ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 98
e 99, della legge 24 dicembre  2012,  n.  228  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2013), promosso dal Tribunale ordinario di  Reggio  Emilia
nel procedimento civile vertente tra Marchio'  Anna  ed  altri  e  il
Ministero della giustizia ed altro con ordinanza del  5  marzo  2013,
iscritta al n. 108 del registro ordinanze  2013  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  21,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione di Marchio' Anna ed altri, nonche'
gli atti di intervento dell'INPS e del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  7  ottobre  2014  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Pasquale Lattari per Marchio' Anna  ed  altri,
Piera Messina per l'INPS e l'avvocato dello Stato Gabriella  Palmieri
per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 5 marzo 2013 - emessa  nel  corso
di una  controversia  promossa  nei  confronti  del  Ministero  della
giustizia ed altro da alcuni dipendenti, per ottenere  la  cessazione
della trattenuta (del 2,50%) operata  a  loro  carico  in  conto  del
trattamento di fine servizio (TFS) e la restituzione delle  somme,  a
tale titolo, trattenute dal  1°  gennaio  2011  -  l'adito  Tribunale
ordinario di Reggio Emilia,  motivatane  la  rilevanza  al  fine  del
decidere,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 98 e 99, della legge  24  dicembre  2012,  n.  228
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2013). 
    1.1.- Il comma 98 del predetto art. 1 della legge n. 228 del 2012
- nel prevedere che «Al fine di dare attuazione alla  sentenza  della
Corte costituzionale n. 223 del 2012 e di salvaguardare gli obiettivi
di finanza pubblica, l'articolo 12, comma 10,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, e' abrogato a  decorrere  dal  1°  gennaio  2011
[...]» - contrasterebbe, secondo il rimettente, con gli artt. 3 e 36,
primo comma, Cost., in quanto il ripristino del precedente regime del
TFS per  i  dipendenti  pubblici  introdurrebbe  una  «disparita'  di
trattamento tra costoro (cui continua/riprende a essere applicato  un
prelievo del 2,5% sull'80% della retribuzione) e i dipendenti privati
(per i quali non e' previsto nessun prelievo a titolo  previdenziale,
ma solo un accantonamento del  6,91%  sull'intera  retribuzione,  non
tassabile); e tra i dipendenti pubblici assunti prima del 2001 (per i
quali e' stato ripristinato il TFS) e quelli assunti post 2001, per i
quali e' in vigore la disciplina del T.F.R., ai sensi del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999»; inoltre,
perche' consentirebbe allo Stato «una riduzione  dell'accantonamento,
irragionevole perche' non collegata con la qualita' e  quantita'  del
lavoro prestato». 
    1.2.- A sua volta, la disposizione di cui al successivo comma  99
del medesimo art. 1 della su citata legge - con il prescrivere che «I
processi pendenti aventi ad oggetto la  restituzione  del  contributo
previdenziale  obbligatorio  nella  misura  del   2,5%   della   base
contributiva utile prevista dall'articolo  11  della  legge  8  marzo
1968, n. 152, e dall'articolo 37 del testo unico  delle  norme  sulle
prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili  e  militari
dello Stato di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
dicembre 1973, n. 1032 si estinguono di diritto» - violerebbe: 
    - gli artt. 101, 102 e  104  Cost.,  «interferendo  con  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario»; 
    - gli artt. 3 e 24 Cost., per la sostanziale  vanificazione,  che
attuerebbe, del diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale,  e
per l'ingiustificata disparita' di trattamento, che  ne  deriverebbe,
«tra coloro che hanno gia' adito  l'autorita'  giudiziaria  ottenendo
una pronuncia favorevole alla restituzione del prelievo  forzoso  del
2,50% [...], coloro che sono sub iudice in questo momento, ovvero non
l'hanno ancora adito»; 
    - con gli artt. 3, 24, 102 e 113 Cost., sul  presupposto  che  la
compensazione   delle   spese,   conseguentemente   alla   estinzione
automatica dei giudizi pendenti realizzi una illegittima interferenza
del potere legislativo nella sfera della giurisdizione,  non  potendo
il giudice decidere sulle spese in senso favorevole al ricorrente. 
