ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  91,  ultimo
comma, del codice di procedura civile, come introdotto dall'art.  13,
comma 1, lettera b), del  decreto-legge  22  dicembre  2011,  n.  212
(Disposizioni urgenti in  materia  di  composizione  delle  crisi  da
sovraindebitamento  e  disciplina  del  processo),  convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n.
10, promossi  dal  Giudice  di  pace  di  Mercato  San  Severino  con
ordinanza del 25 marzo 2013, dal  Tribunale  ordinario  di  Padova  -
sezione distaccata di Este, con ordinanza del 28 febbraio 2013, e dal
Giudice  di  pace  di  Pisa,  con  ordinanza  del  22  giugno   2012,
rispettivamente iscritte ai nn. 194, 261 e 277 del registro ordinanze
2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38  e
49, prima  serie  speciale,  dell'anno  2013  e  n.  1,  prima  serie
speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  maggio  2014  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Giudice di pace di  Mercato  San  Severino,  il  Tribunale
ordinario di Padova - sezione distaccata di Este  ed  il  Giudice  di
pace di Pisa, con le tre ordinanze in epigrafe - emesse nel corso  di
altrettanti giudizi civili,  del  valore,  rispettivamente,  di  euro
29,31, euro 153,96 ed euro 88,00 -  premessane  la  rilevanza,  hanno
sollevato  questione  sostanzialmente   identica,   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 91, ultimo comma, del  codice  di  procedura
civile, come introdotto  dall'art.  13,  comma  1,  lettera  b),  del
decreto-legge 22 dicembre  2011,  n.  212  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  composizione  delle  crisi   da   sovraindebitamento   e
disciplina del processo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n. 10, a tenore del  quale  la
liquidazione delle spese e competenze legali della  parte  vittoriosa
nelle cause previste dall'art. 82, comma 1, cod. proc. civ. - e cioe'
in quelle instaurabili dinanzi al giudice di pace, il cui valore  non
ecceda la somma di euro  1.100,00  e  per  le  quali  e'  ammessa  la
facolta' delle parti di stare in giudizio personalmente  -  non  puo'
superare, nel caso in cui la  parte  stessa  sia  stata  assistita  e
rappresentata da un difensore, il valore della domanda. 
    I rimettenti convergono nel ritenere violati gli artt.  24  -  in
ragione del vulnus, che ne deriverebbe, al diritto di difesa, per  il
profilo della effettivita' della tutela giurisdizionale, che dovrebbe
essere tale da soddisfare in concreto la pretesa fatta  valere  anche
con riferimento alla congruita' delle spese da  liquidare  in  favore
della parte vittoriosa - e 3 della Costituzione, per irragionevolezza
del vincolo imposto al giudice dal denunciato art. 91, ultimo  comma,
cod. proc. civ., in  ordine  alla  liquidazione  (complessiva)  delle
spese giudiziali con riferimento alle cause indicate nel citato  art.
82,  comma  1,  cod.  proc.  civ.,  con  sostanziale  disparita'   di
trattamento rispetto al caso previsto dall'art. 417,  comma  1,  cod.
proc. civ., che - ancorche' riferito alle controversie di lavoro, nel
disciplinare l'ipotesi in cui la parte e' ammessa  alla  costituzione
personale  in  cause  di  valore  non  eccedente   l'importo   (anche
inferiore) di euro 129,11 - resterebbe non soggetto ad analogo limite
di valore ai fini della liquidazione delle spese. 
    Ulteriore profilo di violazione degli artt. 3, secondo  comma,  e
24, commi primo e secondo, Cost. e' ravvisato, inoltre, dal Tribunale
ordinario di Padova - sezione distaccata di Este,  in  ragione  della
disparita' di trattamento, nell'esercizio del diritto di difesa, che,
nelle  cause  previste  dall'art.  82,  comma  1,  cod.  proc.  civ.,
potrebbe, a suo avviso, determinarsi nell'ipotesi in cui, tra le  due
parti  del  processo   che   decidessero   entrambe   di   difendersi
personalmente, l'una risultasse provvista delle necessarie competenze
tecniche per l'esercizio del relativo diritto e  l'altra  no,  ovvero
l'una potesse permettersi di sostenerne comunque (e a prescindere) il
relativo onere economico e l'altra no. 
