ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
19  febbraio  2009,  relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'articolo 68, primo comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse dal senatore Francesco Storace nei confronti del  Presidente
della Repubblica, promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Roma,  con
ricorso notificato il 16 marzo 2012, depositato in cancelleria il  27
marzo 2012 ed iscritto al n. 11 del  registro  conflitti  tra  poteri
dello Stato 2011, fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  5  novembre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato Tommaso Edoardo  Frosini  per  il  Senato  della
Repubblica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1 - Con  ordinanza-ricorso  del  15  giugno  2011,  il  Tribunale
ordinario di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione  tra  poteri
dello Stato in riferimento  alla  deliberazione  assunta  dal  Senato
della Repubblica il  19  febbraio  2009  (di  approvazione  del  doc.
IV-quater, n. 1) con la quale e' stato affermato che le dichiarazioni
rese dal senatore Francesco  Storace  nei  confronti  del  Presidente
della Repubblica -  e  per  le  quali  pende  procedimento  penale  -
concernono  opinioni   espresse   da   un   membro   del   Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nella  garanzia
di  insindacabilita'  di  cui  all'art.  68,   primo   comma,   della
Costituzione. 
    Il Tribunale ricorrente segnala che - come si ricava dal  decreto
di giudizio immediato - il senatore Storace e' imputato  del  delitto
previsto dall'art. 278 del  codice  penale  (Offesa  all'onore  o  al
prestigio del Presidente della Repubblica), perche', commentando  sul
sito  internet  www.storace.it  l'intervento  del  Presidente   della
Repubblica (nel quale questi esprimeva indignazione per gli  attacchi
rivolti alla senatrice Rita Levi Montalcini), offendeva l'onore e  il
prestigio  del  Capo   dello   Stato,   attribuendogli   testualmente
«disdicevole  storia  personale,  palese  e  nepotistica   conduzione
familiare, evidente  faziosita'  istituzionale,  e'  indegno  di  una
carica usurpata a maggioranza, in Roma il 13.10.2007». 
    Riprodotte  ampiamente  le  considerazioni  poste  a  base  della
proposta della Giunta delle elezioni e delle  immunita'  parlamentari
del  Senato,  poi  fatte  proprie  dall'Assemblea,  in  ordine   alla
riconducibilita' delle espressioni usate  dal  parlamentare  all'area
dell'insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo  comma,  Cost.,  il
ricorrente  Tribunale  evidenzia  come   le   argomentazioni   stesse
finiscano per entrare nel merito  della  valutazione  della  condotta
ascritta all'imputato e della sua concreta offensivita',  che  spetta
soltanto al giudice apprezzare. All'Assemblea  competerebbe,  invece,
unicamente  esprimersi   sull'insindacabilita'   in   ragione   della
sussistenza di un nesso funzionale  tra  le  dichiarazioni  rese  dal
parlamentare extra moenia e l'esercizio delle relative funzioni. 
    Richiamata  la  giurisprudenza  costituzionale  sul   punto,   il
ricorrente sottolinea come, nella specie, non risulti che le opinioni
espresse  dal  senatore  Storace  avessero  alcun  collegamento   con
attivita' parlamentari cui il  medesimo  avesse  offerto  il  proprio
contributo; anzi - soggiunge il Tribunale -  «quelle  opinioni  cosi'
dissociate  dal  contributo  politico  contestualmente  fornito   dal
parlamentare  non  sono  affatto  divulgative  dell'attivita'   intra
moenia, bensi' sono espressione di libero pensiero e come tali devono
poter essere valutate.  Nessun  atto  tipico  che  possa  fungere  da
copertura alla  insindacabilita'  delle  dichiarazioni  extra  moenia
consente pertanto di applicare la garanzia  costituzionale  dell'art.
68 Cost.». Ne' sarebbe possibile attribuire valore, a tal fine,  alla
presentazione di un  disegno  di  legge  costituzionale  (volto  alla
abrogazione dell'art. 59 Cost., sul rilievo che i senatori a vita  in
quel periodo erano stati accusati di aver tradito e alterato il  voto
popolare offrendo il loro appoggio al Governo di centro-sinistra)  di
cui l'imputato ha  riferito,  in  sede  di  dichiarazioni  spontanee,
all'udienza del 23 novembre 2009, posto che le espressioni oggetto di
contestazione  non  potevano  rappresentare  momento  divulgativo  di
quella iniziativa parlamentare. 