    Solo nel dispositivo dell'ordinanza di rinvio e' menzionato anche
l'art. 35, secondo comma, Cost., con riferimento al quale  non  v'e',
dunque, prospettazione di questione alcuna. 
    2.- In questo giudizio si sono costituite le parti  private,  con
argomentazioni adesive alla prospettazione del Tribunale rimettente. 
    2.1.- E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
che, tramite l'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  preliminarmente
eccepito l'inammissibilita', per difetto di rilevanza, delle  censure
riferite al comma 99 dell'art. 1 della citata legge n. 228  del  2012
per essere il giudice a quo chiamato a decidere su  ricorsi  proposti
successivamente all'intervenuta abrogazione  della  legge  30  luglio
2010,  n.  122  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78,  recante  misure  urgenti  in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica)
e  non  gia'  "pendenti"  alla  data  di  entrata  in  vigore   della
disposizione abrogativa; ed ha, comunque, contestato, nel merito,  la
fondatezza delle questioni sollevate sotto ogni  profilo  della  loro
prospettazione. 
    2.2.- Ha depositato, altresi', atto di intervento l'INPS,  che  -
nella dichiarata sua qualita' di  terzo  portatore  di  un  interesse
qualificato concreto ed attuale inerente al rapporto sostanziale  sub
iudice - ha contestato, a sua volta, la fondatezza  di  ogni  censura
formulata dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con riferimento ai parametri di cui agli  artt.  3,  24,  35,
secondo  comma  (menzionato,   per   altro   solo   nel   dispositivo
dell'ordinanza di rimessione), 36, primo comma, 101, 102, 104  e  113
della Costituzione, il Tribunale ordinario di  Reggio  Emilia  dubita
della legittimita' dell'art.  1,  commi  98  e  99,  della  legge  24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013). 
    2.- Le disposizioni censurate costituiscono l'ultimo segmento  di
una complessa sequenza normativa in tema di trattamento previdenziale
dei pubblici dipendenti. 
    2.1.- Inizialmente tale trattamento era costituito esclusivamente
dalla indennita' di buonuscita  disciplinata  per  i  dipendenti  del
comparto statale dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n.  1032  (Approvazione
del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a  favore
dei dipendenti civili e militari  dello  Stato)  e  dalla  indennita'
premio di servizio, riconosciuta ai dipendenti  del  comparto  locale
dalla  legge  8  marzo  1968,  n.  152  (Nuove   norme   in   materia
previdenziale per il personale degli Enti locali). 
    L'indennita' di buonuscita - o cosi' detto  trattamento  di  fine
servizio (TFS) - di cui, in particolare,  agli  artt.  37  e  38  del
citato d.P.R. n. 1032 del 1973, era - ed e' tuttora  (nei  limiti  di
cui si dira') - corrisposta da un fondo finanziato, tra  l'altro,  da
un contributo del 9,60% sull'80% della retribuzione  lorda  a  carico
dell'Amministrazione di appartenenza, con diritto, della  stessa,  di
rivalersi sul dipendente del 2,50% di tale importo. 
    2.2.- L'art. 2 del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 20 dicembre 1999, recante «Trattamento di  fine  rapporto  e
istituzione dei fondi pensione dei pubblici  dipendenti»  (nel  testo
modificato  dall'art.  1  del  successivo  d.P.C.m.  2  marzo   2001,
identicamente denominato) - dando concreta attuazione alle previsioni
gia' contenute nella legge 8 agosto 1995 n. 335 (Riforma del  sistema
pensionistico obbligatorio e  complementare),  rimaste  sino  a  quel
momento  inattuate  -  ha  disposto  il  passaggio  al   regime   del
trattamento di fine rapporto (TFR), di cui all'art. 2120  del  codice
civile, nei confronti del personale delle  pubbliche  amministrazioni
assunto (a tempo indeterminato) successivamente al 31 dicembre  2000;
dando cosi' luogo ad un duplice regime: TFS, per i dipendenti assunti
ante 2001 e TFR per i dipendenti assunti a partire dall'1 gennaio  di
detto anno. 
