ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  4-bis  e
4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a),  numero  6),  del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per  garantire
la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi  invernali,
nonche'   la   funzionalita'    dell'Amministrazione    dell'interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e
modifiche al testo unico delle leggi in materia di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  21
febbraio 2006, n. 49, promosso dalla  Corte  di  cassazione,  sezione
terza penale, con ordinanza dell'11 giugno 2013, iscritta al  n.  227
del registro ordinanze 2013 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti l'atto  di  costituzione  di  M.V.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  dell'11  febbraio  2014  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati Michela Porcile e  Giovanni  Maria  Flick  per
M.V. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata in data 11 giugno 2013 (r.o. n.  227
del 2013), la Corte di cassazione, terza sezione penale, ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies
ter,  commi  2,  lettera  a),  e  3,  lettera  a),  numero  6),   del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per  garantire
la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi  invernali,
nonche'   la   funzionalita'    dell'Amministrazione    dell'interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e
modifiche al testo unico delle leggi in materia di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  21
febbraio 2006, n. 49, in  riferimento  all'art.  77,  secondo  comma,
della Costituzione. 
    Piu' precisamente, la rimettente ha dubitato  della  legittimita'
costituzionale  del  citato  art.  4-bis  «nella  parte  in  cui   ha
modificato l'art. 73 del testo unico sulle sostanze  stupefacenti  di
cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella  parte  in
cui, sostituendo i commi  1  e  4  dell'art.  73,  parifica  ai  fini
sanzionatori le  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  di  cui  alle
tabelle II e IV previste dal previgente art. 14 a quelle di cui  alle
tabelle I e III, e conseguentemente eleva le sanzioni  per  le  prime
della pena della reclusione da due a sei anni e della multa  da  euro
5.164 ad euro 77.468 a quella della reclusione da sei a venti anni  e
della multa da euro 26.000 ad euro 260.000». Parimenti, la  Corte  di
cassazione ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a),  numero
6) «nella parte in cui sostituisce gli artt. 13 e 14 del  d.P.R.  309
del  1990,  unificando  le  tabelle  che  identificano  le   sostanze
stupefacenti, ed in particolare  includendo  la  cannabis  e  i  suoi
prodotti nella prima di tali tabelle». 
    1.1.- La Corte di cassazione ha premesso di essere investita  del
ricorso proposto dall'imputato avverso la sentenza con  la  quale  la
Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale  di
Trento, che aveva dichiarato V.M. colpevole del reato di cui all'art.
73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza), in relazione alla ricezione e al trasporto di  kg
3,860  di  sostanza  stupefacente  di   tipo   hashish,   condannando
l'imputato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla  pena
di quattro anni di reclusione ed euro ventiseimila di multa. Ritenuti
infondati i motivi di ricorso concernenti la prova della colpevolezza
e la concessione dell'attenuante speciale del fatto di lieve  entita'
di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309  del  1990,  la  Corte
riteneva rilevante il dubbio di legittimita' costituzionale sollevato
dalla difesa in relazione ai citati artt. 4-bis e 4-vicies ter, avuto
riguardo al motivo di ricorso  con  il  quale  e'  stata  chiesta  la
riduzione della pena in modo da ottenere il beneficio della  relativa
sospensione  condizionale.  A   tale   proposito,   il   giudice   di
legittimita' ha  rimarcato  che,  dovendosi  ritenere  plausibile  la
fissazione  della  pena  in  misura  prossima  al  minimo   edittale,
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale avrebbe
effettivamente consentito di ridurre la pena nei limiti previsti  per
la  concessione  dell'invocata  sospensione  condizionale.   Infatti,
secondo   la   rimettente,   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale delle disposizioni che hanno sostituito, in tutto o in
parte, e (a suo avviso) conseguentemente abrogato  le  corrispondenti
disposizioni e norme del d.P.R. n. 309 del  1990,  determinerebbe  la
reviviscenza   del   piu'   favorevole   trattamento    sanzionatorio
previgente, che stabiliva la pena edittale della reclusione da due  a
sei anni e della multa da euro 5.164 a euro 77.468 per i fatti di cui
l'imputato e' chiamato a rispondere, anziche'  quella  attuale  della
reclusione da sei a venti anni e della multa da euro  ventiseimila  a
euro duecentosessantamila. In particolare, la Corte di cassazione  si
e' richiamata alla giurisprudenza di questa Corte  (sentenze  n.  314
del 2009 e  n.  108  del  1986),  secondo  cui  l'accertamento  della
invalidita' di una  norma  abrogatrice  e  la  sua  dichiarazione  di
illegittimita' da parte della Corte costituzionale,  specialmente  se
per vizi di forma o procedurali, comporta la caducazione dell'effetto
abrogativo e il conseguente ripristino della norma abrogata. 
    Ha precisato, inoltre, il Collegio rimettente  che  il  deteriore
trattamento sanzionatorio quale  stabilito  dal  citato  art.  4-bis,
sospettato di illegittimita' costituzionale, trova il suo presupposto
nell'unificazione  delle  tabelle  che   identificano   le   sostanze
stupefacenti, con inclusione della  cannabis  nella  prima  di  esse,
insieme  alle  cosiddette  "droghe  pesanti":  cio'   determinerebbe,
pertanto, la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
anche dell'art. 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3,  lettera  a),
numero 6), del citato d.l. n. 272 del 2005, che tale unificazione  ha
operato sostituendo il previgente testo  degli  artt.  13  e  14  del
d.P.R. n. 309 del 1990. 
    1.2.- La Corte  di  cassazione  ha  ritenuto  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dei  predetti
artt. 4-bis e 4-vicies ter in relazione all'art. 77,  secondo  comma,
Cost., in quanto mancherebbe il requisito della  omogeneita'  tra  le
norme originarie del decreto-legge e quelle introdotte nella legge di
conversione.  In  proposito,  i  rimettenti   hanno   rammentato   la
giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 22 del 2012), secondo  cui
sussiste nel nostro ordinamento  detto  principio  costituzionale  di
necessaria omogeneita', in quanto l'art.  77,  secondo  comma,  Cost.
