ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  81,  commi
16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma  1,  della  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  promosso   dalla
Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia nel  procedimento
vertente tra la Scat Punti Vendita Spa e l'Agenzia  delle  entrate  -
Direzione provinciale di Reggio Emilia, con ordinanza  del  26  marzo
2011, iscritta al n. 215 del registro  ordinanze  2011  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima   serie
speciale, dell'anno 2011. 
    Visti l'atto  di  costituzione  della  Scat  Punti  Vendita  Spa,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  13  gennaio  2015  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Livia Salvini per la Scat Punti  Vendita  Spa  e
l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Reggio  Emilia,  con
ordinanza emessa il 26 marzo 2011  e  depositata  in  pari  data,  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81,
commi  16,  17  e  18  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008,  n.  133,  per  violazione  degli
artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione. 
    Il citato art. 81, commi 16,  17  e  18,  nel  testo  oggetto  di
impugnazione,  prevede  che:  «16.   In   dipendenza   dell'andamento
dell'economia e dell'impatto sociale dell'aumento dei prezzi e  delle
tariffe del settore energetico, l'aliquota dell'imposta  sul  reddito
delle societa' di cui all'articolo 75 del testo unico  delle  imposte
sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, e'  applicata  con
una addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti  che  abbiano
conseguito nel periodo di imposta  precedente  un  volume  di  ricavi
superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori  di  seguito
indicati: a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;
b)  raffinazione  petrolio,  produzione  o   commercializzazione   di
benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e  residuati,
gas  di  petrolio  liquefatto  e  gas  naturale;  c)   produzione   o
commercializzazione  di  energia  elettrica.  Nel  caso  di  soggetti
operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle  lettere  a),
b) e c), la disposizione del  primo  periodo  si  applica  qualora  i
ricavi relativi ad attivita' riconducibili ai predetti settori  siano
prevalenti rispetto all'ammontare complessivo dei ricavi  conseguiti.
La medesima disposizione non si applica  ai  soggetti  che  producono
energia elettrica mediante l'impiego  prevalente  di  biomasse  e  di
fonte solare-fotovoltaica o eolica. [...] 17. In deroga  all'articolo
3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma
16 si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo a  quello
in corso al 31 dicembre 2007. 18. E'  fatto  divieto  agli  operatori
economici dei settori richiamati al  comma  16  di  traslare  l'onere
della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo. L'Autorita'  per
l'energia elettrica e il gas vigila sulla puntuale  osservanza  della
disposizione di cui al  precedente  periodo.  [...]  L'Autorita'  per
l'energia elettrica e il gas presenta, entro il 31 dicembre 2008, una
relazione al Parlamento relativa agli effetti delle  disposizioni  di
cui al comma 16.». 
    Il giudice rimettente ha premesso che la Scat Punti Vendita  Spa,
quale  gestore  di  una  rete  di  distributori  di  carburante,   ha
presentato ricorso avverso il silenzio-rifiuto  opposto  dall'Agenzia
delle entrate all'istanza di rimborso dei tributi,  maggiorati  degli
interessi legali, pagati a titolo di  «addizionale»  all'imposta  sui
redditi delle societa' (IRES) ai sensi del citato art. 81, commi  16,
17 e 18. 
    La Commissione tributaria assume che la questione  sia  rilevante
nel  giudizio  a   quo,   in   quanto   la   norma   impugnata   osta
all'accoglimento del richiesto rimborso. 
    Inoltre,  il  giudice  rimettente  considera  la  questione   non
manifestamente   infondata,   ritenendo   di   concordare   con    le
considerazioni - riportate testualmente  nella  stessa  ordinanza  di
rimessione - che sono state sviluppate  dalla  ricorrente  in  ordine
alla illegittimita' costituzionale delle disposizioni censurate. 
    1.1.-  A  questo  riguardo  viene  esposto  che  l'«addizionale»,
istituita per un tempo illimitato, ha carattere di tributo autonomo e
ordinario,  tale   da   incidere   strutturalmente   nell'ordinamento
tributario,  cosi'  da  escludere  che  si  tratti  di   una   misura
straordinaria e temporanea adottata in risposta ad una improvvisa  ed
eccezionale situazione  di  fatto  determinatasi  nel  mercato  degli
idrocarburi liquidi e gassosi. 
    Il crollo delle quotazioni del greggio, determinatosi subito dopo
l'adozione  del  decreto,  smentirebbe,  poi,  la  sussistenza  della
necessita' di colpire profitti straordinari in ragione dell'andamento
del mercato nel settore dei prodotti petroliferi. 
    La norma impugnata sarebbe stata, quindi, introdotta  nel  nostro
ordinamento  con  lo  strumento  del  decreto-legge  senza   che   ne
sussistessero  i  presupposti  di  necessita'  ed  urgenza  stabiliti
dall'art. 77 Cost. e con l'ulteriore conseguenza che il  contribuente
sarebbe stato gravato da una prestazione non  in  forza  della  legge
come previsto dall'art. 23 Cost. 
    1.2.- Viene poi rammentato che, ai sensi dell'art. 53  Cost.,  la
capacita' contributiva e' il  presupposto  e  il  limite  del  potere
impositivo dello Stato e del dovere del  contribuente  di  concorrere
alle spese pubbliche, dovendosi  interpretare  detto  principio  come
specificazione settoriale del piu' ampio principio di uguaglianza  di
cui all'art. 3 Cost. (sentenze n. 258 del 2002, n. 341 del 2000 e  n.
155 del 1963). 
    Perche' un'imposta sia legittima occorre,  dunque,  che  colpisca
fatti indici  di  capacita'  contributiva  e  che  la  sua  struttura
risponda  a  parametri  di  ragionevolezza,  congruita',  coerenza  e
proporzionalita'. 
    Nella  specie  mancherebbe   il   fatto   indice   di   capacita'
contributiva,  in  quanto   non   sussisterebbe   l'asserito   rialzo
straordinario dei profitti della filiera dei prodotti petroliferi. 
    Inoltre, il presupposto  dell'«addizionale»  e  il  prelievo  non
sarebbero espressi secondo gli stessi criteri attributivi di  valore,
in  quanto  si  colpirebbe  l'intero   reddito   e   non   solo   gli
extra-profitti,  con  conseguente  irragionevolezza,  incongruita'  e
sproporzione della struttura dell'imposta. 
    Verrebbe poi stabilito un ingiustificato  aggravio  impositivo  a
carico delle sole imprese operanti  nel  settore  degli  idrocarburi,
assimilando  in  modo  altrettanto  ingiustificato  i  produttori  di
greggio ai distributori che da loro acquistano, mentre solo i  primi,
e non i secondi, aumentano i ricavi in caso di aumento del prezzo del
petrolio. 
    Ulteriore discriminazione sarebbe rappresentata dal fatto che  la
norma impugnata assoggetta all'«addizionale» solo gli  operatori  con
volume d'affari annuo superiore ai venticinque milioni di euro. 
