ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9,  comma
5, 16, comma 1, 17, comma 1, 21, comma 11, 27, commi 4 e  6,  lettera
c), 51, commi 4, 5, lettera a), 9, 12 e 18, 57, commi 4  e  5,  e  77
della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre  2011,  n.
18 (Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio  annuale  2012  e
pluriennale 2012-2014 della Provincia  autonoma  di  Trento  -  Legge
finanziaria provinciale 2012), promosso dal Presidente del  Consiglio
dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 27 febbraio 2012,
depositato in cancelleria il 6 marzo 2012 ed iscritto al  n.  58  del
registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  novembre  2014  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente  del
Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per  la
Provincia autonoma di Trento. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27-28 febbraio 2012 e depositato il
successivo 6 marzo 2012 (reg. ric. n. 58 del 2012), il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato  varie  disposizioni  della  legge
della  Provincia  autonoma  di  Trento  27  dicembre  2011,   n.   18
(Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale   2012   e
pluriennale 2012-2014 della Provincia  autonoma  di  Trento  -  Legge
finanziaria provinciale 2012). Piu' specificamente, sono  oggetto  di
impugnazione l'art. 9, comma 5; l'art. 16, comma 1; l'art. 17,  comma
1; l'art. 21, comma 11; l'art. 27, comma 4 e  comma  6,  lettera  c);
l'art. 51, commi 4, 9 e 18; l'art. 51, comma 5,  lettera  a);  l'art.
51, comma 12; l'art. 57, comma 4; l'art. 57, comma  5;  e  l'art.  77
della suddetta legge provinciale, in riferimento agli artt. 3, 9,  97
e 117 della Costituzione, oltre che agli artt. 4, 8 e 73  del  d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per  il  Trentino-Alto
Adige). 
    1.1.- In particolare, relativamente all'art. 9,  comma  5,  della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, l'Avvocatura generale dello  Stato
ha osservato che tale disposizione riduce di  tre  punti  percentuali
l'aliquota dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita'
civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.  Ad  avviso
del ricorrente, questa previsione  violerebbe  anzitutto  l'art.  73,
comma 1-bis, del d.P.R. n. 670 del  1972,  in  quanto  modificherebbe
l'aliquota di un tributo erariale al di fuori dei limiti previsti dal
legislatore statale. Si tratterebbe infatti di un  tributo  istituito
con legge dello Stato, la quale lo attribuisce  alle  Province  delle
Regioni a statuto ordinario, dove  hanno  sede  i  pubblici  registri
automobilistici in cui i veicoli sono iscritti, e che  consente  alle
Province  medesime  di  variare,  entro  limiti  predeterminati,   le
aliquote dell'imposta. L'Avvocatura generale dello Stato ha osservato
che questo meccanismo non e' stato  esteso  alle  Regioni  a  statuto
speciale, ne' alle Province autonome di Trento e  Bolzano,  le  quali
pertanto, ai sensi dell'art. 60 del decreto legislativo  15  dicembre
1997, n. 446  (Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive,  revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle
detrazioni dell'Irpef e istituzione di una  addizionale  regionale  a
tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi  locali),
rimangono titolari del gettito dell'imposta, senza poter  intervenire
sulle aliquote. 
    Ad avviso del ricorrente, l'art. 9, comma 5,  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2011 violerebbe  non  solo  il
parametro statutario, ma altresi' l'art. 117, secondo comma,  lettera
e), Cost., in quanto, nel modificare l'aliquota di un'imposta statale
al di fuori dei limiti consentiti  dalla  legislazione  dello  Stato,
sarebbe invasivo della competenza statale  esclusiva  in  materia  di
disciplina del sistema tributario dello Stato.  Risulterebbe  violato
pure l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  la  disposizione
impugnata sarebbe in contrasto  con  i  principi  della  legislazione
statale in materia  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  dal
momento  che  con  essa  la  Provincia  autonoma  di  Trento  sarebbe
intervenuta nella materia prima che  venissero  dettate  le  relative
norme di coordinamento. 
    1.2.- Con riguardo all'art. 16, comma 1, della legge prov. Trento
n. 18 del 2011, il ricorrente ha sottolineato che  tale  disposizione
determina la spesa  complessiva  per  il  personale  appartenente  al
comparto autonomie locali e al comparto ricerca per  gli  anni  2012,
2013, 2014 e successivi  -  nella  misura  di  218.266.010  euro  per
ciascun anno, da aumentarsi con le somme previste per  gli  obiettivi
in materia di riorganizzazione e di efficienza  gestionale  dall'art.
3, comma 2,  della  legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  27
dicembre 2010, n. 27 (Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio
annuale 2011 e pluriennale  2011-2013  della  Provincia  autonoma  di
Trento - Legge finanziaria provinciale 2011) -  specificando,  pero',
che in tale spesa «non rientrano  gli  oneri  relativi  al  personale
assunto con contratto di diritto  privato  per  la  realizzazione  di
lavori, interventi o attivita' sulla base  di  particolari  norme  di
settore». Ad avviso del ricorrente, questa esclusione sottrarrebbe  a
limiti predeterminati sia la spesa per personale assunto  in  base  a
particolari norme di settore, sia quella relativa  ai  «contrattisti»
assunti, nella misura  massima  di  60  unita'  e  mediante  concorsi
pubblici per titoli ed esami, con contratto a tempo indeterminato, ai
sensi dell'art. 63, comma 1, della legge della Provincia autonoma  di
Trento 28 marzo 2009,  n.  2  (Disposizioni  per  l'assestamento  del
bilancio  annuale  2009  e  pluriennale  2009-2011  della   Provincia
autonoma di Trento - Legge finanziaria di assestamento 2009). 
    Sempre  nella  prospettazione  avanzata  dal  ricorrente,   dalla
legislazione  statale  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica -  art.  9-bis  del  decreto-legge  1  luglio  2009,  n.  78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009,  n.  102  (erroneamente
citati come decreto-legge n. 78 del 2010 e legge n.  102  del  2010);
art. 32, commi 10, 11 e 12, della legge  12  novembre  2011,  n.  183
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2012); art. 1, commi 557 e 557-bis,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  Legge  finanziaria
2007), come modificati dall'art. 14, comma 7,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122  -  si  ricaverebbe
che nel limite di spesa  per  il  personale  rilevante  ai  fini  del
rispetto del patto di stabilita'  interno  vanno  comprese  tutte  le
spese di personale, a qualsiasi titolo sostenute. Ne discende che  la
disposizione  impugnata  violerebbe,  anzitutto,  l'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  nella  parte  in  cui  attribuisce  alla   competenza
legislativa concorrente il coordinamento dei bilanci e della  finanza
pubblica,  in  quanto,  nell'esonerare  la  spesa  per  il  personale
contrattista  dal  rispetto  del  limite   necessario   a   garantire
l'osservanza del patto di stabilita' interno,  sarebbe  in  contrasto
con i principi della legislazione statale in materia di coordinamento
della finanza pubblica, ai sensi dei  quali  vanno  incluse  in  tale
patto tutte le spese di personale, a qualsiasi titolo sostenute. 
    Ad avviso del ricorrente, la disposizione  impugnata  violerebbe,
altresi', l'art. 8, numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972, in  quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di  personale,
anche laddove interviene in materia  di  competenza  esclusiva,  deve
rispettare, per effetto del rinvio all'art. 4  del  medesimo  statuto
presente nel suddetto  art.  8.  Tra  questi  principi  rientrerebbe,
infatti, ad avviso del  ricorrente,  anche  il  divieto  generale  di
incremento della spesa  per  il  personale  stabilito  per  tutte  le
pubbliche amministrazioni dall'art. 9 del  decreto-legge  n.  78  del
2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    1.3.- Con riguardo all'art. 17, comma 1, della legge prov. Trento
n. 18 del 2011, la Presidenza del Consiglio  dei  ministri  ha  fatto
presente che  tale  disposizione,  mentre  attribuisce  effetti  solo
giuridici alle progressioni di carriera del  personale  del  comparto
ricerca maturate  negli  anni  2011,  2012  e  2013,  riconosce,  con
riferimento a quelle maturate  nel  corso  del  2010,  effetti  anche
economici, «che inciderebbero sugli anni 2011, 2012 e successivi». 
    In questa  parte,  la  disposizione  risulterebbe,  pertanto,  in
contrasto  sia  con  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,   la'   dove
attribuisce   alla   legislazione   concorrente   la   materia    del
coordinamento della finanza pubblica, sia con l'art.  8,  numero  1),
del  d.P.R.  n.  670  del  1972,  in  quanto  violerebbe  i  principi
dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica,  che  la  legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare per  effetto  del
rinvio  all'art.  4  del  medesimo  statuto.   In   particolare,   la
disposizione  impugnata  risulterebbe  essere  in  contrasto  con  il
principio posto dall'art. 9, comma 21, del decreto-legge  n.  78  del
2010,  conv.,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.  122  del  2010,
consistente nel divieto di  produzione  di  effetti  economici  delle
progressioni di carriera negli anni a partire dal 2011. 
    Inoltre,  la  disposizione  impugnata  si  porrebbe  altresi'  in
violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  che
riserva   alla   legislazione   esclusiva    statale    la    materia
dell'ordinamento  civile,  nella  quale  pacificamente   rientra   il
pubblico impiego contrattualizzato,  incluso  l'aspetto  retributivo.
Pertanto, l'art. 17, comma 1, della legge  prov.  Trento  n.  18  del
2011, capovolgendo la disciplina della legge dello Stato  in  materia
di  effetti  degli  avanzamenti  di  carriera   sulla   retribuzione,
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile. 
    1.4.- Relativamente all'art. 21,  comma  11,  della  legge  prov.
Trento  n.  18  del  2011,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   ha
argomentato che tale disposizione consente alla Giunta provinciale di
definire i criteri per l'attribuzione di  incarichi  a  personale  di
categoria D o con qualifica di direttore, costituendo allo scopo  uno
specifico fondo. Cosi' facendo, essa si porrebbe  in  violazione  sia
dell'art. 8, numero 1),  del  d.P.R.  n.  670  del  1972,  in  quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia  di  personale
deve rispettare, per effetto  del  rinvio  all'art.  4  del  medesimo
statuto; sia degli artt. 3 e 97 Cost., in  quanto  derogherebbe  alla
regola del pubblico concorso, senza specificare ne' i presupposti  al
ricorrere dei quali e' consentito attribuire gli  incarichi,  ne'  di
quali incarichi si tratti. In tal  modo,  pertanto,  la  legislazione
provinciale vanificherebbe  il  principio  desumibile  dall'art.  35,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche),  il  quale  stabilisce  che  l'assunzione
nelle amministrazioni pubbliche con contratto individuale  di  lavoro
deve avvenire tramite procedure selettive che garantiscano in  misura
adeguata l'accesso dall'esterno, e pone i  principi  di  pubblicita',
imparzialita',  economicita',  oggettivita',   trasparenza   e   pari
opportunita', cui devono conformarsi  le  procedure  di  reclutamento
nelle pubbliche amministrazioni. 
    1.5.- Con riferimento all'art. 27, comma  4,  della  legge  prov.
Trento  n.  18  del  2011,  il  ricorrente  ha  ricordato  che   tale
disposizione affida alla Giunta provinciale la funzione di  formulare
direttive all'Agenzia provinciale  per  la  rappresentanza  negoziale
(APRAN) per consentire all'Azienda provinciale per i servizi sanitari
di concedere un'aspettativa non retribuita e utile a ogni altro fine,
per un periodo massimo di novanta  giorni  ogni  biennio,  con  oneri
previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente  versati
dall'Azienda medesima, al fine  di  favorire  la  partecipazione  del
proprio personale a progetti di solidarieta' internazionale approvati
o sostenuti dalla Provincia. 
    Ad avviso del ricorrente, tale disposizione violerebbe l'art.  8,
numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto contrasterebbe con i
principi  dell'ordinamento  giuridico  della   Repubblica,   che   la
legislazione provinciale in materia di personale deve rispettare, per
effetto del rinvio all'art. 4 del medesimo statuto.  In  particolare,
introdurrebbe unilateralmente una nuova tipologia di aspettativa, per
progetti di solidarieta',  ponendosi  percio'  in  contrasto  con  il
principio della contrattazione collettiva, che regge l'intero settore
del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione,  ai  sensi
dell'art. 40, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001. 
    Inoltre, poiche' la disciplina  della  contrattazione  collettiva
del  rapporto   di   pubblico   impiego   appartiene   alla   materia
dell'ordinamento  civile,  la   disposizione   impugnata   violerebbe
altresi' l'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,  in  quanto
invaderebbe la competenza esclusiva statale in quest'ultima  materia,
posto che solo la legge dello Stato potrebbe mutare  o  integrare  le
decisioni assunte in sede collettiva in materia di aspettativa. 