    Da qui la scelta  di  sollevare  conflitto,  con  la  conseguente
richiesta di dichiarare ammissibile il ricorso e  di  procedere  alla
declaratoria di non  spettanza  in  ordine  alla  «valutazione  della
condotta addebitabile al  senatore  Francesco  Storace  nel  presente
procedimento penale,  in  quanto  estranea  alla  previsione  di  cui
all'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,  con   conseguente
annullamento della delibera del Senato del 19.2.2009». 
    2.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con  ordinanza  n.
57 del 2012, ritualmente notificata. 
    3.-  Il  Senato  della  Repubblica  ha  depositato   memoria   di
costituzione nella quale ha conclusivamente richiesto di affermare la
sussistenza del potere del Senato  «di  dichiarare  insindacabili  le
opinioni espresse dal sen. Francesco Storace e, comunque,  dichiarare
le  stesse  coperte  dalla  garanzia  di  insindacabilita'   prevista
dall'art. 68, comma 1, della Costituzione». 
    Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale in tema  di
«nesso funzionale», il Senato sottolinea come un  «aggiornamento»  di
quella giurisprudenza potrebbe meglio  rispondere  alle  esigenze  di
bilanciamento tra i valori costituzionali coinvolti, segnalando  come
uno spunto in tale senso potrebbe essere offerto dall'art.  3,  comma
1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per  l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),  il  quale
individua anche l'attivita' di denuncia politica come  connessa  alla
funzione di parlamentare ancorche' svolta al di fuori del Parlamento. 
    Malgrado le puntualizzazioni  offerte  al  riguardo  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 120 del 2004 - la quale  ha  escluso
che  dalla  norma  richiamata  derivi  un   ampliamento   dell'ambito
dell'immunita' garantita ai parlamentari dall'art. 68,  primo  comma,
Cost. -, un  «aggiornamento  interpretativo  del  "nesso  funzionale"
potrebbe portare alla sua individuazione in tutte le occasioni in cui
il  parlamentare  raggiunga  il  cittadino-elettore  illustrando   la
propria posizione». Il caso in esame sarebbe al riguardo  pertinente,
«in quanto fondato  su  una  critica  politica,  priva  di  rilevanza
giuridica  e   che   deve   essere   legittimamente   attribuita   al
parlamentare». 
    In una successiva memoria, ribadita l'esigenza di procedere ad un
aggiornamento interpretativo del concetto di «nesso  funzionale»,  si
osserva  come  alcune  delle  «frasi»  usate  dal  senatore   Storace
(«evidente  faziosita'  istituzionale»  e  «indegno  di  una   carica
usurpata a maggioranza»)  costituiscano  «espressione  di  una  forte
critica politica, certo discutibile sul piano dello stile  specie  se
riferite al  Capo  dello  Stato,  ma  di  certo  prive  di  rilevanza
giuridica in relazione all'ipotesi delittuosa» contestata.  Le  altre
«frasi» («per disdicevole storia personale» e «palese  e  nepotistica
conduzione familiare») sarebbero da ritenersi una mera «accentuazione
della  vis   polemica,   certamente   di   cattivo   gusto   ma   non
ingiuriosamente  espresse»,  da  ricondurre,  pertanto,  alla  libera
manifestazione del pensiero. 
    D'altra parte, il senatore Storace  era  stato  promotore  di  un
disegno di legge costituzionale (presentato il 10 ottobre  2007)  per
l'abolizione della nomina dei senatori a vita: cio' che  spiegherebbe
le ragioni della frase  secondo  cui  la  senatrice  Levi  Montalcini
avrebbe  svolto  il   ruolo   di   "stampella   del   Governo".   Non
sussisterebbe, dunque, alcuna offesa al Presidente della Repubblica e
comunque, trattandosi di critica politica,  sussisterebbe  il  «nesso
funzionale» con l'attivita' insindacabile a norma dell'art. 68, primo
comma, Cost. 
    L'esigenza di un aggiornamento del concetto di «nesso funzionale»
si  esalterebbe,  poi,  in  ragione  delle   diverse   modalita'   di
«comunicazione politica», fra le quali si evocano - come nel caso  in
esame - «nuove forme di  tecnologia  comunicativa  (siti  web,  blog,
twitter, facebook, etc.)». 
