesistici.  In
particolare,  l'art.  135  del  Codice  dei  beni  culturali  e   del
paesaggio, nel testo  in  vigore  dal  2008,  stabilisce,  all'ultimo
periodo del comma 1, l'obbligo della elaborazione congiunta dei piani
paesaggistici  tra  Ministero  e  Regioni  «limitatamente   ai   beni
paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143». Quest'ultimo,  tuttavia,
nel testo anch'esso modificato nel 2008,  tra  i  beni  paesaggistici
soggetti all'obbligo di pianificazione  congiunta,  non  indica  zone
umide diverse da quelle incluse nell'elenco previsto  dal  d.P.R.  n.
448 del 1976, adottato in  esecuzione  della  cosiddetta  Convenzione
Ramsar sulle zone umide di importanza internazionale. 
    Dall'esame delle norme statali rilevanti, considerate anche nella
loro  successione  cronologica,  si   desume,   quindi,   chiaramente
l'inesistenza di un obbligo di pianificazione congiunta, per  i  beni
paesaggistici individuati dall'art. 17, comma 3,  lettera  g),  delle
norme tecniche ed in specie per le cosiddette zone umide. 
    Pertanto, la Regione ben  poteva,  nell'esercizio  della  propria
competenza legislativa primaria, intervenire  sulla  regolamentazione
paesaggistica dei  suddetti  beni,  anche  attraverso  una  norma  di
interpretazione autentica, non essendo vincolata a  coinvolgere,  ne'
in via  preventiva,  ne'  in  via  successiva,  i  competenti  organi
statali. 
    Sono, quindi,  prive  di  fondamento  le  censure  di  violazione
dell'obbligo  di  pianificazione  congiunta  promosse  nei  confronti
dell'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012, che  reca
norme di interpretazione autentica dell'articolo 17, comma 3, lettera
g), delle  norme  tecniche  di  attuazione  del  Piano  paesaggistico
regionale, in specie riguardo  all'individuazione  del  regime  delle
cosiddette zone umide. Queste ultime rientrano, infatti, fra  i  beni
paesaggistici «tipizzati e individuati nella cartografia del  PPR  di
cui all'art. 5 e nella  tabella  di  cui  all'allegato  2,  ai  sensi
dell'art. 143, comma  1,  lettera  i),  del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42, come modificato dal decreto legislativo 24 marzo
2006, n. 157» (art. 17, comma 3, delle norme tecniche  di  attuazione
del PPR), per i quali non  opera  il  suddetto  obbligo  imposto  dal
legislatore statale. 
    4.2.- L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012 e',
inoltre, censurato per violazione dell'art. 97 Cost.,  nonche'  degli
artt. 24, 103 e 113 Cost.,  in  quanto  mirerebbe  a  vanificare  gli
effetti del giudicato formatosi con  la  sentenza  del  Consiglio  di
Stato, sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, che ha  annullato  una
concessione  edilizia  rilasciata,  in   assenza   della   necessaria
autorizzazione paesaggistica, per la  realizzazione  di  un  edificio
collocato nella fascia di  rispetto  di  300  metri  dalla  linea  di
battigia in una zona umida,  imponendo  per  legge  e  con  efficacia
retroattiva una soluzione opposta a quella affermata  dal  giudice  e
favorevole ad una delle parti in contesa, in violazione del principio
di buon andamento e di  imparzialita'  dell'amministrazione,  nonche'
del principio di separazione dei poteri. 
    4.2.1.- In  via  preliminare  occorre  esaminare  l'eccezione  di
inammissibilita',  sollevata   dalla   Regione   autonoma   Sardegna,
sull'assunto della vaghezza ed insufficienza delle motivazioni  poste
a sostegno delle richiamate censure, nonche'  per  l'indeterminatezza
delle norme costituzionali invocate a parametro. 
    4.2.2.- Tale eccezione e' fondata. 
