ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma
3, secondo periodo, del codice di procedura penale,  come  modificato
dall'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  23  febbraio  2009,  n.  11
(Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto  alla
violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 aprile  2009,
n. 38, in relazione all'art. 7 del decreto-legge 13 maggio  1991,  n.
152  (Provvedimenti  urgenti  in  tema  di  lotta  alla  criminalita'
organizzata  e  di  trasparenza  e  buon   andamento   dell'attivita'
amministrativa), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 12 luglio 1991, n. 203, promosso dal Tribunale  ordinario
di Salerno, sezione del riesame, nel procedimento penale a carico  di
P.E.G. ed altri, con ordinanza del 26 ottobre 2012, iscritta al n. 51
del registro ordinanze 2013 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 26 ottobre  2012  (r.o.
n. 51 del 2013), il  Tribunale  ordinario  di  Salerno,  sezione  del
riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo  comma,
e 27, secondo comma, della Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di
procedura  penale,  come  modificato  dall'art.  2,  comma   1,   del
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in  materia  di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche'  in
tema di atti persecutori), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in  cui  -
nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza  in
ordine ai delitti commessi «con il  metodo  mafioso»  o  al  fine  di
agevolare  «le  attivita'  delle  associazioni»  previste   dall'art.
416-bis del codice penale, contestati  a  chi  non  faccia  parte  di
associazioni di tipo mafioso, e' applicata la custodia  cautelare  in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure; 
    che il giudice rimettente riferisce  di  essere  investito  degli
appelli presentati dal pubblico ministero avverso le ordinanze con le
quali il Tribunale ordinario di Nocera Inferiore aveva  disposto,  ai
sensi dell'art. 299 cod. proc. pen., la sostituzione con gli  arresti
domiciliari  della  custodia  cautelare  in  carcere  applicata  agli
imputati, cui erano contestati reati aggravati a  norma  dell'art.  7
del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152  (Provvedimenti  urgenti  in
tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza  e  buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 luglio  1991,  n.
203; 
    che le ordinanze impugnate avevano  aderito  a  un  «orientamento
minoritario»  della  Corte  di  cassazione,  secondo  il   quale   la
presunzione assoluta  di  adeguatezza  della  custodia  cautelare  in
carcere, prevista dall'art. 275, comma 3, cod.  proc.  pen.,  sarebbe
«sussistente con esclusivo riferimento alla fase genetica del vincolo
e non anche con riferimento alla fase funzionale di esso, potendo  il
giudice, in tale ultimo caso, procedere alla ordinaria  verifica  del
trattamento cautelare adeguandolo  al  caso  concreto  attraverso  la
scelta  della  misura  ritenuta   piu'   idonea   alla   salvaguardia
dell'esigenza cautelare»; 
    che il pubblico ministero aveva impugnato  l'ordinanza  deducendo
la violazione dell'art. 299 cod. proc. pen.,  in  relazione  all'art.
275, comma 3, cod. proc. pen.; 
    che, come riferisce il giudice rimettente, nel corso dell'udienza
camerale, l'«incidente cautelare» era stato riunito ad altro  analogo
e «le parti private» avevano concluso,  in  via  principale,  per  il
rigetto dell'appello e, in via subordinata, «affinche'  il  tribunale
distrettuale sollevasse la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 275, cpv., cod. proc. pen., per contrasto con gli artt.  3,
13 e 27 Cost.»; 
    che il giudice rimettente dichiara di condividere  l'orientamento
delle sezioni unite penali della Corte di cassazione secondo  cui  la
presunzione di adeguatezza della custodia in carcere,  ex  art.  275,
comma 3, cod. proc. pen., opera non solo in  occasione  dell'adozione
del provvedimento genetico della misura coercitiva,  ma  anche  nelle
successive vicende della stessa; 
    che, «fatta esclusione per coloro che siano seriamente  indiziati
di  legami  con  le  organizzazioni  di  tipo  mafioso»,  il  giudice
rimettente dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.  275,
comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., «nella parte in cui -  nel
prevedere che, quando sussistono  gravi  indizi  di  colpevolezza  in
ordine ai delitti commessi  con  il  metodo  mafioso  o  al  fine  di
agevolare le attivita' delle associazioni previste dall'art.  416-bis
c.p.  (aggravanti  cosi'  contestate  nel  [...]  procedimento),   e'
applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti
elementi dai quali risulti che non sussistono  esigenze  cautelari  -
non fa salva, altresi', l'ipotesi in  cui  siano  acquisiti  elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»; 
    che nel senso della non manifesta infondatezza della questione di
legittimita'  costituzionale  militerebbero,  in  primo  luogo,   gli
argomenti con i quali la giurisprudenza costituzionale  e'  pervenuta
ad escludere l'operativita' della presunzione assoluta di adeguatezza