    2.3.- Per completare l'estensione delle  regole  civilistiche  in
materia di trattamento di fine rapporto ai  pubblici  dipendenti,  il
successivo decreto-legge 31 maggio 2010  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, sub  art.  12,  comma  10,  aveva
testualmente  cosi'   disposto:   «Con   effetto   sulle   anzianita'
contributive  maturate  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2011,  per  i
lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni  pubbliche  inserite
nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione  [...]
per i quali il computo dei predetti  trattamenti  di  fine  servizio,
comunque  denominati,  in  riferimento   alle   predette   anzianita'
contributive  non  e'  gia'  regolato  in  base  a  quanto   previsto
dall'articolo 2120 del codice civile in  materia  di  trattamento  di
fine rapporto,  il  computo  dei  trattamenti  di  fine  servizio  si
effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del  codice
civile, con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento». 
    2.4.-  Detta   disposizione,   nel   determinare   l'applicazione
(nell'esteso regime del TFR) dell'aliquota  del  6,91%,  nulla  aveva
specificato in ordine alla vigenza,  o  meno,  della  trattenuta  del
2,50%, che l'Amministrazione aveva di fatto continuato, comunque,  ad
operare nei confronti del dipendente. 
    Da qui l'intervento di questa Corte che, con sentenza n. 223  del
2012, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del predetto art.
12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte, appunto, «in  cui
non esclude[va] l'applicazione a carico del dipendente della  rivalsa
pari al 2,50% della base contributiva prevista dall'art. 37, comma 1,
del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032». 
    2.5.-  Al  dichiarato  fine  di  dare  attuazione  alla  predetta
sentenza, ed a quello  di  salvaguardare  gli  obiettivi  di  finanza
pubblica, e' stato, quindi, emanato il decreto-legge 29 ottobre 2012,
n. 185 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  trattamento  di  fine
servizio dei dipendenti pubblici), prevedente l'abrogazione  in  toto
dell'art. 12, comma 10, del d.l. n.  78  del  2010,  con  sostanziale
ripristino del regime di TFS per  i  dipendenti  pubblici  da  questo
interessati. 
    2.6.- Il d.l. n. 185 del 2012 e' decaduto per mancata conversione
in legge, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge n. 228
del 2012 ora appunto in esame. 
    3.- Nel riprodurre il contenuto del d.l. n.  185  del  2012  (non
convertito), l'art. 1 della legge 228 del 2012,  nei  censurati  suoi
commi 98 e 99, rispettivamente, conferma ora l'abrogazione  dell'art.
12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, disponendo che «I  trattamenti
di  fine  servizio,  comunque  denominati,  liquidati  in  base  alla
predetta disposizione prima della  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge 29 ottobre 2012, n.  185,  sono  riliquidati  d'ufficio
entro un anno dalla predetta data ai sensi della  disciplina  vigente
prima dell'entrata in vigore del citato articolo 12, comma 10  [...]»
(comma  98);  e,  contestualmente,  reitera   la   previsione   della
estinzione di diritto dei «processi pendenti  aventi  ad  oggetto  la
restituzione del contributo previdenziale obbligatorio del  2,50  per
cento della base contributiva utile prevista dall'articolo  11  della
legge 8 marzo 1968, n. 152 e dall'articolo 37 del testo  unico  [...]
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre  1973,
n. 1032», stabilendo che «le  sentenze  eventualmente  emesse,  fatta
eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di  effetti»
(comma 99). 