    1.6.- Con riguardo all'art. 27, comma 6, lettera c), della  legge
della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2011, la Presidenza  del
Consiglio dei ministri ha sottolineato  che  tale  disposizione,  tra
l'altro, assoggetta la dirigenza del servizio  sanitario  provinciale
al cosiddetto spoils system, stabilendo che la durata  massima  degli
incarichi non puo' essere superiore a quella del  direttore  generale
dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari. 
    La disposizione impugnata, ad avviso del  ricorrente,  violerebbe
l'art.  8,  numero  1),  del  d.P.R.  n.  670  del  1972,  in  quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia  di  personale
deve rispettare, per effetto  del  rinvio  all'art.  4  del  medesimo
statuto, e in particolare con gli artt. 14  e  19,  comma  1-ter  del
decreto legislativo n. 165 del 2001, che individuano i casi di revoca
degli incarichi dirigenziali e limitano il  meccanismo  dello  spoils
system ai soli  uffici  di  diretta  collaborazione  con  il  vertice
dell'ente. 
    Ad avviso del  ricorrente,  inoltre,  la  disposizione  impugnata
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.,  in  quanto
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile, posto che  solo  la  legge  dello  Stato  potrebbe  mutare  o
integrare la  materia  della  cessazione  del  rapporto  di  pubblico
impiego. 
    1.7.- Relativamente all'art.  51,  comma  4,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  fatto
presente  che  tale  disposizione  introduce  una  nuova   causa   di
esclusione  obbligatoria  delle  imprese   partecipanti   alle   gare
pubbliche provinciali, nel caso in cui venga offerto  un  prezzo  nel
quale la  percentuale  di  incidenza  del  costo  del  personale  sia
inferiore a quella minima indicata nel bando. Inoltre,  per  le  sole
gare di importo inferiore alla soglia comunitaria, prevede  l'obbligo
di sottoporre a verifica di anomalia le offerte nelle quali il  costo
del personale sia inferiore a quello indicato nel  progetto  posto  a
base di gara. 
    Ad avviso del ricorrente, la disposizione,  nella  parte  in  cui
introduce una nuova clausola di esclusione  obbligatoria,  violerebbe
anzitutto l'art. 8, numero 17), del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica  e  con  il  diritto  comunitario,  che  la   legislazione
provinciale in materia di  lavori  pubblici  deve  rispettare,  e  in
particolare il «principio di concorrenza», per  come  desumibile  dal
codice dei contratti pubblici, adottato con il decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e  forniture  in  attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e
2004/18/CE). In ossequio al «principio  di  concorrenza»,  enunciato,
assieme a quello di economicita' e ad altri, dall'art. 2  del  d.lgs.
n. 163 del 2006, l'enumerazione delle clausole di esclusione da parte
del  legislatore  statale  costituirebbe   un   numero   chiuso   non
suscettibile di ampliamento, neppure da parte delle Regioni  speciali
e delle Province autonome, benche' gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n.  163
del 2006 lascino aperte alcune possibilita' di deroga, in  nome,  tra
l'altro, di «esigenze sociali». 
    La disposizione impugnata violerebbe altresi' l'art. 117, secondo
comma,  lettera  e),  Cost.,  in  quanto  invaderebbe  la  competenza
esclusiva statale in materia di  tutela  della  concorrenza,  che  ai
sensi della  giurisprudenza  costituzionale  costituisce  una  tipica
«materia  trasversale».  Soltanto  la  legge  dello  Stato,  percio',
potrebbe introdurre ulteriori cause di esclusione obbligatoria -  che
limitano  l'efficienza  concorrenziale  del  sistema,  in  quanto  si
traducono   in   limitazioni   immediate   delle   possibilita'    di
partecipazione delle imprese alle gare pubbliche - e nuove ipotesi di
anomalia, al di la' di quelle individuate nell'art. 86 del codice dei
contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006. In
quest'ultimo caso, infatti, il legislatore provinciale  introdurrebbe
una  restrizione  della  discrezionalita'  tecnica   delle   stazioni
appaltanti, che si tradurrebbe in una  violazione  del  principio  di
economicita' e del principio di concorrenza. 
    Infine, la disposizione impugnata, in entrambe le sue previsioni,
contrasterebbe con l'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.,  in
quanto invaderebbe la competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
ordinamento civile, posto che limiterebbe  la  liberta'  contrattuale
delle imprese partecipanti di presentare le proprie offerte, le quali
hanno,  dal  punto  di  vista  privatistico,   natura   di   proposta
contrattuale. 
    Ad avviso del ricorrente, i  vizi  suddetti  si  trasmetterebbero
all'art. 51, commi 9 e 18, dal momento che ambedue i  commi  rinviano
al comma 4 del medesimo articolo o, per  meglio  dire,  all'art.  30,
comma 5-bis, della  legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  10
settembre 1993, n. 26 (Legge provinciale sui lavori  pubblici),  come
sostituito dall'impugnato comma 4. 
    1.8.- Relativamente all'art. 51,  comma  12,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, sempre in materia di  contratti  pubblici,  il
ricorrente  ha  evidenziato  che   esso,   tra   l'altro,   subordina
l'aggiornamento  dei  prezzi  di  progetto  al  superamento  di   una
percentuale di aumento del 2,5 per cento dei medesimi  prezzi,  quali
risultanti dagli elenchi ufficiali, che sia intervenuto tra  la  data
della delibera di contrarre e quella di indizione dell'appalto. 
    Ad avviso del ricorrente tale  previsione  violerebbe  l'art.  8,
numero 17), del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto contrasterebbe  con
i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica,  che  la
legislazione  provinciale  in  materia  di   lavori   pubblici   deve
rispettare.  In  particolare,  viene  in  rilievo  il  «principio  di
adeguamento continuo» dei prezzi posti  a  base  di  gara,  per  come
desumibile dall'art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici,
adottato con il decreto legislativo n. 163 del 2006. 
    La suddetta disposizione contrasterebbe inoltre con  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza
esclusiva statale in materia di  ordinamento  civile,  posto  che  la
norma   impugnata   limita   l'autonomia   negoziale    relativamente
all'offerta  del  prezzo  della  prestazione  dedotta   in   appalto,
impedendo alle imprese di tenere conto nelle  proprie  offerte  degli
incrementi di costo fino a quando  questi  non  abbiano  superato  la
percentuale del 2,5 per cento rispetto all'elenco vigente al  momento
della deliberazione di contrarre. 
    1.9.- Con riferimento all'art. 57, comma  4,  della  legge  prov.
Trento  n.  18  del  2011,  il  ricorrente  ha  ricordato  che   tale
disposizione introduce una sanatoria per le  violazioni  commesse  in
materia  di  smaltimento  di  rifiuti  non  pericolosi,   consentendo
l'autorizzazione  a  posteriori   dell'esercizio   di   impianti   di
smaltimento (discariche e simili), anche ove avviate in carenza o  in
difformita' dal prescritto titolo autorizzativo. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato,  la  disposizione
provinciale violerebbe l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto
contrasterebbe con le direttive comunitarie le  quali  impongono  che
tutte le attivita' inerenti alla  gestione  del  ciclo  dei  rifiuti,
compreso lo smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva.
Vengono in rilievo, in particolare,  la  direttiva  del  19  novembre
2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive) e la direttiva del
15 gennaio 2008, n. 2008/1/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio sulla prevenzione e  la  riduzione  dell'inquinamento):  la
previsione di una sanatoria sostanzialmente  generalizzata  finirebbe
infatti, da  un  lato,  per  vanificare  l'efficacia  delle  sanzioni
previste, tanto piu' che l'accertamento  che  nella  discarica  siano
stati sempre smaltiti criteri «conformi» puo' rivelarsi  impossibile,
specie  ove  lo  smaltimento  abusivo  si  sia  protratto  a   lungo;
dall'altro, si fonderebbe su criteri solo in  apparenza  restrittivi,
che in realta' non garantiscono affatto che nella discarica non siano
mai stati smaltiti rifiuti pericolosi o comunque non conformi, e  che
pertanto non sono  idonei  ad  assicurare  il  soddisfacimento  degli
interessi pubblici ai quali il  sistema  autorizzativo  voluto  dalle
suddette direttive e' informato. 
    L'impugnata disposizione  contrasterebbe,  altresi',  con  l'art.
117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,  in  quanto  invaderebbe  la
competenza esclusiva statale in materia  di  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema.   Il   ricorrente   ha,   infatti,    ricordato    -
richiamandosi, tra le altre, alla sentenza n. 249 del 2009 di  questa
Corte - che la disciplina dei rifiuti si  colloca  nell'ambito  della
tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  di  competenza  esclusiva
statale, anche se interferisce con altri interessi e  competenze.  La
previsione   di   una   sanatoria    sostanzialmente    generalizzata
peggiorerebbe, in particolare, il livello di tutela assicurato  dalla
normativa statale, e in particolare dagli artt. 208  e  seguenti  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), con cui il legislatore ha dato attuazione alle  suddette
direttive   comunitarie,   prevedendo   l'obbligo   inderogabile   di
autorizzazione integrata preventiva. 
    Da  cio'  il  ricorrente  desume,  altresi',  la  violazione  del
principio di tutela dell'ambiente desumibile dall'art.  9  Cost.,  in
quanto configurerebbe una sanatoria sostanzialmente indiscriminata. 
    1.10.- Con riguardo all'art.  57,  comma  5,  della  legge  prov.
Trento  n.  18  del  2011,  il  ricorrente  ha  osservato  che   tale
disposizione introduce, per lo specifico  settore  dello  smaltimento
delle terre e rocce da scavo,  una  sanatoria  del  tutto  analoga  a
quella, appena esaminata, relativa allo smaltimento  di  rifiuti  non
pericolosi. 
    Dopo aver ricordato che le terre e rocce da scavo sono sottoposte
alla disciplina dei rifiuti sia  ai  sensi  della  normativa  statale
(art. 186, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006), sia ai  sensi  della
normativa comunitaria (considerando n. 14 e art.  7  della  direttiva
2008/98/CE, che fanno entrambi rinvio all'elenco dei rifiuti  di  cui
alla decisione della Commissione 2000/532/CE, del 3 maggio 2000),  il
ricorrente ha sostenuto che la disposizione in questione  violerebbe,
al pari di quella immediatamente precedente, in  primo  luogo  l'art.
117, primo comma, Cost., in quanto contrasterebbe  con  le  direttive
comunitarie n. 2008/98/CE in materia di rifiuti  e  n.  2008/1/CE  in
materia  di  prevenzione  e  riduzione  dell'inquinamento,  le  quali
impongono che tutte le attivita' inerenti alla gestione del ciclo dei
rifiuti, compreso lo smaltimento, siano  soggette  ad  autorizzazione
preventiva. E, in secondo luogo, l'art. 117, secondo  comma,  lettera
s), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva  statale  in
materia di tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  posto  che  la
previsione di una  sanatoria  indifferenziata  con  riferimento  allo
smaltimento delle terre e rocce da scavo peggiorerebbe il livello  di
tutela assicurato dalla normativa statale  (e  in  particolare  dagli
artt. 208 e seguenti del decreto legislativo n. 152  del  2006),  non
giustificata  da  apprezzabili  interessi  provinciali   a   cui   la
disposizione in  esame  possa  essere  considerata  «funzionale».  In
particolare, la distinzione tra violazioni «documentali o formali»  e
violazioni  «sostanziali»,  su   cui   la   disposizione   si   basa,
risulterebbe generica e  priva  di  criteri  applicativi.  La  stessa
previsione della previa analisi di rischio, per  le  sole  violazioni
qualificate come «sostanziali», apparirebbe in ogni caso irrilevante,
poiche'  l'insussistenza  di  rischio  ambientale  e'  comunque   una
condizione preliminare, necessaria anche in relazione alle  attivita'
autorizzate. 
    1.11.- Con riferimento all'art. 77 della legge prov. Trento n. 18
del 2011, il ricorrente ha osservato che la disposizione consente che
lo statuto dell'Istituto cimbro di Luserna (che  svolge  funzioni  di
salvaguardia, promozione e valorizzazione del patrimonio  etnografico
e culturale della  minoranza  germanofona  del  Comune  di  Luserna),
adottato dal consiglio di amministrazione dell'Istituto a maggioranza
assoluta  dei  componenti  e  approvato  dalla  Giunta   provinciale,
consenta che venga nominato direttore dell'Istituto suddetto anche un
soggetto privo dei requisiti per la nomina a dirigente,  «purche'  in
possesso di professionalita' e attitudine alla direzione». 