istituisce un nesso di interrelazione funzionale  tra  decreto-legge,
formato dal Governo, e legge di  conversione,  caratterizzata  da  un
procedimento di approvazione peculiare rispetto a  quello  ordinario,
anche sotto il profilo della particolare  rapidita'  e  accelerazione
dei tempi. La sussistenza del  predetto  principio  risulterebbe  poi
confermata dal regolamento del Senato della Repubblica e dai messaggi
e dalle lettere del Presidente della Repubblica,  da  questi  inviate
alle  Camere.  Quando  venga  spezzato  il  legame   essenziale   tra
decretazione d'urgenza e potere di conversione, non sussisterebbe una
illegittimita'  delle  disposizioni   introdotte   nella   legge   di
conversione per mancanza dei  presupposti  di  necessita'  e  urgenza
delle norme eterogenee, ma una illegittimita' per l'uso improprio, da
parte  del  Parlamento,  di  un  potere  che  la   Costituzione   gli
attribuisce, con speciali modalita' di procedura, allo  scopo  tipico
di convertire un decreto-legge (sentenza n. 355 del  2010).  Sarebbe,
quindi,  preclusa  la  possibilita'  di  inserire,  nella  legge   di
conversione,  emendamenti  del  tutto  estranei  all'oggetto  e  alle
finalita' del testo originario, in quanto  si  tratta  di  una  legge
«funzionalizzata e specializzata» che non puo'  aprirsi  a  qualsiasi
contenuto ulteriore anche nel caso di  provvedimenti  governativi  ab
origine eterogenei: in tale ultimo caso il limite all'introduzione di
ulteriori disposizioni in sede di conversione  e'  rappresentato  dal
rispetto della ratio del decreto-legge (ordinanza n. 34 del 2013). 
    L'applicazione di tali principi al caso di specie deve, secondo i
rimettenti,   portare   a   ritenere   insussistente   il   requisito
dell'omogeneita' dei censurati artt. 4-bis e  4-vicies  ter  rispetto
alle norme originarie contenute nel decreto-legge.  Le  finalita'  di
quest'ultimo, infatti, sarebbero state quelle di: rafforzare le forze
di  polizia  e  la  funzionalita'  del  Ministero  dell'interno   per
prevenire e combattere la criminalita' organizzata  e  il  terrorismo
nazionale  e  internazionale;  garantire  il  finanziamento  per   le
olimpiadi  invernali;  favorire  il  recupero  dei  tossicodipendenti
detenuti; assicurare il diritto  di  voto  degli  italiani  residenti
all'estero. Pur  nella  pluralita'  degli  scopi  si  sarebbe  potuta
ravvisare una sostanziale omogeneita' finalistica del  decreto-legge,
ravvisabile nella comunanza di ratio delle  disposizioni,  quella  di
garantire l'effettivo e sicuro svolgimento delle olimpiadi invernali. 
    In ogni caso, le norme originarie riguardavano non la  disciplina
delle sostanze stupefacenti, ma  lo  specifico  e  circoscritto  tema
dell'esecuzione   delle   pene   detentive    nei    confronti    dei
tossicodipendenti recidivi con un programma terapeutico in corso. Nei
confronti di questi ultimi, infatti, l'allora  recentissima  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi,  di  usura  e  di  prescrizione),  cosiddetta   "legge   ex
Cirielli", con il suo art. 8 aveva aggiunto l'art. 94-bis  al  d.P.R.
n. 309 del 1990 - riducendo da quattro a tre  anni  la  pena  massima
che,  per  i  recidivi,  consentiva  l'affidamento   in   prova   per
l'attuazione  di  un  programma   terapeutico   di   recupero   dalla
tossicodipendenza - e con l'art. 9 aveva aggiunto la  lettera  c)  al
comma 9 dell'art. 656 del codice di procedura penale,  escludendo  la
sospensione della esecuzione della pena per i  recidivi,  compresi  i
tossicodipendenti con in corso un programma terapeutico  di  recupero
dalla tossicodipendenza o alcooldipendenza. Il Governo,  ritenuta  la
straordinaria necessita'  e  urgenza  di  garantire  l'efficacia  dei
citati programmi di recupero anche in caso di recidivi, con l'art.  4
del d.l. n. 272 del 2005 aveva  percio'  abrogato  il  predetto  art.
94-bis e aveva modificato l'art. 656, comma 9, lettera c), cod. proc.
pen., ripristinando la sospensione  dell'esecuzione  della  pena  nei
confronti dei tossicodipendenti con un programma terapeutico in atto,
anche se recidivi. 
    La  rimettente  ha  quindi  rimarcato  la  profonda  distonia  di
contenuto, finalita' e ratio del decreto-legge  rispetto  alle  nuove
norme introdotte in sede di conversione, cio' non solo in riferimento
alla ratio complessiva dell'intervento governativo - che  era  quella
di garantire sotto l'aspetto finanziario e di polizia  l'effettivo  e
sicuro svolgimento delle olimpiadi invernali, ma anche rispetto  alle
specifiche previsioni normative contenute nell'art. 4 citato. Questa,
infatti, e' l'unica disposizione che presenta un  labile  riferimento
al tema degli stupefacenti, ma riguarda  esclusivamente  l'esecuzione
della pena dei recidivi gia'  condannati,  come  puo'  desumersi  dal
titolo  della  disposizione  e  dal   preambolo   del   provvedimento
d'urgenza, in cui  si  dichiara  espressamente  che  la  ratio  e  la
finalita' dell'intervento sono quelle di «garantire  l'efficacia  dei
programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in
caso di recidiva». Con la legge di conversione,  invece,  all'art.  4
sono stati fatti seguire ben ventitre articoli  aggiuntivi,  composti
da numerosissimi commi con relativi allegati, che non hanno apportato
modifiche funzionalmente interrelate con le previsioni originarie, ma
hanno piuttosto completamente ridisegnato  l'apparato  repressivo  in
materia di stupefacenti, sostituendo l'art. 73 del d.P.R. n. 309  del
1990 e incidendo in modo pervasivo sul sistema classificatorio  delle
sostanze  psicotrope,  cosi'  da  pervenire  alla  equiparazione  tra
cosiddette "droghe leggere" e "droghe pesanti". 
    Secondo la Corte di cassazione non potrebbe,  quindi,  ravvisarsi
alcuna  omogeneita'  materiale  o  teleologica  tra  la  disposizione
abrogatrice di cui all'art. 4 del  decreto  d'urgenza  e  la  riforma
organica del testo unico sugli stupefacenti realizzata con  la  legge
di conversione. Ne', ad avviso del giudice di legittimita',  la  mera
circostanza che l'art. 4, comma 1, del decreto d'urgenza richiami  il
d.P.R. n. 309  del  1990,  per  sopprimere  la  disposizione  di  cui
all'art. 94-bis, potrebbe legittimare l'intera riscrittura del  testo
unico sugli stupefacenti, posto che, altrimenti,  si  sarebbe  potuto
riscrivere,  con  apposito  "maxi-emendamento"   d'aula,   (saltando,
quindi,   l'esame   in   sede   referente),   tutta   la   disciplina
dell'esecuzione penale, posto che veniva richiamato anche l'art.  656
cod. proc. pen. In tal modo, ad avviso dei rimettenti,  si  finirebbe
per  consentire  ad  ogni  Governo,  e  alla  sua   maggioranza,   di
approfittare di qualsiasi effimera  emergenza  per  riformare  interi
settori dell'ordinamento,  strumentalizzando  la  speciale  procedura
privilegiata prevista per la legge di conversione,  che  costituisce,
invece, una fonte funzionale e specializzata. 