    Nella  prospettazione  del  rimettente,  la  riferita   normativa
violerebbe: 
    - gli artt. 3 e 36 Cost., in quanto, a suo avviso, «il ripristino
del precedente regime del TFS per i dipendenti  pubblici  reintroduce
una disparita' di trattamento tra costoro (cui  continua/riprende  ad
essere applicato un prelievo del 2,5% sull'80% della retribuzione) ed
i dipendenti privati (per i quali non e' previsto nessun  prelievo  a
titolo previdenziale, ma solo un accantonamento del 6,91  sull'intera
retribuzione, non tassabile); e tra  i  dipendenti  pubblici  assunti
prima del 2001 (per i quali e' stato ripristinato il  TFS)  e  quelli
assunti post 2001, per i quali e' in vigore la disciplina del TFR, ai
sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei  Ministri  del  20
dicembre 1999»; 
    - gli artt. 101, 102  e  104  Cost.  «interferendo  con  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario»; 
    - gli artt.  3  e  24  Cost.  poiche'  verrebbe  «sostanzialmente
vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale» e si
creerebbe «una disparita' ingiustificata di  trattamento  tra  coloro
che hanno gia' adito l'autorita' giudiziaria, ottenendo una pronuncia
favorevole alla restituzione del prelievo forzoso  del  2,50%  [...],
coloro che sono sub iudice in  questo  momento,  ovvero  non  l'hanno
ancora adito»; 
    - gli  artt.  3,  24,  102  e  113  Cost.,  poiche'  l'estinzione
necessariamente automatica  di  tutti  i  giudizi  pendenti,  con  la
compensazione delle spese realizzerebbe «una illegittima interferenza
del potere legislativo nella sfera  della  giurisdizione,  [...]  non
potendo il giudice  decidere  sulle  spese  in  senso  favorevole  al
ricorrente», con relativa soppressione del diritto dell'interessato a
essere «tenuto indenne dal pagamento,  al  proprio  difensore,  delle
spese processuali sostenute». 
    4.-  Con  diffuse   argomentazioni   adesive   alla   motivazione
dell'ordinanza di  rimessione,  la  difesa  delle  parti  private  ha
auspicato la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  delle
disposizioni impugnate. 
    Ad  opposte  conclusioni  e'  pervenuta,   invece,   l'Avvocatura
generale dello Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio  dei
ministri. La difesa statale ha,  in  via  pregiudiziale,  per  altro,
eccepito che le censure riferite alle  disposizioni  processuali,  di
cui al comma 99, sarebbero «irrilevanti, perche' i  ricorrenti  hanno
promosso il giudizio, nel corso  del  quale  e'  stata  sollevata  la
questione di costituzionalita', in data 9 novembre 2012,  quando  era
gia'  in  vigore  il  decreto-legge  n.  185  del  2012  [...]   che,
ripristinando  l'indennita'  di  buonuscita,  rendeva  infondata   la
domanda di restituzione del contributo del 2,50%». 
    5.- Preliminarmente va confermata l'ordinanza adottata nel  corso
dell'udienza pubblica, ed allegata alla  presente  sentenza,  con  la
quale e' stato dichiarato ammissibile l'intervento dell'INPS, che  ha
concluso anch'esso per la non fondatezza  delle  questioni  sollevate
dal rimettente. 
    6.-  In  via  ancora  preliminare,  va  respinta  l'eccezione  di
inammissibilita'   per    irrilevanza,    come    sopra    articolata
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La tesi per cui i ricorsi promossi nella gia' intervenuta vigenza
della norma di ripristino del TFS avrebbero dovuto essere respinti in
applicazione della  stessa  ne  presuppone  infatti  la  legittimita'
costituzionale. 
    Ma cio' e' proprio quel che il rimettente, come detto,  per  piu'
profili  contesta;  per  cui  l'eccezione  in  esame  si  risolve,  e
confluisce, nella  contestazione  della  fondatezza  delle  questioni
sollevate da quel Tribunale. 
    7.- Nel merito, nessuna censura e' fondata. 
    7.1.-  Non  sussiste,  in  primo  luogo,  la  denunciata  duplice
violazione degli artt. 3 e 36 Cost. 