    Infine il divieto di traslazione dell'onere economico conseguente
all'«addizionale», quale previsto dall'art. 81, comma 18, del  citato
decreto-legge, determinerebbe un'altra  irrazionale  discriminazione,
in  prima  istanza  tra  le  imprese  assoggettate  all'«addizionale»
rispetto alle altre e poi, all'interno di quelle assoggettate, tra  i
produttori e i distributori, poiche' solo  i  secondi  incorrono  nel
suddetto divieto di traslazione e sono costretti ad onerose  pratiche
contabili per dimostrare all'Autorita' per  l'energia  elettrica,  il
gas e il sistema idrico la mancata traslazione. 
    1.3.- Viene rappresentato, inoltre, che la norma renderebbe  piu'
onerosa l'iniziativa economica, tutelata dall'art. 41 Cost.,  per  le
imprese impegnate nel mercato degli idrocarburi e, tra queste, per le
imprese distributrici rispetto a quelle produttrici, in quanto solo i
produttori sono in grado di influire sul meccanismo di formazione dei
prezzi,  con  conseguente  ulteriore  ingiustificata  disparita'   di
trattamento, censurabile ex art. 3 Cost. 
    1.4.- Infine, viene evidenziato che  il  divieto  di  traslazione
degli  oneri  relativi  all'«addizionale»   realizza   una   parziale
fissazione autoritativa del prezzo, alterando il funzionamento  della
libera concorrenza tutelata dall'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.   come    ulteriore    estrinsecazione    della    salvaguardia
dell'iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. 
    1.5.-  La  Commissione  tributaria,   pertanto,   ha   dichiarato
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale posta nei termini di cui sopra e, sospeso il  giudizio
a quo, ha ordinato  l'immediata  trasmissione  degli  atti  a  questa
Corte, unitamente alla loro notifica alle parti,  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e al Presidente della Camera dei deputati. 
    2.- Con atto depositato in data 7 novembre  2011  e'  intervenuta
nel giudizio la Scat Punti Vendita Spa, dando ulteriore evidenza alle
ragioni di rilevanza e fondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal giudice rimettente. 
    2.1.- In  particolare  e'  stata  rimarcata  l'impossibilita'  di
identificare la ratio fondativa dell'«addizionale» nel  conseguimento
di presunti "sovra-profitti" da parte dei  soggetti  colpiti.  Se  si
considera  il  novero  dei  soggetti  incisi,  la   base   imponibile
(costituita dall'intero reddito) e la durata permanente  della  nuova
misura impositiva risulta impossibile ritenere l'«addizionale» idonea
a  colpire  un'entita'  economica  tanto  aleatoria,  transitoria   e
marginale quale sarebbe il preteso "sovra-reddito". 
    Inoltre,  osserva  l'interveniente,  l'indice  di  manifestazione
della capacita' contributiva e' il  reddito  e  non  la  redditivita'
dell'attivita' espletata, cioe' il rapporto tra il guadagno netto e i
costi sostenuti, in quanto il  sistema  dell'imposizione  diretta  e'
basata sul criterio quantitativo del reddito "numerario",  senza  che
sia possibile operare discriminazioni  qualitative  delle  attivita',
che  violerebbero  i  principi  di  uguaglianza,   ragionevolezza   e
capacita' contributiva. 
    Proprio il carattere permanente dell'«addizionale» e l'assenza di
meccanismi atti ad isolare il "sovra-reddito" dimostrerebbero come la
forma di imposizione in esame sia del  tutto  incompatibile  con  gli
schemi di  tassazione  dei  profitti  noti  all'esperienza  giuridica
nazionale e sovranazionale, quali la Crude Oil Windfall  Profit  Tax,
applicata negli Stati Uniti dal 1980 al 1988. 
    2.2.-  Un  ulteriore  profilo  di  ingiustificata  disparita'  di
trattamento viene individuato dalla interveniente nel  fatto  che  le
societa' colpite dall'«addizionale»  vengono  escluse,  ex  art.  81,
commi 16-bis e 16-ter, del d.l. n.  112  del  2008,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, dai
benefici  altrimenti  riconosciuti  ai  «gruppi   caratterizzati   da
un'integrazione   economico-giuridica   tale   da   giustificare   un
riconoscimento  fiscale  della  sostanziale  unitarieta'  della  base
imponibile». 
    2.3.-   Viene   poi   sottolineato   come    la    giurisprudenza
costituzionale (sentenza n.  21  del  2005)  richieda  la  necessaria
transitorieta'  delle  misure  straordinarie,  ai  fini  della   loro
legittimita', tanto che il legislatore  pare  essersene  tardivamente
avveduto con l'art. 7  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo) convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 14 settembre 2011,  n.  148,  che  ha  apportato  significative
modifiche  all'«addizionale»  in  questione,   ampliandone   l'ambito
soggettivo di applicazione e aumentandone l'aliquota per i  soli  tre
periodi di imposta successivi. 
    2.4.- La memoria sottolinea ulteriori profili  di  ingiustificata
discriminazione vengono in riferimento ad alcune tipologie di imprese
operanti nel settore energetico, dato che dal campo  di  applicazione
dell'addizionale risultano escluse le imprese ad alto reddito, ma non
eccedenti il limite minimo di ricavi richiesto dal legislatore, cosi'
favorendo le imprese  che  utilizzano  contratti  di  intermediazione
rispetto a quelle che, procedendo all'acquisto e  alla  rivendita  di
prodotti  petroliferi,  evidenziano  maggiori  ricavi  a  parita'  di
reddito. 
    2.5.- E' stato poi rimarcato che  anche  i  soci  delle  societa'
operanti nel settore  energetico  vengono  sottoposti  ad  un  carico
fiscale complessivo sugli utili societari superiore rispetto a quello
riscontrabile per i soci di altre societa'. 
    2.6.- In riferimento all'art. 77 Cost., la difesa della Scat  spa
concorda con le osservazioni del giudice remittente, circa  il  fatto
che l'«addizionale» sia stata introdotta con decreto-legge in assenza
dei necessari presupposti di necessita' ed urgenza  e  in  violazione
dell'art. 4 della legge 27  luglio  2000,  n.  212  (Disposizioni  in
materia di statuto dei diritti del contribuente). 
    2.7.- E' stata ribadita, infine, l'irragionevolezza  del  divieto
di  traslazione  della  maggiore   imposta   come   configurato   dal
legislatore solo con riferimento ai prezzi al consumo. 
    3.- Con atto depositato in data 8 novembre 2011, si e' costituito
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.1.- La difesa erariale ha rilevato, anzitutto, come, a  seguito
delle modifiche apportate alla disciplina in esame  dall'art.  7  del
d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 148 del 2011, sia necessario  restituire  gli
atti al giudice rimettente, affinche' valuti la persistente rilevanza
della questione alla luce delle radicali modifiche operate, nel senso
dell'ampliamento dei soggetti, dell'aliquota, dei presupposti e della
base imponibile del tributo. 
