ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  10-ter  del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei  reati
in materia di imposte sui redditi e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999,  n.  205),  promossi  dal
Tribunale di Bologna con ordinanza del 13 giugno 2013 e dal Tribunale
di Bergamo con  ordinanza  del  17  settembre  2013,  rispettivamente
iscritte ai nn. 211 e 274 del registro ordinanze  2013  e  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn. 41 e 52,  prima  serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  12  marzo  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.1.- Con ordinanza del 13 giugno 2013, il Tribunale  di  Bologna
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   10-ter   del   decreto
legislativo 10 marzo 2000, n.  74  (Nuova  disciplina  dei  reati  in
materia di imposte  sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella  parte  in
cui, limitatamente ai fatti  commessi  sino  al  17  settembre  2011,
punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore  aggiunto  (IVA),
dovuta in base  alla  relativa  dichiarazione  annuale,  per  importi
superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 50.000 ma  non  ad
euro 77.468,53. 
    Il giudice a quo rileva come la norma censurata  punisca  con  la
pena indicata dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 chiunque non
versa,  nei  limiti  ivi  previsti,  l'IVA  dovuta   in   base   alla
dichiarazione  annuale,  entro   il   termine   per   il   versamento
dell'acconto relativo  al  periodo  di  imposta  successivo.  Per  la
configurabilita' del reato e' dunque  necessario,  da  un  lato,  che
l'omesso versamento sia  di  importo  superiore  a  50.000  euro  per
ciascun  periodo  d'imposta  (soglia  di  punibilita'  prevista   dal
richiamato art. 10-bis); dall'altro, che detta imposta risulti dovuta
in base alla dichiarazione annuale, regolarmente presentata. 
    Per converso, l'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, prima della sua
modifica ad opera dell'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera f), del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, puniva  con  la
reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le  imposte
sui  redditi  o  sul  valore  aggiunto,  non  presentasse,  essendovi
obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette  imposte,
«quando l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna  delle
singole imposte, ad euro 77.468,53». 
    Dal  raffronto  tra   le   due   disposizioni   emergerebbe   una
irragionevole disparita' di trattamento fra il soggetto che - essendo
tenuto a versare l'IVA per un importo compreso nell'intervallo tra le
due soglie (superiore, cioe', a 50.000 euro, ma non a 77.468,53 euro)
- non abbia presentato la relativa dichiarazione annuale al  fine  di
evadere l'imposta, e  il  soggetto  che,  trovandosi  nelle  medesime
condizioni, abbia  presentato  regolarmente  la  dichiarazione  senza
tuttavia versare l'imposta entro  il  termine  indicato  dalla  norma
denunciata (il 27 dicembre dell'anno successivo). 
    Nel primo caso, infatti, il contribuente resta  esente  da  pena,
non risultando raggiunta la soglia di punibilita' prevista  dall'art.
5 del d.lgs. n. 74 del 2000 per l'omessa dichiarazione; nel  secondo,
incorre invece in responsabilita' penale, anche per i fatti  commessi
entro il 17 settembre 2011, in ragione del superamento  della  soglia
di  50.000  euro,  prevista  dalla  norma  censurata   per   l'omesso
versamento. 
    Tale assetto risulterebbe chiaramente  lesivo  del  principio  di
eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost., determinando  il  paradossale
risultato di riservare un trattamento meno favorevole a chi ha tenuto
la condotta meno lesiva degli interessi del fisco. 
    La  conclusione  troverebbe  conferma  nella  modifica  apportata
all'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 dal citato d.l. n. 138 del 2011,
che ha ridotto ad euro  30.000  la  soglia  di  punibilita'  relativa
all'omessa  presentazione  della  dichiarazione  annuale,  portandola
cosi'  al  di  sotto  di  quella  prevista  per  l'omesso  versamento
dell'IVA. Siffatta modifica trova,  tuttavia,  applicazione  solo  in
rapporto ai fatti commessi dopo il 17 settembre 2011,  e  dunque  non
elimina la disparita' di trattamento riscontrabile  con  riguardo  ai
fatti realizzati entro detta data. 