    2.- In tutti e tre i giudizi - che per la  sostanziale  identita'
di oggetto, possono riunirsi  -  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale  dello
Stato. 
    Nel contestare la fondatezza della  questione,  la  difesa  dello
Stato ha sostenuto che la norma denunciata troverebbe la sua  ragione
giustificatrice - oltre che nella finalita' di contenere entro  certi
limiti  il  costo  dell'accesso  alla  giustizia  -  in  un  contesto
ordinamentale in cui la contrattazione economica tra l'utente  ed  il
professionista legale e' da ritenersi pienamente liberalizzata, onde,
in sede di  conferimento  dell'incarico,  il  compenso  spettante  al
difensore  ben  potrebbe  essere  concordato   nei   limiti   dettati
dall'ultimo comma dell'art. 91 cod. proc. civ. 
    Ha  sottolineato,  inoltre,   l'Avvocatura,   come   l'intervento
limitativo delle  spese  liquidabili  nelle  controversie  cosiddette
bagatellari, si conformi alla normativa comunitaria, con  particolare
riferimento al Reg. (CE) 1 luglio 2007, n. 861/2007 (Regolamento  del
Parlamento europeo e del Consiglio  che  istituisce  un  procedimento
europeo per le controversie di modesta entita'),  con  previsione  di
liquidabilita' delle sole spese legali (ove la parte non  si  avvalga
della facolta' di  difesa  personale)  «che  siano  proporzionate  al
valore della controversia» (punto 29 del considerando). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Al  duplice  scopo  (come  emerge  dai  lavori  parlamentari)
tendenzialmente deflattivo  del  contenzioso  -  con  riferimento  al
flusso delle cause cosiddette bagatellari, piu' delle  altre  esposte
all'esercizio abusivo del diritto di azione - e di tutela delle parti
soccombenti - a fronte del rischio di subire, in tal genere di cause,
un aggravio di spese legali di  importo  superiore  al  valore  della
controversia - il legislatore del  2011,  con  l'art.  13,  comma  1,
lettera b), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212  (Disposizioni
urgenti in materia di composizione delle crisi da  sovraindebitamento
e disciplina del processo), convertito, con modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 17 febbraio  2012,  n.  10,  ha  aggiunto  un
ultimo comma all'art. 91 del codice di procedura civile. Con il quale
ha disposto che la liquidazione delle spese e competenze legali della
parte vittoriosa nelle cause previste dall'art.  82,  comma  1,  cod.
proc. civ. - cioe' in quelle instaurabili dinanzi al giudice di pace,
il cui valore non superi la somma di euro 1.100,00 e per le quali  e'
ammessa la facolta' delle parti di stare in giudizio personalmente  -
non possa superare, nel  caso  in  cui  la  parte  stessa  sia  stata
assistita e rappresentata da un difensore, il valore della domanda. 