    Il trattamento di fine servizio e', infatti,  diverso  e  -  come
sottolineato dalla stessa sentenza n.  223  del  2012  -  normalmente
"migliore" rispetto al  trattamento  di  fine  rapporto  disciplinato
dall'art. 2120 cod. civ., per cui il fatto che il  dipendente  -  che
(in conseguenza del ripristinato regime ex  art.  37  del  d.P.R.  29
dicembre 1973, n. 1032) ha diritto  all'indennita'  di  buonuscita  -
partecipi al suo finanziamento, con il contributo del 2,50% (sull'80%
della sua retribuzione), non integra un'irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto al dipendente che ha diritto al  trattamento  di
fine rapporto. Per altro verso, il fatto che alcuni dipendenti  delle
pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio  ed
altri del trattamento di fine rapporto e'  conseguenza  del  transito
del rapporto di lavoro da un regime di diritto pubblico ad un  regime
di diritto privato e della gradualita' che,  con  specifico  riguardo
agli istituti in questione, il legislatore, nell'esercizio della  sua
discrezionalita', ha ritenuto di imprimervi. 
    7.2.- Del pari insussistente e', poi,  per  ogni  denunciato  suo
aspetto, la violazione degli altri parametri (artt. 24, 101, 102, 104
e 113 Cost.) evocati dal rimettente. 
    Non  illegittima  e',  in  primo  luogo,  infatti,  la   disposta
estinzione  dei  giudizi  in  corso,  atteso  che   l'interesse   dei
ricorrenti alla restituzione del contributo  del  2,50%  -  che  essi
assumevano illegittimamente prelevato dalle  rispettive  retribuzioni
in aggiunta all'accantonamento dell'aliquota del  6,91%,  nel  quadro
del regime codicistico del TFR, loro esteso dal citato d.l. n. 78 del
2010 - e' venuto meno con il ripristino  (ad  opera  della  normativa
impugnata) del previgente  regime  di  TFS,  nel  cui  contesto  quel
contributo concorre a finanziare il fondo  erogatore  dell'indennita'
di buonuscita. 
    Come, infatti, da questa Corte gia'  affermato,  il  legislatore,
intervenendo a regolare una data materia,  puo'  anche  incidere  sui
giudizi in corso, dichiarandoli estinti, senza ledere il diritto alla
tutela giurisdizionale garantito dall'art. 24  Cost.,  ove  la  nuova
disciplina, lungi dal tradursi in una sostanziale  vanificazione  dei
diritti azionati, sia tale  da  realizzare,  come  nella  specie,  le
pretese fatte valere dagli interessati, cosi' eliminando le basi  del
preesistente contenzioso (sentenze n. 223  del  2001  e  n.  310  del
2000). 
    7.3.- Neppure puo' dirsi, poi,  irragionevole  la  diversita'  di
trattamento tra i dipendenti che, nelle  more,  abbiano  ottenuto  la
restituzione  del   2,50%   con   sentenza   passata   in   giudicato
(restituzione  divenuta   «indebita»   a   seguito   dell'abrogazione
dell'art. 12, comma 10, del citato d.l. n. 78 del 2010) e quelli  che
non l'abbiano ottenuta per il sopravvenuto ripristino dell'indennita'
di buonuscita. Cio' essendo inevitabilmente dovuto  alla  successione
di  diverse  disposizioni  normative  ed  al  generale  principio  di
intangibilita' del giudicato. 
    7.4.-  La  disposta  estinzione  dei  giudizi  in  corso  non  si
accompagna, nella norma impugnata, alla previsione di una  automatica
compensazione  delle  correlative  spese  di  lite,  della  quale  il
rimettente non ha, quindi, fondatamente ragione di dolersi. 
    7.5.- All'apodittico  riferimento  all'art.  35,  comma  secondo,
Cost., contenuto nel solo dispositivo dell'ordinanza di  rinvio,  non
e', infine riconducibile alcun sostanziale  profilo  di  censura  che
possa qui venire in esame. 
    8.- In conclusione, le questioni sollevate sono, per ogni aspetto
e profilo, non fondate.