ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 157,  sesto
comma,  del  codice  penale,  promosso   dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale di Torino nel procedimento penale a  carico
di C.D. ed altri con ordinanza del 25 febbraio 2013, iscritta  al  n.
143 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  C.D.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  aprile  2014  il   Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    uditi l'avvocato Giacomo Francini per  C.D.  e  l'avvocato  dello
Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  di  Torino
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 157, sesto comma, del codice
penale, nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del
reato di incendio colposo (art. 449, in riferimento all'art. 423 cod.
pen.) e' raddoppiato. 
    Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale
nei confronti di tre persone imputate del  delitto  di  cui  all'art.
449, primo comma, cod. pen.,  per  avere  causato,  per  colpa  e  in
cooperazione tra loro, l'incendio di un magazzino. 
    Al  riguardo,  il  rimettente  osserva  che,  secondo  la  regola
generale stabilita dal primo comma  dell'art.  157  cod.  pen.,  come
sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «la
prescrizione estingue il reato decorso  il  tempo  corrispondente  al
massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo
non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni  se
si tratta di contravvenzione,  ancorche'  puniti  con  la  sola  pena
pecuniaria». 
    In base a detta regola, il reato  di  incendio  doloso,  previsto
dall'art.  423  cod.  pen.,  in  quanto  punito  con  la  pena  della
reclusione da tre a sette anni, si prescrive in  sette  anni.  Sempre
secondo la medesima regola, i reati  previsti  dall'art.  449,  primo
comma, cod. pen. - che punisce con la pena della reclusione da uno  a
cinque anni chiunque «cagiona per  colpa  un  incendio,  o  un  altro
disastro preveduto dal capo primo» del titolo sesto del libro secondo
del codice penale - dovrebbero prescriversi in sei anni. 
    Il sesto comma dell'art. 157 cod. pen. stabilisce, tuttavia,  che
i termini di prescrizione di cui ai  precedenti  commi  dello  stesso
articolo sono raddoppiati per una serie di reati, tra i quali  quelli
di cui al citato art. 449 cod. pen. 
    Per  effetto  di  tale  previsione  -  la  cui   ratio   andrebbe
identificata nella volonta' di tutelare maggiormente le  vittime  dei
reati considerati, potenzialmente produttivi di  danni  significativi
nei  confronti  di  una  pluralita'  di  persone  -  il  termine   di
prescrizione  del  reato  di  incendio  colposo   viene   ad   essere
determinato in dodici anni, risultando,  di  conseguenza,  largamente
superiore a quello previsto per l'incendio doloso. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  un  simile  assetto  normativo
violerebbe l'art. 3 Cost. 
    Il termine di prescrizione costituirebbe, infatti, una componente
del trattamento sanzionatorio complessivo del reato, tanto  che,  per
costante giurisprudenza di legittimita', di esso deve  tenersi  conto
ogni qualvolta occorra individuare la disciplina piu'  favorevole  al
reo. 
    La quantificazione del suddetto termine resterebbe  rimessa  alla
discrezionalita' del legislatore,  il  cui  esercizio  non  potrebbe,
tuttavia, prescindere dalla ratio dell'istituto  della  prescrizione,
identificabile primariamente -  alla  luce  delle  indicazioni  della
giurisprudenza costituzionale - nell'«interesse generale di non  piu'
perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso  dopo  la
loro commissione abbia fatto venir meno,  o  notevolmente  attenuato,
[...] l'allarme della coscienza comune». In  questa  prospettiva,  il
legislatore  sarebbe,  dunque,  tenuto   a   stabilire   termini   di
prescrizione proporzionati alla concreta gravita' del fatto di reato. 
    Peraltro,  se  l'esigenza  di  rispetto  della   discrezionalita'
legislativa impedisce di sindacare la previsione di  termini  diversi
per reati fra loro  eterogenei  quanto  a  bene  giuridico  protetto,
condotta ed evento, altrettanto non potrebbe dirsi allorche'  -  come
nel caso in esame -  i  fatti  di  reato  siano  identici  sul  piano
oggettivo, differenziandosi unicamente per la componente psicologica.