    Ad avviso del Collegio rimettente, pertanto, il legislatore,  con
l'introduzione delle nuove norme e, in particolare, di quelle,  poste
dagli artt. 4-bis e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e  3,  lettera
a), numero 6), avrebbe travalicato i limiti della potesta' emendativa
del Parlamento, quali tracciati dalle  citate  sentenze  della  Corte
costituzionale. 
    A riprova della disomogeneita' delle norme impugnate, la Corte di
cassazione  ha  citato  il  parere  espresso  dal  Comitato  per   la
legislazione della Camera nella seduta del  1°  febbraio  2006,  come
pure le opinioni manifestate da diversi parlamentari della  minoranza
in sede di dibattito sulla legge di conversione, sia  al  Senato  sia
alla Camera. Del resto, hanno  rimarcato  i  giudici  rimettenti,  la
disomogeneita' delle nuove norme deve ritenersi ammessa ed  enunciata
dalla stessa legge di conversione, che ha dovuto modificare il titolo
del  decreto-legge  per  rendere  conto  del  nuovo   contenuto   ivi
introdotto: sono state aggiunte, infatti, le parole «e  modifiche  al
testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309». 
    La  Corte  rimettente  ha  poi  evidenziato  che,   pur   essendo
prospettata una violazione procedurale ai sensi dell'art. 77, secondo
comma, Cost., cio' nondimeno una eventuale pronuncia di  accoglimento
potrebbe incidere non sulle  disposizioni,  ma  sulle  singole  norme
introdotte  dalla  legge  di  conversione  che,  da  un  lato,   sono
totalmente estranee all'oggetto e alla  ratio  del  decreto-legge  e,
dall'altro, assumono rilevanza nel giudizio a  quo.  Si  tratterebbe,
segnatamente, delle norme che - sostituendo i commi 1 e  4  dell'art.
73  del  d.P.R.  n.  309  del  1990  e  unificando  le  tabelle   che
identificano  le  sostanze  stupefacenti   -   parificano   ai   fini
sanzionatori le sostanze di cui alle tabelle II e IV  (tra  le  quali
l'hashish), previste dal previgente art. 14 dello  stesso  d.P.R.,  a
quelle di cui alle precedenti tabelle I e  III  e,  conseguentemente,
elevano le sanzioni per le prime. 
    1.3.- In via subordinata, la Corte di cassazione ha poi sollevato
questione di legittimita' costituzionale dei medesimi artt.  4-bis  e
4-vicies ter negli stessi  limiti  di  cui  sopra,  per  difetto  del
requisito della necessita' ed urgenza ai sensi dell'art. 77,  secondo
comma, Cost. 
    Secondo la rimettente, qualora la  Corte  costituzionale  dovesse
disattendere le conclusioni in punto di  disomogeneita'  delle  norme
impugnate, rispetto al contenuto e alla ratio del decreto-legge, e si
dovessero ritenere le medesime non del tutto eterogenee  rispetto  al
decreto-legge, dovrebbe allora  sindacarsi  la  sussistenza,  per  le
nuove  norme  introdotte,  dei  citati  requisiti  di  necessita'  ed
urgenza, ritenuti in tal caso necessari dalla  sentenza  n.  355  del
2010 di questa Corte. Del resto,  il  Collegio  rimettente  evidenzia
come altra giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 128 del 2008  e
n. 171 del 2007) abbia osservato che la legge di conversione non sana
i vizi del decreto d'urgenza, in sede di sua conversione, di tal  che
non possano introdursi disposizioni che non abbiano collegamento  con
le  ragioni  di  necessita'  ed  urgenza  legittimanti   l'intervento
governativo. 
    1.4.- Il Collegio rimettente ha ritenuto, viceversa, assorbita la
terza  eccezione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata   dalla
difesa, per contrasto delle medesime norme di cui  sopra  con  l'art.
117, primo  comma,  Cost.  in  relazione  alla  decisione  quadro  n.
2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione europea del  25  ottobre  2004
(Decisione quadro del Consiglio riguardante la  fissazione  di  norme
minime relative agli elementi costitutivi dei reati e  alle  sanzioni
applicabili in materia di traffico illecito di  stupefacenti)  -  che
esigerebbe una disciplina  differenziata  in  ragione  della  diversa
pericolosita' delle tipologie di sostanze stupefacenti e psicotrope -
e con il principio di proporzionalita' delle pene di cui all'art. 49,
paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali   dell'Unione
europea. 
    2.- Con atto depositato in data 19 novembre 2013,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e' intervenuto nel giudizio, chiedendo che
le questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate. 
    2.1.- In  primo  luogo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
eccepito l'inammissibilita' delle questioni, in quanto la  rimettente
avrebbe  omesso  di  considerare  la  possibilita'  di  adeguare   il
trattamento  sanzionatorio   alla   fattispecie   concreta   mediante
l'applicazione dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. 
    2.2.- Nel merito la  difesa  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha ritenuto palesemente infondate la questioni sollevate, in
quanto l'originario decreto-legge avrebbe gia' contenuto disposizioni
in materia di tossicodipendenza, di tal che le  norme  introdotte  in
sede di conversione si sarebbero dovute considerare in linea  con  la
ratio e con la  finalita'  dell'intervento  governativo,  rispondendo
anche ad una esigenza  di  straordinaria  urgenza  e  necessita'  nel
disciplinare una materia di fondamentale  importanza  ai  fini  della
tutela della salute individuale e collettiva, nonche' ai  fini  della
salvaguardia della sicurezza pubblica, attraverso il rigoroso e fermo
contrasto al  traffico  e  allo  spaccio  degli  stupefacenti  e  del
recupero dei tossicodipendenti, anche in caso di recidiva. 