    In via subordinata, si chiede poi che, ove non  si  riconosca  il
potere  del  Senato  di  dichiarare  insindacabili  le  opinioni  del
senatore Storace, venga sollevata dalla stessa  Corte  costituzionale
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 278 cod. pen., per
contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost. La norma, infatti, retaggio  del
passato regime, potrebbe  giustificarsi  in  un  sistema  monarchico,
quale strumento punitivo dei fatti di "lesa maesta'", ma  non  in  un
assetto in cui la scelta del Presidente e' effettuata dal  Parlamento
e puo' riguardare qualsiasi cittadino. Sarebbe  comunque  illegittima
una norma che privilegi quel solo soggetto istituzionale, addirittura
prevedendo, nell'ipotesi  della  violazione,  «la  restrizione  della
liberta' personale». 
    Dopo aver sottolineato limiti e critiche cui sono andati incontro
i reati di opinione  in  genere  ed  il  vilipendio  in  particolare,
nonche' le modifiche apportate a  vari  articoli  del  codice  penale
dalla legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al  codice  penale  in
materia di reati di  opinione),  si  osserva  che  il  reato  di  cui
all'art.  278  cod.  pen.   -   norma   definita   «anacronistica   e
irragionevole» - dovrebbe essere  uniformato  alla  nuova  disciplina
dettata dall'art. 292, primo comma, cod. pen. 
    Si segnala, infine, come sia stato lo stesso  Presidente  Giorgio
Napolitano a ricordare, in un  intervento  pubblico  del  16  ottobre
2010,  la  facolta'  dei  titolari  dell'iniziativa  legislativa   di
proporre l'abrogazione dell'art. 278 cod. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Roma  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione
assunta  dal  Senato  della  Repubblica  il  19  febbraio  2009   (di
approvazione del  doc.  IV-quater,  n.  1)  con  la  quale  e'  stato
affermato che le dichiarazioni rese dal  senatore  Francesco  Storace
sul sito internet www.storace.it nei confronti del  Presidente  della
Repubblica  («disdicevole  storia  personale,  palese  e  nepotistica
conduzione familiare, evidente faziosita' istituzionale,  e'  indegno
di una carica usurpata  a  maggioranza»)  -  e  per  le  quali  pende
procedimento penale davanti al Tribunale ricorrente per il delitto di
cui all'art. 278 del codice penale (Offesa all'onore o  al  prestigio
del Presidente della Repubblica) - concernono opinioni espresse da un
membro del Parlamento nell'esercizio delle sue  funzioni  e  ricadono
pertanto nella garanzia di insindacabilita' di cui all'art. 68, primo
comma, della Costituzione. 
    Secondo il Tribunale ricorrente, le argomentazioni poste  a  base
della predetta deliberazione finiscono per entrare nel  merito  della
valutazione della condotta ascritta all'imputato e della sua concreta
offensivita', che spetta soltanto al giudice  apprezzare,  spettando,
invece,    all'Assemblea    parlamentare    unicamente     esprimersi
sull'insindacabilita' in  ragione  della  sussistenza  di  un  «nesso
funzionale» tra le dichiarazioni  rese  extra  moenia  e  l'esercizio
delle funzioni parlamentari. 
    Nella specie, non  risulterebbe  che  le  opinioni  espresse  dal
senatore  Storace   avessero   alcun   collegamento   con   attivita'
parlamentari  cui  il  medesimo  avesse  offerto  un   contributo   e
andrebbero dunque valutate come espressione di libero pensiero.  Ne',
a tal fine, sarebbe possibile attribuire valore alla presentazione di
un disegno di legge costituzionale volto alla  abrogazione  dell'art.
59 Cost., posto che  le  espressioni  oggetto  di  contestazione  non
potevano  rappresentare  momento  divulgativo  di  quella  iniziativa
parlamentare. 
    1.1.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con  l'ordinanza
n. 57 del 2012, ritualmente notificata. 
    2.-  Il  Senato  della  Repubblica  ha  depositato   memoria   di
costituzione nella quale ha conclusivamente richiesto di affermare la
sussistenza del potere del Senato  «di  dichiarare  insindacabili  le
opinioni espresse dal sen. Francesco Storace e, comunque,  dichiarare
le  stesse  coperte  dalla  garanzia  di  insindacabilita'   prevista
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione». 
    Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale  sul  tema,
il Senato sottolinea come un «aggiornamento interpretativo del "nesso
funzionale" potrebbe portare alla  sua  individuazione  in  tutte  le
occasioni in cui  il  parlamentare  raggiunga  il  cittadino-elettore
illustrando la propria  posizione».  Il  caso  in  esame  sarebbe  al
riguardo pertinente, «in quanto  fondato  su  una  critica  politica,
priva  di  rilevanza  giuridica  e  che  deve  essere  legittimamente
attribuita al parlamentare». 
    In una successiva memoria, ribadito come le espressioni impiegate
dal   senatore   Storace   rappresentino   una   «critica   politica»
all'intervento  svolto  dal  Presidente  della  Repubblica  ed   alle
caratteristiche politiche che avevano connotato la sua  elezione,  si
e' sottolineato che il senatore Storace era  stato  promotore  di  un
disegno di legge costituzionale (presentato il 10 ottobre  2007)  per
l'abolizione dell'istituto dei senatori a vita. 
    L'esigenza di un aggiornamento del concetto di «nesso funzionale»
si esalterebbe, poi, in ragione delle diverse  attuali  modalita'  di
«comunicazione politica»,  fra  le  quali  si  evocano  -  in  quanto
significative nella vicenda in esame -  «nuove  forme  di  tecnologia
comunicativa (siti web, blog, twitter, facebook, etc.)». 
    In via subordinata, si chiede poi che la Corte sollevi davanti  a
se stessa questione di legittimita' costituzionale dell'art. 278 cod.
pen., per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost.:  detta  norma  -  non
giustificabile nel  vigente  assetto  costituzionale  -  risulterebbe
«anacronistica e irragionevole», oltre che  non  conforme  alla  piu'
recente disciplina in materia di reati di opinione. 
    3.- Deve, preliminarmente, essere confermata l'ammissibilita' del
ricorso, sussistendo i richiesti presupposti soggettivi ed  oggettivi
per il conflitto. 
    4.- Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    5.- Questa Corte ha piu' volte messo in luce la circostanza  che,
ai fini dell'individuazione del perimetro entro il quale  riconoscere
la garanzia della insindacabilita' delle opinioni espresse dai membri
del Parlamento in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento
dell'attivita' parlamentare strettamente intesa, lo  scrutinio  debba
tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di  risalto
costituzionale: da un lato, quella di  salvaguardare  -  secondo  una
tradizione consolidata nelle costituzioni moderne - l'autonomia e  la
liberta'  delle  assemblee  parlamentari,  quali  organi  di  diretta
rappresentanza  popolare,  dalle  possibili  interferenze  di   altri
poteri; dall'altro, quella di garantire ai singoli  il  diritto  alla
tutela della loro dignita' di persone, presidiato dall'art.  2  della
Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali.  Se,  infatti,
l'attivita' del parlamentare intra moenia puo' essere sindacata e, se
del caso, censurata  anche  attraverso  gli  strumenti  previsti  dai
regolamenti parlamentari  -  con  la  conseguenza  che  comportamenti
eventualmente lesivi della  dignita'  delle  persone  possono  essere
opportunamente  prevenuti   -,   le   condotte   "esterne"   rispetto
all'attivita' parlamentare tipica,  in  tanto  possono  godere  della
garanzia della insindacabilita', prevista dall'art. 68, primo  comma,
Cost.,  in  quanto   risultino   rigorosamente   riconducibili   alle
specifiche e "qualificate" attribuzioni parlamentari. 
    Il nesso che  deve,  dunque,  sussistere  tra  «la  dichiarazione
divulgativa extra  moenia  e  l'attivita'  parlamentare  propriamente
intesa, non puo'  essere  visto  come  un  semplice  collegamento  di
argomento o di  contesto  politico  fra  l'una  e  l'altra,  ma  come
identificabilita'  della  dichiarazione   quale   espressione   della
attivita'  parlamentare,  postulandosi  anche,  a   tal   fine,   una
sostanziale  contestualita'  tra  i  due  momenti,  a   testimonianza
dell'unitario alveo "funzionale" che  le  deve,  appunto,  correlare»
(fra le tante, sentenza n. 82 del 2011). 