    3.2.- E' stata poi eccepita l'inammissibilita' delle questioni di
legittimita' sollevate  per  mancata  autonoma  esplicitazione  delle
ragioni fondanti il dubbio di legittimita' costituzionale, posto  che
il rimettente si e' limitato ad affermare di condividere  le  censure
sviluppate dal ricorrente, riproducendole testualmente. 
    3.3.- Ulteriore eccezione di inammissibilita' e' stata  sollevata
in ordine all'insufficiente motivazione dell'ordinanza  in  punto  di
rilevanza, non avendo il giudice fornito alcun elemento di fatto  che
consentisse  di  stabilire  che  la   societa'   ricorrente   rientri
plausibilmente nell'ambito di applicazione dell'«addizionale»  e  che
la  controversia  non  sia  stata   artificiosamente   creata   dalla
ricorrente. 
    3.4.- Nel merito si e' chiesto che la  questione  sia  dichiarata
non fondata. 
    In riferimento all'art. 77 Cost.,  il  Presidente  del  Consiglio
osserva che, data la  contingenza  economica  verificatasi  all'epoca
dell'adozione del decreto-legge e richiamata anche nelle disposizioni
impugnate, non si puo' ritenere che si versi in un caso  di  evidente
mancanza dei presupposti di necessita' ed urgenza per l'adozione  dei
decreti-legge. E' stato quindi evidenziato  come  l'«addizionale»  in
esame si sia inserita armonicamente in un piu' ampio quadro di misure
di riorganizzazione fiscale e amministrativa del settore  energetico,
al fine di sostenere le fasce sociali piu' esposte alle  tendenze  di
questo mercato. 
    3.5.-  Nessuna  violazione  dell'art.  23   Cost.   sarebbe   poi
ravvisabile, in quanto la riserva di legge in materia di  prestazioni
patrimoniali imposte risulta soddisfatta anche dal  ricorso  ad  atti
con forza di legge. 
    3.6.- Parimenti non sussisterebbe alcuna violazione degli artt. 3
e 53 Cost., in quanto le imprese energetiche operano in un settore in
cui l'aumento dei costi alla fonte si ripercuote in  un  aumento  dei
prezzi sino al  consumatore  finale,  senza  che  cio'  possa  essere
contrastato da una corrispondente contrazione della domanda,  che  in
quel campo e'  del  tutto  anelastica,  con  la  conseguenza  che  la
possibilita' di "extraprofitti" sarebbe strutturale in  quel  settore
economico, cosi' da differenziarlo  dagli  altri  e  giustificare  un
trattamento fiscale differenziato. 
    Il fatto poi che l'«addizionale» colpisca imprese  per  le  quali
l'incremento dei prezzi non puo' essere  contrastato  da  contrazioni
della domanda, rappresenta un dato economicamente significativo, come
tale espressivo di capacita' contributiva. 
    Neppure potrebbe ritenersi ingiustificato il trattamento dei vari
operatori della filiera energetica, in quanto l'incremento dei prezzi
alla produzione viene in tale settore applicato anche sulle quantita'
acquistate prima degli aumenti, senza  che  vi  sia  alcuna  garanzia
circa il fatto che il  prezzo  finale  sia  effettivamente  calcolato
sulla base  del  costo  di  acquisto  effettivamente  sopportato  dal
raffinatore o dal distributore. In altre parole, anche i distributori
del carburante si avvantaggerebbero della struttura  del  mercato  di
settore, attraverso la  rivalutazione  delle  scorte,  tenendo  conto
anche del fatto che il mercato energetico e' in larga misura dominato
da operatori verticalmente integrati che occupano l'intera filiera. 
    3.7.- Non  sarebbe,  poi,  ravvisabile  alcuna  violazione  della
libera concorrenza e  della  iniziativa  economica  privata  tutelate
dagli artt. 117 e 41 Cost., in quanto la loro tutela non puo'  essere
assicurata in contrasto con l'utilita' sociale e  l'«addizionale»  in
questione, compreso il divieto di traslazione del relativo onere  sui
prezzi all'acquisto, rappresenta appunto un modo per  ragionevolmente
armonizzare con l'utilita' sociale la peculiare struttura del mercato
energetico, ritenuto tutt'altro che libero e concorrenziale. 
    4.- Con memoria depositata in data 6 marzo 2013,  la  Scat  Punti
Vendita Spa ha chiesto che  siano  respinte  le  eccezioni  sollevate
dalla  difesa  statale  e  ha  insistito  per  la  dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale. 
    4.1.- Piu' precisamente, in  relazione  alla  restituzione  degli
atti al giudice rimettente  per  ius  superveniens,  la  societa'  ha
osservato che l'anno di imposta, oggetto del giudizio a  quo,  e'  il
2008, di tal che la legge applicabile risulta quella  anteriore  alle
modifiche intervenute le quali, quindi, non rilevano  ai  fini  della
decisione della questione. In ogni caso le sopraggiunte modifiche non
avrebbero   rimediato   ai   denunciati   vizi   di    illegittimita'
costituzionale, ma semmai li avrebbero aggravati. 
    4.2.- Quanto all'inammissibilita'  delle  questioni  per  mancata
autonoma esplicitazione, nell'ordinanza di rimessione, delle  ragioni
fondanti il dubbio di legittimita' costituzionale,  si  e'  rimarcato
che il giudice rimettente ha esposto in modo  chiaro  e  puntuale  le
ragioni   dell'illegittimita'   costituzionale,   producendo    cosi'
un'ordinanza  autosufficiente  nella  motivazione,  indiscutibilmente
espressiva del suo autonomo convincimento. 
    4.3.- In ordine all'inammissibilita' per difetto di rilevanza, la
difesa  della  parte   privata   ha   rilevato   che   il   pagamento
dell'«addizionale» e' stato determinato dall'esigenza di  evitare  le
conseguenze sanzionatorie, nell'evidente ricorrenza  dei  presupposti
applicativi stabiliti dalla legge.  Del  resto,  la  stessa  societa'
ricorrente  non  ha  eccepito  nel  giudizio  a  quo  l'esistenza  di
esenzioni, con la conseguenza che, vigendo nel processo tributario il
principio dispositivo, non potrebbero rilevare nel predetto  giudizio
tributario le suddette esclusioni. 
    4.4.- E' stato poi  rimarcato  che  persistono  le  gia'  dedotte
ragioni di illegittimita' costituzionale ai sensi degli artt. 3 e  53
Cost., costituite da: l'assenza di documentati ed evidenti motivi che
possano fondare l'applicazione dell'addizionale alle imprese operanti
nel  settore  petrolifero  e  dell'energia;   l'inidoneita'   tecnica
dell'imposta a  colpire  selettivamente  i  pretesi  "sovra-profitti"
determinati  dal  rincaro  del  greggio;  l'operata   discriminazione
qualitativa, a  parita'  di  reddito,  sul  margine  di  redditivita'
dell'attivita' svolta; l'ingiustificata discriminazione dei  soggetti
colpiti  dall'«addizionale»,  selezionati  sulla  base   dei   ricavi
effettuati. 