    Ad avviso del ricorrente, tale disposizione violerebbe  anzitutto
l'art.  8,  numero  1),  del  d.P.R.  n.  670  del  1972,  in  quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia  di  personale
deve rispettare, per effetto  del  rinvio  all'art.  4  del  medesimo
statuto. In particolare, l'oscuro riferimento alla professionalita' e
all'attitudine alla direzione non garantisce che la persona designata
integri i requisiti di capacita' e di esperienza che  gli  artt.  19,
comma 6, e 28 del d.lgs. n.  165  del  2001  fissano  con  chiarezza,
facendo riferimento a pregresse attivita' dirigenziali, a  comprovata
specializzazione professionale derivante da formazione  universitaria
(con il possesso per lo meno del diploma di laurea), alla  produzione
scientifica. 
    Inoltre, la disposizione risulterebbe in contrasto con gli  artt.
3 e 97 Cost., sotto i profili  della  ragionevolezza  e  della  buona
organizzazione dell'amministrazione, in quanto la mera  richiesta  di
professionalita' e attitudine alla direzione  non  sarebbe  idonea  a
perseguire la finalita'  di  assicurare  all'Istituto  una  direzione
efficiente e in quanto la buona organizzazione  presuppone  anzitutto
una  qualificazione  professionale  adeguata  a  chi  e'  preposto  a
funzioni dirigenziali. 
    2.- Con atto depositato il 6  aprile  2012  si  e'  costituta  in
giudizio la  Provincia  autonoma  di  Trento  e  ha  chiesto  che  le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale vengano dichiarate
inammissibili o infondate. 
    3.- Con atto depositato il  28  maggio  2012  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  dichiarato  di  rinunciare  al  ricorso
indicato in epigrafe,  limitatamente  all'impugnazione  dell'art.  9,
comma 5, della legge prov. Trento n. 18 del 2011. 
    La rinuncia parziale e' stata accettata dalla Provincia  autonoma
di Trento con atto depositato il 6  febbraio  2013,  previa  conforme
delibera della Giunta provinciale, in data 18 gennaio 2013. 
    4.- Con memoria datata 5 febbraio 2013, ma depositata il 9 giugno
2014, la Provincia  autonoma  di  Trento  ha  argomentato  nel  senso
dell'inammissibilita'  o  dell'infondatezza  delle  residue   censure
formulate nel ricorso. 
    4.1.- Con riferimento all'art. 16, comma  1,  della  legge  prov.
Trento  n.  18  del  2011,   la   resistente   ha   argomentato   per
l'inammissibilita' della censura, sia per aver dedotto parametri  non
presenti    nella    deliberazione    della    ricorso,    sia    per
contraddittorieta' interna dei parametri. In particolare, poiche'  la
delibera del Governo  con  cui  il  ricorso  e'  stato  promosso  non
menziona ne' l'art. 9-bis, comma 5, del d. l. n. 78 del 2009,  conv.,
con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, ne' l'art. 14,  comma
7, del d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n.
122 del 2010, andrebbe, in tesi, dichiarata l'inammissibilita'  delle
censure (in proposito sono richiamate le sentenze di questa Corte  n.
198 del 2012, n. 149 del 2012, n. 108 del 2012, n. 205 del  2011,  n.
27 del 2008, n. 275 del 2007). 
    Analogamente, sarebbe inammissibile la  censura  che  lamenta  la
violazione dell'art. 8 dello statuto di autonomia  del  Trentino-Alto
Adige/Südtirol e del principio dell'ordinamento della Repubblica  che
sarebbe sancito dall'art. 9, comma 1, del  d.  l.  n.  78  del  2010,
conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del  2010,  dal  momento
che la delibera governativa evoca l'art. 8 del medesimo statuto  solo
per affermare che la norma impugnata non rientrerebbe nell'ambito  di
competenza primaria della Provincia autonoma, ma  nella  materia  del
coordinamento della  finanza  pubblica,  di  competenza  concorrente.
Sussisterebbe,  inoltre,  una  contraddittorieta'   interna   tra   i
parametri invocati, visto che l'Avvocatura sembrerebbe ricondurre  la
disciplina in questione alla potesta' legislativa concorrente  e,  al
tempo stesso, alla  potesta'  legislativa  primaria  della  Provincia
autonoma. 
    Nel  merito,  la  Provincia  autonoma  di  Trento  ha   sostenuto
l'infondatezza della censura riferita all'art.  16,  comma  1,  della
legge prov. Trento n. 18 del  2011,  per  erroneita'  delle  premesse
interpretative e per difetto di pertinenza  dei  parametri  invocati,
ricordando inoltre che l'intero art. 16 e' stato  abrogato  dall'art.
25, comma 3, della  legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  27
dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio
annuale 2013 e pluriennale  2013-2015  della  Provincia  autonoma  di
Trento - Legge finanziaria provinciale  2013),  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2013. Quest'ultima legge ha poi fissato i limiti di spesa per
gli anni 2013-2015, inferiori  ai  precedenti  e  senza  ripetere  la
disposizione di cui all'ultimo periodo dell'art.  16,  comma  1,  che
escludeva da tali limiti gli oneri relativi al personale assunto  con
contratto di diritto privato  sulla  base  di  particolari  norme  di
settore. 
    Infondata  sarebbe  anche  la  questione  in  cui  si  invoca  la
violazione  dell'art.  8,  n.  1,  dello  statuto  di  autonomia  del
Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  sia  perche'  la   materia   relativa
all'«ordinamento  degli   uffici   provinciali   e   del   personale»
rientrerebbe ora nell'art. 117, quarto comma,  Cost.  e  non  sarebbe
pertanto soggetta al limite dei  principi  generali  dell'ordinamento
(sentenze n. 95 del 2008 e n. 274 del 2003), sia in quanto l'art.  9,
comma 1, del d. l. n. 78 del 2010, conv.,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del  2010,  non  potrebbe  essere  qualificato  come  un
principio generale dell'ordinamento. 
    In ogni caso, poi, alla Provincia  autonoma  di  Trento,  che  e'
dotata, ai sensi dell'art. 79 del d.P.R. n.  670  del  1972,  di  una
speciale  autonomia  finanziaria,  non  solo  rispetto  alle  Regioni
ordinarie, ma anche  rispetto  alle  altre  autonomie  speciali,  non
sarebbero applicabili i limiti derivanti dal d. l. n.  78  del  2010,
conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,  ai  sensi  di
quanto espressamente previsto dall'art. 1 della legge prov. n. 27 del
2010, con disposizione non impugnata dal Governo. 
    Quanto,  infine,  alla  censura   riferita   all'ultimo   periodo
dell'art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18  del  2011,  in
relazione all'esclusione della spesa per il personale assunto in base
a particolari norme di settore, essa risulterebbe inammissibile,  per
le ragioni sopra esposte, e infondata. L'infondatezza e' desunta  dal
fatto che tale disposizione avrebbe il solo fine di chiarire che  non
rientrano nella spesa generale del personale  provinciale  gli  oneri
per il personale assunto con contratto di diritto privato nel settore
delle opere di difesa sui  corsi  d'acqua  e  di  manutenzione  delle
foreste,  in  quanto  si  tratta  di  spese   gia'   comprese   negli
stanziamenti destinati agli interventi in questione. 
    4.2.- Con riferimento all'art. 17, comma  1,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011,  la  resistente  ha  ribadito  l'eccezione  di
inammissibilita' della censura, a causa della  contemporanea,  e  non
coordinata,  invocazione  sia  del  limite  dei   principi   generali
dell'ordinamento della potesta' primaria provinciale  in  materia  di
personale, sia dei principi fondamentali in materia di  coordinamento
della finanza pubblica, sia infine  dell'incidenza  sulla  competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile.  Si  tratterebbe,
percio', di un  motivo  di  ricorso  internamente  contradditorio,  e
pertanto da ritenersi inammissibile, in base alla  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenze n. 35 del 2011; n. 297 del  2009;  n.  10  del
2008; n. 391 del 2006). 
    Nel merito, la Provincia autonoma di Trento  ha  argomentato  per
l'infondatezza  delle  censure  riferite  a  tale  disposizione,  che
sarebbe  volta  unicamente   a   modificare   la   disciplina   delle
progressioni di carriera del personale del comparto ricerca in  senso
conforme alla normativa statale, in quanto la  previgente  disciplina
provinciale sarebbe risultata piu'  restrittiva  di  quella  statale.
L'art.  9,  comma  21,  del  d.  l.  n.  78  del  2010,  conv.,   con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,  richiamato  dal  ricorso
quale parametro interposto, infatti, oltre a non essere invocabile in
virtu' della  speciale  autonomia  finanziaria  provinciale,  non  si
occuperebbe affatto delle progressioni del 2010, ma tratterebbe  solo
di quelle degli anni 2011-2013, sterilizzandole a fini economici. 
    Specificamente infondata sarebbe, poi, la censura per  violazione
del limite dei «principi generali dell'ordinamento»,  che  invoca  la
violazione  dell'art.  8,  n.  1,  dello  statuto  di  autonomia  del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, dal momento che l'art. 9, comma 21, del
d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla  legge  n.  122
del 2010, non sarebbe qualificabile come tale, oltre che per il fatto
che  questo  limite  non  sarebbe  piu'  applicabile  alla  Provincia
autonoma in forza dell'attribuzione di una piu' ampia  competenza  in
materia di personale, per effetto dell'art. 117, quarto comma,  Cost.
(sono citate le sentenze n. 95 del 2008 e n. 274 del 2003  di  questa
Corte). La medesima censura risulterebbe  inoltre  inammissibile,  in
quanto assente nella delibera governativa, nella quale  si  sosteneva
che la norma di cui all'art. 17, comma 1, della legge  impugnata  non
rientrasse nella materia dell'«ordinamento del personale». 
    4.3.- Con riguardo all'art. 21, comma 11, della legge  impugnata,
la  Provincia  autonoma  di   Trento   ha   argomentato   nel   senso
dell'inammissibilita' e dell'infondatezza delle relative censure. 
    In primo luogo, si  riscontrerebbe,  infatti,  l'estraneita'  del
parametro invocato, e in particolare,  dell'art.  97  Cost.,  laddove
pone la regola del pubblico concorso, rispetto alla norma  impugnata,
dal momento che questa si applicherebbe al personale gia' in servizio
e non determinerebbe alcun mutamento  della  qualifica  dei  soggetti
interessati, riferendosi ad incarichi di carattere  temporaneo  (come
chiarito dalla modifica apportata dalla legge prov. n. 25 del 2012). 
    In secondo luogo, la censura  sarebbe  inammissibile,  sia  nella
parte in cui invoca la lesione del principio del  pubblico  concorso,
perche' tale profilo sarebbe assente nella delibera governativa;  sia
nella parte in cui lamenta la mancata indicazione dei presupposti per
l'attribuzione degli incarichi, perche' il  parametro  dei  «principi
generali in tema di pubblico impiego dettati dal d.lgs.  n.  165  del
2001» sarebbe  invocato  in  maniera  generica,  in  quanto  verrebbe
indicato  solo  l'art.  35  di  tale  decreto  legislativo,  che  non
riguarderebbe il conferimento degli incarichi, bensi' le procedure di
reclutamento. 
    In terzo  e  ultimo  luogo,  la  censura  sarebbe  in  ogni  caso
infondata, dal momento che il decreto legislativo n. 165 del 2001 non
si applicherebbe alla Provincia autonoma di Trento -  essendo  semmai
applicabili solo i principi desumibili dalla legge 23  ottobre  1992,
n. 421 (Delega al Governo per la  razionalizzazione  e  la  revisione
delle discipline in materia  di  sanita',  di  pubblico  impiego,  di
previdenza e di finanza territoriale), non menzionata nel ricorso - e
il  relativo  art.  35  non  avrebbe  rango  di  principio   generale
dell'ordinamento. Inoltre, la disposizione impugnata si limiterebbe a
prevedere uno specifico fondo, senza innovare quanto  alle  procedure
di conferimento degli incarichi,  e  interverrebbe  comunque  in  una
materia, quella dell'«ordinamento degli uffici e del personale»,  ora
rientrante nella potesta' legislativa primaria provinciale  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    4.4.- Relativamente all'art.  27,  comma  4,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, nella memoria  difensiva  si  e'  rilevato  un
profilo di inammissibilita' per contraddittorieta', perche' lo  Stato
invocherebbe contemporaneamente sia un titolo di competenza esclusiva
statale in materia di ordinamento civile  (il  che  implicherebbe  la
carenza di potere della  Provincia  autonoma),  sia  un  limite  alla
potesta' legislativa provinciale  primaria  in  materia  di  pubblico
impiego (il che implicherebbe il cattivo esercizio  della  competenza
legislativa provinciale). 