    La  questione  risulterebbe,  per  altro  verso,   «all'evidenza»
decisiva «in ordine alle determinazioni sulla penale  responsabilita'
dell'imputato», non essendo possibile «altrimenti la definizione  del
giudizio». 
    1.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo   che   la   questione   sia   dichiarata    manifestamente
inammissibile o manifestamente infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione   sarebbe
manifestamente inammissibile, non avendo il rimettente  descritto  in
alcun modo la vicenda concreta sottoposta al suo vaglio,  limitandosi
ad affermare la rilevanza in modo apodittico. 
    Nel  merito,  la  questione   sarebbe   comunque   manifestamente
infondata,   dovendosi   escludere    che,    nel    frangente,    la
discrezionalita' legislativa in tema di configurazione degli illeciti
penali sia stata esercitata in modo  manifestamente  irragionevole  o
arbitrario, tenuto conto del fatto che l'art. 10-ter del d.lgs. n. 74
del 2000 mira a rafforzare la tutela dell'interesse  del  fisco  alla
riscossione dei  tributi  con  riferimento  all'IVA,  parte  del  cui
gettito deve essere riversata all'Unione europea. 
    L'accoglimento della questione comporterebbe, d'altra parte,  sia
pure per un ambito di tempo limitato,  la  caducazione  parziale  del
regime sanzionatorio introdotto dalla norma censurata,  in  contrasto
con  il  principio,  reiteratamente  affermato  dalla  giurisprudenza
costituzionale, per cui non spetta alla Corte «rimodulare  le  scelte
punitive del legislatore». 
    2.1.- Con ordinanza  del  17  settembre  2013,  il  Tribunale  di
Bergamo ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale del medesimo art. 10-ter del d.lgs. n. 74
del 2000, nella parte  in  cui  prevede  una  soglia  di  punibilita'
inferiore a  quelle  stabilite,  rispettivamente  per  i  delitti  di
dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, dagli artt. 4  e  5
del medesimo decreto legislativo, prima  delle  modifiche  introdotte
dal d.l. n. 138 del 2011. 
    Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale
nei confronti di una persona  imputata  del  delitto  previsto  dalla
norma censurata, per avere  omesso,  nella  sua  qualita'  di  legale
rappresentante di  due  distinte  societa'  in  nome  collettivo,  di
versare nel termine stabilito l'IVA  risultante  dalla  dichiarazione
per l'anno 2008, pari ad euro 87.475, quanto alla prima  societa',  e
ad  euro  58.431  quanto  alla  seconda.  Circostanze,  queste,   che
sarebbero state confermate dall'istruttoria dibattimentale. 
    Il rimettente dubita, peraltro, della legittimita' costituzionale
dell'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, rilevando come  la  norma
denunciata  riservi  al  fatto  da  essa  sanzionato  un  trattamento
ingiustificatamente deteriore rispetto a  quello  prefigurato  per  i
piu' gravi illeciti di cui agli artt. 4  e  5  del  medesimo  decreto
legislativo. 
    Prima delle modifiche introdotte dal d.l. n.  138  del  2011,  le
disposizioni ora citate prevedevano, infatti,  che  la  dichiarazione
infedele e l'omessa dichiarazione fossero penalmente  rilevanti  solo
nel caso di superamento di una soglia,  riferita  all'imposta  evasa,
rispettivamente di euro 103.291,38 e di euro 77.468,53. 
    Da cio' sarebbe derivata -  e  deriverebbe  tuttora,  posto  che,
nella specie, in ragione  della  data  del  commesso  reato,  occorre
tenere conto della disciplina anteriore alla novella legislativa  del
2011 - una conseguenza paradossale.  Infatti,  se  l'imputato,  quale
legale rappresentante della seconda delle due societa', in  luogo  di
presentare regolarmente la dichiarazione IVA e non versare  l'imposta
dovuta in base ad essa (euro 58.431), avesse omesso di presentare  la
relativa dichiarazione, non si sarebbe  reso  responsabile  di  alcun
reato, non risultando superata  la  soglia  di  punibilita'  prevista
dall'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000. 