    4.5.- In ordine alla violazione degli artt. 77 e 23 Cost., si  e'
evidenziato  come,  anche  a  voler  ammettere  che  l'adozione   del
decreto-legge possa giustificarsi in  base  ad  esigenze  eccezionali
relative al mercato, le  stesse  avrebbero  potuto  determinare  solo
interventi  puntuali,  occasionali  e  transitori,  non  riforme   di
struttura, come quella oggetto di impugnazione. 
    4.6.- Quanto alle dinamiche dei prezzi del greggio, che avrebbero
determinato gli extraprofitti di tutti i soggetti  economici  facenti
parte del settore petrolifero,  la  difesa  della  parte  privata  ha
osservato   come   non   sia    possibile    formulare    conclusioni
scientificamente  fondate  sulle  dinamiche  predette  e  sulla  loro
distribuzione all'interno della filiera. 
    In  ogni  caso,  anche  se  si  immaginasse  il  verificarsi   di
"extra-profitti",  cio'  non   giustificherebbe   alcuna   forma   di
tassazione integrale e aggiuntiva del reddito di quelle  imprese,  ma
determinerebbe solo l'esigenza  di  attuare  un  congegno  impositivo
capace di isolare i "sovra-redditi", se e quando esistenti,  in  modo
da tassare solo quelli. 
    Apodittiche e infondate sarebbero poi le  ulteriori  affermazioni
della difesa dello Stato, in particolare quelle relative alla pretesa
integrazione verticale della filiera. 
    4.7.- Da ultimo, la societa' interveniente ha  sottolineato  come
ulteriori conferme delle  ragioni  di  illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni impugnate possano trarsi dalla sentenza n. 223 del
2012, che ha dichiarato la illegittimita'  costituzionale  di  alcune
disposizioni relative ai redditi da lavoro  dipendente,  proprio  per
ragioni di discriminazione qualitativa dei redditi. 
    La memoria  sottolinea  che  l'«addizionale»  impugnata  potrebbe
giustificarsi, alla luce della giurisprudenza costituzionale, solo in
ragione della sua temporaneita', che in questo caso non sussiste.  In
proposito vengono richiamati i precedenti della Corte in  materia  di
sovraimposta comunale sui fabbricati (sentenza n. 159 del  1985),  di
prelievo del sei per mille sulle giacenze bancarie (sentenza  n.  143
del 1995), di imposta straordinaria sugli immobili  (sentenza  n.  21
del 1996) e di contributo straordinario per  l'Europa  (ordinanza  n.
341  del  2000).  In  mancanza  di  detta   temporaneita'   l'attuale
«addizionale» avrebbe percio' palesato la sua totale illegittimita'. 
    Si  e'  rammentata,  poi,  la  sentenza  n.  34   del   1961   su
un'addizionale regionale siciliana,  rispetto  alla  quale  e'  stata
ravvisata una ingiustificata discriminazione tra i  soggetti  passivi
di una medesima imposta erariale, a conferma  della  possibilita'  di
ravvisare una discriminazione qualitativa di imposta  anche  su  base
soggettiva all'interno di una stessa imposta. 
    4.8.- In chiave storica e comparativa, la difesa  della  societa'
intervenuta ha nuovamente richiamato  le  imposte  straordinarie  sui
redditi di guerra e la Crude Oil Windfall  Profit  Tax  statunitense,
per rimarcarne le differenze di struttura rispetto  all'«addizionale»
impugnata. 
    5.- Con ulteriore memoria depositata in data 23 dicembre 2014, la
Scat Punti Vendita Spa, nel rimarcare come le proprie deduzioni siano
rimaste senza pertinenti repliche  dell'Avvocatura  dello  Stato,  ha
illustrato   come   la   successiva   giurisprudenza   della    Corte
costituzionale fornisca ulteriori argomenti a sostegno della  dedotta
illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. 
    5.1.- In particolare, e' stata richiamata la sentenza n. 116  del
2013 relativa al contributo di perequazione imposto  ai  titolari  di
trattamenti  pensionistici  superiori  ai  novantamila  euro   annui.
Ritenuta la natura tributaria del contributo, la Corte ha considerato
irragionevole la deroga al principio di universalita' contributiva in
tal  modo  operato,  sottolineando  che   la   eccezionalita'   della
situazione  economica  non  consente  di  obliterare  il  canone   di
uguaglianza fondante l'ordinamento costituzionale.  Simili  principi,
ad avviso della societa'  ricorrente,  dovrebbero  valere  a  maggior
ragione nel caso della maggiorazione dell'aliquota  dell'imposta  sul
reddito delle societa' dalla medesima censurato. 
    5.2.- E' stata poi ricordata la sentenza n. 142 del 2014 con  cui
e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale della norma  che
deroga, per i compensi corrisposti in ritardo ai  giudici  tributari,
al principio generale della piu' favorevole  tassazione  separata  di
detti  emolumenti.  Anche  questa  decisione,  secondo  la   societa'
ricorrente, si porrebbe in continuita' con i principi  reiteratamente
affermati  dalla  Corte  costituzionale  che,  a   maggior   ragione,
dovrebbero valere nella specie. 
    5.3.- Viene poi menzionata la sentenza n. 201 del 2014,  relativa
all'«addizionale» del 10% sui compensi  corrisposti  sotto  forma  di
bonus  e  stock  options  ai  dirigenti  che  operano   nel   settore
finanziario e ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata  e
continuativa nel medesimo settore. A questo proposito la difesa della
parte privata ha evidenziato  come,  in  quest'ultima  decisione,  la
Corte costituzionale abbia  ritenuto  che  solo  la  presenza  di  un
documentato e specifico contesto di politica economica e  legislativa
internazionale, volto a delimitare la  remunerazione  del  management
finanziario per  scoraggiare  la  ricerca  di  redditivita'  ad  alto
rischio, puo' fornire legittimi motivi al legislatore  nazionale  per
rimodulare la tassazione tramite addizionali  volte  a  contenere  le
dinamiche reddituali di quel settore.  Tuttavia,  simili  motivi  non
sussistono in relazione al settore dell'energia. Del resto, la  parte
privata rimarca come la stessa  Agenzia  delle  entrate  dimostri  di
distinguere la struttura di imposizione nei due casi, posto  che  per
il settore dell'energia si tratta di una maggiorazione  dell'aliquota
dell'imposta  sui   redditi   delle   societa',   mentre   l'aliquota
addizionale sui bonus e le  stock  options  rappresenta  un  prelievo
d'imposta aggiuntivo, ma autonomo e distinto rispetto all'imposta sui
redditi delle persone fisiche. 