    3.- Con memoria  depositata  in  data  18  novembre  2013,  V.M.,
imputato nel  procedimento  penale  pendente  in  Cassazione,  si  e'
costituito  in  giudizio,  insistendo  perche'  vengano  accolte   le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  4-bis
e  4-vicies  ter  del  d.l.  n.  272  del   2005,   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.  49  del  2006,
ulteriormente illustrando  i  motivi  gia'  esposti  dalla  Corte  di
cassazione, in relazione alla violazione dell'art. 77, secondo comma,
Cost.,  sia  per  difetto  di  omogeneita'  materiale  e  teleologica
rispetto a contenuto, finalita' e  ratio  dell'originario  testo  del
decreto-legge, sia, in via subordinata, per difetto dei requisiti  di
necessita'  e  urgenza.  In  ultimo,  la  parte  ha   rimarcato   che
l'impugnato art. 4-bis si pone inoltre in duplice  contrasto  con  il
diritto dell'Unione europea, in quanto violerebbe sia l'art. 4  della
citata decisione quadro n. 2004/757/GAI sia l'art. 49 della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    4.-  In  data  10  febbraio  2014,  la  difesa  dell'imputato  ha
depositato note  di  discussione,  con  le  quali  ha  rimarcato  che
l'Avvocatura generale dello Stato, nel ritenere sussistente un  nesso
tra l'art. 4 originariamente contenuto nel decreto governativo  e  le
disposizioni oggi impugnate, avrebbe  confuso  l'oggetto  di  diritto
sostanziale (la disciplina che individua e punisce le violazioni alla
disciplina sugli stupefacenti) con il soggetto (cioe'  il  condannato
tossicodipendente):   l'art.   4,   infatti,    avrebbe    riguardato
quest'ultimo, vale a dire il soggetto,  mentre  le  norme  introdotte
dalla legge  di  conversione  avrebbero  inciso  sul  primo,  id  est
l'oggetto. Nel ribadire e richiamare le argomentazioni  gia'  esposte
in   punto   di   fondatezza   della   questione   di    legittimita'
costituzionale, la difesa ha altresi' evidenziato che l'eccezione  di
inammissibilita' per difetto di rilevanza,  proposta  dal  Presidente
del Consiglio dei ministri, si e' basata sull'erroneo presupposto che
la Corte di cassazione potesse applicare nella specie la disposizione
di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990:  il  giudice
di legittimita', invece, ha espressamente ritenuto infondati i motivi
di ricorso relativi al riconoscimento del  fatto  di  lieve  entita',
contestualmente  considerando  congrua,  specifica  e   adeguata   la
motivazione della sentenza impugnata che lo escludeva. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, terza sezione  penale,  ha  sollevato
questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  4-bis  e
4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a),  numero  6),  del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per  garantire
la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi  invernali,
nonche'   la   funzionalita'    dell'Amministrazione    dell'interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e
modifiche al testo unico delle leggi in materia di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  21
febbraio 2006, n. 49, in  riferimento  all'art.  77,  secondo  comma,
della Costituzione. 
    Ad avviso del Collegio  rimettente,  le  disposizioni  impugnate,
introdotte dalla legge di conversione, mancherebbero del requisito di
omogeneita' con quelle originarie del decreto-legge. Detto requisito,
infatti, e' richiesto dall'art. 77, secondo comma, Cost. che, secondo
la  giurisprudenza  costituzionale  (sentenza  n.   22   del   2012),
istituisce un nesso di interrelazione funzionale  tra  decreto-legge,
formato dal Governo, e legge di  conversione,  caratterizzata  da  un
procedimento di approvazione  peculiare  e  semplificato  rispetto  a
quello ordinario. La legge di conversione, pertanto, rappresenta  una
legge «funzionalizzata  e  specializzata»  che  non  puo'  aprirsi  a
qualsiasi  contenuto  ulteriore,  anche  nel  caso  di  provvedimenti
governativi ab origine eterogenei (ordinanza  n.  34  del  2013),  ma
ammette  soltanto  disposizioni  che  siano   coerenti   con   quelle
originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di
vista funzionale e finalistico. 
    Nella  specie,  ha   osservato   il   Collegio   rimettente,   le
disposizioni originariamente contenute nel decreto-legge riguardavano
la sicurezza e i finanziamenti per le Olimpiadi invernali (che di li'
a  poco   si   sarebbero   svolte   a   Torino),   la   funzionalita'
dell'Amministrazione dell'interno e il recupero di  tossicodipendenti
recidivi. Invece, le disposizioni impugnate, introdotte con  la  sola
legge di conversione,  non  avrebbero  nessuna  correlazione  con  le
prime, in quanto volte ad attuare una radicale e complessiva  riforma
del testo unico sugli stupefacenti e  del  trattamento  sanzionatorio
dei reati ivi contenuti. 
    In particolare, ha osservato la Corte di  cassazione,  il  citato
artt. 4-bis - modificando l'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di  tossicodipendenza)  -  ha  previsto  una  medesima
cornice edittale per le  violazioni  concernenti  tutte  le  sostanze
stupefacenti,  unificando  il  trattamento  sanzionatorio   che,   in
precedenza, era differenziato a seconda  che  i  reati  avessero  per
oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope incluse  nelle  tabelle
II e IV (cosiddette "droghe leggere")  ovvero  quelle  incluse  nelle
tabelle  I  e  III  (cosiddette  "droghe  pesanti"):  la   legge   di
conversione, infatti,  con  l'art.  4-vicies  ter  ha  parallelamente
modificato il precedente sistema tabellare stabilito dagli artt. 13 e
14 dello stesso d.P.R.  n.  309  del  1990,  includendo  nella  nuova
tabella I gli stupefacenti che prima  erano  distinti  in  differenti
gruppi. 
    Per effetto di tali modifiche le sanzioni per i reati concernenti
le cosiddette "droghe leggere" e, in particolare,  i  derivati  dalla
cannabis, precedentemente stabilite  nell'intervallo  edittale  della
pena della reclusione da due a sei anni e della multa da  euro  5.164
ad euro 77.468,  sono  state  elevate,  prevedendosi  la  pena  della
reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000  ad  euro
260.000. 
    Considerata la profonda distonia di contenuto, finalita' e  ratio
del decreto-legge rispetto alle citate nuove norme introdotte in sede
di conversione, i rimettenti reputano che sia  stato  violato  l'art.
77, secondo comma, Cost. sotto il profilo del difetto  del  requisito
di  omogeneita'  ovvero  del  nesso  di   interrelazione   funzionale
richiesto dalla citata disposizione costituzionale. 
    In via subordinata, tuttavia, la Corte di cassazione ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dei medesimi artt.  4-bis  e
4-vicies ter, per difetto del requisito della necessita' ed  urgenza,
richiesto dal medesimo  art.  77,  secondo  comma,  Cost.  Secondo  i
rimettenti,  infatti,  qualora  la   Corte   costituzionale   dovesse
disattendere le conclusioni in punto di  disomogeneita'  delle  norme
impugnate, rispetto al contenuto e alla ratio  del  decreto-legge,  e
dovesse ritenere le medesime non  del  tutto  eterogenee  rispetto  a
questo, allora, poiche' la legge di conversione non sana i  vizi  del
decreto (sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del  2007),  non  potrebbe
considerarsi legittima l'introduzione, in  sede  di  conversione,  di
disposizioni  che  non  abbiano  collegamento  con  le   ragioni   di
necessita' ed urgenza legittimanti l'intervento governativo,  ragioni
evidentemente insussistenti nella specie. 