    Analogamente,  se   l'imputato,   quale   legale   rappresentante
dell'altra   societa',   anziche'    presentare    regolarmente    la
dichiarazione IVA e non versare l'imposta  dovuta  in  base  ad  essa
(euro 87.475), avesse presentato una dichiarazione infedele volta  ad
occultare  il   debito   di   imposta,   non   sarebbe   incorso   in
responsabilita' penale, rimanendo la violazione  al  di  sotto  della
soglia di rilevanza prevista dall'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 (e
cio' a prescindere dall'ulteriore condizione prevista dalla lettera b
del comma 1 di tale articolo). 
    In questo modo, le condotte piu' insidiose,  in  quanto  atte  ad
ostacolare l'accertamento tributario, sarebbero rimaste non punibili,
contrariamente  a  quella,  «piu'  trasparente»,  del  soggetto  che,
rappresentando  regolarmente  la  propria  posizione  fiscale,  abbia
omesso il versamento  dell'imposta  da  lui  stesso  dichiarata  come
dovuta. 
    Un  simile  regime  normativo  si  porrebbe  inevitabilmente   in
contrasto con  l'art.  3  Cost.,  per  violazione  del  principio  di
eguaglianza: tanto e' vero che lo stesso legislatore ha poi ridotto i
limiti di rilevanza penale delle violazioni evocate  in  comparazione
con il d.l. n. 138  del  2011,  portandoli  ad  euro  50.000,  quanto
all'ipotesi di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000,  e  ad  euro
30.000, quanto all'ipotesi di cui all'art. 5. 
    La questione risulterebbe, altresi',  rilevante  nel  giudizio  a
quo, giacche' il suo accoglimento  comporterebbe  il  proscioglimento
dell'imputato. 
    2.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata  manifestamente  infondata
sulla base di argomentazioni analoghe,  mutatis  mutandis,  a  quelle
svolte, nel merito, in riferimento all'ordinanza  di  rimessione  del
Tribunale di Bologna. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale   di   Bologna   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 10-ter  del  decreto  legislativo  10  marzo
2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in  materia  di  imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205), nella parte  in  cui,  limitatamente  ai  fatti
commessi sino al  17  settembre  2011,  punisce  l'omesso  versamento
dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla  relativa
dichiarazione annuale, per importi superiori, per ciascun periodo  di
imposta, ad euro 50.000 ma non ad euro 77.468,53. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
3 della Costituzione, determinando una  irragionevole  disparita'  di
trattamento fra il soggetto che - essendo tenuto a versare l'IVA  per
un importo compreso nell'intervallo tra i predetti valori - non abbia
presentato la relativa  dichiarazione  annuale  al  fine  di  evadere
l'imposta, e il soggetto che, trovandosi nelle  medesime  condizioni,
abbia presentato regolarmente la dichiarazione senza tuttavia versare
l'imposta entro il termine stabilito. Nel primo caso, infatti  -  ove
si  tratti  di  violazione  anteriore  al  17  settembre  2011  -  il
contribuente resta esente da pena, stante il  mancato  raggiungimento
della soglia di punibilita' di 77.468,53 euro, prevista per  l'omessa
dichiarazione dall'art. 5 del d.lgs. n.  74  del  2000,  prima  della
modifica operata dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera f),  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011,  n.  148.  Nel  secondo
caso, invece - benche'  si  tratti  di  condotta  meno  lesiva  degli
interessi del fisco -  il  contribuente  incorre  in  responsabilita'
penale, anche per i fatti commessi sino  al  17  settembre  2011,  in
ragione del superamento della soglia di punibilita' di  50.000  euro,
prevista dalla norma censurata per l'omesso versamento dell'IVA. 
    2.- Il citato art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000  e'  ritenuto
in contrasto con l'art. 3 Cost. anche dal Tribunale di Bergamo, nella
parte in cui prevede, per l'omesso versamento dell'IVA, una soglia di
punibilita'  inferiore  a  quelle  stabilite  per  la   dichiarazione
infedele e l'omessa dichiarazione dagli artt.  4  e  5  del  medesimo
decreto legislativo, prima delle modifiche apportate dal d.l. n.  138
del 2011 (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53). 