    5.4.- In ultimo, la societa' ricorda che, come  si  desume  dalla
relazione  al  Parlamento  presentata  nel  2013  dall'Autorita'  per
l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, non  siano  noti,  o
quanto meno  condivisi,  i  criteri  di  formazione  dei  margini  di
redditivita' in funzione delle variazioni  di  prezzo  delle  materie
prime  nel  settore  dell'energia,  a  conferma  dell'inesistenza   o
dell'indimostrabilita'   del    presupposto    della    maggiorazione
d'aliquota, vale dire gli "extra-profitti" che si realizzerebbero  in
quel settore, in realta' soggetto a dinamiche alquanto  imprevedibili
e  variamente   interpretabili,   come   comprovato   dalla   recente
significativa  riduzione   del   prezzo   del   greggio   determinato
dall'imprevisto  aumento  dell'offerta  da   parte   del   principale
produttore, l'Arabia Saudita. 
    5.5.-  Anche  sulla   base   di   tali   sopravvenute   emergenze
giurisprudenziali e fattuali, la parte privata ha  insistito  percio'
per  la  dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni censurate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Reggio  Emilia,  con
ordinanza emessa il 26 marzo 2011  e  depositata  in  pari  data,  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81,
commi 16,  17  e  18,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, in riferimento agli artt.
3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione. 
    Con le disposizioni impugnate e' stato previsto - a decorrere dal
periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007  -
un prelievo aggiuntivo,  qualificato  «addizionale»  all'imposta  sul
reddito delle societa' di cui all'art. 75 del decreto del  Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917  (Approvazione  del  testo
unico delle imposte sui redditi) e successive modificazioni, pari  al
5,5 per cento, da applicarsi alle  imprese  operanti  in  determinati
settori, tra cui la commercializzazione di benzine,  petroli,  gas  e
oli lubrificanti,  che  abbiano  conseguito  ricavi  superiori  a  25
milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ponendo  a  carico
dei soggetti passivi il divieto di traslazione sui prezzi al  consumo
e affidando all'Autorita' per  l'energia  elettrica  e  il  gas  (poi
divenuta Autorita' per l'energia  elettrica,  il  gas  e  il  sistema
idrico) il compito di vigilare e di presentare al  Parlamento,  entro
il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sugli effetti del tributo. 
    La questione e' stata sollevata  nel  corso  di  un  giudizio  di
impugnazione  del  silenzio-rifiuto  formatosi  sulla  richiesta   di
rimborso  presentata  dalla  Scat  Punti  Vendita   Spa   di   quanto
corrisposto   all'ente   impositore   a   titolo   di   «addizionale»
dell'imposta  sui  redditi   delle   societa'   (IRES),   dovuta   in
applicazione delle disposizioni in esame. 
    In particolare, la Commissione tributaria provinciale  di  Reggio
Emilia - facendo  proprie  e  riproducendo  testualmente  le  censure
eccepite dalla difesa  della  contribuente  -  lamenta  anzitutto  la
violazione  dell'art.  77  Cost.,  perche'  non   sussisterebbero   i
presupposti di necessita' e  urgenza  richiesti  per  l'adozione  del
decreto-legge. 
    Sussisterebbe altresi',  secondo  la  rimettente,  la  violazione
della riserva di  legge  prevista  dall'art.  23  Cost.,  perche'  si
tratterebbe di prestazione imposta in forza non di una legge,  ma  di
un decreto-legge. 
    Parimenti violati sarebbero gli  artt.  3  e  53  Cost.,  perche'
l'«addizionale» non risulterebbe ancorata ad un indice  di  capacita'
contributiva  e  determinerebbe  una  ingiustificata  disparita'   di
trattamento  tra   le   imprese   operanti   nei   settori   soggetti
all'«addizionale» e le altre, nonche', nell'ambito delle  prime,  tra
quelle aventi un volume di ricavi superiore o inferiore a 25  milioni
di euro. La  disparita'  di  trattamento  contributivo  sussisterebbe
anche tra produttori e distributori di  greggio,  in  quanto  solo  i
primi potrebbero legittimamente traslare su  altri  soggetti  l'onere
economico  dell'«addizionale»,  mentre  ai   soli   distributori   si
applicherebbe il divieto di traslazione degli  oneri  sul  prezzo  al
consumo, previsto dall'impugnato art. 81, comma 18. 
    L'imposizione violerebbe,  inoltre,  gli  artt.  3  e  41  Cost.,
perche' renderebbe piu' onerosa l'iniziativa economica delle  imprese
operanti nel settore degli  idrocarburi  e,  tra  queste,  di  quelle
distributrici,  che,  diversamente  dalle  imprese  produttrici,  non
sarebbero in grado di effettuare la predetta  traslazione  dell'onere
dell'imposta. 
    Le disposizioni censurate contravverrebbero, infine,  agli  artt.
41 e 117, secondo comma,  lettera  e),  Cost.,  perche'  il  suddetto
divieto di traslazione, risolvendosi in una  fissazione  autoritativa
del prezzo, altererebbe la libera concorrenza e, quindi,  limiterebbe
illegittimamente l'iniziativa economica privata. 
    2.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte e'  intervenuta  la  Scat
Punti Vendita Spa, che ha presentato memorie a supporto delle censure
formulate dal giudice remittente. 
    L'intervento e' pienamente ammissibile, in quanto si  tratta  del
ricorrente nel procedimento a quo e, quindi, parte anche del giudizio
di legittimita' costituzionale (ex  plurimis,  sentenze  n.  304  del
2011, n. 138 del 2010 e n. 263 del 2009). 
    3.-  Occorre  esaminare,  in  via   preliminare,   gli   ostacoli
all'ammissibilita' eccepiti dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  chiesto,  anzitutto,
che gli atti siano restituiti al giudice rimettente in considerazione
dello ius superveniens. 
    La richiesta non puo' essere accolta. 
    E' pur  vero,  infatti,  che,  successivamente  all'ordinanza  di
rimessione, il legislatore ha modificato l'art. 81, commi  16,  17  e
18, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge n. 133 del 2008. 
    Segnatamente cio' e' avvenuto: con la legge 23 luglio 2009, n. 99
(Disposizioni  per  lo  sviluppo  e  l'internazionalizzazione   delle
imprese, nonche' in materia di  energia);  con  il  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148;  con  il
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98; con  il  decreto-legge  31
agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti  per  il  perseguimento  di
obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche  amministrazioni),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
ottobre 2013, n. 125. Si tratta di  modifiche  con  le  quali,  ferma
restando la  struttura  dell'imposta,  e'  stata  elevata  la  misura
dell'«addizionale» a 6,5 punti  percentuali;  e'  stata  ampliata  la
platea  dei   soggetti   rientranti   nel   campo   di   applicazione
dell'imposta, dal momento che il legislatore ha diminuito  il  volume
minimo di ricavi oltre il quale  le  societa'  operanti  nel  settore
rientrano fra i  soggetti  passivi,  portandolo  dagli  originari  25
milioni a 10 milioni e poi a 3 milioni di euro; e'  stata  introdotta
l'ulteriore soglia del conseguimento di  un  reddito  superiore  a  1
milione di euro, poi abbassata a 300 mila euro; sono stati limitati i
poteri di controllo dell'Autorita' per l'energia elettrica, il gas  e
il sistema idrico alle sole imprese che integrino i  presupposti  per
l'applicazione dell'«addizionale». 