    Le censure proposte dal  ricorrente  sono  riferite  a  parametri
diversi, senza che vi  siano  adeguate  e  specifiche  motivazioni  a
sostegno della loro pretesa violazione. 
    4.3.- L'art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012
e' infine censurato per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto  il  legislatore
regionale, con norma sopravvenuta dotata di efficacia sostanzialmente
retroattiva, ha  inteso  interferire  nei  giudizi  in  corso  e,  in
particolare,  ha  inteso  eliminare  gli  effetti  di  una  decisione
irrevocabile dell'autorita' giudiziaria. 
    4.3.1.-  In  via  preliminare,  va   disattesa   l'eccezione   di
inammissibilita'  sollevata  dalla  Regione  autonoma  Sardegna   nei
confronti  delle  questione   in   esame,   in   quanto   oscura   ed
insufficientemente motivata. 
    I pur sintetici argomenti contenuti nel  ricorso,  unitamente  ai
richiami alla  giurisprudenza  della  Corte  EDU  in  tema  di  norme
retroattive  ed  ai  limiti  da  essa  individuati  con  riguardo  al
giudicato  ed  alle  interferenze  sui  giudizi  in   corso   rendono
sufficientemente chiari i termini  della  questione,  prospettata  in
relazione alla portata retroattiva della norma  impugnata,  la  quale
sarebbe  volta  a  travolgere  il  giudicato  e  ad  interferire  con
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale   in   riferimento   ai
procedimenti in corso. 
    4.3.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Con riferimento  alle  leggi  di  interpretazione  autentica,  la
giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato che, posto  che
«il  legislatore   puo'   [...]   approvare   sia   disposizioni   di
interpretazione autentica,  che  chiariscono  la  portata  precettiva
della norma interpretata fissandola in  un  contenuto  plausibilmente
gia' espresso  dalla  stessa,  sia  norme  innovative  con  efficacia
retroattiva» (sentenza n. 41 del 2011), «quello  che  rileva  e',  in
entrambi i casi, che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
sul  piano  della  ragionevolezza,  in  una  prospettiva  di  stretto
controllo, da parte della Corte, di tale requisito, e  non  contrasti
con valori ed interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n.  41
del 2011). 
    In relazione a questioni di legittimita' costituzionale, inerenti
a leggi retroattive o di  interpretazione  autentica  prospettate  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   in   specie   in
connessione con l'art. 6 della CEDU, questa Corte ha  preliminarmente
precisato che  i  profili  di  illegittimita'  costituzionale  devono
essere esaminati in modo che l'art.  6  CEDU,  come  applicato  dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia letto in rapporto  alle
altre disposizioni costituzionali, secondo gli  orientamenti  seguiti
dalla giurisprudenza costituzionale in tema di efficacia delle  norme
della CEDU, sin dalle sentenze n. 349 e n. 348 del 2007 (sentenza  n.
170 del 2013).  Cio'  premesso,  ha  osservato  che  «il  divieto  di
retroattivita' della legge [...], pur costituendo valore fondamentale
di  civilta'  giuridica,  non  riceve  dall'ordinamento   la   tutela
privilegiata di cui all'art. 25 Cost., riservata alla materia penale»
(sentenza n. 170 del 2013). Pertanto, «il legislatore,  nel  rispetto
di tale previsione, puo' emanare  norme  con  efficacia  retroattiva,
anche di interpretazione autentica, purche' la  retroattivita'  trovi
adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi,  diritti
e beni  di  rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti
motivi imperativi di interesse  generale  ai  sensi  della  CEDU  (ex
plurimis sentenza n. 78 del 2012)» (sentenza n. 170 del 2013). 