    Secondo  il  rimettente,  la  norma  denunciata   violerebbe   il
principio di eguaglianza, assoggettando  il  contribuente  che,  dopo
avere regolarmente presentato la dichiarazione annuale IVA, ometta il
versamento dell'imposta, ad un trattamento paradossalmente  deteriore
rispetto a quello riservato  al  contribuente  che  non  presenti  la
dichiarazione o presenti una dichiarazione  infedele,  occultando  il
debito di imposta: condotte, queste ultime, piu' insidiose, in quanto
implicanti,  oltre  all'evasione  di  imposta,  anche   un   ostacolo
all'accertamento tributario. 
    3.- Le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe, onde
i relativi giudizi  vanno  riuniti  per  essere  definiti  con  unica
decisione. 
    4.-  La  questione  sollevata  dal  Tribunale   di   Bologna   e'
manifestamente inammissibile. 
    Il giudice a quo, infatti, ha totalmente omesso di descrivere  la
fattispecie  concreta  sulla  quale  e'  chiamato   a   pronunciarsi,
affermando  la  rilevanza  della  questione  in   termini   meramente
assertivi (ex plurimis, ordinanze n. 192, n. 150 e n. 99 del 2013). 
    5.- La questione sollevata dal Tribunale di Bergamo e' fondata. 
    La norma incriminatrice di cui all'art. 10-ter del d.lgs.  n.  74
del 2000, che delinea il reato di  «omesso  versamento  di  IVA»,  e'
stata introdotta - al pari  di  quella  di  cui  al  successivo  art.
10-quater (che punisce il  delitto  di  «indebita  compensazione»)  -
dall'art. 35, comma 7,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248. L'intervento si colloca nel quadro del processo  di  parziale
revisione della strategia  politico-criminale  sottesa  alla  riforma
penale tributaria realizzata dal d.lgs. n.  74  del  2000:  strategia
consistente   nella   focalizzazione    dell'intervento    repressivo
preminentemente sulla  fase  dell'"autoaccertamento"  del  debito  di
imposta, ossia della dichiarazione annuale ai fini delle imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto. 
    Ponendosi sulla scia della previsione punitiva  di  cui  all'art.
10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall'art.  1,  comma  414,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2005)» - con cui era stato  reintrodotto  il  delitto  di
omesso versamento di ritenute da  parte  del  sostituto  di  imposta,
soppresso dalla riforma del 2000 - la norma  incriminatrice  che  qui
interessa mira infatti a colpire, con specifico riferimento  all'IVA,
i fenomeni di evasione che si  realizzino  nella  fase  successiva  a
quella di determinazione della base imponibile: vale  a  dire,  nella
fase di riscossione dell'imposta. 
    In questa prospettiva, la norma sottoposta a scrutinio stabilisce
che «la disposizione di  cui  all'articolo  10-bis  si  applica,  nei
limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul  valore
aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine
per  il  versamento  dell'acconto  relativo  al  periodo  di  imposta
successivo»: e cioe' - in forza dell'art. 6, comma 2, della legge  29
dicembre 1990, n. 405, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria  1991)»
- entro il 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta  di
riferimento. 
    Il richiamo della norma censurata all'art.  10-bis  dello  stesso
d.lgs.  n.  74  del  2000,  oltre  ad  individuare   il   trattamento
sanzionatorio (reclusione da sei mesi a due anni), vale ad  estendere
alla violazione  in  esame  la  soglia  quantitativa  di  punibilita'
stabilita dalla disposizione richiamata per  l'omesso  versamento  di
ritenute («nei limiti ivi previsti»).  L'omesso  versamento  dell'IVA
costituisce, di conseguenza, reato solo se di «ammontare superiore  a
cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta». 
    6.- Per il modo in cui e'  strutturata,  la  previsione  punitiva
protegge, dunque, l'interesse del fisco alla riscossione dell'imposta
cosi'  come   "autoliquidata"   dallo   stesso   contribuente.   Come
chiaramente si desume dalla lettera della norma, presupposto  per  la
sua applicazione e',  infatti,  che  il  soggetto  di  imposta  abbia
presentato la dichiarazione annuale ai  fini  dell'IVA,  dalla  quale
risulti un saldo debitorio superiore a 50.000  euro,  senza  che  sia
seguito il pagamento, entro il  termine  previsto,  della  somma  ivi
indicata come dovuta. 