    Orbene, tali modifiche legislative non comportano  la  necessita'
di restituire gli atti al giudice a quo, anzitutto perche' l'anno  di
imposta a  cui  si  riferisce  il  silenzio-rifiuto  formatosi  sulla
richiesta di rimborso, oggetto del giudizio a quo, e' il 2008, di tal
che la legge applicabile  risulta  quella  anteriore  alle  modifiche
intervenute. A cio' si  aggiunga  che  le  modifiche  introdotte  non
rimediano  affatto  ai  profili   di   illegittimita'   dedotti   dal
rimettente, ma semmai  li  accentuano,  con  particolare  riguardo  a
quelli prospettati in riferimento  agli  artt.  3  e  53  Cost.,  dal
momento che innalzano  la  percentuale  dell'«addizionale»,  ampliano
l'area dei soggetti tenuti a versarla e stabilizzano l'imposta  senza
limiti di tempo, tanto che si deve ritenere che - come si dira'  piu'
avanti  -  alcune  delle  censure   prospettate   dall'ordinanza   di
rimessione interessino anche le novelle successive. Non  v'e'  dunque
ragione alcuna di disporre la restituzione degli atti  al  giudice  a
quo. 
    4.-  L'Avvocatura  generale   dello   Stato   ha   poi   eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni   sollevate   per   difetto   di
motivazione sulla rilevanza e sulle ragioni fondanti le censure,  dal
momento che il giudice rimettente si sarebbe limitato  a  condividere
quanto affermato dal ricorrente. 
    In  proposito,  deve   osservarsi   che   il   giudice   a   quo,
nell'ordinanza  di  rimessione,   ha   descritto   accuratamente   la
fattispecie  sottoposta  al  suo  giudizio  e,  dopo  aver  riportato
testualmente e per esteso le ragioni della ricorrente, ha esplicitato
che «la Commissione concorda con le suddette considerazioni e ritiene
rilevante, posto  che  la  presenza  della  "norma"  nell'ordinamento
giuridico osta al richiesto rimborso, e non manifestamente  infondata
la questione di legittimita' costituzionale della "norma"  secondo  i
profili dedotti dalla Ricorrente». 
    Il giudice rimettente non ha motivato l'ordinanza nella forma del
mero rimando alle argomentazioni contenute negli atti di parte, ma ha
riportato le  censure  eccepite  della  parte  del  giudizio  a  quo,
facendole proprie. Cosi' strutturata, l'ordinanza non risulta affetta
da  carenza   di   motivazione,   ne'   vulnera   il   principio   di
autosufficienza, che deve considerarsi rispettato quando, come  nella
specie,  «le  argomentazioni  a  sostegno  delle  censure   risultano
chiaramente dalla stessa ordinanza di  rimessione,  senza  rinvio  ad
atti ad essa esterni» (ex plurimis, sentenza n. 143 del 2010). Non si
tratta, dunque, di un caso di  motivazione  per  relationem,  essendo
pienamente ottemperato l'obbligo che questa Corte  ritiene  incombere
sul rimettente di «rendere  espliciti,  facendoli  propri,  i  motivi
della non manifesta infondatezza» (ex plurimis,  sentenze  n.  7  del
2014, n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010; ordinanze n. 175  del  2013,
n. 239 e n. 65 del 2012). 
    Con riguardo, poi, alla motivazione sulla rilevanza, e' pur  vero
che il rimettente si e' limitato ad  osservare  che  la  disposizione
impugnata osta  al  rimborso,  senza  specificare  se  la  ricorrente
integri gli ulteriori  presupposti  d'imposta,  all'epoca  costituiti
solo dal volume dei ricavi conseguiti. Tuttavia - anche a prescindere
da ogni considerazione circa il fatto che il  principio  dispositivo,
operante anche nel giudizio tributario a quo, priverebbe  di  rilievo
la circostanza (in quanto non eccepita  dall'interessato)  -  risulta
totalmente  implausibile  ritenere  che  la  societa'  abbia   pagato
un'imposta di  significativo  ammontare  senza  che  ne  ricorrano  i
presupposti, determinati dal  volume  dei  ricavi.  Conseguentemente,
l'affermazione  del  rimettente  secondo  cui  solo  la  disposizione
censurata ostacolerebbe il richiesto  rimborso  deve  ragionevolmente
considerarsi integrare una sufficiente motivazione  anche  su  questo
punto. 
    5.- Nel merito, le questioni sollevate in  relazione  agli  artt.
77, secondo comma, e 23 Cost., incentrate  sull'illegittimo  utilizzo
del decreto-legge, non sono fondate. 
    E' pur vero, infatti, che «la preesistenza di una  situazione  di
fatto comportante la necessita' e  l'urgenza  di  provvedere  tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di validita' dell'adozione di tale atto,  la
cui mancanza configura un vizio di  legittimita'  costituzionale  del
medesimo, che non e' sanato dalla legge di conversione» (sentenza  n.
93 del 2011). 
    Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il sindacato
sulla  legittimita'  dell'adozione,  da  parte  del  Governo,  di  un
decreto-legge, va comunque limitato ai casi  di  «evidente  mancanza»
dei presupposti  di  straordinaria  necessita'  e  urgenza  richiesti
dall'art. 77, secondo comma, Cost. o di «manifesta irragionevolezza o
arbitrarieta' della relativa valutazione» (ex plurimis,  sentenze  n.
22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 e n. 83  del  2010;  n.  128  del
2008; n. 171 del 2007). 
    Invero, la notoria situazione di emergenza economica posta a base
del censurato d.l. n. 112 del 2008, che ha ad  oggetto  «Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria», consente di escludere che  esso  sia  stato
adottato in una situazione di  evidente  mancanza  dei  requisiti  di
necessita' ed urgenza; ne' dall'ordinanza di  remissione  si  possono
ricavare  argomentazioni   valevoli   ad   attestare   la   manifesta
irragionevolezza e arbitrarieta' della valutazione governativa  sulla
sussistenza dei presupposti  della  decretazione  d'urgenza.  D'altro
canto,  le  impugnate  disposizioni  -  in  quanto  hanno  introdotto
un'«addizionale» per reperire nuove entrate al fine  di  fronteggiare
la  predetta  emergenza  e  ridistribuire  la  pressione  fiscale   -
risultano coerenti  con  le  finalita'  del  provvedimento  e  con  i
presupposti costituzionali su cui esso si fonda. 
    Quanto alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost., essa  deve
ritenersi pacificamente soddisfatta anche da  atti  aventi  forza  di
legge, come accade in riferimento a tutte  le  riserve  contenute  in
altre norme  costituzionali,  comprese  quelle  relative  ai  diritti
fondamentali (ex plurimis, ordinanza n. 134 del 2003, sentenze n. 282
del 1990, n. 113 del 1972 e n.  26  del  1966)  e  salvo  quelle  che
richiedono atti di autorizzazione o di approvazione  del  Parlamento.