    2.- I  giudici  rimettenti,  con  argomentazioni  sostanzialmente
coincidenti, dubitano che tale introdotta disciplina: 
    - per un verso, contrasti con l'art. 24  Cost.,  per  l'ostacolo,
che ne deriverebbe, al diritto  alla  tutela  giurisdizionale,  nelle
cause nelle quali la parte (pur non  avendone  l'obbligo)  scelga  di
farsi difendere da un avvocato ed il valore della domanda, per la sua
esiguita' [nei giudizi a quibus, rispettivamente, di euro 29,31, euro
153,96 ed euro 88,00], finisca paradossalmente con il comportare  una
sostanziale soccombenza della parte vittoriosa, la quale, per effetto
del limite imposto dalla disposizione censurata, si troverebbe tenuta
a corrispondere, in proprio, al suo  difensore,  il  residuo  importo
delle spese legali, in misura sicuramente  maggiore  del  valore  del
diritto sostanziale giudizialmente accertato; 
    - e, per altro verso, violi l'art.  3  Cost.,  sotto  il  duplice
profilo di una disciplina delle spese legali, nelle  controversie  di
cui all'art. 82 cod. proc. civ., irragionevolmente deteriore rispetto
a quella delle controversie di lavoro, di  valore  non  superiore  ad
euro 129,11, di cui all'art. 417, comma  1,  cod.  proc.  civ.,  alle
quali non e' riferito il  limite  all'importo  delle  spese  di  lite
(corrispondentemente) liquidabili,  di  cui  all'impugnato  art.  91,
ultimo comma, delle stesso codice; e di una ulteriore  disparita'  di
trattamento  (profilo,  questo,  prospettato   dal   solo   Tribunale
ordinario di Padova) che potrebbe determinarsi tra le due  parti  del
processo, che decidessero entrambe di difendersi  personalmente,  ove
solo l'una, e non  l'altra,  risultasse  provvista  delle  competenze
tecniche necessarie per l'esercizio del relativo diritto. 
    3.- La difesa dello Stato ha contestato, viceversa, il vulnus  ai
citati  parametri  costituzionali,  per  i  profili  prospettati  dai
rimettenti, ed ha  sottolineato  la  rispondenza  della  disposizione
impugnata agli indirizzi  della  normativa  comunitaria  in  tema  di
«procedimento  europeo  per  le  controversie  di  modesta   entita'»
(Regolamento CE n. 861 del 2007), in relazione al quale e'  del  pari
raccomandata  una  proporzione  tra  spese  legali  e  valore   della
controversia. 
    4.- La questione non e' fondata. 
    4.1.- E' pur vero che l'assistenza del difensore  costituisce  il
normale presidio per l'esercizio  effettivo  del  diritto  di  difesa
garantito dall'art. 24 Cost. (per tutte, sentenze n. 106 del 2010, n.
63 del 1972). Ma la  tutela  di  tale  diritto  non  esclude  che  le
modalita' del  suo  esercizio  possano  essere  regolate  secondo  le
speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti.  E
cio'  nel  quadro  dell'ampia  discrezionalita'  di   cui   gode   il
legislatore nel dettare norme processuali (ex  plurimis  sentenze  n.
270 del 2012, n. 446 del 2007, n. 158 del 2003, n. 59 del 1999).  Nel
novero delle quali - come gia' precisato -  puo'  rientrare  sia  una
scelta di non obbligatorieta' dell'assistenza di difensore  abilitato
in relazione alla tenuita' del valore della lite o alla natura  della
controversia (sentenza n. 158 del 2003), sia l'opzione per una deroga
all'istituto della condanna  del  soccombente  alla  rifusione  delle
spese di lite in  favore  della  parte  vittoriosa,  in  presenza  di
elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196  del
1982),  non  essendo,  quindi,  indefettibilmente  coessenziale  alla
tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117
del 1999). 
    4.2.- Alla luce di tali principi,  e'  innegabile,  pertanto,  la
riconducibilita' della disciplina delle spese di lite,  recata  dalla
disposizione impugnata, all'esercizio  della  discrezionalita'  delle
scelte legislative in tema di norme processuali. 
    E cio' in termini di assoluta ragionevolezza,  ove  si  consideri
che: 
    - le cause, sub art. 82, primo comma, cod. proc. civ.  -  cui  si
riferisce il limite  in  relazione  all'importo  delle  spese  legali
liquidabili, introdotto dall'impugnato art. 92, ultimo  comma,  dello
stesso  codice  sono,  come  di  recente  precisato  dalla  Corte  di
legittimita',  esclusivamente  quelle  devolute  alla   giurisdizione
equitativa del giudice di pace (art. 113,  primo  comma,  cod.  proc.
civ.), e tra queste non rientrano le controversie (che potrebbero, in
taluni casi, presentare qualche elemento di complessita' correlato  a
questioni di principio) in tema di  opposizione,  sia  a  verbale  di
accertamento  sia  ad  ordinanza-ingiunzione,   per   violazione   di
disposizioni del codice della strada, posto che gli  artt.  6,  comma
12, e 7, comma 10, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.  150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009,  n.  69),  come
gia' il previgente art. 23, undicesimo comma, della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)  espressamente  escludono,
in relazione a dette opposizioni, l'applicabilita' dell'art. 113 cod.
