ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma
3, del codice di procedura penale, come modificato  dall'art.  2  del
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in  materia  di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche'  in
tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge
23 aprile 2009, n.  38,  promosso  dal  Tribunale  di  Cagliari,  nel
procedimento penale a carico di M.M. con ordinanza  del  18  dicembre
2012, iscritta al n. 137 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  25,  prima   serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 18  dicembre  2012,  il
Tribunale di Cagliari, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13,
primo comma, e 27, secondo comma, della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma  3,  del  codice  di
procedura penale, come modificato dall'art. 2  del  decreto-legge  23
febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
e di contrasto alla  violenza  sessuale,  nonche'  in  tema  di  atti
persecutori), convertito, con modificazioni, dalla  legge  23  aprile
2009, n.  38,  nella  parte  in  cui  -  nel  prevedere  che,  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di  cui
all'art. 630 del codice penale  (sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione), e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure; 
    che il giudice a quo premette di  essere  investito  dell'appello
proposto dal  difensore  di  una  persona  imputata  dei  delitti  di
sequestro di persona a scopo di estorsione  e  di  rapina  aggravata,
avverso l'ordinanza di rigetto  dell'istanza  di  sostituzione  della
custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari
presso  una  «casa  famiglia»,  gestita  da  un  istituto   religioso
(ordinanza emessa dalla Corte di assise di appello di Cagliari); 
    che, al riguardo,  il  rimettente  riferisce  che  l'imputato  e'
detenuto dal 15 maggio 2010, data del suo arresto in fragranza, ed e'
stato  condannato,  in  primo  grado,  nelle   forme   del   giudizio
abbreviato, alla pena di anni dieci e mesi  due  di  reclusione,  poi
ridotta in appello ad anni otto di reclusione ed euro mille di multa,
previa concessione dell'attenuante di cui all'art. 630, quarto comma,
cod. pen., per  il  delitto  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione, e di quella di cui all'art. 62, numero 6), cod. pen., per
il delitto di rapina; 
    che, ad avviso del giudice a  quo,  l'appello  andrebbe  accolto:
alla luce delle modalita'  dei  fatti  e  della  successiva  condotta
dell'imputato, improntata ad un atteggiamento di  collaborazione  con
gli inquirenti e rivelatrice di resipiscenza, si  dovrebbe,  infatti,
ritenere  che  la  pericolosita'  sociale  dell'interessato   -   pur
sussistente - possa essere adeguatamente  fronteggiata  con  la  meno
rigorosa misura cautelare da lui richiesta; 
    che  alla  concessione  degli  arresti   domiciliari   osterebbe,
tuttavia, il disposto dell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.,  cosi'
come modificato dall'art. 2 del d.l. n. 11 del  2009,  in  forza  del
quale, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per  una  serie
di reati - tra  cui  quello  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione (evocato tramite il rinvio all'art. 51, comma 3-bis,  cod.
proc. pen.) - «e' applicata la custodia cautelare in  carcere,  salvo
che siano acquisiti elementi dai quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari»; 
    che  il   rimettente   dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale della norma, in riferimento agli artt.  3,  13,  primo
comma, e 27, secondo comma, Cost.; 
    che il reato di cui all'art. 630 cod. pen. non  potrebbe  essere,
infatti, assimilato, sotto il profilo che interessa,  ai  delitti  di
mafia, in rapporto ai quali la Corte costituzionale (con  l'ordinanza
n. 450 del 1995) ha ritenuto giustificabile la  presunzione  assoluta
di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere; 
    che  la  stessa   Corte   costituzionale   ha   gia'   dichiarato
costituzionalmente illegittima la norma denunciata con riferimento ad
altre figure criminose - quali  quelle  di  violenza  sessuale,  atti
sessuali con minorenni, prostituzione minorile (sentenza n.  265  del
2010), omicidio (sentenza n. 164 del 2011), associazione  finalizzata
al traffico di sostanze stupefacenti (sentenza n.  231  del  2011)  o
alla commissione dei delitti di cui agli artt. 473 e  474  cod.  pen.