    La  censura  sarebbe,  inoltre,  infondata  laddove  lamenta   il
contrasto con la contrattazione collettiva nazionale, dal momento che
il  contratto  collettivo  del  personale  del   servizio   sanitario
nazionale non si applicherebbe al personale dell'Azienda  provinciale
per i servizi sanitari, che sarebbe soggetto allo specifico contratto
collettivo  provinciale.   La   norma   impugnata,   inoltre,   lungi
dall'introdurre una nuova tipologia di aspettativa, si limiterebbe  a
regolare il potere di  indirizzo  che  la  Giunta  ha  nei  confronti
dell'APRAN affinche' questa ne tenga conto nella contrattazione con i
sindacati. Infine, l'art. 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001,
evocato  quale  «parametro  interposto»,  non  avrebbe  il  rango  di
principio generale dell'ordinamento e  la  materia  dell'«ordinamento
degli uffici provinciali e del personale» rientrerebbe nella potesta'
legislativa primaria  provinciale  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. 
    4.5.- Con riguardo all'art. 27, comma 6, lettera c), della  legge
prov. Trento n. 18 del 2011, la Provincia autonoma ha riferito  anche
alle censure rivolte a tale articolo l'eccezione di  inammissibilita'
per    contraddittorieta',    perche'    lo    Stato     invocherebbe
contemporaneamente sia un titolo  di  competenza  esclusiva  statale,
quella in materia di ordinamento  civile  (il  che  implicherebbe  la
carenza di potere della  Provincia  autonoma),  sia  un  limite  alla
potesta' legislativa provinciale  primaria  in  materia  di  pubblico
impiego (il che implicherebbe il cattivo esercizio  della  competenza
legislativa provinciale). 
    Anche tale questione sarebbe, comunque,  infondata,  dal  momento
che  essa  non  prevedrebbe  affatto  un  caso  di   spoils   system,
limitandosi a regolare, in via transitoria, l'attribuzione  di  nuovi
incarichi  dirigenziali,  disciplinandone   la   durata,   che   deve
consistere in un tempo certo e definito, ma non  superiore  a  quella
dell'incarico di direttore  generale  dell'azienda.  La  disposizione
secondo cui, in caso di cessazione anticipata, per  qualunque  causa,
del rapporto di lavoro del direttore  generale,  il  nuovo  direttore
generale  procede  alla   verifica   qualitativa   dell'operato   dei
direttori, con facolta' di revocare gli incarichi  a  fronte  di  una
valutazione negativa, e' collocata, invece, nell'art.  28,  comma  3,
della legge della Provincia autonoma di Trento 23 luglio 2010, n.  16
(Legge provinciale sulla tutela della salute), che non forma  oggetto
del giudizio e che e' evocato nella richiamato  nell'art.  56,  comma
4-bis, lettera  a),  della  medesima  legge  n.  16  del  2010,  come
introdotto dalla disposizione impugnata. 
    Sempre secondo la  memoria,  inoltre,  i  parametri  evocati  non
sarebbero pertinenti, si riscontrerebbe una  sovrapposizione  tra  il
concetto di principi generali dell'ordinamento e quello  di  principi
fondamentali, e la materia rientrerebbe nella materia "organizzazione
amministrativa" della Provincia, dal  momento  che  l'Azienda  per  i
servizi sanitari e' un ente paraprovinciale. 
    4.6.- Con riferimento all'art. 51, commi 4, 9 e 18, la  Provincia
autonoma di Trento ha anzitutto fatto presente che l'art. 51, comma 4
- che ha sostituito l'art. 30, comma 5-bis, della legge prov.  n.  26
del 1993 - e' stato in seguito piu' volte  modificato  e,  nella  sua
versione originaria, oggetto del presente giudizio  non  sarebbe  mai
stato applicato, in quanto la Provincia non ha predisposto gli idonei
mezzi informatici richiesti dall'impugnata disposizione. Ha  pertanto
chiesto  che  sia  dichiarata  la  cessazione   della   materia   del
contendere. 
    Tra le modifiche successivamente  apportate  all'art.  30,  comma
5-bis, viene  richiamata  la  sua  integrale  sostituzione  ad  opera
dell'art. 16, comma  1,  lettera  c),  della  legge  della  Provincia
autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18  (Modificazioni  della  legge
provinciale 10 settembre 1993, n. 26 - Legge provinciale  sui  lavori
pubblici), della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre
1980, n. 35 (Determinazione delle quote di  aggiunta  di  famiglia  e
disposizioni varie  in  materia  di  personale),  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7 (Legge sul personale
della  Provincia),  dell'art.   14   (Costituzione   della   societa'
«Patrimonio  del  Trentino  s.p.a.»)  della  legge  della   Provincia
autonoma di Trento 10  febbraio  2005,  n.  1  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale 2005 e  pluriennale  2005-2007  della
Provincia autonoma di Trento - Legge finanziaria), della legge  della
Provincia autonoma di Trento 16  maggio  2012,  n.  9  (Interventi  a
sostegno del sistema economico  e  delle  famiglie),  e  della  legge
provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la
crescita e la competitivita' del Trentino), con disposizione  che  e'
stata impugnata davanti  a  questa  Corte  -  peraltro  decisa  dalla
sentenza n. 187 del 2013, sul punto con  estinzione  del  processo  a
seguito di rinuncia - e ulteriormente modificata, con  l'aggiunta  di
un inciso, ad opera dell'art. 68 della legge della Provincia autonoma
di Trento 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale  2013  e  pluriennale  2013-2015  della   Provincia
autonoma di Trento - Legge finanziaria provinciale 2013). 
    Ad ogni modo nella memoria viene altresi' fornita  una  serie  di
argomenti nel senso dell'inammissibilita' e  dell'infondatezza  delle
relative censure. Tali argomenti sono  riferiti  anche  alle  censure
aventi ad oggetto i commi 9 e  18  dell'art.  51  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, visto  che,  ai  sensi  del  ricorso,  i  vizi
dell'art. 51, comma 4, si trasmetterebbero, per derivazione, anche  a
tali commi. 
    4.7.- Inoltre, in memoria la  Provincia  autonoma  di  Trento  ha
segnalato  che  dall'epigrafe  e  dal  petitum  del  ricorso  risulta
impugnato anche l'art. 51, comma 5, lettera  a),  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, senza peraltro  che  nel  ricorso  sia  svolta
alcuna argomentazione al riguardo: tale questione  dovrebbe  pertanto
ritenersi inammissibile per totale assenza di motivazione. 
    4.8.- Relativamente all'art. 51,  comma  12,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, che sostituisce  l'art.  44,  comma  1,  della
legge n. 26 del 1993,  sempre  in  materia  di  lavori  pubblici,  in
memoria si  e'  ritenuta  la  censura  inammissibile  ove  invoca  la
violazione dell'art.  8,  n.  17,  dello  statuto  di  autonomia  del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, sia in quanto tale censura non  sarebbe
presente nella delibera governativa - ove viene  richiamata  solo  la
competenza statale in materia di ordinamento civile - sia  in  quanto
sarebbe generica, non  indicando  quale  dei  limiti  della  potesta'
legislativa primaria sarebbe violato. 
    La  censura  sarebbe,  nel  merito,  infondata  per  assenza  del
contrasto tra la norma impugnata e quella statale invocata, dato  che
esse disciplinerebbero fenomeni diversi. L'art.  133,  comma  8,  del
d.lgs.  n.  163  del  2006,   infatti,   definirebbe   il   prezzario
esclusivamente con riferimento  alla  fase  di  progettazione,  senza
disciplinare le possibili evenienze dalla data  di  approvazione  del
progetto  in  poi,  e   quindi   senza   preoccuparsi   di   tutelare
l'appaltatore in caso di ritardo nell'indizione della gara. In  altri
termini,  l'aggiornamento  condizionato  ad  un  aumento  dei  prezzi
superiore al 2,5 per cento  rispetto  all'anno  precedente,  previsto
dalla disposizione impugnata, non corrisponderebbe  all'aggiornamento
annuale previsto dall'art. 133, comma 8,  del  codice  dei  contratti
pubblici, bensi' ad un ulteriore  aggiornamento,  che  scatta  quando
cambi l'elenco prezzi fra il momento della  delibera  a  contrarre  e
quello  dell'inizio  dell'appalto.  Inoltre,  e  in  ogni  caso,   la
Provincia autonoma di Trento ha argomentato  nel  senso  che  non  si
potrebbe comunque dedurre la  violazione  dell'art.  8,  n.  17,  del
d.P.R. n. 670 del 1972, perche' la norma statale  invocata,  che  non
sarebbe attuativa di prescrizioni europee, non  concreterebbe  alcuno
dei  limiti  della  potesta'  legislativa  primaria  della  Provincia
autonoma. E, altresi', nel senso di negare  la  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.,  dal  momento  che  la  norma,
regolando l'attivita' delle amministrazioni anteriore al  momento  di
aggiudicazione  dell'appalto,  non   rientrerebbe   nell'«ordinamento
civile». 
    4.9.- Con riferimento all'art. 57, comma  4,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, che introduce l'art. 86-ter  nel  decreto  del
Presidente della Giunta Provinciale 26 gennaio 1987,  n.  1-41/Legisl
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in  materia  di
tutela  dell'ambiente  dagli  inquinamenti),  la  Provincia  autonoma
lamenta, anzitutto, l'inammissibilita' della censura  per  violazione
dell'art. 9 Cost., sia  perche'  tale  parametro  non  sarebbe  stato
invocato nella deliberazione del Consiglio dei ministri, sia  per  la
totale genericita' della censura medesima,  priva  di  ogni  supporto
motivazionale. 
    Nel merito, la censura, nella parte in cui invoca  la  violazione
dell'art. 117, primo comma, e dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
s) Cost., sarebbe infondata,  in  quanto  frutto  di  un  sostanziale
equivoco  interpretativo:  la  disposizione  impugnata,   lungi   dal
consentire l'esercizio di impianti  di  smaltimento  di  rifiuti  non
pericolosi in assenza della  relativa  autorizzazione,  riguarderebbe
unicamente lo smaltimento in difformita' dall'autorizzazione, ma  pur
sempre in impianti autorizzati. Ne deriverebbe,  altresi',  l'assenza
di contrasto con la normativa comunitaria richiamata, nella parte  in
cui  afferma  la  necessita'   di   autorizzazione   preventiva   per
l'attivita' di smaltimento dei rifiuti,  posto  che  la  disposizione
impugnata  presupporrebbe  tale  sistema  autorizzatorio  e   farebbe
comunque salvo il sistema sanzionatorio  previsto.  In  sostanza,  la
disposizione impugnata si limiterebbe a stabilire una regola di  buon
senso e di ragionevolezza,  mirando  ad  impedire  che  debba  essere
obbligatoriamente disposta  la  rimozione  di  rifiuti,  smaltiti  in
difformita' dall'autorizzazione, da  un  impianto  gia'  di  per  se'
autorizzato,  per  avviarli  a  un  altro  impianto   autorizzato   o
eventualmente anche presso il medesimo impianto, previa  integrazione
della relativa  autorizzazione.  La  movimentazione  dei  rifiuti  in
questione genererebbe, infatti,  un  impatto  sull'ambiente  e  sulla
salute pubblica decisamente maggiore di quello  che  deriverebbe  dal
mantenimento in situ dei rifiuti originariamente non autorizzati. 
    4.10.- Con riguardo all'art.  57,  comma  5,  della  legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, che introduce l'art. 86-ter  nel  decreto  del
Presidente della Giunta  Provinciale  n.  1-41/Legisl  del  1987,  la
Provincia autonoma  ha  preliminarmente  rilevato  l'inammissibilita'
della censura con cui si lamenta il contrasto con l'art.  186,  comma
5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto tale previsione
non sarebbe indicata nella deliberazione del Consiglio dei ministri. 
    Nel merito, secondo la memoria, il ricorso sarebbe infondato,  in
quanto  anche  in  questo  caso   si   baserebbe   su   un   equivoco
interpretativo,  visto  che   la   disposizione   impugnata   sarebbe
chiarissima  nel  subordinare  la  propria  applicabilita'  al  pieno
rispetto della normativa statale e, di conseguenza, anche  di  quella
comunitaria, della quale la prima costituisce attuazione. Nel comma 1
della disposizione impugnata il necessario rispetto  della  normativa
statale   e'   espressamente   ribadito,    precisandosi    che    la
regolarizzazione potra' riguardare unicamente le gestioni di terre  e
rocce  da  scavo  avvenute  in  difformita'  dalle  direttive   della
Provincia emanate ai sensi  delle  norme  provinciali:  rappresentate
dalle deliberazioni della Giunta provinciale 22 maggio 2009, n.  1227
(Linee guida e indicazioni operative per l'utilizzo di terre e  rocce
derivanti da operazioni di scavo) e 3 luglio 2009, n. 1666 (Ulteriori
indicazioni integrative per l'utilizzo di  terre  e  rocce  da  scavo
provenienti da aree interessate  da  fenomeni  naturali  che  abbiano
determinato il superamento di una o  piu'  concentrazioni  soglia  di
contaminazione).  Allo  stesso  modo,  e'  riaffermata  la   salvezza
dell'apparato sanzionatorio previsto a livello statale. 
