ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della
legge 24  novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al  sistema  penale),
promosso dal Tribunale di Cremona nel procedimento  vertente  tra  la
Latteria  Soresina  Societa'  Cooperativa  Agricola  ed  altro  e  il
Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche   sociali   -   Direzione
territoriale del lavoro di Cremona con  ordinanza  dell'11  settembre
2013, iscritta al n. 282 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di costituzione  della  Latteria  Soresina  Societa'
Cooperativa Agricola ed  altro,  nonche'  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  7  ottobre  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    uditi  l'avvocato  Francesco  Antonio  Romito  per  la   Latteria
Soresina Societa' Cooperativa Agricola ed altro  e  l'avvocato  dello
Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza dell'11 settembre 2013, il  Tribunale
ordinario  di  Cremona  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della  legge  24  novembre  1981,  n.  689
(Modifiche al  sistema  penale),  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'applicazione all'autore dell'illecito  amministrativo  della  legge
posteriore piu' favorevole, deducendo la violazione degli artt.  3  e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848  (d'ora  in  avanti:
«CEDU»), all'art. 15 del Patto  internazionale  relativo  ai  diritti
civili  e  politici,  adottato  a  New  York  il  16  dicembre  1966,
ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre  1977,  n.  881,  ed
all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata il 12 dicembre  2007
a Strasburgo; 
    che, secondo il giudice rimettente,  la  mancata  previsione  del
principio dell'applicazione retroattiva della lex mitior  in  materia
di sanzioni amministrative - per le quali  il  censurato  art.  1  si
limita a stabilire che nessuno puo' essere  assoggettato  a  sanzioni
amministrative se non in forza di una legge entrata in  vigore  prima
della commissione della violazione - lederebbe l'art. 3 Cost.,  sotto
il profilo della ragionevolezza e della parita' di trattamento; 
    che, al riguardo, il giudice a quo si  dichiara  consapevole  del
fatto che  analoghe  questioni  sono  state  ritenute  in  precedenza
infondate da questa Corte, ma  assume  che  tale  orientamento  debba
essere  rivisto  alla  luce   della   successiva   evoluzione   della
giurisprudenza costituzionale; 
    che, difatti, la Corte ha recentemente  chiarito  che  la  regola
della retroattivita' della legge  penale  piu'  favorevole,  pur  non
essendo espressamente stabilita nella Costituzione (a differenza  del
principio di irretroattivita' della legge penale  sfavorevole),  deve
considerarsi   comunque   espressiva   di   un   principio   generale
dell'ordinamento, derogabile soltanto per gravi motivi  di  interesse
generale (sono citate, in particolare, le sentenze n. 236 del 2011  e
n. 393 del 2006); 
    che, sebbene riferite  alla  materia  penalistica,  le  ricordate
affermazioni dovrebbero ritenersi valevoli  anche  in  rapporto  agli
illeciti amministrativi, essendo ormai convinzione diffusa che non vi
sia una «differenza ontologica» tra  questi  ultimi  e  gli  illeciti
penali; 
    che, in particolare, i «tradizionali corollari» dei  principi  di
legalita' e di riserva  di  legge,  riferiti  in  passato  alla  sola
materia penale, tendono oggi ad  essere  considerati  espressione  di
limiti generali al potere punitivo dello  Stato,  e  cio'  anche  con
riferimento all'applicazione retroattiva della lex mitior, in  quanto
«l'essenza  afflittiva»  della   potesta'   sanzionatoria   -   anche
amministrativa - dovrebbe essere  «rapportata  alla  valutazione  che
storicamente  l'ordinamento  operi   della   condotta   che   intende
reprimere»; 
    che, nella materia  in  esame,  non  si  ravviserebbero,  d'altra
parte, interessi superiori, di rango almeno pariordinato al principio
in discussione, tali da giustificarne il sacrificio; 
    che sarebbe significativa, al riguardo, la  circostanza  che,  in
particolari settori, il legislatore  abbia  recentemente  introdotto,
anche con riguardo agli  illeciti  amministrativi,  norme  di  tenore
analogo all'art. 2, secondo [e  quarto]  comma,  del  codice  penale,
quali, ad esempio l'art. 23-bis del d.P.R.  31  marzo  1988,  n.  148
(Approvazione del  Testo  unico  delle  norme  di  legge  in  materia
valutaria), aggiunto dall'art. 1, comma 2,  della  legge  7  novembre
2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con D.P.R. 31  marzo
1988, n. 148, in materia di sanzioni per  le  violazioni  valutarie);
l'art.  3  del  decreto  legislativo  18  dicembre   1997,   n.   472
(Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative  per  le
violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3,  comma  133,
della legge  23  dicembre  1996,  n.  662);  l'art.  46  del  decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del  servizio  nazionale
della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28
settembre 1998, n. 337); l'art. 3 del decreto  legislativo  8  giugno
2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita'  amministrativa  delle
persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni  anche  prive
di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11  della  legge  29
settembre 2000, n. 300); 
    che, malgrado si tratti di settori  speciali,  non  sussisterebbe
una diversita' strutturale tra gli  illeciti  amministrativi  oggetto
delle norme citate e quelli soggetti alla disciplina della  legge  n.