    2.- In via preliminare, in  ordine  alle  deduzioni  della  parte
privata,  deve  osservarsi  che  -  ferma  l'ammissibilita'  del  suo
intervento, in quanto persona imputata  nel  procedimento  a  quo  e,
quindi, parte del giudizio (ex plurimis, sentenze n. 304 del 2011, n.
138 del 2010 e n.  263  del  2009)  -  esse  introducono  profili  di
illegittimita'  costituzionale  non  prospettati  nell'ordinanza   di
rimessione, in vista di un ampliamento del  thema  decidendum.  Nella
memoria di costituzione, infatti, viene  dedotta  anche  una  duplice
violazione della normativa dell'Unione europea, in relazione sia alla
decisione quadro n. 2004/757/GAI del  Consiglio  dell'Unione  europea
del 25 ottobre 2004 (Decisione quadro del  Consiglio  riguardante  la
fissazione di norme minime relative  agli  elementi  costitutivi  dei
reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito  di
stupefacenti), sia all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea. 
    Va rilevato, invero, che si tratta di un percorso argomentativo e
di una eccezione difensiva  gia'  ritenuti  manifestamente  infondati
dalla Corte di cassazione e che la disamina di tale profilo non  puo'
ritenersi ammissibile nel presente giudizio incidentale, in quanto la
parte privata costituita non puo' estendere i limiti della questione,
quali precisati nell'ordinanza di rimessione dal giudice  a  quo  (ex
plurimis, sentenze n. 56 del 2009, n. 86 del 2008, n. 174 del  2003).
Cio' a  prescindere  dalla  carente  indicazione  delle  disposizioni
costituzionali rispetto alle quali la normativa  dell'Unione  europea
assumerebbe rilevanza nel presente giudizio. 
    3.- In punto di ammissibilita' delle  questioni  sollevate  dalla
Corte di cassazione, deve osservarsi che l'Avvocatura generale  dello
Stato ha eccepito il difetto di rilevanza delle medesime,  in  quanto
il giudice a quo avrebbe omesso di sperimentare  la  possibilita'  di
adeguare il trattamento sanzionatorio alle  differenti  tipologie  di
stupefacenti, attraverso l'applicazione dell'art. 73,  comma  5,  del
d.P.R. n. 309 del 1990, che prevede pene piu' miti  per  i  fatti  di
lieve entita'. 
    L'eccezione non e' fondata, in quanto la Corte di  cassazione  ha
espressamente precisato, nel corpo stesso della sua ordinanza, che la
Corte d'appello di Trento ha fornito congrua,  specifica  e  adeguata
motivazione delle ragioni per le quali  non  e'  riconoscibile  nella
specie il fatto di lieve entita', ai sensi del citato art. 73,  comma
5. 
    E'  appena  il  caso  di  aggiungere   che,   alla   luce   delle
considerazioni sopra svolte, risulta evidente che  nessuna  incidenza
sulle questioni sollevate possono esplicare  le  modifiche  apportate
all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309  del  1990  dall'art.  2  del
decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure  urgenti  in  tema  di
tutela  dei  diritti  fondamentali  dei  detenuti  e   di   riduzione
controllata   della   popolazione   carceraria),   convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  21  febbraio  2014,
n.10. Trattandosi di ius superveniens che riguarda  disposizioni  non
applicabili nel giudizio a quo, non si ravvisa la necessita'  di  una
restituzione degli atti al giudice rimettente,  dal  momento  che  le
modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione  di
cui e' gia' stata esclusa l'applicazione nella specie, e sono tali da
non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal  giudice
rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione n. 49
del 2006,  con  riguardo  a  disposizioni  differenti.  Inoltre,  gli
effetti del presente  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  non
riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n.
146 del 2013, sopra citato,  in  quanto  stabilita  con  disposizione
successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima. 
    4.- Nel merito, la questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, come  convertito
dall'art. 1, comma 1, della legge n.  49  del  2006,  e'  fondata  in
riferimento  all'art.  77,  secondo  comma,  Cost.  per  difetto   di
omogeneita', e quindi di nesso funzionale, tra  le  disposizioni  del
decreto-legge  e  quelle  impugnate,  introdotte   nella   legge   di
conversione. 
    4.1.- In proposito va  richiamata  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, con particolare riguardo alla sentenza n. 22 del 2012  e  alla
successiva ordinanza n. 34 del 2013, nella quale si e'  chiarito  che
la legge di conversione deve avere un contenuto omogeneo a quello del
decreto-legge. Cio' in ossequio, prima ancora che a regole  di  buona
tecnica normativa, allo stesso art.  77,  secondo  comma,  Cost.,  il
quale  presuppone  «un  nesso  di   interrelazione   funzionale   tra
decreto-legge, formato dal Governo ed emanato  dal  Presidente  della
Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento
di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario»  (sentenza  n.
22 del 2012). 
    La legge di conversione  -  per  l'approvazione  della  quale  le
Camere, anche se sciolte, si riuniscono  entro  cinque  giorni  dalla
presentazione del relativo disegno di legge (art. 77, secondo  comma,
Cost.) - segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal
rispetto di tempi particolarmente rapidi, che  si  giustificano  alla
luce della sua natura di legge funzionalizzata  alla  stabilizzazione
di un provvedimento avente forza di legge,  emanato  provvisoriamente
dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto. 
    Dalla sua connotazione di legge a competenza  tipica  derivano  i
limiti alla emendabilita' del decreto-legge. La legge di  conversione
non puo', quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore,  come  del
resto prescrivono anche i regolamenti parlamentari (art.  96-bis  del
Regolamento della Camera dei Deputati e art. 97 del  Regolamento  del
Senato della  Repubblica,  come  interpretato  dalla  Giunta  per  il
regolamento con il parere dell'8 novembre 1984). Diversamente, l'iter
semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi  estranei  a  quelli
che giustificano l'atto  con  forza  di  legge,  a  detrimento  delle
ordinarie dinamiche di confronto parlamentare. Pertanto, l'inclusione
di emendamenti e articoli aggiuntivi che  non  siano  attinenti  alla
materia oggetto del decreto-legge, o alle finalita' di  quest'ultimo,
determina un vizio della legge di conversione in parte qua. 