    In questa prospettiva occorre  ricordare  che  la  Corte  EDU  ha
ripetutamente affermato, con specifico riguardo a  leggi  retroattive
del nostro ordinamento, che in linea di principio non e'  vietato  al
potere legislativo di stabilire  una  regolamentazione  innovativa  a
portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore,  ma  il
principio della preminenza del diritto  e  la  nozione  di  «processo
equo» sanciti dall'art. 6 della CEDU, ostano, salvo  che  per  motivi
imperativi  di   interesse   generale,   all'ingerenza   del   potere
legislativo  nell'amministrazione  della   giustizia   al   fine   di
influenzare l'esito giudiziario  di  una  controversia  (sentenze  11
dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras  contro
Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio  2011,  Maggio
contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande  Camera,
29  marzo  2006,  Scordino  contro  Italia)  e  ha  ribadito  che  le
circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere
intese in senso restrittivo (sentenza 14 febbraio 2012, Arras  contro
Italia). Quanto ai "motivi imperativi di interesse generale" tali  da
legittimare interventi retroattivi del legislatore, la Corte  EDU  li
ha ravvisati al verificarsi di specifiche condizioni, fra le quali la
sussistenza di "ragioni storiche epocali" o anche  la  necessita'  di
porre rimedio ad una imperfezione tecnica della  legge  interpretata,
ristabilendo un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta'
del legislatore (sentenza 23  ottobre  1997,  National  &  Provincial
Building Society ed altri contro  Regno  Unito),  o  di  «riaffermare
l'intento  originale  del  Parlamento»  (sentenza  27  maggio   2004,
Ogis-Institu Stanislas e altri contro Francia). 
    Analogamente, questa Corte ha escluso che  la  norma  che  deriva
dalla   legge    di    interpretazione    autentica    possa    dirsi
costituzionalmente illegittima, qualora la legge interpretativa abbia
lo scopo di chiarire «situazioni di  oggettiva  incertezza  del  dato
normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto»,
o di «ristabilire un'interpretazione piu'  aderente  alla  originaria
volonta' del legislatore [...] a tutela della certezza del diritto  e
dell'eguaglianza dei  cittadini,  cioe'  di  principi  di  preminente
interesse costituzionale» (sentenza  n.  78  del  2012).  Essa  deve,
tuttavia, anche  rispettare  una  serie  di  limiti  «attinenti  alla
salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche  di  altri
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica,  posti  a  tutela  dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il  rispetto  del  principio  generale  di  ragionevolezza
[...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto  nei  soggetti
quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza  n.  209
del 2010)» (sentenza n. 78 del 2012). 
    Nel caso in esame, con la norma impugnata, che  si  autoqualifica
di   interpretazione   autentica,   il   legislatore   regionale   e'
intervenuto, a distanza di sei anni dall'entrata in vigore del  Piano
paesaggistico regionale (PPR), adottato con deliberazione n. 36/7 del
5 settembre 2006, per imporre alla Giunta regionale di  assumere  una
deliberazione di interpretazione autentica con  la  quale  stabilire,
con effetto ricondotto all'entrata in vigore del  predetto  PPR,  che
l'art. 17, comma 3, lettera g), delle norme  tecniche  di  attuazione
del PPR, adottate congiuntamente al PPR, deve essere inteso nel senso
che la fascia di profondita' di 300 metri dalla linea di battigia non
si applica alle zone umide, ma solo ai laghi naturali ed agli  invasi
artificiali, con conseguente esclusione  della  predetta  fascia  dal
regime di autorizzazione paesaggistica imposto dall'art. 18. 
    L'efficacia  retroattiva  della  norma  e',  poi,   ulteriormente
precisata al comma 2, nel quale si impone ai  Comuni  ed  agli  altri
enti  competenti  di  «adottare  i  necessari  atti  conseguenti  con
riferimento ai titoli  abilitativi  rilasciati  a  decorrere  dal  24
maggio 2006, data  di  entrata  in  vigore  del  Piano  paesaggistico
regionale»,  in  conformita'   alla   delibera   di   interpretazione
autentica. 