Cio' sia perche' i decreti-legge e i decreti legislativi  sono  fonti
del  diritto  con  efficacia  equiparata   a   quella   della   legge
parlamentare, sia perche' nel relativo procedimento di formazione  e'
assicurata    la    partecipazione    dell'organo    rappresentativo,
rispettivamente in sede di conversione e in sede di delega (oltre che
con eventuali pareri, in fase di attuazione della delega stessa).  Ne
consegue che il parametro costituzionale evocato,  cui  questa  Corte
deve fare esclusivo  riferimento,  risulta  adeguatamente  rispettato
anche  quando  la  disciplina  impositiva  sia  introdotta   con   un
decreto-legge, purche' cio' avvenga, come  nella  specie,  nel  pieno
rispetto dei presupposti costituzionalmente previsti. 
    6.- Fondata, nei limiti di seguito  precisati,  e'  la  questione
sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. 
    6.1.- L'ordinanza muove dalla considerazione che  l'«addizionale»
impugnata determina una discriminazione qualitativa dei redditi,  per
il fatto che essa  si  applica  solo  ad  alcuni  soggetti  economici
operanti  nel  settore  energetico   e   degli   idrocarburi.   Detta
discriminazione,   poi,   non   sarebbe   supportata   da    adeguata
giustificazione e risulterebbe pertanto arbitraria.  In  particolare,
sebbene una  pluralita'  di  indizi  contenuti  nel  testo  normativo
impugnato  e  nei  relativi  lavori  preparatori   suggeriscano   che
l'intento del legislatore fosse quello di colpire i  "sovra-profitti"
conseguiti da detti soggetti in una data  congiuntura  economica,  in
realta' la struttura della nuova imposta non sarebbe poi coerente con
tale ratio giustificatrice. 
    Profili  di  irrazionalita'   rispetto   allo   scopo   sarebbero
ravvisabili  nella  individuazione  della  base  imponibile,  che  e'
costituita dall'intero reddito anziche' dai soli "sovra-profitti",  e
nella durata permanente,  anziche'  contingente,  dell'«addizionale»,
che non appare in alcun modo circoscritta a uno  o  piu'  periodi  di
imposta,  ne'  risulta  ancorata  al   permanere   della   situazione
congiunturale, che tuttavia e' addotta come sua ragione. 
    Il tenore di tali motivazioni e, in particolare, l'insistenza sul
carattere strutturale  e  permanente  della  «addizionale»  [rectius:
della maggiorazione della aliquota IRES] inducono la Corte a ritenere
che le censure interessino il citato art. 81,  commi  16,  17  e  18,
anche nel testo risultante dalle  successive  modifiche  legislative.
Infatti, in virtu' di tali novelle, l'imposta  oggetto  del  presente
giudizio, che gia' in origine era stata  istituita  senza  limiti  di
tempo, e'  stata  poi  stabilizzata  accentuando  gli  aspetti  della
normativa  su  cui  si  fondano  le   doglianze   prospettate   dalla
ricorrente. 
    6.2.- La maggiorazione dell'aliquota IRES gravante su determinati
operatori dei settori energetico, petrolifero e del gas,  cosi'  come
e' stata configurata dall'art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112
del 2008, e successive modificazioni, non e' conforme agli artt. 3  e
53 Cost., come costantemente  interpretati  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte. 
    Ai sensi dell'art. 53 Cost., infatti, la  capacita'  contributiva
e' il presupposto e il limite del potere impositivo dello Stato e, al
tempo stesso, del dovere del contribuente di  concorrere  alle  spese
pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione
settoriale del piu' ampio principio di uguaglianza di cui all'art.  3
Cost. (sentenze n. 258 del 2002, n. 341 del 2000 e n. 155 del 1963). 
    Vero e' che questa  Corte  ha  ripetutamente  rimarcato  che  «la
Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme,  con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie
di imposizione tributaria»; piuttosto essa  esige  «un  indefettibile
raccordo con la capacita'  contributiva,  in  un  quadro  di  sistema
informato a criteri di progressivita',  come  svolgimento  ulteriore,
nello specifico  campo  tributario,  del  principio  di  eguaglianza,
collegato al compito di rimozione  degli  ostacoli  economico-sociali
esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone
umane, in spirito  di  solidarieta'  politica,  economica  e  sociale
(artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000,  ripresa
sul punto dalla sentenza n. 223 del 2012). 
    Pertanto,  secondo  gli  orientamenti  costantemente  seguiti  da
questa Corte, non ogni modulazione del sistema impositivo per settori
produttivi  costituisce  violazione  del   principio   di   capacita'
contributiva  e  del  principio  di   eguaglianza.   Tuttavia,   ogni
diversificazione del regime tributario, per  aree  economiche  o  per
tipologia  di  contribuenti,  deve  essere  supportata  da   adeguate
giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione  degenera
in arbitraria discriminazione. 
    In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53  Cost.,  la  Corte
e', dunque, chiamata a verificare  che  le  distinzioni  operate  dal
legislatore  tributario,  anche  per  settori  economici,  non  siano
irragionevoli o arbitrarie o  ingiustificate  (sentenza  n.  201  del
2014):  cosicche'  in  questo  ambito  il  giudizio  di  legittimita'
costituzionale deve vertere «sull'uso ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997; ex plurimis, sentenze n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012). 
    6.3.- Non mancano nell'ordinamento  esempi  di  legislazione  che
impongono una piu' esigente  contribuzione  tributaria  a  carico  di
alcuni soggetti. 
    Numerosi sono i casi di temporaneo inasprimento  dell'imposizione
- applicabili  a  determinati  settori  produttivi  o  a  determinate
tipologie di redditi e cespiti - ritenuti non illegittimi  da  questa
Corte proprio in forza della loro limitata durata:  basti  menzionare
la sovraimposta comunale sui fabbricati (sentenza n. 159  del  1985),
l'imposta  straordinaria  immobiliare  sul  valore   dei   fabbricati
(sentenza n. 21 del 1996), il tributo del sei per mille sui  depositi
bancari  e  postali  (sentenza  n.  143  del  1995),  il   contributo
straordinario per l'Europa (ordinanza n. 341 del 2000). 