    A fronte di  cio',  emerge,  peraltro,  un  evidente  difetto  di
coordinamento tra la soglia di punibilita' inerente  al  delitto  che
interessa e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di
cui agli artt. 4 e  5  del  d.lgs.  n.  74  del  2000  (dichiarazione
infedele e omessa dichiarazione): difetto di coordinamento foriero di
sperequazioni   sanzionatorie   che,   per    la    loro    manifesta
irragionevolezza,    rendono    censurabile     l'esercizio     della
discrezionalita'  pure  spettante  al  legislatore  in   materia   di
configurazione delle fattispecie  astratte  di  reato  (ex  plurimis,
sentenze n. 68 del 2012, n. 273 e n. 47 del 2010). 
    Anteriormente alle modifiche legislative di  cui  poco  oltre  si
dira', l'art. 5  del  d.lgs.  n.  74  del  2000  richiedeva,  per  la
punibilita' dell'omessa dichiarazione (consistente nel fatto di  chi,
«al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non
presenta,  essendovi  obbligato,  una  delle  dichiarazioni   annuali
relative a dette imposte»), che l'imposta evasa fosse superiore,  con
riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro  77.468,53.  Cio'
comportava una conseguenza palesemente  illogica,  nel  caso  in  cui
l'IVA dovuta dal contribuente si situasse nell'intervallo tra le  due
soglie (eccedesse, cioe', i 50.000 euro, ma non i 77.468,53 euro). In
tale evenienza, infatti, veniva trattato in modo deteriore chi avesse
presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l'imposta
dovuta in base ad essa, rispetto  a  chi  non  avesse  presentato  la
dichiarazione, evadendo  del  pari  l'imposta.  Nel  primo  caso,  il
contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento
dell'IVA, stante il superamento della relativa soglia di punibilita';
nel secondo sarebbe rimasto invece esente  da  pena,  non  risultando
attinto il limite di rilevanza penale dell'omessa dichiarazione. 
    Analoga discrasia era ravvisabile in rapporto alla  dichiarazione
infedele (consistente nel fatto di chi, fuori dei casi previsti dagli
artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, «al fine di evadere le imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle  dichiarazioni
annuali relative a dette imposte elementi  attivi  per  un  ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi  fittizi»),  la  cui
punibilita' presupponeva, ai sensi dell'art. 4, che  l'imposta  evasa
risultasse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte,
ad euro 103.291,38. Laddove, infatti, l'IVA da versare si  collocasse
tra l'uno e l'altro limite di rilevanza (50.000 e  103.291,38  euro),
fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse  una
dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della
relativa soglia),  rispetto  al  contribuente  che  esponesse  invece
fedelmente la propria situazione in dichiarazione, salvo  poi  a  non
versare l'imposta di cui si era riconosciuto debitore. 
    La lesione del principio di eguaglianza insita in tale assetto e'
resa  manifesta  dal  fatto   che   l'omessa   dichiarazione   e   la
dichiarazione infedele costituiscono illeciti incontestabilmente piu'
gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli  interessi  del  fisco,
rispetto  all'omesso  versamento  dell'IVA:  e  cio',  nella   stessa
considerazione del  legislatore,  come  emerge  dal  raffronto  delle
rispettive pene edittali (reclusione da uno a tre anni, per  i  primi
due reati; da sei mesi a due anni, per il terzo). 
    Il contribuente che, al  fine  di  evadere  l'IVA,  presenta  una
dichiarazione infedele, tesa ad occultare la  materia  imponibile,  o
non presenta affatto la dichiarazione, tiene una condotta  certamente
piu' "insidiosa" per l'amministrazione finanziaria - in quanto idonea
ad ostacolare l'accertamento dell'evasione (e, nel  secondo  caso,  a
celare la stessa esistenza di un soggetto di imposta)  -  rispetto  a
quella del contribuente che, dopo aver presentato  la  dichiarazione,
omette di versare l'imposta da lui  stesso  autoliquidata  (omissione
che puo' essere dovuta alle piu' varie ragioni, anche indipendenti da
uno specifico intento evasivo, essendo il  delitto  di  cui  all'art.