    Tale norma, dal  contenuto  sostanzialmente  provvedimentale,  e'
stata adottata pochi mesi dopo il  deposito  della  sentenza  con  la
quale il Consiglio di Stato (sentenza 16 aprile 2012, n. 2188)  aveva
applicato il predetto art. 17,  comma  3,  lettera  g),  delle  norme
tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale,  nel  senso
che anche alle zone umide si applica la cosiddetta fascia di rispetto
di 300 metri dalla battigia, ed aveva su questa  base  annullato  una
concessione   edilizia   rilasciata   in   assenza    della    previa
autorizzazione paesaggistica  proprio  in  prossimita'  di  una  zona
umida. 
    La norma interpretata, nel  definire  gli  elementi  dell'assetto
ambientale   regionale,   dispone   che    «rientrano    nell'assetto
territoriale ambientale  regionale  le  seguenti  categorie  di  beni
paesaggistici, tipizzati e individuati nella cartografia  del  P.P.R.
di cui all'art. 5 e nella tabella allegato 2, ai sensi dell'art. 143,
comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,
come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n.  157»,  fra
le quali colloca: «a) Fascia costiera, cosi' come  perimetrata  nella
cartografia del P.P.R. di  cui  all'art.  5;  b)  Sistemi  a  baie  e
promontori, falesie e piccole isole; c) Campi  dunari  e  sistemi  di
spiaggia; d) Aree rocciose di cresta ed aree a quota superiore ai 900
metri s.l.m.; e) Grotte e caverne; f)  Monumenti  naturali  ai  sensi
della L.R. n. 31/1989;  g)  Zone  umide,  laghi  naturali  ed  invasi
artificiali e territori  contermini  compresi  in  una  fascia  della
profondita' di 300  metri  dalla  linea  di  battigia,  anche  per  i
territori elevati sui laghi; h) Fiumi  torrenti  e  corsi  d'acqua  e
relative sponde o piedi degli argini, per una  fascia  di  150  metri
ciascuna,  e  sistemi  fluviali,  riparali,  risorgive   e   cascate,
ancorche' temporanee; i) Praterie e formazioni steppiche; j) Praterie
di posidonia oceanica; k) Aree di ulteriore  interesse  naturalistico
comprendenti le specie e  gli  habitat  prioritari,  ai  sensi  della
Direttiva 92/43/CEE [...]». 
    Pur  riferendo  a  tutti  i   beni   elencati   l'operazione   di
individuazione cartografica, tale norma, come rilevato dal  Consiglio
di Stato nella sentenza sezione IV, n. 2188 del 16 aprile  2012,  con
riferimento ad alcuni di essi (in particolare, ad  es.,  alla  fascia
costiera di cui  alla  lettera  a),  demanda  la  determinazione  del
concreto ambito di tutela alla perimetrazione in cartografia.  Quanto
ad altri beni elencati, non e' ritenuta sufficiente  l'individuazione
nel Piano, ma sono fornite ulteriori indicazioni  prescrittive  (come
ad es., nel caso dei «fiumi  torrenti  e  corsi  d'acqua  e  relative
sponde o piedi degli argini, per una fascia di 150 metri ciascuna» di
cui alla lettera h). Fra questi vi sono anche «g) Zone  umide,  laghi
naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una
fascia della profondita' di 300 metri dalla linea di battigia,  anche
per i  territori  elevati  sui  laghi»,  per  la  determinazione  del
concreto  ambito  di  tutela  dei  quali  si  impone  il  riferimento
prescrittivo alla fascia di rispetto della profondita' di 300 metri. 
    La norma interpretativa, come riconosciuto dalla medesima Regione
Sardegna, ha imposto alla Giunta di  escludere  il  riferimento  alla
fascia di  rispetto  dei  300  metri  dalla  battigia  con  esclusivo
riguardo alle zone umide,  ai  fini  della  determinazione  del  loro
concreto ambito di tutela, separandole quindi dai  laghi  naturali  e
dagli invasi artificiali, facendo retroagire tale ridotta  tutela  al
momento dell'entrata in vigore del PPR, e cioe' al 2006,  al  preteso
scopo di rimediare ad una imperfezione tecnica della norma  impugnata
ed alla necessita' di fronteggiare "motivi  imperativi  di  interesse
generale". 