E' fuori discussione, infatti, che  l'elemento  soggettivo  del  dolo
imprima alla fattispecie connotati di maggiore gravita' rispetto alla
corrispondente ipotesi colposa, come del resto ritenuto dallo  stesso
legislatore, che ha previsto per l'incendio doloso una pena  edittale
superiore a quella comminata per l'incendio colposo. 
    In tale ottica, la previsione di un termine  prescrizionale  piu'
lungo per l'ipotesi colposa risulterebbe  palesemente  irragionevole:
al  reato  sicuramente  meno  grave  corrisponderebbe,  infatti,   un
«"trattamento sanzionatorio" in senso lato» piu' severo, e viceversa,
con conseguente violazione del principio di eguaglianza. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo.  Il
reato per cui si procede e' stato, infatti,  commesso  il  25  aprile
2006 e i soli atti interruttivi della prescrizione sinora intervenuti
sono stati il provvedimento del giudice per le  indagini  preliminari
di fissazione dell'udienza in camera di consiglio  per  la  decisione
sulla richiesta di archiviazione, emesso il 15 ottobre 2012, e le due
richieste di rinvio  a  giudizio.  Nel  caso  di  accoglimento  della
questione, pertanto, il reato dovrebbe essere dichiarato estinto  per
intervenuta prescrizione, essendo gli atti interruttivi posteriori al
decorso del termine di sei anni dalla data  del  commesso  reato  (25
aprile 2012). Di contro, sulla base della disciplina  in  vigore,  la
prescrizione sarebbe ancora lungi dall'essere maturata,  scadendo  il
relativo termine solo il 25 aprile 2018. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. 
    La difesa dello Stato rileva come, ai sensi  dell'art.  28  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento della Corte costituzionale), sia precluso il  sindacato
di legittimita' costituzionale sull'uso del potere discrezionale  del
legislatore, salvo il caso in cui la normativa sottoposta a scrutinio
contrasti in modo  manifesto  con  il  canone  della  ragionevolezza:
ipotesi non ravvisabile nella specie. 
    La maggiore gravita', sotto il profilo psicologico, del reato  di
incendio  doloso  rispetto  a  quello   di   incendio   colposo   non
escluderebbe, infatti, che la scelta del legislatore di prevedere per
quest'ultimo un termine di prescrizione piu' lungo  sia  ragionevole,
posto che, sulla base di dati di  comune  esperienza,  l'accertamento
dei fatti sussumibili nel paradigma  punitivo  dell'incendio  colposo
richiederebbe lunghe e laboriose attivita' di  indagine  e  complessi
accertamenti  tecnici  finalizzati  all'acquisizione  del   materiale
probatorio. 
    La disposizione censurata costituirebbe, inoltre,  il  frutto  di
una  legittima  opzione  di  politica  criminale,   sollecitata   dal
crescente allarme sociale generato dai delitti colposi di danno. 
    3.- Si e' costituito, altresi', C.D.,  imputato  nel  giudizio  a
quo, il quale ha chiesto che la questione venga accolta. 
    La parte privata ha ripercorso le  argomentazioni  poste  a  base
dell'ordinanza di rimessione, da essa condivise, rimarcando  come  la
previsione di un termine di prescrizione piu'  lungo  per  la  figura
colposa del delitto di incendio non  sia  giustificabile  neppure  in
base a ragioni sociologiche o criminologiche, atte, in ipotesi, a far
percepire come maggiormente gravi  i  disastri  colposi  rispetto  ai
corrispondenti fatti dolosi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  di  Torino
dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 157, sesto  comma,
del codice penale, nella parte in cui stabilisce che  il  termine  di
prescrizione del reato di incendio colposo (art.  449,  in  relazione
all'art. 423 cod. pen.) e' raddoppiato. 
    Il rimettente rileva che, per effetto del censurato raddoppio, il
termine di prescrizione del reato di incendio colposo risulta pari  a
dodici anni e, dunque, largamente superiore a  quello  del  reato  di
incendio doloso (art. 423 cod. pen.), pari invece  a  sette  anni  in
base alla regola generale di cui all'art. 157, primo comma, cod. pen. 