proc. civ. (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenze  30
aprile 2014, n. 9556 e n. 9557); 
    - la difficolta' cui - nelle controversie al  livello  minimo  di
valore prospettato dai  rimettenti  -  potrebbe  andare  incontro  la
parte, nel reperire (ove intenda avvalersene) un difensore che adegui
l'importo del proprio onorario a quello del valore della lite (in  un
sistema, per altro, in cui l'esercizio della professione  forense  e'
pienamente liberalizzato) si risolve, comunque, in  un  inconveniente
di fatto, al pari di quello riconducibile alla decisione della  parte
di avvalersi di  un  difensore  cui  corrispondere,  in  proprio,  un
compenso di importo  superiore  a  quello  liquidabile  dal  giudice,
ovvero  ancora  alla  prospettata  eventualita'  di  una  non  eguale
capacita' tecnica tra parti in lite che abbiano  entrambe  deciso  di
difendersi personalmente: inconvenienti, questi, che, come tali sono,
tutti,  non  direttamente  riferibili  alla  previsione  della  norma
censurata,  ma  ricollegabili,  invece,  a  circostanze   contingenti
attinenti alla sua concreta applicazione (sentenza n. 270 del  2012),
non involgenti, per cio', un problema di costituzionalita'  (sentenza
n. 295 del 1995); 
    - il margine di  compromissione  del  principio  di  effettivita'
della tutela giurisdizionale - che si vuole correlato ad  un  effetto
dissuasivo del ricorso alla difesa tecnica nelle controversie di  che
trattasi, cui darebbe luogo la normativa denunciata  (compromissione,
per altro, relativa, ove si consideri che, in dette controversie,  il
giudice di pace  generalmente  poi  decidera',  come  detto,  secondo
equita') - riflette una legittima opzione del legislatore, nel quadro
di un bilanciamento di valori di  pari  rilievo  costituzionale.  Nel
contesto del quale, il diritto di difesa (art. 24 Cost.)  risulta  in
questo caso cedevole a fronte del valore del  giusto  processo  (art.
111 Cost.), per il profilo della ragionevole durata delle  liti,  che
trova innegabile ostacolo nella mole abnorme del  contenzioso  e  che
puo' trovare rimedio nella contrazione  di  quello  bagatellare,  che
costituisce il dichiarato obiettivo della disposizione impugnata. 
    Il che esclude  i  prospettati  profili  di  contrasto  di  detta
disposizione con il precetto di cui all'art. 24 Cost. 
    4.3.- Neppure  e'  poi  ravvisabile  il  contrasto,  della  norma
denunciata, con l'art. 3 Cost., come prospettato dai rimettenti. 
    In ragione della tendenziale snellezza e semplicita' delle  cause
di competenza del giudice di pace decidibili secondo  equita',  deve,
infatti, escludersene la  comparabilita'  con  le  cause  di  lavoro,
attinenti a diritti  maggiormente  rilevanti  sul  piano  sociale  ed
appartenenti, peraltro,  alla  competenza  funzionale  del  Tribunale
ordinario.  E   cio'   a   prescindere   dalla   considerazione   che
l'eventualita' dell'instaurazione  in  concreto  di  controversie  in
materia di lavoro per un  valore  non  eccedente  l'importo  (che  il
legislatore non ha inteso adeguare) di euro 129,11 (per le  quali  e'
ammessa la costituzione personale  delle  parti)  e'  sostanzialmente
irrealistica,  e  senza,  altresi',  trascurare  che  anche  in  tale
evenienza, il giudice - nel liquidare le spese all'esito del giudizio
- potrebbe esercitare il potere di compensazione ai  sensi  dell'art.
92, comma 2, cod. proc. civ. o, comunque, non  riconoscere  le  spese
ritenute eccessive o superflue.