    In memoria si e' fatto inoltre presente che non sarebbe  corretto
affermare,  come  invece  avviene  nel  ricorso,  che  la   normativa
nazionale e quella comunitaria qualificherebbero le terre e rocce  da
scavo necessariamente come rifiuti, essendo  prevista,  altresi',  la
possibilita' di considerarle come «sottoprodotto» (ai sensi dell'art.
184-bis  del  decreto  legislativo   n.   152   del   2006).   Questa
interpretazione sarebbe  ora  ulteriormente  confermata  dal  decreto
ministeriale  10  agosto  2012,  n.  161  (Regolamento   recante   la
disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo),  il  cui
art. 2, comma 1, stabilisce le condizioni e  i  criteri  affinche'  i
materiali da scavo siano considerati «sottoprodotti» e non «rifiuti».
Anche  nella  normativa  comunitaria  sarebbe  escluso,  secondo   la
memoria,  che  le  rocce  e   le   terre   da   scavo   costituiscano
automaticamente e necessariamente un rifiuto: ai sensi  dell'art.  3,
punto 1, della direttiva 2008/98/CE, infatti, per rifiuto si  intende
qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si  disfi  o  abbia
l'intenzione o l'obbligo di disfarsi; il successivo art. 7,  inoltre,
chiarisce che l'inclusione di una sostanza nell'elenco non  significa
che esso sia un rifiuto in tutti i casi. 
    4.11.- Con riferimento all'art. 77 della legge prov. Trento n. 18
del 2011, che inserisce il comma 1-bis nell'art.  8-bis  della  legge
della Provincia autonoma di Trento 31 agosto 1987, n. 18 (Istituzione
dell'Istituto  mocheno  e  dell'Istituto  cimbro  e  norme   per   la
salvaguardia e la  valorizzazione  della  cultura  delle  popolazioni
germanofone in provincia di Trento), la Provincia autonoma, dopo aver
ricordato che i cimbri sono una piccola minoranza  germanofona  (poco
piu' di mille abitanti) e  che  l'Istituto  cimbro  ha  lo  scopo  di
promuovere le conoscenze della cultura e  delle  tradizioni  di  tale
minoranza, sostiene che la norma impugnata, che consente  una  deroga
ai requisiti richiesti dalla  legge  provinciale  per  gli  incarichi
dirigenziali, serva a permettere che a capo di  tale  Istituto  possa
essere posta una persona che conosca la lingua cimbra e la cultura di
tale popolazione. 
    La questione sollevata sarebbe, ad ogni modo,  inammissibile,  in
quanto difforme rispetto alla delibera governativa, sia  nella  parte
in  cui  contesta  la  mancanza  dei  requisiti  di  capacita'  e  di
esperienza di cui all'art. 19, comma 6, del  decreto  legislativo  n.
165 del  2001,  sia  nella  parte  in  cui  invoca  il  principio  di
ragionevolezza. 
    Nel merito, in memoria si e' sostenuta l'infondatezza di  ambedue
le censure. Riguardo a quella basata sull'art. 8, n. 1, dello statuto
di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, si e' rilevato che  il
decreto legislativo  n.  165  del  2001  non  si  applicherebbe  alla
Provincia autonoma di Trento, che sarebbe soggetta solo  ai  principi
desumibili dall'art. 2 della legge n. 421 del 1992, i quali, ai sensi
dell'art. 1, comma 3, del medesimo decreto legislativo, costituiscono
norme fondamentali di riforma economico-sociale. In proposito, l'art.
2, comma 1, lettera f), della legge n.  421  del  1992  si  limita  a
prescrivere la necessita'  di  «prevedere  criteri  generali  per  la
nomina dei dirigenti di piu' elevato  livello,  con  la  garanzia  di
specifiche obiettive capacita' professionali». 
    D'altro canto, il limite dei «principi generali dell'ordinamento»
non sussisterebbe piu', dato che la materia  dell'«ordinamento  degli
uffici provinciali e del personale» rientrerebbe ora  nell'art.  117,
quarto comma, Cost. Neppure i «principi fondamentali dell'ordinamento
statale» potrebbero essere invocati, in quanto inidonei a limitare la
potesta' provinciale in materia di personale, che e' primaria  e  non
concorrente. Inoltre, l'art. 28 del decreto legislativo  n.  165  del
2001 non sarebbe pertinente, in  quanto  regolerebbe  l'accesso  alla
qualifica  di  dirigente,  e  non  il  conferimento  di  un  incarico
dirigenziale. 
    In definitiva, la disposizione impugnata - secondo la  memoria  -
si limiterebbe a prevedere un incarico «direzionale» temporaneo in un
piccolo ente, senza che cio' implichi l'acquisizione della  qualifica
di dirigente, dando attuazione alla tutela delle minoranze  culturali
e linguistiche, in coerenza  con  l'art.  6  Cost.,  l'art.  2  dello
statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol e le  norme  di
attuazione di cui al decreto legislativo 16  dicembre  1993,  n.  592
(Norme  di  attuazione   dello   statuto   speciale   della   Regione
Trentino-Alto  Adige  concernenti  disposizioni   di   tutela   delle
popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di  Trento).  In
questa chiave, andrebbe riconosciuta la ragionevolezza  della  norma,
dovendosi invece ritenere irragionevole una disciplina che ponesse la
necessita' della laurea come limite insuperabile, senza  tener  conto
delle difficolta' di reclutamento che si  incontrano  all'interno  di
una cerchia ristrettissima quale e' la popolazione cimbra. 
    5.- Con memoria datata 30 maggio 2014 e depositata  il  3  giugno
2014 la  Provincia  autonoma  di  Trento,  oltre  a  svolgere  alcune
considerazioni integrative in relazione ai motivi di  ricorso  per  i
quali sono intervenute novita' rilevanti, ha chiesto di dichiarare la
cessazione della materia del contendere  limitatamente  alla  censura
riguardante l'art. 27, comma 6, lettera c), della legge prov.  Trento
n. 18 del 2011. La  disposizione  introdotta  da  tale  legge,  ossia
l'art. 56, comma 4-bis, della legge prov. Trento n. 16 del  2010,  e'
stata infatti abrogata dall'art.  12,  comma  3,  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 9 agosto 2013, n. 16  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della
Provincia autonoma di Trento - Legge finanziaria provinciale 2014) e,
secondo quanto  attestato  dalla  medesima  Provincia  autonoma,  non
avrebbe avuto applicazione prima della sua abrogazione. 
    Quanto alle restanti censure, la Provincia autonoma di Trento  ha
preannunciato l'accettazione delle rinunce ai motivi del ricorso  che
il Consiglio dei ministri ha deliberato il 6 aprile 2013 - ma che  al
momento del deposito della memoria non risultavano ancora  depositate
presso questa Corte - relativamente agli artt. 21, comma  11,  e  51,
comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del  2011.  Ad  avviso  della
Provincia autonoma  di  Trento  la  rinuncia  al  motivo  di  ricorso
relativo all'art. 51, comma 4, della legge prov.  Trento  n.  18  del
2011 comprenderebbe altresi' i successivi commi 9 e 18, impugnati  in
quanto rinviano al comma 4. In ogni caso, la  Provincia  autonoma  di
Trento ha dichiarato che ne' il comma 9, ne' il comma 18 dell'art. 51
della legge prov. Trento n. 18 del 2011 sono mai stati applicati, con
la  conseguenza  che  in  riferimento  ai  medesimi  commi  dovrebbe,
comunque,  essere  dichiarata  la  cessazione   della   materia   del
contendere. 
    Riguardo alla censura relativa all'art. 16, comma 1, la Provincia
autonoma ha ricordato come l'art. 79 del d.P.R. n. 670 del  1972  sia
stato interpretato in senso riduttivo da alcune  pronunce  di  questa
Corte, a partire dalla sentenza n. 221 del 2013: in  particolare,  la
Corte ha negato che tale disposizione statutaria regoli,  al  di  la'
del patto di stabilita' interno, anche  le  misure  di  coordinamento
della finanza pubblica, rilevando che essa non modifica l'obbligo  di
adeguare la legislazione  delle  Province  autonome  ai  principi  di
coordinamento della finanza pubblica. La Provincia autonoma di Trento
ha criticato tale orientamento, segnalando che solo i commi  3  e  4,
primo  periodo,  dell'art.  79  dello  statuto   di   autonomia   del
Trentino-Alto Adige/Südtirol concernono specificamente  il  patto  di
stabilita' interno, il quale peraltro non e' qualcosa di  alternativo
al coordinamento finanziario, ma al contrario costituisce  una  parte
di tale piu' ampio settore. 
    Infine, la memoria della  Provincia  autonoma  di  Trento  si  e'
soffermata sulle censure relative all'art. 57, comma 5, e all'art. 77
della legge in questione. Nel primo caso, per  segnalare  che  l'art.
41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti
per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 9 agosto 2013, n. 98, avrebbe confermato  che  i  materiali  da
scavo non equivalgono necessariamente a rifiuti.  Nel  secondo  caso,
per  fare  presente  che  una  delle  norme  invocate,  quale   norma
interposta, nel ricorso, ossia l'art. 28 del decreto  legislativo  n.
165 del 2001, e' stata in parte abrogata dal d.P.R. 16  aprile  2013,
n. 70 (Regolamento recante riordino del  sistema  di  reclutamento  e
formazione dei  dipendenti  pubblici  e  delle  Scuole  pubbliche  di
formazione, a norma dell'articolo 11 del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.
135), salvo peraltro rilevare,  subito  dopo,  che  la  modifica  non
risulta mutare i termini della  questione,  dato  che  la  laurea  e'
richiesta anche dalla nuova disciplina  per  l'accesso  alla  seconda
fascia della dirigenza. 
    6.- Con memoria datata 13 ottobre 2014  e  depositata  il  giorno
successivo,  la  Provincia  autonoma  di  Trento  ha  svolto   alcune
considerazioni integrative limitatamente  alle  disposizioni  per  le
quali lo Stato non risulta aver deliberato la rinuncia ai motivi  del
ricorso. 
    Riguardo  all'art.  16,  comma  1,  si  e'  ribadita   l'avvenuta
abrogazione della disposizione, ma si e' altresi'  osservato  che  la
questione di costituzionalita' non e' venuta  meno  in  relazione  al
2012. 
    Relativamente all'art. 57, comma  4,  la  Provincia  autonoma  ha
fatto presente che l'art. 208 del  decreto  legislativo  n.  152  del
2006, invocato  come  parametro  interposto  nel  ricorso,  e'  stato
modificato in alcuni punti dall'art. 13  del  decreto  legislativo  4
marzo 2014, n. 46 (Attuazione  della  direttiva  2010/75/UE  relativa
alle  emissioni  industriali.  Prevenzione  e   riduzione   integrate
dell'inquinamento),  ma   ha   sostenuto   che   le   modifiche   non
inciderebbero sulla materia del contendere. 
    Con riferimento  all'art.  57,  comma  5,  nella  memoria  si  e'
segnalato che in materia di gestione di terre e rocce da  scavo  sono
intervenute tre recenti pronunce di questa Corte (le sentenze n.  232
e n. 70 del 2014 e n. 300 del 2013), le quali, pero', hanno avuto  ad
oggetto norme legislative diverse da quelle in esame. A differenza di
quelle esaminate nelle suddette pronunce - ha sostenuto la  Provincia
autonoma - la disciplina impugnata  non  inciderebbe  sull'ambito  di
applicazione delle procedure  regolate  dalle  norme  statali,  delle
quali, anzi, presupporrebbe il pieno rispetto, ma  si  limiterebbe  a
prevedere una regolarizzazione amministrativa nei casi in cui si  sia
verificata una gestione delle terre e rocce da scavo  in  difformita'
dalle  direttive  della  Provincia  (che  prevedono  alcuni  obblighi
formali e verifiche  analitiche,  ad  integrazione  in  melius  della
normativa statale). 
    Infine,  per  i   restanti   articoli   si   sono   ribadite   le
considerazioni gia' svolte nelle precedenti memorie. 
    7. - In prossimita' dell'udienza il Presidente del Consiglio  dei
ministri ha depositato un atto in cui ha dichiarato di rinunciare  al
ricorso indicato in epigrafe, limitatamente agli artt. 21, comma  11,
e 51, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011. 
    La rinuncia parziale e' stata accettata dalla Provincia  autonoma
di Trento, previa conforme delibera della Giunta provinciale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  gli
artt. 9, comma 5; 16, comma 1; 17, comma 1; 21, comma 11; 27, comma 4
e comma 6, lettera c); 51, commi 4, 9 e 18; 51, comma 5, lettera  a);
51, comma 12; 57, comma 4; 57,  comma  5;  e  77  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011,  n.  18  (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale 2012 e  pluriennale  2012-2014
della Provincia autonoma di Trento -  Legge  finanziaria  provinciale
2012), per violazione degli artt. 3, 9, 97 e 117 della Costituzione e
degli artt. 4, 8 e 73 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige). 