10-ter a dolo generico). In questo  modo,  infatti,  il  contribuente
rende la propria  inadempienza  tributaria  palese  e  immediatamente
percepibile dagli organi accertatori: sicche', in  sostanza,  finisce
per essere trattato in modo deteriore chi -  coeteris  paribus  -  ha
tenuto il comportamento maggiormente meno trasgressivo. 
    7.- Lo stesso legislatore ha  mostrato,  del  resto,  di  essersi
avveduto dell'incongruenza. 
    L'art. 2, comma 36-vicies  semel,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
aggiunto dalla legge di conversione  n.  148  del  2011,  ha  infatti
ridotto la soglia di punibilita' dell'omessa dichiarazione  a  30.000
euro (lettera f) e quella della dichiarazione infedele a 50.000  euro
(lettera d): dunque, ad un importo inferiore, nel primo caso, e pari,
nel  secondo,  a  quello  della  soglia  di  punibilita'  dell'omesso
versamento dell'IVA, rimasta per converso inalterata. In tal modo, la
distonia dianzi evidenziata e' venuta meno. 
    Per espressa previsione dell'art. 2,  comma  36-vicies  bis,  del
d.l. n. 138 del 2011,  le  modifiche  in  questione  sono,  tuttavia,
applicabili ai soli fatti successivi alla data di entrata  in  vigore
della relativa legge di conversione (17 settembre 2011). Ne' potrebbe
essere altrimenti, discutendosi di modifiche di segno sfavorevole per
il  reo  (all'abbassamento  delle  soglie  corrisponde,  infatti,  un
ampliamento dell'area di rilevanza penale). 
    Ne consegue  che,  con  riguardo  ai  fatti  commessi  sino  alla
predetta data, il vulnus costituzionale permane. 
    8.- Al fine di  rimuovere  nella  sua  interezza  la  riscontrata
duplice  violazione  del  principio  di  eguaglianza  e'   necessario
evidentemente  allineare  la  soglia   di   punibilita'   dell'omesso
versamento dell'IVA - quanto ai fatti commessi sino al  17  settembre
2011 - alla piu' alta fra le soglie di punibilita'  delle  violazioni
in rapporto alle quali si  manifesta  l'irragionevole  disparita'  di
trattamento:  quella,  cioe',  della  dichiarazione  infedele   (euro
103.291,38). 
    Una disparita' di trattamento similare si riscontra, in  verita',
anche  con  riferimento  al  delitto  di  dichiarazione   fraudolenta
mediante altri artifici, previsto dall'art. 3 del d.lgs.  n.  74  del
2000  (non,  invece,  con  riguardo  al  delitto   di   dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per  operazioni
inesistenti,  di  cui  all'art.  2,  che  e'  privo  di  soglia).  La
circostanza resta, peraltro,  in  concreto  irrilevante  sugli  esiti
dell'odierno giudizio, giacche' la soglia di punibilita'  relativa  a
tale delitto e' uguale a quella dell'omessa dichiarazione (e, dunque,
inferiore a quella della dichiarazione infedele, cui va ragguagliata,
per quanto detto, la declaratoria di illegittimita' costituzionale). 
    Irrilevante risulta  anche  la  circostanza  che,  tanto  per  la
dichiarazione  fraudolenta  mediante  altri  artifici  che   per   la
dichiarazione infedele, sia prevista - in  aggiunta  alla  soglia  di
punibilita' riferita all'imposta evasa - una ulteriore e  concorrente
soglia, riferita all'«ammontare  complessivo  degli  elementi  attivi
sottratti all'imposizione» (artt. 3, comma 1, lettera b, e  4,  comma
1, lettera b). Tale soglia e',  infatti,  chiaramente  inconciliabile
con la materialita' del delitto di omesso  versamento  dell'IVA,  che
prescinde dalla sottrazione all'imposizione di elementi attivi. 
    9.- L'art. 10-ter del  d.lgs.  n.  74  del  2000  va  dichiarato,
pertanto, costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui,  con
riferimento ai fatti commessi sino  al  17  settembre  2011,  punisce
l'omesso  versamento  dell'IVA,  dovuta   in   base   alla   relativa
dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo
di imposta, ad euro 103.291,38.