    Tale assetto normativo violerebbe l'art. 3 Cost. Posto,  infatti,
che la durata del termine di prescrizione rappresenta una  componente
del trattamento sanzionatorio complessivo della fattispecie penale, e
posto, altresi', che i reati in comparazione sono identici  quanto  a
condotta  ed  evento,  distinguendosi   unicamente   per   l'elemento
soggettivo, sarebbe irragionevole e contrastante con il principio  di
eguaglianza la previsione di un termine di  prescrizione  piu'  lungo
per l'ipotesi del delitto  di  incendio  connotata  dalla  componente
psicologica indiscutibilmente  meno  grave  (la  colpa),  rispetto  a
quello valevole per la corrispondente ipotesi dolosa. 
    2.- La questione e' fondata. 
    Anteriormente alle modifiche introdotte dalla  legge  5  dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di  giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di prescrizione), i delitti di incendio doloso e di incendio  colposo
erano soggetti al medesimo termine di prescrizione. 
    L'incendio doloso (art. 423 cod. pen.) e', infatti, punito con la
reclusione da tre a sette anni; l'incendio  colposo  (art.  449  cod.
pen.) con  la  reclusione  da  uno  a  cinque  anni.  Trovava  quindi
applicazione, in rapporto ad entrambe le fattispecie,  il  numero  3)
del primo comma dell'originario art. 157  cod.  pen.,  in  forza  del
quale i delitti puniti con la reclusione non inferiore - nel  massimo
- a cinque anni, ma minore di dieci, si prescrivevano con il  decorso
di dieci anni. 
    La legge n.  251  del  2005  ha  significativamente  innovato  la
disciplina  della  materia,  sostituendo  l'originario  criterio   di
individuazione dei termini di prescrizione per "fasce  di  reati"  di
gravita' decrescente con una regola unitaria. In  base  ad  essa,  il
tempo necessario a prescrivere e' pari al massimo della pena edittale
stabilito dalla legge per i singoli reati, salva la previsione di una
soglia minima, intesa ad evitare una troppo rapida  prescrizione  dei
reati meno gravemente puniti, pari a sei  anni  per  i  delitti  e  a
quattro per le contravvenzioni (art. 157,  primo  comma,  cod.  pen.,
come sostituito dall'art. 6, comma 1, della citata legge n.  251  del
2005). 
    Il legislatore ha  ritenuto,  peraltro,  di  dover  apportare  un
correttivo  agli  effetti  prodotti  da  detta   modifica   (cui   e'
conseguita, in particolare, una sensibile e generalizzata contrazione
dei termini prescrizionali relativi ai reati di media gravita').  Per
alcune figure criminose - ritenute, secondo quanto emerge dai  lavori
parlamentari, di particolare allarme sociale  e  tali  da  richiedere
complesse indagini probatorie - il termine di prescrizione risultante
dall'applicazione della regola generale dianzi ricordata (nonche'  di
quelle  enunciate  dai  successivi  commi  dello  stesso  art.   157,
relative, in specie, al computo delle circostanze e ai  reati  puniti
con pene alternative o  congiunte)  e'  stato,  infatti,  raddoppiato
(art. 157, sesto comma, cod. pen.). 
    In testa all'elenco dei  reati  in  questione  -  successivamente
ampliato dall'art. 4, comma 1, lettera a),  della  legge  1°  ottobre
2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del  Consiglio
d'Europa per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e
l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme
di adeguamento dell'ordinamento interno) - figurano i delitti colposi
di danno contro la pubblica incolumita' previsti dall'art.  449  cod.
pen.  (cosiddetti  disastri  colposi).  Tale   norma   incriminatrice
punisce, in specie, con la reclusione da uno a cinque anni «chiunque,
al di fuori delle ipotesi previste nel  secondo  comma  dell'articolo
423-bis, cagiona per colpa un incendio o un altro disastro  preveduto
dal capo primo di questo titolo» (ossia dal  capo  primo  del  titolo
sesto del libro secondo del codice penale). 
    In questo modo, si e', peraltro, determinata una palese anomalia:
e, cioe', che per  taluni  fra  i  suddetti  delitti  il  termine  di
prescrizione dell'ipotesi colposa e' divenuto piu'  lungo  di  quello
della corrispondente ipotesi dolosa, identica sul piano oggettivo,  a
causa della tecnica di descrizione della fattispecie  utilizzata  nel
citato art. 449 cod. pen. 