della custodia cautelare in carcere per  alcuni  dei  reati  previsti
dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; 
    che, in secondo luogo, occorrerebbe  considerare  che  i  delitti
aggravati ai sensi dell'art. 7 del d.l.  n.  152  del  1991,  potendo
avere  carattere  individuale,  per  le  loro  caratteristiche,   non
implicherebbero esigenze cautelari affrontabili esclusivamente con la
custodia in carcere; 
    che le connotazioni criminologiche e strutturali di un  fatto  di
reato aggravato dall'art. 7 del  d.l.  n.  152  del  1991  potrebbero
differire notevolmente, sotto il profilo  dell'offensivita'  e  della
pericolosita'  sociale,  dalle  condotte   di   chi   fa   parte   di
un'associazione  di  tipo  mafioso,  sicche'   «la   presunzione   di
adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere a soddisfare  il
bisogno cautelare non poggerebbe nel primo caso (coincidente peraltro
con i fatti di  cui  al  [...]  procedimento  nei  quali  il  vincolo
associativo non risulta ne' provato e neppure contestato)  su  solide
basi razionali e su massime di esperienza generalizzate derivando  da
cio'   un'inammissibile   parificazione   ed   una   ingiustificabile
disciplina derogatoria fondata su presunzioni assolute»; 
    che, alla luce  delle  considerazioni  gia'  svolte  dalla  Corte
costituzionale,   dovrebbe   concludersi   per   la   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
275, comma 3, cod. proc. pen., nei termini sopraindicati,  in  quanto
la   norma   impugnata   violerebbe   sia   l'art.   3   Cost.,   per
l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi  ai  delitti
aggravati dall'art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, contestati a chi  non
faccia parte di associazioni di tipo mafioso, a quelli concernenti il
reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.,  nonche'  per  l'irrazionale
assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse  ipotesi
concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati; sia  l'art.
13, primo comma,  Cost.,  quale  referente  fondamentale  del  regime
ordinario delle misure cautelari privative della liberta'  personale;
sia, infine, l'art. 27, secondo comma,  Cost.,  in  quanto  sarebbero
attribuiti alla  coercizione  processuale  tratti  funzionali  tipici
della pena; 
    che il Tribunale rimettente richiama le valutazioni  del  giudice
che  aveva   emesso   il   provvedimento   impugnato,   secondo   cui
l'incensuratezza della  maggior  parte  degli  imputati,  il  periodo
risalente nel tempo dei precedenti  di  quelli  non  incensurati,  il
decorso non trascurabile  del  periodo  di  detenzione  sofferto,  la
mancata  violazione  delle   prescrizioni   connesse   agli   arresti
domiciliari e lo scioglimento del Consiglio comunale  del  Comune  di
Pagani, pur essendo insuscettibili di escludere la sussistenza  delle
esigenze cautelari, avrebbero consentito  di  salvaguardarle  con  la
concessione degli arresti domiciliari; 
    che tali elementi di fatto non  potrebbero  essere  valutati  dal
giudice dell'appello cautelare se non fosse «rimossa  la  presunzione
assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere  prevista
dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.». 
    Considerato che il Tribunale ordinario di  Salerno,  sezione  del
riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo  comma,
e 27, secondo comma, della Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di
procedura  penale,  come  modificato  dall'art.  2,  comma   1,   del
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in  materia  di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche'  in
tema di atti persecutori), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in  cui  -
nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza  in
ordine ai delitti commessi «con il  metodo  mafioso»  o  al  fine  di
agevolare  «le  attivita'  delle  associazioni»  previste   dall'art.
416-bis del codice penale, contestati  a  chi  non  faccia  parte  di
associazioni di tipo mafioso, e' applicata la custodia  cautelare  in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure; 
    che con la sentenza n. 57 del 2013, successiva  all'ordinanza  di
rimessione,   questa    Corte    ha    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo  periodo,  cod.  proc.
pen., come modificato dall'art. 2, comma 1, del d.l. n. 11 del  2009,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
38 del  2009,  nella  parte  in  cui  -  nel  prevedere  che,  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi
avvalendosi delle condizioni previste  dall'art.  416-bis  cod.  pen.
ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle  associazioni  previste
dallo stesso articolo, e' applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo  che  siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure; 
    che, pertanto, a seguito  della  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale di cui alla sentenza n.  57  del  2013,  la  questione
sollevata deve essere  dichiarata  manifestamente  inammissibile,  in
quanto e' diventata priva di oggetto (ex plurimis, ordinanza  n.  315
del 2012). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.