    D'altra parte, poiche' la garanzia della  insindacabilita'  opera
in relazione non alle opinioni espresse "in occasione"  o  "a  causa"
delle funzioni  parlamentari,  ma  soltanto  a  quelle  riconducibili
"all'esercizio" delle funzioni medesime,  qualsiasi  diversa  lettura
dilaterebbe  il  perimetro  costituzionalmente  tracciato,  generando
un'immunita'  non   piu'   soltanto   funzionale,   ma,   di   fatto,
sostanzialmente "personale", a vantaggio  di  chi  sia  stato  eletto
membro del Parlamento. 
    Perspicue sono, del resto, al  riguardo,  le  censure  mosse,  in
varie  occasioni,  all'Italia  dalla  Corte   europea   dei   diritti
dell'uomo, la quale - proprio sul  tema  dell'insindacabilita'  delle
opinioni dei parlamentari e del confliggente diritto di accesso ad un
tribunale da parte  del  privato  che  si  assuma  offeso  da  quelle
opinioni, sancito dall'art. 6 della Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma
il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4  agosto  1955,  n.
848 - ha sottolineato come non si possa «giustificare un  rifiuto  di
accesso alla giustizia per il solo  fatto  che  la  disputa  potrebbe
essere di natura politica oppure connessa ad un'attivita'  politica».
«Secondo il parere della Corte», si e' soggiunto,  «l'assenza  di  un
legame    evidente    con    un'attivita'    parlamentare    richiama
un'interpretazione stretta della nozione di proporzionalita'  tra  lo
scopo perseguito e i mezzi impiegati. Questo e' particolarmente  vero
quando  le  restrizioni  al  diritto  di  accesso  derivano  da   una
deliberazione  di  un  organo   politico.   Concludere   diversamente
equivarrebbe a ridurre in modo incompatibile  con  l'art.  6  par.  1
della Convenzione il diritto d'accesso ad un  tribunale  dei  privati
cittadini ogni qualvolta che i  discorsi  impugnati  giudiziariamente
siano  stati  pronunciati  da  un  membro  del  Parlamento».  Con  la
conseguenza  che  deve  considerarsi  estraneo  alla  garanzia  della
insindacabilita' un comportamento che non sia connesso «all'esercizio
di funzioni parlamentari stricto sensu» (sentenza  30  gennaio  2003,
Cordova contro Italia, ricorso n. 45649/99,  e  sentenza  30  gennaio
2003, Cordova contro Italia, ricorso n. 40877/98, nonche' sentenza 24
febbraio 2009, CGIL e Cofferati contro Italia, ricorso n. 46967/07, e
le altre pronunce ivi citate). 
    6.- Ebbene, se tutto cio' vale a contrassegnare il confine  entro
il    quale     configurare     la     prerogativa     costituzionale
dell'insindacabilita' agli effetti della  tutela  da  riconoscere  ai
terzi danneggiati dalle opinioni espresse extra moenia dai membri del
Parlamento,  entro  lo  stesso  ambito  deve  ritenersi  operante  la
medesima nei casi in cui l'opinione espressa integri, come  nel  caso
di specie, una ipotesi di illecito  diverso  dalla  diffamazione  del
privato: se, infatti, l'opinione - o la condotta attraverso la  quale
essa si esprime - e' in grado di ledere o esporre a pericolo  (anche)
beni diversi da quelli dell'onore e  della  reputazione  del  singolo
cittadino, o  di  qualunque  soggetto  che  assuma  di  essere  stato
danneggiato, l'area della insindacabilita' non  puo'  che  essere  la
stessa, a prescindere dal nomen iuris della  relativa  fattispecie  o
dal titolo in ragione del  quale  si  pretenda  di  "sindacare"  quel
"fatto". Dunque, lo scrutinio relativo  alla  sussistenza  del  nesso
funzionale tra opinione "divulgativa"  e  atto  o  atti  parlamentari
"tipici", di cui la prima sia espressione, va in ogni  caso  condotto
in termini particolarmente rigorosi, secondo un parametro che  questa
Corte ha da tempo individuato nella «corrispondenza sostanziale» (tra
le altre, sentenza n. 137 del 2001):  cio'  in  linea  anche  con  la
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ove, come si e' visto,  nel
bilanciamento  tra  le  contrapposte   esigenze,   si   richiede   la
sussistenza di un "legame evidente" tra l'atto in  ipotesi  lesivo  e
l'esercizio della funzione tipica del parlamentare. 