689 del 1981, ne' si rinverrebbero motivi di interesse generale  tali
da  giustificare  il  diverso  trattamento:   ne   conseguirebbe   la
violazione dell'art. 3 Cost.  anche  in  relazione  al  principio  di
uguaglianza, assunte le norme citate come tertia comparationis; 
    che le esposte conclusioni troverebbero conferma anche sul  piano
sovranazionale, nell'ambito del quale assumerebbe particolare rilievo
l'evoluzione della giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti
dell'Uomo (d'ora in avanti «Corte EDU») sull'art. 7 della CEDU; 
    che, da un lato, infatti,  la  Corte  EDU,  con  la  sentenza  17
settembre 2009, Scoppola contro Italia, mutando il proprio precedente
orientamento,  ha  ritenuto  che   il   principio   dell'applicazione
retroattiva della legge piu' favorevole al reo,  pur  in  difetto  di
espressa menzione, deve  considerarsi  insito  nelle  previsioni  del
citato art. 7: e cio' anche alla luce della  rilevanza  acquisita  da
detto principio nel panorama internazionale, come conseguenza del suo
riconoscimento  in  altre  Carte  dei   diritti,   quali   il   Patto
internazionale sui diritti civili e politici (art. 15) e la Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 49); 
    che, d'altra parte, la giurisprudenza della Corte EDU e' da tempo
orientata  nel  senso  che  l'applicazione  delle  garanzie  previste
dall'art. 7 della  CEDU  non  dipende  dalla  qualificazione  formale
attribuita all'illecito  e  alle  sue  conseguenze  sanzionatorie  da
ciascun ordinamento, la quale rappresenta solo il punto  di  partenza
per valutare la concreta operativita' di dette garanzie; 
    che, in questa prospettiva, la Corte EDU ha elaborato una nozione
autonoma  di  materia  penale,   legata   a   parametri   sostanziali
(cosiddetti «criteri Engel»), quali la natura del precetto violato  -
che deve essere diretto alla generalita' dei consociati ed avere  una
finalita' preventiva e punitiva - e la gravita'  della  sanzione  cui
l'autore dell'illecito  si  trova  esposto:  sanzione  che  non  deve
necessariamente consistere nella privazione della liberta' personale,
potendo assumere anche carattere meramente economico; 
    che, alla luce di tali criteri, non vi sarebbe alcuna difficolta'
a ritenere che anche gli illeciti amministrativi rientrino nel  campo
applicativo  del  principio  di  retroattivita'  della  lex   mitior,
implicitamente sancito dall'art. 7 della CEDU: profilo per  il  quale
la norma censurata verrebbe a porsi, quindi, in contrasto  anche  con
l'art. 117, primo comma, Cost.; 
    che la questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo,
il quale ha ad oggetto l'opposizione, proposta ai sensi dell'art.  22
della  legge  n.  689  del  1981  da  un'impresa  casearia,   avverso
l'ordinanza  ingiunzione  del  Ministero  del  lavoro   -   Direzione
territoriale del lavoro di Cremona che aveva contestato all'opponente
plurime violazioni della normativa in tema di  riposo  giornaliero  e
riposo  settimanale  dei  lavoratori  (artt.  7  e  9   del   decreto
legislativo 8 aprile 2003, n. 66, recante «Attuazione delle direttive
93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione
dell'orario di lavoro»), in assunto commesse negli anni dal  2004  al
2007; 
    che  nel  provvedimento  impugnato  si  e'   fatta   applicazione
dell'art. 18-bis, comma 4, del d.lgs.  n.  66  del  2003,  nel  testo
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto  legislativo
19  luglio  2004,  n.  213  (Modifiche  ed  integrazioni  al  decreto
legislativo  8  aprile  2003,  n.  66,   in   materia   di   apparato
sanzionatorio dell'orario di lavoro) - testo vigente all'epoca in cui
le violazioni sarebbero state realizzate - il  quale  prevedeva,  per
ogni violazione, una sanzione amministrativa pecuniaria da  euro  105
ad euro 630; 
    che, in base a tale disposizione, e' stata quindi  applicata  una
sanzione di euro 129.150, per 709 violazioni dell'art. 7  del  d.lgs.
n. 66 del 2003, e di euro 172.410, per 821 violazioni dell'art. 9 del
menzionato decreto; 
    che, peraltro, l'art. 7 della  legge  4  novembre  2010,  n.  183
(Deleghe   al   Governo   in   materia   di   lavori   usuranti,   di
riorganizzazione di enti, di  congedi,  aspettative  e  permessi,  di
ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di  incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro
pubblico e di controversie di lavoro),  modificando  il  citato  art.