    Tuttavia,  l'ipotesi  della  norma  regionale  impugnata  non  e'
riconducibile a quella delle norme retroattive volte a  rimediare  ad
«una imperfezione  tecnica  della  legge  interpretata,  ristabilendo
un'interpretazione  piu'   aderente   all'originaria   volonta'   del
legislatore» (sentenza n. 78 del 2012): nella specie, la volonta' del
legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge
regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto  Codice
dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42  del  2004,
nella volonta' di assicurare un'adeguata tutela e valorizzazione  del
paesaggio,  in  primo  luogo  attraverso  lo  strumento   del   Piano
paesistico regionale (art. 1 della legge regionale  n.  8  del  2004;
art. 135 del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio).  L'effetto
prodotto dalla norma regionale impugnata, all'opposto, risulta essere
quello di una riduzione dell'ambito di  protezione  riferita  ad  una
categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza  che  cio'  sia
imposto  dal  necessario  soddisfacimento  di  preminenti   interessi
costituzionali. E cio', peraltro, in violazione di quei limiti che la
giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla  portata  retroattiva
delle leggi, con particolare riferimento al rispetto  delle  funzioni
riservate al potere giudiziario. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012. 
    4.4.- Il ricorrente chiede,  altresi',  a  questa  Corte  se,  «a
seguito dell'auspicata declaratoria di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20  del  2012»,  debba
ritenersi «automaticamente caducato anche il  comma  2  del  predetto
articolo, poiche' privo di presupposto e quindi inapplicabile». 
    4.4.1.- Preliminarmente, deve dichiararsi non fondata l'eccezione
di inammissibilita' sollevata dalla Regione  in  riferimento  a  tale
richiesta, in quanto, in primo luogo, un simile istituto non  sarebbe
previsto dall'ordinamento, e poi perche' non  sarebbero  indicate  le
norme da  colpire,  ne'  sarebbero  fornite  adeguate  motivazioni  a
sostegno della richiesta di caducazione. 
    Dal tenore del ricorso si evince chiaramente che si tratta  della
richiesta  di  una  declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale
consequenziale, di cui all'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), del  comma  2  dell'art.  1,  della  medesima  legge
regionale n. 20 del 2012, basata sull'assunto che tale  disposizione,
oltre a divenire priva di  presupposto  e  quindi  inapplicabile  ove
"privata" del comma 1, e' strettamente connessa alla  norma  espressa
dal comma 1, limitandosi solo a precisarne  la  portata.  L'eccezione
proposta e' pertanto priva di fondamento, considerato che la norma di
cui si chiede la caducazione e' precisamente individuata e che  sono,
sia pure sinteticamente, indicate  anche  le  ragioni  che  stanno  a
fondamento di tale richiesta. 
    4.4.2.- Nel merito, la questione proposta in  via  consequenziale
e' fondata. 
    L'art. 1, comma 2, della legge regionale n. 20  del  2012,  nella
parte in cui dispone che «I comuni e gli altri  enti  competenti,  in
conformita' alla deliberazione  di  interpretazione  autentica  della
Giunta regionale di cui  al  comma  1,  sono  tenuti  ad  adottare  i
necessari atti conseguenti  con  riferimento  ai  titolo  abilitativi
rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del Piano
paesaggistico regionale», e' infatti strettamente ed inscindibilmente
connesso a quanto statuito nel comma 1, non solo perche' ne  conferma
la  portata  retroattiva,  ma   anche   in   quanto   ne   presuppone
l'applicazione. 
    Va, quindi, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  in  via
consequenziale dell'art. 1, comma 2, della legge regionale n. 20  del
2012, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953.