    2.- Quanto alle questioni di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 9, comma 5, 21, comma 11, e 51, comma 4 (e, in quanto basati su
quest'ultimo, commi 9 e 18), della legge prov. Trento n. 18 del  2011
e' intervenuta la rinuncia all'impugnazione da parte del  ricorrente,
seguita da rituale accettazione da parte della Regione resistente, di
tal che i relativi giudizi devono essere dichiarati estinti, ai sensi
dell'art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale. 
    3.- Come segnalato dalla Provincia autonoma di Trento la  censura
relativa all'art. 51, comma 5, lettera a), della legge  prov.  Trento
n. 18 del 2011, pur presente nell'epigrafe e nel petitum del ricorso,
non e' in alcun modo ripresa, ne' motivata,  nel  corpo  del  ricorso
medesimo. In assenza di qualsivoglia argomentazione a sostegno  della
asserita  incostituzionalita',  deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile la questione avente  ad  oggetto  l'art.
51, comma 5, lett. a) della legge provinciale n.  18  del  2011,  per
assoluta carenza di motivazione (ex plurimis,  sentenza  n.  189  del
2014, ordinanza n. 123 del 2012). 
    4.- Sempre in via preliminare, va considerato  che  la  Provincia
autonoma di Trento, con  riferimento  a  diverse  delle  disposizioni
impugnate,  lamenta  profili  di  inammissibilita',   derivanti   sia
dall'invocazione  di  parametri   interposti   non   presenti   nella
deliberazione della controversia (nel  caso  delle  censure  riferite
agli artt. 16, comma 1; 51, comma 12; 57, comma 5;  e  77),  sia  per
contraddittorieta' interna dei parametri invocati, dal momento che in
piu' casi il ricorso parrebbe ricondurre la disciplina impugnata  sia
alla potesta' legislativa concorrente sia,  al  tempo  stesso,  nella
potesta' legislativa primaria della Provincia autonoma  (e'  il  caso
delle censure riferite agli artt. 16, comma 1; 17, comma 1; 27, comma
4; e 27, comma 6). 
    Entrambe le eccezioni  di  inammissibilita',  con  riguardo  alle
censure riferite alle indicate disposizioni, debbono essere respinte. 
    Quanto all'individuazione dei parametri interposti,  la  delibera
del  Consiglio  dei   ministri   individua   correttamente   sia   la
disposizione di  volta  in  volta  oggetto  della  questione,  sia  i
parametri costituzionali poi invocati nel ricorso. Il  fatto  che  la
delibera del Consiglio dei ministri abbia indicato  solo  alcuni  dei
rilevanti parametri interposti  non  costituisce  elemento  idoneo  a
determinare l'inammissibilita' della censura,  visto  che  la  difesa
tecnica,  nell'esercizio  della  sua   discrezionalita',   ben   puo'
integrare una solo parziale indicazione dei  motivi  di  censura  (ex
plurimis, sentenza n. 290 del 2009). 
    Quanto alla asserita contraddittorieta' del ricorso, va ricordato
che  questa  Corte  ha  in  molte  occasioni  riconosciuto  che   nel
contenzioso tra Stato, Regioni e Province autonome ben puo'  accadere
che la normativa oggetto di giudizio afferisca ad una  pluralita'  di
ambiti materiali e competenziali e  che  gli  stessi  limiti  evocati
dagli statuti speciali siano ribaditi in leggi dello Stato  approvate
nell'esercizio di competenze  attribuite  dall'art.  117,  secondo  e
terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 187 del 2013; n. 114 del
2011). Di conseguenza, e' evenienza ricorrente che, in questo tipo di
giudizi, l'impugnativa prospetti una pluralita' di  questioni,  anche
alternative tra loro, riferite a diversi parametri  costituzionali  e
dipendenti  dalle  diverse  possibili  qualificazioni   della   norma
impugnata sotto il profilo della competenza.  Pertanto,  diversamente
da  quel  che  accade  per  i  giudizi   in   via   incidentale,   la
giurisprudenza  di  questa  Corte  consente,  nei  giudizi   in   via
principale, che le questioni siano prospettate in termini  dubitativi
o alternativi (sentenze n. 187 del 2013, n. 289 del 2008, n. 447  del
2006; ordinanza n. 342 del 2009). 
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  nel  suo  ricorso,
afferma che l'art. 16, comma 1, della legge prov. Trento  n.  18  del
2011,  nel  determinare  la  spesa  complessiva  per   il   personale
appartenente al comparto autonomie locali e al comparto  ricerca  per
gli anni 2012, 2013, 2014 e  successivi,  specificando  che  in  tale
spesa «non rientrano gli oneri  relativi  al  personale  assunto  con
contratto  di  diritto  privato  per  la  realizzazione  di   lavori,
interventi o attivita' sulla base di particolari norme  di  settore»,
violerebbe, in primo luogo, l'art. 117, terzo comma,  Cost.  Infatti,
nell'esonerare la spesa per il personale  contrattista  dal  rispetto
dal limite necessario a garantire il rispetto del patto di stabilita'
interno, tale disposizione si porrebbe in contrasto  con  i  principi
della legislazione statale in materia di coordinamento della  finanza
pubblica e in particolare con l'art. 9-bis del decreto-legge 1 luglio
2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche'  proroga  di  termini),
convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102;  e
con l'art. 32, commi 10, 11 e 12, della legge 12  novembre  2011,  n.
183  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - Legge  di  stabilita'  2012);  nonche'  con
l'art. 1, commi 557 e 557-bis, della legge 27 dicembre 2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge finanziaria 2007), come sostituiti dall'art.  14,
comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, ai sensi dei quali vanno incluse in tale patto tutte le
spese per il personale, a qualsiasi  titolo  sostenute.  Inoltre,  il
ricorrente ravvisa una  violazione  dell'art.  8,  numero  1),  dello
statuto di autonomia  del  Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  in  quanto
contrasterebbe  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia  di  personale
deve rispettare, per effetto  del  rinvio  all'art.  4  del  medesimo
statuto, e in particolare con il divieto generale di incremento della
spesa  per  il  personale,   stabilito   per   tutte   le   pubbliche
amministrazioni dall'art. 9, comma 1, del  decreto-legge  n.  78  del
2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    5.1.- Con riguardo alla censura riferita all'art.  16,  comma  1,
della legge prov. Trento n. 18 del 2011,  la  Provincia  autonoma  di
Trento chiede che sia dichiarata  la  cessazione  della  materia  del
contendere con riferimento agli anni 2013 e successivi,  dal  momento
che l'intero art. 16 e' stato abrogato dall'art. 25, comma  3,  della
legge provinciale 27  dicembre  2012,  n.  25  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale 2013 e  pluriennale  2013-2015  della
Provincia autonoma di Trento - Legge finanziaria provinciale 2013), a
decorrere dal 1° gennaio 2013. Quest'ultima legge - poi a  sua  volta
abrogata a decorrere dal 1° gennaio  2014  dall'art.  1  della  legge
prov. Trento 9 agosto 2013, n. 16 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale  2014  e  pluriennale  2014-2016  della   Provincia
autonoma di Trento - Legge finanziaria provinciale  2014)  -  ha  poi
fissato i limiti di  spesa  per  gli  anni  2013-2015,  inferiori  ai
precedenti e senza ripetere la disposizione di cui all'ultimo periodo
dell'art. 16, comma  1,  che  escludeva  da  tali  limiti  gli  oneri
relativi al personale assunto con contratto di diritto privato  sulla
base di particolari norme di settore. 
    Secondo  costante  giurisprudenza  costituzionale  (ex  plurimis,
sentenze n. 97 del 2014, n. 272, n. 266  e  n.  228  del  2013),  per
addivenire alla cessazione della materia del contendere  in  caso  di
modifica delle disposizioni impugnate occorre, da  un  lato,  che  la
nuova  disciplina  possa  ritenersi  pienamente  satisfattiva   delle
pretese del ricorrente e, dall'altro, che  le  norme  previgenti  non
abbiano ricevuto medio tempore applicazione. 
    Poiche', nel caso di specie, questa  seconda  condizione  non  si
verifica, tant'e' che la  norma  ha  ricevuto  applicazione,  seppure
limitatamente al 2012, la relativa censura deve essere esaminata  nel
merito. 
    La questione e' fondata. 
    In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha gia' avuto modo
di qualificare l'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78  del  2010,
conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, come principio
fondamentale di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  vincolante
anche per le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 221 del 2013, n.
217 e n. 215 del 2012). Dal momento che tale  disposizione  fissa  il
livello massimo del trattamento  economico  complessivo  dei  singoli
dipendenti delle Regioni e degli enti regionali, ancorandolo a quanto
percepito  nel  2010,  essa  produce  l'effetto   di   predeterminare
«l'entita' complessiva degli esborsi a carico delle Regioni a  titolo
di trattamento economico del personale  [...]  cosi'  da  imporre  un
limite generale ad una rilevante voce del bilancio regionale»  (cosi'
la sentenza n. 217 del 2012, che applica tale limite ad una Regione a
statuto speciale). Un simile vincolo generale di  spesa  puo'  essere
legittimamente imposto con legge dello  Stato  a  tutte  le  Regioni,
comprese  quelle  ad  autonomia   differenziata,   per   ragioni   di
coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi  nazionali,  a  loro
volta condizionati anche dagli obblighi comunitari. 
    L'impugnato art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18  del
2011 permette che tale limite sia oltrepassato, e pertanto  viola  un
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, nella
parte in cui esclude alcune categorie di  dipendenti  e  contrattisti
dall'ammontare complessivo della  spesa  per  il  personale  da  esso
stesso   individuato.   Ne   deve,   pertanto,   essere    dichiarata
l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117,  terzo
comma, Cost. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  l'art.  17,
comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui,
modificando  l'art.  3,  comma  1,  lettera  a),  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2010,  n.  27  (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale 2011 e  pluriennale  2011-2013
della Provincia autonoma di Trento -  Legge  finanziaria  provinciale
2011), stabilisce che per il 2010 si  riconoscano  al  personale  del
comparto ricerca le progressioni di  carriera,  comunque  denominate,
maturate nel corso del 2010. Tale disposizione, infatti,  violerebbe,
in primo luogo, l'art. 117, secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in
quanto, capovolgendo la disciplina della legge dello Stato in materia
di  effetti  degli  avanzamenti  di  carriera   sulla   retribuzione,
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile; in secondo luogo, l'art. 117, terzo comma, Cost., nella parte
in cui attribuisce  alla  legislazione  concorrente  la  materia  del
coordinamento della finanza  pubblica,  in  quanto  consentirebbe  di
attribuire anche effetti economici agli avanzamenti  di  carriera  di
personale  pubblico,  in  contrasto  con  l'art.  9,  comma  21,  del
decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con modificazioni,  dalla  legge
n. 122 del 2010; in terzo ed ultimo luogo, l'art. 8, numero 1), dello
statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto  non
rispetterebbe il limite dei principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica che si impongono alla legislazione provinciale in  materia
di personale, per effetto del rinvio all'art. 4 del medesimo statuto. 
    6.1.- La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  17,
comma 1, e' inammissibile. 
    La censura erariale si appunta su quella parte della disposizione
provinciale che si occupa delle sole  progressioni  di  carriera  del
personale  del  comparto  ricerca,  comunque  denominate,  che  siano
maturate nel corso del 2010. Viceversa, il  parametro  interposto  di
cui all'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78  del  2010,  conv.,
con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, invocato nel ricorso,
contiene il divieto - che questa Corte ha gia'  ritenuto  applicabile
anche alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 181 del 2014 e  n.
3 del 2013) - di riconoscere effetti economici alle  progressioni  di
carriera relative agli anni 2011, 2012 e 2013. Pertanto, la norma  di
principio statale e la disposizione provinciale, nella parte  in  cui
e' impugnata, si riferiscono ad ambiti temporali diversi, essendo  la
prima riferita al triennio 2011-2013, mentre la seconda al solo 2010.
Ne consegue che il parametro interposto  invocato  e',  sotto  questo
profilo, inconferente. 
    D'altra parte, in relazione al  triennio  2011-2013,  l'impugnato
art. 17, comma 1, reitera testualmente  il  divieto  stabilito  dalla
legge statale, laddove afferma che «le progressioni di carriera dello
stesso personale, comunque denominate, disposte negli anni 2011, 2012
e  2013  hanno  effetto,  per  gli  anni   in   questione,   a   fini
esclusivamente giuridici». Deve pertanto escludersi che all'art.  17,
comma 1, della l. prov. n. 18 del 2011  possa  essere  attribuito  un
significato in contrasto con quanto disposto dall'art. 9,  comma  21,
del decreto-legge n. 78 del 2010,  conv.,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010. 