    Il fenomeno si manifesta con particolare evidenza in rapporto  al
delitto di incendio, oggetto dell'odierno scrutinio. Se commesso  con
dolo, il delitto si prescrive in sette anni (tempo corrispondente  al
massimo della pena edittale, ai sensi  dell'art.  157,  primo  comma,
cod. pen.);  se  realizzato  per  colpa,  in  un  termine  ampiamente
superiore, ossia in dodici anni: il termine  minimo  di  prescrizione
dei delitti (sei anni) - operante nella specie, discutendosi di reato
punito con pena detentiva massima inferiore  a  tale  soglia  (cinque
anni) - e' infatti raddoppiato, ai sensi della norma censurata. 
    3.- Siffatto regime ribalta la scala di gravita' delle due figure
criminose: l'ipotesi meno grave - secondo la valutazione  legislativa
espressa nelle comminatorie di pena,  in  coerenza  con  il  rapporto
sistematico che intercorre tra il dolo e la  colpa  -  resta  infatti
soggetta  ad  un  trattamento  assai  piu'  rigoroso,  sul   versante
considerato, rispetto alla corrispondente  ipotesi  piu'  grave,  con
inevitabile   violazione   dei   principi   di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza (art. 3 Cost.). 
    Sebbene  possa  proiettarsi  anche  sul   piano   processuale   -
concorrendo, in specie, a realizzare la  garanzia  della  ragionevole
durata  del  processo  (art.  111,  secondo  comma,   Cost.)   -   la
prescrizione costituisce, nell'attuale configurazione, un istituto di
natura sostanziale (ex plurimis, sentenze n. 324 del 2008  e  n.  393
del 2006), la cui ratio  si  collega  preminentemente,  da  un  lato,
all'«interesse generale di non piu' perseguire i  reati  rispetto  ai
quali il lungo tempo decorso dopo la  loro  commissione  abbia  fatto
venir meno, o notevolmente attenuato [...] l'allarme della  coscienza
comune» (sentenze n. 393 del 2006 e n. 202 del 1971, ordinanza n. 337
del 1999); dall'altro, «al "diritto all'oblio" dei cittadini,  quando
il reato non sia cosi' grave da escludere tale tutela»  (sentenza  n.
23 del 2013). 
    Le  evidenziate  finalita'  si  riflettono   puntualmente   nella
tradizionale scelta di correlare alla gravita'  del  reato  il  tempo
necessario a prescrivere, ancorandolo al livello  quantitativo  della
sanzione, indice del suo maggiore o minor disvalore  nella  coscienza
sociale. Siffatta correlazione, cui gia' si ispirava la scansione dei
termini  prescrizionali  per  "classi  di   reati",   originariamente
adottata dal codice penale del 1930, e' divenuta ancor piu' stretta a
seguito della legge n. 251 del 2005, la quale - come gia' ricordato -
ha identificato nella durata massima della pena edittale  di  ciascun
reato il  tempo  sufficiente  a  decretare,  in  via  presuntiva,  il
disinteresse sociale per la repressione del fatto criminoso. 
    Al legislatore non e' certamente inibito introdurre deroghe  alla
regola generale di computo dallo stesso posta, non  potendo  in  essa
scorgersi un «momento necessario di attuazione - o di salvaguardia  -
dei principi costituzionali» (sentenza n. 455 del 1998, ordinanza  n.
288  del  1999).  Nell'esercizio  della  sua   discrezionalita',   il
legislatore puo' pertanto  stabilire  termini  di  prescrizione  piu'
brevi o piu' lunghi di quelli  ordinari  in  rapporto  a  determinate
ipotesi  criminose,  sulla  base  di   valutazioni   correlate   alle
specifiche  caratteristiche  degli  illeciti   considerati   e   alla
ponderazione complessiva  degli  interessi  coinvolti.  Soluzioni  di
segno estensivo possono  essere  giustificate,  in  specie,  sia  dal
particolare allarme sociale generato da  alcuni  tipi  di  reato,  il
quale comporti una "resistenza all'oblio" nella coscienza comune piu'
che proporzionale all'energia della risposta sanzionatoria; sia dalla
speciale  complessita'  delle  indagini   richieste   per   il   loro
accertamento  e  dalla  laboriosita'  della   verifica   dell'ipotesi
accusatoria in  sede  processuale,  cui  corrisponde  un  fisiologico
allungamento  dei  tempi  necessari  per  pervenire   alla   sentenza
definitiva. 