18-bis, ha previsto per le predette violazioni, ove riguardanti  piu'
di dieci lavoratori, come nel caso in esame, una sanzione unitaria da
euro 900 ad euro 1.500, quanto alle violazioni dell'art. 7 del d.lgs.
n. 66 del 2003, e da euro 1.000 ad euro 5.000, quanto alle violazioni
dell'art. 9; 
    che, di conseguenza, ove si applicasse  la  normativa  posteriore
piu' favorevole, attualmente in vigore, la  sanzione  irrogabile  nel
caso di specie risulterebbe pari, al massimo, rispettivamente a 1.500
e a 5.000  euro:  dunque,  incomparabilmente  piu'  lieve  di  quella
inflitta con l'ordinanza impugnata; 
    che si sono costituiti la Societa' cooperativa agricola  Latteria
Soresina e Tiziano Fusar Poli, opponenti nel giudizio a quo, i  quali
hanno  interamente   condiviso   ed   ulteriormente   illustrato   le
argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, chiedendo l'accoglimento
della questione; 
    che e' intervenuto, altresi', il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  la  questione   sia   dichiarata
inammissibile o infondata. 
    Considerato che il Tribunale  ordinario  di  Cremona  dubita,  in
riferimento agli artt. 3 e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
della legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte  in  cui  non
prevede l'applicazione all'autore dell'illecito amministrativo  della
legge posteriore piu' favorevole; 
    che, secondo quanto  dedotto  nell'ordinanza  di  rimessione,  il
Tribunale  rimettente  e'  investito  dell'opposizione  all'ordinanza
ingiunzione che ha contestato ad  un'impresa  un  elevato  numero  di
violazioni  in  materia  di  riposo  giornaliero  e  settimanale  dei
lavoratori,  applicando  per  esse  le  sanzioni  previste  dall'art.
18-bis, comma 4,  del  decreto  legislativo  8  aprile  2003,  n.  66
(Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni
aspetti  dell'organizzazione  dell'orario  di  lavoro),   nel   testo
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto  legislativo
19  luglio  2004,  n.  213  (Modifiche  ed  integrazioni  al  decreto
legislativo  8  aprile  2003,  n.  66,   in   materia   di   apparato
sanzionatorio  dell'orario  di  lavoro),  vigente   all'epoca   delle
violazioni contestate; 
    che la rilevanza della questione deriverebbe dal  fatto  che  una
norma posteriore, modificativa del citato art. 18-bis (ossia l'art. 7
della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante «Deleghe al  Governo  in
materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di  congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per
l'impiego,  di  incentivi  all'occupazione,  di   apprendistato,   di
occupazione femminile, nonche' misure contro  il  lavoro  sommerso  e
disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di  controversie  di
lavoro»), ha previsto che le medesime  violazioni,  ove  attinenti  -
come nel caso di  specie  -  a  piu'  di  dieci  lavoratori,  restino
soggette ad una sanzione amministrativa unitaria,  il  cui  ammontare
massimo  e'  di  gran  lunga  inferiore  all'importo  delle  sanzioni
inflitte  con  il  provvedimento  impugnato  sulla  base  del  cumulo
materiale delle sanzioni relative alle singole violazioni; 
    che, successivamente all'ordinanza  di  rimessione,  e'  peraltro
intervenuta la sentenza n. 153 del  2014  di  questa  Corte,  che  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del predetto art.  18-bis,
commi 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, nell'originaria  formulazione
- vale a dire, nel testo del quale l'ordinanza ingiunzione  impugnata
ha fatto applicazione, in relazione al  tempo  di  commissione  degli
illeciti - per violazione del criterio direttivo enunciato  dall'art.
2, comma 1, lettera c), della legge di delegazione 1° marzo 2002,  n.
39   (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2001) e, dunque, per eccesso di delega (art. 76 Cost.); 
    che  va  disposta,  pertanto,  la  restituzione  degli  atti   al
Tribunale rimettente affinche' valuti la perdurante  rilevanza  della
questione alla luce dell'indicato mutamento del quadro normativo.