    7.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  l'art.  27,
comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui,
introducendo il comma 10-bis nell'art. 44 della legge della Provincia
autonoma di Trento 23 luglio 2010, n.  16  (Legge  provinciale  sulla
tutela della salute), affida alla Giunta provinciale la  funzione  di
formulare direttive all'Agenzia  provinciale  per  la  rappresentanza
negoziale  (APRAN)  per  consentire  all'Azienda  provinciale  per  i
servizi sanitari di concedere un'aspettativa non retribuita e utile a
ogni altro fine, per  un  periodo  massimo  di  novanta  giorni  ogni
biennio, con oneri previdenziali a carico del datore di lavoro e  del
dipendente   versati   dall'Azienda   medesima,   per   favorire   la
partecipazione del  proprio  personale  a  progetti  di  solidarieta'
internazionale  approvati   o   sostenuti   dalla   Provincia.   Tale
disposizione violerebbe, in primo luogo, l'art. 117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., in  quanto  invaderebbe  la  competenza  esclusiva
statale in materia di ordinamento civile, posto  che  solo  la  legge
dello Stato potrebbe mutare o integrare le decisioni assunte in  sede
contrattazione collettiva  in  materia  di  aspettativa;  in  secondo
luogo,  l'art.  8,  numero  1),  dello  statuto  di   autonomia   del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto contrasterebbe con i principi
dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica,  che  la  legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto  del
rinvio all'art. 4 del medesimo statuto, e in particolare il principio
della contrattazione  collettiva,  che  regge  l'intero  settore  del
lavoro alle  dipendenze  della  pubblica  amministrazione,  ai  sensi
dell'art. 40, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche). 
    7.1.- La questione e' fondata. 
    La disposizione  impugnata,  infatti,  ancorche'  formulata  come
volta a indirizzare il potere di direttiva che la Giunta  provinciale
esercita  nei  confronti  dell'APRAN,  in   realta'   definisce   con
precisione un nuovo tipo di aspettativa, specificandone la causa,  la
durata massima, il regime degli oneri previdenziali. Ai sensi di tale
disposizione, il potere di direttiva va esercitato  per  favorire  la
concessione di «aspettativa non retribuita e utile a ogni altro fine,
per un periodo massimo di novanta  giorni  ogni  biennio,  con  oneri
previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente  versati
dall'azienda», al fine di consentire la partecipazione del  personale
dell'Azienda  provinciale  per  i  servizi  sanitari  a  progetti  di
solidarieta' internazionale approvati o  sostenuti  dalla  Provincia.
Pertanto,  il  legislatore  provinciale  ha  sconfinato   nell'ambito
dell'ordinamento  civile,  riservato  alla   competenza   legislativa
esclusiva  statale,  in  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera  l),   Cost.,   ancorche'   l'aspettativa   delineata   nella
disposizione oggetto del presente giudizio sia rivolta esclusivamente
al personale della Provincia  autonoma  (analogamente  si  vedano  le
sentenze n. 77 del 2013 e n. 61  del  2014,  entrambe  riferite  alla
Provincia autonoma di Bolzano). 
    8.- La Presidenza del Consiglio dei ministri impugna  l'art.  27,
comma 6, lettera c), della legge prov. Trento n. 18 del  2011,  nella
parte in cui, inserendo il comma 4-bis nell'art. 56 della legge prov.
n. 16 del  2010,  assoggetta  la  dirigenza  del  servizio  sanitario
provinciale al cosiddetto spoils system,  stabilendo  che  la  durata
massima degli incarichi  non  puo'  essere  superiore  a  quella  del
direttore generale dell'Azienda provinciale per i  servizi  sanitari.
Tale disposizione violerebbe infatti, in  primo  luogo,  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza
esclusiva  statale  in  materia  di  ordinamento  civile,  posto  che
soltanto la legge dello Stato potrebbe mutare o integrare la  materia
della cessazione del rapporto di pubblico impiego; in secondo  luogo,
l'art. 8, numero 1), dello statuto  di  autonomia  del  Trentino-Alto
Adige/Südtirol,   in   quanto   contrasterebbe   con    i    principi
dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica,  che  la  legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto  del
rinvio all'art. 4 del medesimo statuto,  e  in  particolare  con  gli
artt. 14 e  19,  comma  1-ter,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001,  che
individuano i casi di revoca degli incarichi dirigenziali e  limitano
il  meccanismo  dello  spoils  system  ai  soli  uffici  di   diretta
collaborazione. 
    8.1 - Con riferimento  a  tale  censura,  la  Provincia  autonoma
chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere,
in quanto la disposizione introdotta da tale legge, ossia l'art.  56,
comma 4-bis, della legge prov.  Trento  n.  16  del  2010,  e'  stata
abrogata dall'art. 12, comma 3, della Provincia autonoma di Trento n.
16 del 2013 e, secondo  quanto  attestato  dalla  medesima  Provincia
autonoma, anche sulla base di  apposito  documento  sottoscritto  dal
dirigente generale del dipartimento salute  e  solidarieta'  sociale,
datato 30 maggio 2014 e depositato in allegato  a  una  memoria,  non
avrebbe avuto applicazione prima della sua abrogazione. 
    L'abrogazione della disposizione impugnata e' dunque  intervenuta
a decorrere dal 14 agosto 2013. 
    Secondo gli orientamenti costanti della giurisprudenza di  questa
Corte,  perche'  sia  dichiarata  la  cessazione  della  materia  del
contendere occorre che sussistano due requisiti: a)  la  sopravvenuta
abrogazione  o  modificazione  delle   norme   censurate   in   senso
satisfattivo della pretesa avanzata con il  ricorso;  b)  la  mancata
applicazione,  medio  tempore,  delle  norme  abrogate  o  modificate
(sentenze n. 68 del 2014; nn. 300, 193 e 32 del 2012  e  n.  325  del
2011). 
    Nel caso di specie possono  ritenersi  sussistere  sia  la  prima
condizione, sia - secondo quanto attestato dalla  Provincia  autonoma
di Trento, nella memoria e  nel  documento  ad  essa  allegato  -  la
seconda condizione. 
    Deve pertanto essere dichiarata la cessazione della  materia  del
contendere in riferimento alla questione avente ad oggetto l'art. 27,
comma 6, lettera c), della legge prov. Trento n. 18 del 2011. 
    9.- Il ricorrente censura l'art. 51, comma 12, della legge  prov.
Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui,  sostituendo  il  comma  1
dell'art. 44 della  legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  10
settembre 1993,  n.  26  (Legge  provinciale  sui  lavori  pubblici),
subordina l'aggiornamento dei prezzi di progetto al superamento della
percentuale di aumento del 2,5 per cento dei medesimi  prezzi,  quali
risultanti dagli elenchi ufficiali, intervenuto  tra  la  data  della
delibera  di  contrarre  e  quella  di  indizione  dell'appalto,  per
violazione, in primo luogo, dell'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto  invaderebbe  la  competenza  esclusiva  statale  in
materia di ordinamento civile, posto che  la  disposizione  impugnata
limiterebbe  l'autonomia  negoziale  relativamente  all'offerta   del
prezzo della prestazione dedotta in appalto, impedendo  alle  imprese
di tenere conto nelle proprie offerte degli incrementi di costo  fino
a quando questi non abbiano  superato  la  percentuale  del  2,5  per
cento; in secondo luogo, dell'art. 8, numero 17),  dello  statuto  di
autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto  contrasterebbe
con i principi dell'ordinamento giuridico della  Repubblica,  che  la
legislazione  provinciale  in  materia  di   lavori   pubblici   deve
rispettare, e in particolare del «principio di adeguamento continuo»,
per come desumibile dall'art. 133, comma 8, del  decreto  legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive  2004/17/CE
e 2004/18/CE). 
    9.1.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di  pronunciarsi  numerose  volte
sul riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia  di  appalti
pubblici, anche con specifico riferimento alla Provincia autonoma  di
Trento. Come ha chiarito la sentenza n. 45 del  2010,  il  fatto  che
l'art. 8, numero 17), dello statuto di  autonomia  del  Trentino-Alto
Adige/Südtirol attribuisca alle Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano competenza legislativa  primaria  in  materie  specificamente
enumerate, tra le quali rientra anche quella dei «lavori pubblici  di
interesse provinciale»,  non  significa  «che  -  in  relazione  alla
disciplina  dei  contratti  di  appalto  che   incidono   nell'ambito
territoriale della Provincia - la legislazione provinciale sia libera
di  esplicarsi  senza  alcun  vincolo  e  che  non  possano   trovare
applicazione le disposizioni di principio contenute nel d.lgs. n. 163
del 2006». La Corte ha poi di recente precisato, con sentenza  n.  74
del 2012, che «la  competenza  della  Provincia  autonoma  di  Trento
nell'ambito dei lavori pubblici di interesse regionale e' perimetrata
innanzitutto dall'art. 4 dello statuto, che annovera, tra gli  altri,
il limite del rispetto dei "principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica"»  e  che  «tale   limite   include   anche   i   principi
dell'ordinamento  civile».   In   particolare,   i   principi   della
«disciplina   di   istituti   e   rapporti   privatistici   relativi,
soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto  di
appalto  [...]  devono  essere  uniformi  su  tutto   il   territorio
nazionale, in ragione dell'esigenza di  assicurare  il  rispetto  del
principio di uguaglianza». 
    Alla luce dei suddetti orientamenti, va valutata la  disposizione
impugnata, nella parte in cui subordina l'aggiornamento dei prezzi di
progetto al superamento di una percentuale di  aumento  del  2,5  per
cento dei medesimi prezzi, quali risultanti dagli elenchi  ufficiali,
che sia intervenuto tra la data della delibera a contrarre  e  quella
di indizione dell'appalto. 
    L'art. 51, comma 12, della legge prov. Trento n. 18 del  2011  si
pone in contrasto con la disciplina  sull'aggiornamento  annuale  dei
prezzari delle stazioni appaltanti e con il «principio di adeguamento
continuo» dei prezzi  posti  a  base  di  gara,  per  come  affermati
dall'art. 133, comma 8, del d.lgs. n. 163  del  2006.  La  disciplina
dell'adeguamento dei prezzi, anche se nella fattispecie  in  giudizio
riguarda la fase pubblicistica delle procedure  di  appalto,  essendo
riferita al  periodo  che  intercorre  tra  la  data  di  delibera  a
contrarre  e  quella  di  indizione  dell'appalto,  in   realta'   si
ripercuote  su  tutte  le  fasi  successive,  comprese  quelle  della
stipulazione del contratto e della  sua  esecuzione.  Pertanto,  essa
produce un effetto condizionante sull'autonomia negoziale, sia  della
stazione appaltante, sia delle imprese interessate, dal  momento  che
impedisce a queste ultime di tenere conto degli incrementi  di  costo
fino a quando questi non abbiano superato la percentuale del 2,5  per
cento. Per tali  motivi,  la  disposizione  impugnata,  discostandosi
dalle sopra citate previsioni del codice degli appalti in materia  di
aggiornamento dei prezzi, interferisce con  la  competenza  esclusiva
dello Stato in materia di ordinamento civile, in violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenze n. 74 del 2012, n. 53
del 2011, n. 45 del 2010, n. 401 del 2007). 
    10.- Il ricorrente impugna l'art. 57, comma 4, della legge  prov.
Trento n. 18 del 2001, che introduce l'art. 86-ter  nel  decreto  del
Presidente della Giunta Provinciale 26 gennaio 1987,  n.  1-41/Legisl
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in  materia  di
tutela dell'ambiente dagli inquinamenti), nella parte in cui  prevede
una sanatoria per le violazioni commesse in materia di smaltimento di
rifiuti non pericolosi, consentendo l'autorizzazione a posteriori  di
attivita' svolte in carenza o in difformita'  dal  prescritto  titolo
autorizzativo. Tale disposizione violerebbe, in primo  luogo,  l'art.
117, primo comma, Cost., in quanto contrasterebbe  con  la  direttiva
del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive)  e
la direttiva  del  15  gennaio  2008,  n.  2008/1/CE  (Direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e  la  riduzione
dell'inquinamento),  le  quali  impongono  che  tutte  le   attivita'
inerenti  alla  gestione  del  ciclo   dei   rifiuti,   compreso   lo
smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva; in  secondo
luogo, l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in  quanto
invaderebbe la competenza esclusiva  statale  in  materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema,  posto  che  la  previsione  di  una
sanatoria sostanzialmente generalizzata peggiorerebbe il  livello  di
tutela assicurato dalla normativa statale  (e  in  particolare  dagli
artt. 208 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,
recante «Norme in materia ambientale»);  in  terzo  luogo,  l'art.  9
Cost.,  in  quanto  configurerebbe  una   sanatoria   sostanzialmente
indiscriminata,   in   contrasto   con   il   principio   di   tutela
dell'ambiente. 