    4.- La discrezionalita' legislativa in materia  deve  essere  pur
sempre  esercitata,  tuttavia,  nel   rispetto   del   principio   di
ragionevolezza e in modo tale  da  non  determinare  ingiustificabili
sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee, come invece e'
avvenuto nel caso in esame. 
    Appare evidente, in effetti, come il  raddoppio  del  termine  di
prescrizione del delitto di incendio  colposo  non  possa  essere  in
alcun modo giustificato, nel raffronto con il  trattamento  riservato
all'omologa figura dolosa, facendo leva su considerazioni  legate  al
grado  di  allarme  sociale.  Il  riferimento  a  quest'ultimo   puo'
legittimare,   nei   congrui   casi,   parametrazioni   dei   termini
prescrizionali che sovvertano la scala  di  disvalore  segnata  dalle
comminatorie edittali quando si tratti di figure criminose eterogenee
in rapporto  al  bene  protetto  o,  quantomeno,  alle  modalita'  di
aggressione: non quando si discuta di fattispecie identiche sul piano
oggettivo, che si differenziano tra loro unicamente per la componente
psicologica. E' manifestamente  insostenibile,  perche'  contrario  a
logica, che un fatto criminoso - nella specie, un incendio -  causato
per colpa, alla cui base si pone invariabilmente un semplice  difetto
di attenzione, di prudenza, di perizia  o  di  osservanza  di  regole
cautelari (art. 43 cod. pen.), "resista all'oblio",  nella  coscienza
sociale, molto piu' a lungo del medesimo fatto  di  incendio  causato
intenzionalmente, suscettibile di collocarsi  in  contesti  criminali
ben  piu'  allarmanti,  caratterizzati  dal  ricorso   ad   attivita'
intimidatrici o di ritorsione. 
    La   registrata   anomalia   sistematica   non    puo'    trovare
giustificazione neppure in considerazioni di  ordine  probatorio.  E'
parimenti insostenibile che causare un incendio con  colpa,  anziche'
con dolo, innalzi verticalmente, nella generalita' dei casi, il tasso
di complessita' delle indagini probatorie, al punto  da  giustificare
la previsione, per l'ipotesi colposa, di un termine  di  prescrizione
quasi  doppio  rispetto  a  quello  dell'omologo  illecito   commesso
intenzionalmente. L'esigenza di ricorrere  all'ausilio  di  periti  -
evocata nel corso dei lavori parlamentari relativi alla legge n.  251
del 2005 - e' comune, in effetti, ad entrambe  le  figure  criminose,
stante  l'identita'  delle  previsioni  relative  alla   condotta   e
all'evento. Ne' giova il rilievo che, nel caso dell'incendio colposo,
la  perizia  si  renderebbe   necessaria   non   soltanto   ai   fini
dell'accertamento    dell'eziologia     dell'evento,     ma     anche
dell'individuazione della  regola  cautelare  violata.  Da  un  lato,
l'argomento prova troppo: se corretto, esso dovrebbe  valere  per  la
generalita' dei delitti colposi, e non soltanto per quelli  presi  in
considerazione dalla norma censurata. Dall'altro, l'esistenza,  nella
fattispecie colposa, dell'evidenziato tema aggiuntivo di indagine  e'
quantomeno "compensata" dalle maggiori difficolta'  che  generalmente
incontra l'individuazione dei soggetti responsabili riguardo ai fatti
commessi con dolo. 
    5.- L'art. 157, sesto comma, cod. pen., va dichiarato,  pertanto,
costituzionalmente illegittimo, nella parte  in  cui  prevede  che  i
termini di  cui  ai  precedenti  commi  del  medesimo  articolo  sono
raddoppiati  per  il  reato  di  incendio  colposo  (art.   449,   in
riferimento all'art. 423 cod. pen.).