(sentenza n. 110 del 2012)  -  rilevando  come  le  predette  ipotesi
delittuose, secondo  la  comune  esperienza,  possano  bene  proporre
esigenze cautelari suscettibili di essere soddisfatte con misure meno
gravose della custodia carceraria; 
    che, ad avviso del giudice  a  quo,  le  medesime  considerazioni
poste a base  delle  citate  decisioni  -  sinteticamente  richiamate
nell'ordinanza di  rimessione  -  varrebbero  anche  in  rapporto  al
delitto di cui all'art. 630 cod. pen.; 
    che  detto  reato  potrebbe  essere,  infatti,   espressione   di
iniziative individuali, concepite al di fuori di  qualsiasi  rapporto
con la criminalita' organizzata, e  assumere  connotati  di  gravita'
marcatamente  differenziati  a  seconda  dei  singoli  casi,  per  la
varieta'  delle  possibili  forme  di  manifestazione  e  la  diversa
personalita' degli autori, cosi' da  non  postulare  necessariamente,
secondo  una  regola  di  esperienza  «costantemente   verificata   e
unanimemente condivisa», esigenze cautelari affrontabili soltanto con
la custodia in carcere; 
    che  tale  assunto  risulterebbe,  del  resto,  confermato  dalla
recente sentenza n. 68 del 2012, con la quale la Corte costituzionale
ha dichiarato illegittimo l'art. 630 cod. pen., nella  parte  in  cui
non prevede che la pena da esso comminata e' diminuita «quando per la
natura, la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze  dell'azione,
ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto
risulti di lieve entita'»; 
    che, in questa prospettiva, la presunzione censurata si porrebbe,
quindi, in contrasto sia con il  principio  di  uguaglianza,  sancito
dall'art.   3   Cost.,   per   l'ingiustificata   parificazione   dei
procedimenti relativi al delitto in questione a quelli concernenti  i
delitti di mafia, nonche'  per  l'irrazionale  assoggettamento  a  un
medesimo   regime   cautelare   delle   diverse   ipotesi    concrete
riconducibili al paradigma punitivo considerato; sia con il principio
di inviolabilita' della liberta' personale, enunciato  dall'art.  13,
primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario
delle misure cautelari privative di detta liberta'; sia, infine,  con
la presunzione di non colpevolezza, espressa  dall'art.  27,  secondo
comma, Cost., in quanto attribuirebbe alla  misura  cautelare  tratti
funzionali tipici della  pena,  applicabile  solo  a  seguito  di  un
giudizio definitivo di responsabilita'. 
    Considerato che il Tribunale di Cagliari, dubita, in  riferimento
agli  artt.  3,  13,  primo  comma,  e  27,  secondo   comma,   della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma
3, del codice di procedura penale, come modificato  dall'art.  2  del
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in  materia  di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche'  in
tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge
23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente  di  applicare
misure cautelari  meno  afflittive  della  custodia  in  carcere  nei
confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza  in
ordine al delitto di sequestro di persona a scopo di  estorsione,  di
cui all'art. 630 del codice penale; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, questa Corte e'
gia' intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente con  la  sentenza
n. 213 del 2013, dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma censurata nella parte  in  cui  -  nel  prevedere  che,  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di  cui
all'art. 630  cod.  pen.,  e'  applicata  la  custodia  cautelare  in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure; 
    che,  dunque,   la   questione   va   dichiarata   manifestamente
inammissibile per  sopravvenuta  mancanza  di  oggetto,  giacche',  a
seguito della sentenza da  ultimo  citata,  la  norma  censurata  dal
giudice a quo -  ossia  quella  che  impedisce,  per  il  delitto  di
sequestro di persona a  scopo  di  estorsione,  di  applicare  misure
diverse e meno afflittive della custodia carceraria, in  presenza  di
specifici elementi  che  ne  rivelino  l'idoneita'  a  soddisfare  le
esigenze cautelari -  e'  gia'  stata  rimossa  dall'ordinamento  con
efficacia ex tunc (ex plurimis, ordinanze n. 177 del 2013, n.  315  e
n. 182 del 2012, nonche', con riferimento ad altre  questioni  aventi
ad oggetto il medesimo art. 275, comma 3, cod. proc. pen.,  ordinanze
n. 269 e n. 225 del 2011). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.