    10.1.- La questione e' fondata. 
    Occorre anzitutto ricordare che,  secondo  la  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenze n. 285 del 2013, n. 244 del 2011, n.  249  del
2009, n.  62  del  2008),  la  disciplina  dei  rifiuti  «si  colloca
nell'ambito  della  tutela  dell'ambiente   e   dell'ecosistema,   di
competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost.,  anche  se  interferisce  con  altri  interessi  e
competenze, di modo che  deve  intendersi  riservato  allo  Stato  il
potere di fissare livelli di tutela uniforme  sull'intero  territorio
nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni  alla  cura  di
interessi   funzionalmente   collegati   con   quelli    propriamente
ambientali» (cosi', in particolare, la sentenza n. 249 del 2009). 
    In tema  di  autorizzazione  allo  smaltimento  dei  rifiuti,  la
legislazione statale stabilisce, nell'art. 208, comma 13, del decreto
legislativo n. 152 del 2006, a prescindere dall'applicazione di norme
sanzionatorie, quali siano le conseguenze dell'infrazione in caso  di
inosservanza  delle  prescrizioni  dell'autorizzazione.  La  suddetta
disposizione del codice dell'ambiente prevede, infatti, che  in  tali
casi  l'autorita'  competente  proceda,  a  seconda  della   gravita'
dell'infrazione,   alla   diffida,    con    eventuale    sospensione
dell'autorizzazione, o alla revoca dell'autorizzazione. 
    Trattandosi  di  una  disciplina  che  e'  adottata  dallo  Stato
nell'esercizio di una sua competenza legislativa esclusiva, quella in
materia ambientale, il  legislatore  regionale  non  puo'  introdurvi
deroghe, ne' dettare una diversa disciplina. 
    Resta assorbito ogni altro profilo di censura. 
    11.- Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l'art.  57,
comma 5, della legge prov. Trento  n.  18  del  2011,  che  introduce
l'art. 86-ter nel d. Pres. Prov.  Trento  n.  1-41/Legisl  del  1987,
nella parte in cui prevede, per il settore  dello  smaltimento  delle
terre e rocce da scavo, una sanatoria per le violazioni  commesse  in
materia  di  smaltimento  di  rifiuti  non  pericolosi,   consentendo
l'autorizzazione a posteriori di  attivita'  svolte  in  carenza  del
prescritto titolo. La disposizione impugnata violerebbe  infatti,  in
primo luogo, l'art. 117, primo comma, Cost., in quanto contrasterebbe
con la normativa comunitaria (direttive n. 2008/1/CE, in  materia  di
prevenzione  e  riduzione  dell'inquinamento,  e  n.  2008/98/CE,  in
materia di rifiuti, che rinvia all'elenco dei  rifiuti  di  cui  alla
decisione della Commissione n. 2000/532/CE), le quali  impongono  che
tutte le attivita' inerenti alla  gestione  del  ciclo  dei  rifiuti,
compreso lo smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva;
in secondo luogo, l'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,  in
quanto invaderebbe la competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, posto che  la  previsione  di
una sanatoria  sostanzialmente  generalizzata  con  riferimento  allo
smaltimento delle terre e rocce da scavo peggiorerebbe il livello  di
tutela  assicurato  dalla  normativa  statale,   anche   perche'   la
distinzione tra  violazioni  «documentali  o  formali»  e  violazioni
«sostanziali», su cui la disposizione si basa, risulterebbe  generica
e priva di criteri applicativi. 
    11.1. Anche tale questione e' fondata  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Che quella dello smaltimento delle terre e  rocce  da  scavo  sia
disciplina  che  interviene  in  materia  di   legislazione   statale
esclusiva, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.
e'  principio  reiteratamente  affermato  da  una  serie  di  recenti
sentenze di questa Corte (n. 232 del 2014; n. 70 del 2014; n. 300 del
2013): «la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle  rocce
e terre da scavo attiene al trattamento dei residui di produzione  ed
e' percio' da ascriversi alla "tutela dell'ambiente", affidata in via
esclusiva alle competenze  dello  Stato,  affinche'  siano  garantiti
livelli  di  tutela  uniformi  su  tutto  il  territorio  nazionale».
Pertanto, «in materia di smaltimento delle rocce e terre da scavo non
residua  alcuna  competenza  -  neppure  di  carattere  suppletivo  e
cedevole - in capo alle Regioni e alle  Province  autonome  in  vista
della semplificazione delle procedure da applicarsi  ai  cantieri  di
piccole dimensioni» (cosi' la sentenza n. 232 del 2014). 
    In particolare, come ricordato dall'appena richiamata sentenza n.
232 del 2014, il legislatore statale, con gli artt. 266, comma  7,  e
184-bis del codice dell'ambiente, relativamente  al  trattamento  dei
sottoprodotti - a cui il sopravvenuto art. 41-bis  del  decreto-legge
21  giugno  2013,  n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il   rilancio
dell'economia), convertito, con modificazioni, dalla legge  9  agosto
2013, n. 98, riconduce il regime delle terre e delle rocce da scavo -
ha previsto che siano appositi  decreti  ministeriali  a  fissare  la
disciplina per la semplificazione  amministrativa  dell'utilizzazione
dei materiali da scavo e a individuare i criteri  in  base  ai  quali
alcune sostanze o oggetti siano considerati  sottoprodotti,  anziche'
rifiuti. Trattandosi di una disciplina che e'  adottata  dallo  Stato
nell'esercizio di una sua competenza legislativa esclusiva, quella in
materia ambientale, il legislatore regionale non  puo'  sovrapporvisi
in alcun modo. 
    Devono quindi ritenersi assorbiti gli altri motivi di censura. 
    12.- Il ricorrente censura l'art. 77 della legge prov. Trento  n.
18 del 2011, che inserisce il comma 1-bis nell'art. 8-bis della legge
della Provincia autonoma di Trento 31 agosto 1987, n. 18 (Istituzione
dell'Istituto  mocheno  e  dell'Istituto  cimbro  e  norme   per   la
salvaguardia e la  valorizzazione  della  cultura  delle  popolazioni
germanofone in provincia di Trento), nella parte in cui consente  che
l'incarico di direttore dell'Istituto cimbro di Luserna sia  affidato
anche a un soggetto privo dei requisiti per la  nomina  a  dirigente,
«purche'  in  possesso  di   professionalita'   e   attitudine   alla
direzione». Tale disposizione violerebbe, in primo luogo,  l'art.  8,
numero   1),   dello   statuto   di   autonomia   del   Trentino-Alto
Adige/Südtirol,   in   quanto   contrasterebbe   con    i    principi
dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica,  che  la  legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto  del
rinvio all'art. 4 del medesimo statuto, e in particolare  con  quelli
risultanti dagli artt. 19, comma 6, e 28 del d.lgs. n. 165 del  2001;
in secondo luogo, gli artt. 3 e  97  Cost.,  sotto  i  profili  della
ragionevolezza e della buona organizzazione dell'amministrazione,  in
quanto la  mera  richiesta  di  professionalita'  e  attitudine  alla
direzione non sarebbe idonea a perseguire la finalita' di  assicurare
all'Istituto  una  direzione  efficiente  e  in   quanto   la   buona
organizzazione presuppone anzitutto una qualificazione  professionale
adeguata a chi e' preposto a funzioni dirigenziali. 
    12.1.- La  questione  prospettata  con  riferimento  all'art.  8,
numero   1),   dello   statuto   di   autonomia   del   Trentino-Alto
Adige/Südtirol  e'  inammissibile,  perche'  i  parametri  interposti
invocati non risultano essere conferenti. 
    Occorre anzitutto considerare che la disposizione  impugnata  non
si occupa in alcun modo dell'accesso alla qualifica dirigenziale,  ma
disciplina esclusivamente le modalita' di affidamento delle  funzioni
di direttore dell'Istituto cimbro. Essa dunque si limita a  prevedere
un incarico direzionale temporaneo in un piccolo ente, senza che cio'
implichi l'acquisizione della qualifica di dirigente. Di conseguenza,
l'art. 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, indicato dal  ricorrente  quale
parametro  interposto,  non  costituisce  un  termine  di   raffronto
pertinente,  dal  momento  che  esso  stabilisce  i  requisiti  e  le
modalita'  per  l'accesso   alla   qualifica   di   dirigente   nelle
amministrazioni statali. 
    Viene altresi' richiamato nel ricorso, come parametro interposto,
l'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. Questa  disposizione,
applicabile al personale degli enti locali ai  sensi  del  successivo
comma 6-ter, consente di conferire incarichi dirigenziali a  persone,
esterne alla pubblica amministrazione, di  particolare  e  comprovata
qualificazione professionale, che abbiano un'esperienza di almeno  un
quinquennio in funzioni dirigenziali oppure che siano in possesso  di
formazione universitaria e  postuniversitaria  (che,  secondo  quanto
dispone l'ultimo periodo, deve  corrispondere  al  conseguimento  del
diploma di laurea specialistica-magistrale  o  vecchio  ordinamento).
Anche  in  questo  caso  non  risulta  esservi  coincidenza  con   la
fattispecie disciplinata dalla disposizione  impugnata,  che  non  ha
riguardo a personale esterno alla pubblica amministrazione. 
    12.2.- La medesima disposizione e' censurata anche in riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., sotto i profili della ragionevolezza  e  del
buon andamento della pubblica amministrazione. 
    La questione non e' fondata. 
    Occorre  ricordare  che  i  cimbri  costituiscono   una   piccola
minoranza linguistica germanofona, la cui entita' puo' essere stimata
in circa un migliaio di persone, concentrate per lo piu'  nel  comune
di Luserna, come risulta anche dall'art. 3 della legge provinciale 19
giugno 2008, n. 6 (Norme  di  tutela  e  promozione  delle  minoranze
linguistiche locali): «Il territorio  del  Comune  di  Luserna-Lusern
costituisce,  all'interno  della  provincia  di  Trento,   territorio
dell'insediamento  storico  della  popolazione  cimbra».   L'Istituto
cimbro, che ha appunto sede a Luserna, ha lo scopo di  promuovere  le
conoscenze  della  cultura  e  delle  tradizioni  di  tale  minoranza
storica. Tenendo conto  delle  difficolta'  di  reclutamento  che  si
possono incontrare  all'interno  di  una  ristrettissima  cerchia  di
persone  come  e'  quella  costituita  dalla  minoranza  cimbra,   la
disposizione  impugnata  consente  di  non  applicare   i   requisiti
stabiliti dalla legge provinciale sugli incarichi dirigenziali  -  in
particolare si vedano gli artt. 24 e 28 della legge  della  Provincia
autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7  (Legge  sul  personale  della
Provincia) - all'evidente scopo di permettere  che  a  capo  di  tale
istituto possa essere posta una persona che conosca la lingua  cimbra
e  la  cultura  di  tale  popolazione.  La  disposizione  e'   dunque
giustificata dal principio della tutela delle minoranze  linguistiche
garantito sia dall'art. 6 Cost., sia dallo statuto di  autonomia  del
Trentino-Alto  Adige/Südtirol  (in  generale  dall'art.  2   e,   con
specifico riferimento alla lingua cimbra, dagli artt. 92 e 102),  sia
dalle norme di attuazione di  quest'ultimo:  decreto  legislativo  16
dicembre 1993, n. 592 (Norme di  attuazione  dello  statuto  speciale
della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di  tutela
delle  popolazioni  ladina,  mochena  e  cimbra  della  provincia  di
Trento). Essa appare, dunque, conforme ai principi di  ragionevolezza
e di buon andamento della pubblica amministrazione, nel  presupposto,
non  esplicitato  nella   disposizione   impugnata   ma   chiaramente
desumibile dalla disciplina dell'Istituto cimbro, che tale  soluzione
si renda necessaria al fine di affidare l'incarico in questione a  un
esperto della lingua e  della  cultura  dei  cimbri.  D'altra  parte,
occorre precisare  che  l'impugnato  art.  77,  laddove  afferma  che
l'incarico di direttore dell'Istituto cimbro «puo'  essere  conferito
anche a  persone  non  in  possesso  dei  requisiti  richiesti  dalla
normativa provinciale per ricoprire l'incarico di dirigente,  purche'
in possesso di professionalita' e attitudine  alla  dirigenza»,  deve
essere inteso nel senso che  la  professionalita'  richiesta  sia  da
valutarsi con specifico riferimento alla conoscenza  della  lingua  e
della cultura cimbra, in  modo  che  la  deroga  da  esso  posta  sia
subordinata alla condizione che la persona candidata all'incarico  di
direttore sia esperto conoscitore della lingua e della cultura  della
minoranza protetta.