    E'  bene  sottolineare  che  la   richiesta   coerenza   tra   il
decreto-legge e  la  legge  di  conversione  non  esclude,  in  linea
generale, che le Camere possano apportare emendamenti  al  testo  del
decreto-legge, per modificare la normativa in esso contenuta, in base
alle  valutazioni  emerse  nel  dibattito  parlamentare;  essa   vale
soltanto a  scongiurare  l'uso  improprio  di  tale  potere,  che  si
verifica ogniqualvolta sotto la veste formale di  un  emendamento  si
introduca un disegno di legge che tenda a immettere  nell'ordinamento
una disciplina  estranea,  interrompendo  il  legame  essenziale  tra
decreto-legge e legge  di  conversione,  presupposto  dalla  sequenza
delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Cio' vale anche nel caso di provvedimenti governativi ab  origine
a contenuto plurimo, come quello di specie.  In  relazione  a  questa
tipologia di atti - che di  per  se'  non  sono  esenti  da  problemi
rispetto al requisito dell'omogeneita' (sentenza n. 22  del  2012)  -
ogni ulteriore disposizione introdotta in sede  di  conversione  deve
essere strettamente collegata ad uno dei contenuti gia'  disciplinati
dal decreto-legge  ovvero  alla  ratio  dominante  del  provvedimento
originario considerato nel suo complesso. 
    Nell'ipotesi in cui la legge di conversione  spezzi  la  suddetta
connessione,  si  determina  un  vizio  di  procedura,  mentre  resta
ovviamente salva  la  possibilita'  che  la  materia  regolata  dagli
emendamenti estranei al decreto-legge formi oggetto  di  un  separato
disegno di  legge,  da  discutersi  secondo  le  ordinarie  modalita'
previste dall'art. 72 Cost. 
    L'eterogeneita'  delle   disposizioni   aggiunte   in   sede   di
conversione determina, dunque, un vizio procedurale delle stesse, che
come ogni  altro  vizio  della  legge  spetta  solo  a  questa  Corte
accertare. Si tratta di un vizio procedurale peculiare, che  per  sua
stessa natura puo' essere evidenziato solamente attraverso  un  esame
del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte in sede
parlamentare,  posto  a  raffronto  con  l'originario  decreto-legge.
All'esito  di  tale  esame,   le   eventuali   disposizioni   intruse
risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell'art.
77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte  le  componenti  dell'atto
che si pongano in linea di continuita' sostanziale, per materia o per
finalita', con l'originario decreto-legge. 
    4.2.- Nel  caso  di  specie,  dunque,  la  Corte  e'  chiamata  a
verificare se il contenuto delle disposizioni  impugnate,  introdotte
in fase di conversione, sia funzionalmente correlato al decreto-legge
n. 272 del 2005, al fine di giudicare il corretto uso del  potere  di
conversione ex art. 77, secondo comma, Cost. da parte delle Camere. 
    A tal fine va osservato che le  norme  originarie  contenute  nel
decreto-legge riguardano l'assunzione di personale della  Polizia  di
Stato   (art.   1),   misure   per   assicurare   la    funzionalita'
all'Amministrazione civile dell'interno (art. 2),  finanziamenti  per
le olimpiadi invernali (art. 3), il  recupero  dei  tossicodipendenti
detenuti (art. 4) e il  diritto  di  voto  degli  italiani  residenti
all'estero (art. 5). 
    Come puo' facilmente rilevarsi, e come  del  resto  ha  osservato
l'Avvocatura dello Stato, l'unica previsione alla quale, in  ipotesi,
potrebbero riferirsi le disposizioni impugnate introdotte dalla legge
di conversione, e' l'art. 4, la cui connotazione finalistica  era  ed
e' quella di impedire l'interruzione del  programma  di  recupero  di
determinate categorie di tossicodipendenti recidivi. 
    Nei confronti di questi ultimi era, infatti, intervenuta l'allora
recentissima legge 5 dicembre  2005,  n.  251  (Modifiche  al  codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di  usura  e  di  prescrizione),  cosiddetta
"legge ex Cirielli", che con il suo  art.  8  aveva  aggiunto  l'art.
94-bis al d.P.R. n. 309 del 1990, riducendo cosi' da  quattro  a  tre
anni la pena massima che, per i recidivi, consentiva l'affidamento in
prova per l'attuazione di un programma terapeutico di recupero  dalla
tossicodipendenza; inoltre,  l'art.  9  della  medesima  legge  aveva
aggiunto la lettera c)  al  comma  9  dell'art.  656  del  codice  di
procedura penale, escludendo la sospensione  della  esecuzione  della
pena per i  recidivi,  anche  se  tossicodipendenti  inseriti  in  un
programma terapeutico di recupero. 
    Il Governo, ritenuta la straordinaria  necessita'  e  urgenza  di
garantire l'efficacia dei citati programmi di recupero anche in  caso
di recidivi, con l'art. 4 del d.l. n.  272  del  2005  aveva  percio'
abrogato il predetto art. 94-bis e aveva modificato l'art. 656, comma
9,  lettera  c),  cod.  proc.  pen.,  ripristinando  la   sospensione
dell'esecuzione della pena nei confronti dei tossicodipendenti con un
programma  terapeutico  in  atto  alle   condizioni   precedentemente
previste. 
    L'art.  4  contiene,  pertanto,  norme  di  natura   processuale,
attinenti alle modalita' di esecuzione della pena,  il  cui  fine  e'
quello di impedire l'interruzione dei  programmi  di  recupero  dalla
tossicodipendenza.   Esse   riguardano,   cioe',   la   persona   del
tossicodipendente  e  perseguono  una  finalita'  specifica   e   ben
determinata: il suo recupero dall'uso di droghe, qualunque reato egli
abbia commesso, sia esso in materia di stupefacenti o non. 
    Non cosi' le impugnate disposizioni di cui  agli  artt.  4-bis  e
4-vicies ter, introdotte dalla legge di conversione, le quali  invece
riguardano gli stupefacenti e non la persona  del  tossicodipendente.
Inoltre,  esse  sono  norme  a  connotazione   sostanziale,   e   non
processuale, perche' dettano la disciplina dei reati  in  materia  di
stupefacenti. 
    Si tratta, dunque, di  fattispecie  diverse  per  materia  e  per
finalita', che denotano la evidente  estraneita'  delle  disposizioni
censurate, aggiunte in sede di conversione, rispetto ai  contenuti  e
alle finalita' del decreto-legge in cui sono state inserite. 
    4.3.-  Tra  gli  elementi   sintomatici   che   confermano   tale
conclusione,  si  puo'  richiamare  la  circostanza  che  lo   stesso
Parlamento ha dovuto modificare, in sede di  conversione,  il  titolo
originario del decreto-legge, ampliandolo con l'aggiunta delle parole
«e modifiche al testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina
degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309»,  per
includervi la materia disciplinata dalle disposizioni introdotte solo
con la legge di conversione. Cio' e' indice del fatto che  lo  stesso
legislatore ha ritenuto che le innovazioni introdotte con la legge di
conversione  non  potevano  essere  ricomprese  nelle  materie   gia'
disciplinate dal  decreto-legge  medesimo  e  risultanti  dal  titolo
originario di quest'ultimo. 