    La tesi del Senato - secondo  la  quale  il  concetto  di  «nesso
funzionale»  dovrebbe   essere   "aggiornato",   fino   a   ritenersi
sussistente  «in  tutte  quelle  occasioni  in  cui  il  parlamentare
raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione,  specie  se
questa sia riferibile alla dialettica politica, ovvero  alla  critica
politica» - appare, quindi, proprio per  la  eccessiva  vaghezza  dei
termini e dei concetti impiegati,  non  compatibile  con  il  disegno
costituzionale:  da  un  lato,  infatti,   essa   si   concentra   su
un'attivita' - quella "politica" -  non  necessariamente  coincidente
con la funzione parlamentare,  posto  che,  tra  l'altro,  questa  si
esprime, di regola, attraverso atti tipizzati (non  e'  un  caso  che
l'art.  68  Cost.  circoscriva  l'irresponsabilita'  dei  membri  del
Parlamento alle "opinioni espresse" ed ai "voti dati" «nell'esercizio
delle loro funzioni»); dall'altro, la tesi in questione non mette  in
collegamento diretto opinioni espresse  e  atti  della  funzione,  ma
semplicemente attribuisce allo stesso parlamentare la  selezione  dei
temi "politici" da divulgare; al punto da rendere, in definitiva,  lo
stesso parlamentare arbitro dei confini entro i quali far operare  la
garanzia della insindacabilita'. 
    Per altro  verso  -  e  come  implicitamente  puo'  trarsi  dalla
giurisprudenza costituzionale, proprio in tema  di  vilipendio  e  di
liberta' di critica (gia' la sentenza n. 20 del 1974) -, occorre  pur
sempre  che  la  divulgazione  extra  moenia  possa,   essa   stessa,
qualificarsi come "opinione", vale a dire come illustrazione  piu'  o
meno argomentata di una tesi, senza che possano  reputarsi  attratte,
all'interno della portata espressiva di questo vocabolo,  espressioni
o valutazioni almeno incongrue, indipendentemente dal loro  carattere
eventualmente offensivo o denigratorio. 
    Ora, nella specie, le espressioni utilizzate dal senatore Storace
nei confronti del Presidente della Repubblica, oltre a presentare una
indubbia eccentricita' rispetto  a  cio'  che  possa  intendersi  per
"opinione", non presentano alcuna attinenza con  atti  funzionalmente
tipici riferibili allo stesso parlamentare: a sostegno della delibera
di insindacabilita', il Senato si e', infatti, limitato a dedurre  il
promovimento,  da  parte  del  medesimo  senatore  Storace,  di   una
iniziativa di  legge  costituzionale  -  peraltro  rimasta  priva  di
seguito - diretta all'abrogazione dell'art. 59 della Costituzione, in
materia di senatori a vita. Iniziativa che, all'evidenza, non ha,  in
se', nulla a che vedere con gli attacchi rivolti alla senatrice  Rita
Levi Montalcini, con la replica del Presidente della Repubblica e con
la successiva reazione del senatore Storace oggetto del  procedimento
penale a suo carico. 
    7.- Quanto, infine, alla  subordinata  richiesta  del  Senato  di
autorimessione  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 278 cod. pen., la stessa non puo' trovare accoglimento,  in
quanto,  tra  l'altro,  priva  dell'indispensabile  requisito   della
rilevanza,  per  l'evidente   carenza   del   necessario   nesso   di
pregiudizialita' tra la risoluzione della  questione  medesima  e  la
definizione del giudizio. 
    E' appena il caso di sottolineare che nel giudizio per  conflitto
tra poteri dello Stato la Corte e' chiamata a giudicare  sull'«ordine
costituzionale delle competenze» (sentenza n. 457 del 1999) o, anche,
secondo la formula dell'art. 37 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,
sulla «delimitazione della sfera di attribuzioni  determinata  per  i
vari  poteri  da  norme  costituzionali»,  fermo  restando   che   le
competenze medesime si esercitino su materie o oggetti specificamente
disciplinati, di regola, nel sistema della legislazione ordinaria. 
    Su  questa  base,  la  definizione  dell'attuale   giudizio   per
conflitto non  puo'  ritenersi  in  alcuna  misura  subordinata  alla
soluzione di un dubbio di legittimita' costituzionale relativo a  una
norma incriminatrice la cui applicazione  spetta  al  giudice  penale
ricorrente.