    D'altra parte, non meno significativo e' il parere  espresso  dal
Comitato per la legislazione della Camera dei deputati (nella  seduta
del 1° febbraio 2006) sul disegno di legge C. 6297 di conversione  in
legge del decreto-legge n. 272 del 2005. In tale parere si rileva che
il  disegno  di  legge  «reca  un  contenuto  i   cui   elementi   di
eterogeneita'  -  peraltro  gia'   originariamente   presenti   nella
originaria formulazione di 5 articoli [...] - sono stati notevolmente
accentuati a seguito dell'inserimento,  durante  il  procedimento  di
conversione  presso  il  Senato,  di  una  vasta  mole  di  ulteriori
disposizioni   (recate   in   25    nuovi    articoli)    riguardanti
principalmente, ma  non  esclusivamente,  misure  di  contrasto  alla
diffusione degli stupefacenti, mutuate da  un  disegno  di  legge  da
tempo all'esame del Senato (S. 2953)». 
    4.4.- Del resto, la disomogeneita' delle  disposizioni  impugnate
rispetto al decreto-legge da convertire assume caratteri di  assoluta
evidenza, anche alla luce della portata della  riforma  recata  dagli
impugnati  artt.  4-bis  e  4-vicies  ter  e  della   delicatezza   e
complessita' della materia incisa dagli stessi. 
    Infatti, benche' contenute in due  soli  articoli,  le  modifiche
introdotte nell'ordinamento  apportano  una  innovazione  sistematica
alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti,  sia  sotto  il
profilo delle  incriminazioni  sia  sotto  quello  sanzionatorio,  il
fulcro della quale e'  costituito  dalla  parificazione  dei  delitti
riguardanti le droghe cosiddette "pesanti"  e  di  quelli  aventi  ad
oggetto le droghe  cosiddette  "leggere",  fattispecie  differenziate
invece dalla precedente disciplina. 
    Una tale penetrante e  incisiva  riforma,  coinvolgente  delicate
scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto
un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero  seguite
le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost. 
    Si aggiunga che un intervento normativo di simile rilievo -  che,
non a caso, faceva parte di un autonomo  disegno  di  legge  S.  2953
giacente da tre anni in  Senato  in  attesa  dell'approvazione  -  ha
finito,  invece,  per   essere   frettolosamente   inserito   in   un
"maxi-emendamento" del Governo, interamente sostitutivo del testo del
disegno   di   legge   di   conversione,   presentato    direttamente
nell'Assemblea del Senato e su cui il Governo medesimo  ha  posto  la
questione di fiducia  (nella  seduta  del  25  gennaio  2006),  cosi'
precludendo una discussione specifica e una congrua deliberazione sui
singoli aspetti della disciplina in tal modo introdotta. 
    Inoltre, per effetto del "voto  bloccato"  che  la  questione  di
fiducia determina ai sensi delle vigenti procedure  parlamentari,  e'
stato anche impedito ogni possibile intervento sul  testo  presentato
dal Governo, dal momento che all'oggetto della questione di  fiducia,
non possono essere riferiti emendamenti, sub-emendamenti  o  articoli
aggiuntivi e che su tale oggetto e' altresi' vietata la votazione per
parti separate. 
    Ne' la seconda e  definitiva  lettura  presso  l'altro  ramo  del
Parlamento  ha  consentito  successivamente  di  rimediare  a  questa
mancanza, visto che anche in quel caso il  Governo  ha  posto,  nella
seduta del 6  febbraio  2006,  la  questione  di  fiducia  sul  testo
approvato dal Senato, obbligando cosi'  l'Assemblea  della  Camera  a
votarlo "in blocco". 
    Va inoltre osservato che la presentazione in aula  da  parte  del
Governo di un maxi-emendamento al disegno di legge di conversione non
ha  consentito  alle  Commissioni  di  svolgere  in  Senato   l'esame
referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 Cost. 
    Per di piu', l'imminente fine della legislatura (intervenuta  con
il d.P.R. 11 febbraio 2006, n. 32, recante «Scioglimento  del  Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati») e  l'assoluta  urgenza
di convertire alcune delle disposizioni contenute  nel  decreto-legge
originario,  tra  cui  quelle   riguardanti   la   sicurezza   e   il
finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, impedivano di
fatto allo stesso Presidente  della  Repubblica  di  fare  uso  della
facolta' di rinvio delle leggi ex art. 74 Cost., non disponendo,  tra
l'altro, di un potere di rinvio parziale. 
    In questo senso sono, infatti, i rilievi contenuti  nei  ripetuti
interventi da parte del Presidente della Repubblica - lettera inviata
il 27 dicembre 2013 ai Presidenti del Senato e  della  Camera,  sulle
modalita' di svolgimento dell'iter  parlamentare  di  conversione  in
legge del decreto-legge c.d. "salva Roma" (decreto-legge  31  ottobre
2013, n. 126); lettera inviata il 23 febbraio 2012 ai Presidenti  del
Senato e della  Camera;  lettera  inviata  il  22  febbraio  2011  ai
Presidenti del Senato e della Camera; messaggio inviato  alle  Camere
il 29 marzo 2002) - e, recentemente, anche da  parte  del  Presidente
del Senato (comunicato  del  Presidente  del  Senato  inviato  il  28
dicembre  2013),  interventi  tutti   volti   a   segnalare   l'abuso
dell'istituto del decreto-legge e, in  particolare,  l'uso  improprio
dello strumento della legge di conversione, in  violazione  dell'art.
77, secondo comma, Cost. 
    Ben si comprende, pertanto, proprio alla luce di quanto  accaduto
nel caso di specie, come il rispetto del requisito dell'omogeneita' e
della interrelazione funzionale tra disposizioni del decreto-legge  e
quelle della legge di conversione ex art. 77,  secondo  comma,  Cost.
sia  di  fondamentale  importanza  per  mantenere  entro  la  cornice
costituzionale i rapporti istituzionali  tra  Governo,  Parlamento  e
Presidente  della  Repubblica  nello   svolgimento   della   funzione
legislativa. 
    4.5.- Conclusivamente sul punto, deve osservarsi  che,  nel  caso
sottoposto all'esame della Corte, risultano contestualmente  presenti
plurimi indici che rendono  manifesta  l'assenza  di  ogni  nesso  di
interrelazione  funzionale  tra  le  disposizioni  impugnate   e   le
originarie disposizioni del decreto-legge. 
    In difetto  del  necessario  legame  logico-giuridico,  richiesto
dall'art. 77,  secondo  comma,  Cost.,  i  censurati  artt.  4-bis  e
4-vicies ter devono ritenersi adottati in carenza dei presupposti per
il legittimo  esercizio  del  potere  legislativo  di  conversione  e
percio' costituzionalmente illegittimi. 
    Trattandosi di un vizio di natura  procedurale,  che  peraltro  -
come si e' detto - si evidenzia  solo  ad  un'analisi  dei  contenuti
normativi  aggiunti  in  sede  di  conversione,  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale colpisce per intero le due disposizioni
impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata la valutazione  di
questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori  impugnative  aventi
ad oggetto altre disposizioni della medesima legge. 
    5.- In considerazione del particolare vizio procedurale accertato
in questa sede, per carenza  dei  presupposti  ex  art.  77,  secondo
comma, Cost., deve ritenersi che, a seguito della  caducazione  delle
disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l'art. 73 del
d.P.R. n.  309  del  1990  e  le  relative  tabelle,  in  quanto  mai
validamente abrogati,  nella  formulazione  precedente  le  modifiche
apportate con le disposizioni impugnate. 
    Il potere di conversione non puo', infatti, considerarsi una mera
manifestazione dell'ordinaria potesta' legislativa delle  Camere,  in
quanto  la  legge  di  conversione  ha  natura   «funzionalizzata   e
specializzata» (sentenza n. 22 del 2012 e ordinanza n. 34 del  2013).
Essa presuppone un decreto da convertire, al cui contenuto precettivo
deve attenersi, e per questo non e' votata articolo per articolo,  ma
in genere e' composta da un articolo unico, sul  quale  ha  luogo  la
votazione - salva  la  eventuale  proposizione  di  emendamenti,  nei
limiti sopra ricordati - nell'ambito di un procedimento ad hoc  (art.
96-bis del Regolamento della Camera;  art.  78  del  Regolamento  del
Senato), che deve necessariamente concludersi entro sessanta  giorni,
pena la decadenza ex tunc del provvedimento governativo. Nella misura
in cui le Camere non rispettano la funzione  tipica  della  legge  di
conversione, facendo uso della speciale procedura per  essa  prevista
al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla  conversione  del
provvedimento del Governo, esse agiscono in una situazione di carenza
di potere. 
    In tali casi, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l'atto
affetto da  vizio  radicale  nella  sua  formazione  e'  inidoneo  ad
innovare l'ordinamento e, quindi, anche  ad  abrogare  la  precedente
normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010). Sotto  questo
profilo,  la  situazione  risulta   assimilabile   a   quella   della
caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per le
quali questa Corte  ha  gia'  riconosciuto,  come  conseguenza  della
declaratoria di illegittimita' costituzionale,  l'applicazione  della
normativa precedente (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del  2012),  in
conseguenza  dell'inidoneita'  dell'atto,  per  il   radicale   vizio
procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi  anche  per
modifica o sostituzione. 
    Deve,  dunque,  ritenersi  che  la  disciplina  dei  reati  sugli
stupefacenti contenuta nel d.P.R. n. 309  del  1990,  nella  versione
precedente alla novella del 2006, torni ad applicarsi, non  essendosi
validamente verificato l'effetto abrogativo. 
    E' appena il caso di  aggiungere  che  la  materia  del  traffico
illecito degli stupefacenti e' oggetto di obblighi di penalizzazione,
in virtu' di normative  dell'Unione  europea.  Piu'  precisamente  la
decisione quadro n. 2004/757/GAI del 2004 fissa norme minime relative
agli elementi costitutivi dei reati e alle  sanzioni  applicabili  in
materia di traffico illecito  di  stupefacenti,  richiedendo  che  in
tutti gli Stati membri siano  punite  alcune  condotte  intenzionali,
allorche' non autorizzate, fatto salvo il  consumo  personale,  quale
definito dalle rispettive legislazioni nazionali. Pertanto, se non si
determinasse la ripresa dell'applicazione delle  norme  sanzionatorie
contenute nel d.P.R. n. 309 del 1990, resterebbero non punite  alcune
tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale
di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione  del  diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a  rispettare  in  virtu'
degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    6.- Stabilito, quindi, che una volta dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale delle  disposizioni  impugnate  riprende  applicazione
l'art. 73 del d.P.R.  n.  309  del  1990  nel  testo  anteriore  alle
modifiche con queste apportate, resta da osservare che,  mentre  esso
prevede un trattamento sanzionatorio piu'  mite,  rispetto  a  quello
caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette "droghe leggere"
(puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa,
anziche' con la pena della reclusione da sei a  venti  anni  e  della
multa),  viceversa  stabilisce  sanzioni  piu'  severe  per  i  reati
concernenti le cosiddette "droghe pesanti" (puniti con la pena  della
reclusione da otto a venti anni, anziche' con quella da sei  a  venti
anni). 
    E' bene ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa  Corte,
sin dalla sentenza n. 148 del 1983, si e' ritenuto che gli  eventuali
effetti in malam partem di una decisione della Corte  non  precludono
l'esame nel merito  della  normativa  impugnata,  fermo  restando  il
divieto per la Corte (in virtu' della riserva  di  legge  vigente  in
materia penale, di cui all'art. 25 Cost.) di «configurare nuove norme
penali» (sentenza n. 394  del  2006),  siano  esse  incriminatrici  o
sanzionatorie,  eventualita'  questa  che  non  rileva  nel  presente
giudizio, dal momento che la decisione della Corte non fa  altro  che
rimuovere gli ostacoli all'applicazione di una  disciplina  stabilita
dal legislatore. 
    Quanto agli effetti sui singoli imputati, e' compito del  giudice
comune, quale interprete delle leggi, impedire che  la  dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale  vada  a  detrimento  della   loro
posizione  giuridica,  tenendo  conto  dei  principi  in  materia  di
successione di leggi penali nel  tempo  ex  art.  2  cod.  pen.,  che
implica l'applicazione della norma penale piu' favorevole al reo. 
    Analogamente, rientra nei compiti del giudice comune  individuare
quali  norme,  successive  a  quelle  impugnate,   non   siano   piu'
applicabili perche'  divenute  prive  del  loro  oggetto  (in  quanto
rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono  continuare
ad avere applicazione in quanto non presuppongono  la  vigenza  degli
artt. 4-bis e 4-vicies ter, oggetto della presente decisione. 
    7.- La decisione  di  cui  sopra  assorbe  l'ulteriore  questione
sollevata in via subordinata dalla Corte di cassazione.