    Neppure mancano casi in cui la  differenziazione  tributaria  per
settori economici o per tipologie di  reddito  ha  assunto  carattere
strutturale, superando, cio' nondimeno, il vaglio di questa Corte. Si
puo',  a  titolo  esemplificativo,  ricordare   l'addizionale   sulle
remunerazioni in forma di bonus e stock options, ritenuta  tutt'altro
che irragionevole, arbitraria o ingiustificata da questa Corte con la
sentenza n. 201 del  2014;  ovvero  la  normativa  esaminata  con  la
sentenza n. 21 del  2005,  in  cui  la  Corte  ha  giudicato  che  la
previsione  di  aliquote  dell'imposta  regionale   sulle   attivita'
produttive  (IRAP)  differenziate  per  settori  produttivi   e   per
tipologie di soggetti passivi fosse  sorretta  da  non  irragionevoli
motivi  di   politica   economica   e   redistributiva,   individuati
principalmente  nell'esigenza  di  neutralizzare  tanto  il  maggiore
impatto del nuovo tributo sui settori agricolo e della piccola pesca,
quanto  il  minore  impatto  del  medesimo  sui   settori   bancario,
finanziario e assicurativo, i quali,  non  ingiustificatamente,  sono
stati assoggettati ad una maggiore aliquota. 
    6.4.- Alla  luce  dei  principi  affermati  nella  giurisprudenza
costituzionale - che, come si e' visto, non impongono  un'uniformita'
di   tassazione   e,   tuttavia,    vietano    le    differenziazioni
ingiustificate,  arbitrarie,  irragionevoli  o  sproporzionate  -  e'
appena il caso di  aggiungere  che  non  si  puo'  escludere  che  le
peculiarita' del settore petrolifero si prestino, in linea teorica, a
legittimare uno speciale regime  tributario.  Come  si  evince  dalle
istruttorie e dalle indagini conoscitive dell'Autorita' garante della
concorrenza e del mercato, svariati indizi economici segnalano che si
tratta di un ambito caratterizzato da una scarsa competizione fra  le
imprese.  D'altra  parte,  lo  stampo  oligopolistico  del   settore,
popolato da pochi soggetti che spesso operano in tutte le fasi  della
filiera - dalla ricerca, alla coltivazione,  fino  alla  raffinazione
del petrolio e alla distribuzione dei carburanti  -  unitamente  agli
elevati   costi   e   alle   difficolta'   di   realizzazione   delle
infrastrutture,  rende  particolarmente  arduo  l'ingresso  di  nuovi
concorrenti che  intendano  operare  su  vasta  scala.  Inoltre,  nel
settore petrolifero ed energetico, le ordinarie dinamiche di  mercato
faticano  ad  esplicarsi,  anche   perche'   l'aumento   dei   prezzi
difficilmente  puo'  essere   contrastato   da   una   corrispondente
contrazione della domanda che, in questi ambiti, risulta  anelastica.
In sintesi, non e' del tutto implausibile ritenere che questo settore
di mercato possa essere caratterizzato da una redditivita', dovuta  a
rendite  di  posizione,  sensibilmente  maggiore  rispetto  ad  altri
settori,  cosi'  da  poter  astrattamente  giustificare,  specie   in
presenza  di  esigenze  finanziarie  eccezionali  dello   Stato,   un
trattamento fiscale ad hoc. 
    6.5.- Tutto cio' premesso, occorre rimarcare che la  possibilita'
di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata
giustificazione  obiettiva,  la  quale  deve  essere   coerentemente,
proporzionalmente  e   ragionevolmente   tradotta   nella   struttura
dell'imposta (sentenze n. 142 del 2014 e n. 21 del 2005). 
    Nella specie l'art. 81, comma 16, ha previsto,  «[i]n  dipendenza
dell'andamento dell'economia e dell'impatto sociale dell'aumento  dei
prezzi e delle tariffe del settore energetico», una «addizionale» del
5,5  per  cento  (poi  innalzata  al  6,5  per  cento)  dell'aliquota
dell'imposta sul reddito delle societa' per chi  operi  nel  predetto
settore e abbia conseguito  un  ricavo  superiore  a  un  determinato
ammontare, la cui  entita'  e'  andata  progressivamente  diminuendo,
cosi' da allargare in modo significativo il  novero  degli  operatori
assoggettati alla maggiorazione di  imposta,  secondo  una  linea  di
tendenza solo marginalmente compensata dalla  introduzione  di  altra
soglia, questa volta riferita al reddito imponibile. 
    I presupposti di fatto, addotti  dal  legislatore  nell'art.  81,
comma 16, per inasprire il carico fiscale delle societa' del settore,
consistono, da  un  lato,  nella  grave  crisi  economica  deflagrata
proprio in quel periodo e nella  correlata  insostenibilita',  specie
per le  fasce  piu'  deboli,  dei  prezzi  dei  prodotti  di  consumo
primario; d'altro lato,  nel  contemporaneo  eccezionale  rialzo  del
prezzo del greggio  al  barile,  verificatosi  proprio  nel  medesimo
volger di tempo, che, nella prospettiva  del  legislatore,  e'  parso
idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto  da  parte
degli operatori dei settori interessati e a incentivare  condotte  di
mercato opportunistiche o speculative. 
    La  complessa  congiuntura  economica   cosi'   ricostruita   dal
legislatore che vi ha ravvisato  spinte  contraddittorie,  costituite
dall'insostenibilita' dei prezzi per gli utenti e  dalla  eccezionale
redditivita' dell'attivita' economica per gli operatori del petrolio,
ben  potrebbe  essere  considerata  in  astratto,  alla  luce   della
richiamata giurisprudenza di  questa  Corte,  un  elemento  idoneo  a
giustificare un prelievo differenziato  che  colpisca  gli  eventuali
"sovra-profitti" congiunturali, anche  di  origine  speculativa,  del
settore energetico e petrolifero. 
    Cosi' interpretato, lo scopo perseguito  dal  legislatore  appare
senz'altro legittimo. 
    Occorre allora verificare se i mezzi approntati  siano  idonei  e
necessari a conseguirlo. Infatti, affinche' il sacrificio  recato  ai
principi  di  eguaglianza  e  di  capacita'  contributiva   non   sia
sproporzionato e la  differenziazione  dell'imposta  non  degradi  in
arbitraria  discriminazione,  la  sua  struttura  deve  coerentemente
raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice. Se, come nel  caso
in esame, il presupposto economico che il legislatore intende colpire
e' la eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta  in  un  settore
che  presenta  caratteristiche  privilegiate  in  un   dato   momento
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente  riflettersi
sulla struttura dell'imposizione. 
    6.5.1.-  Cio'  non  e'  avvenuto  nella  specie,  posto  che   il
legislatore, con l'art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l.  n.  112  del
2008, e  successive  modificazioni,  ha  previsto  una  maggiorazione
d'aliquota di una imposizione, qual e' l'IRES, che colpisce  l'intero
reddito dell'impresa, mancando del tutto  la  predisposizione  di  un
meccanismo che consenta di tassare separatamente e  piu'  severamente
solo l'eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla  posizione
privilegiata dell'attivita' esercitata dal contribuente al  permanere
di una data congiuntura. 
    Infatti, al di  la'  della  denominazione  di  «addizionale»,  la
predetta  imposizione  costituisce  una  "maggiorazione   d'aliquota"
dell'IRES,  applicabile  ai  medesimi  presupposto  e  imponibile  di
quest'ultima e non, come  e'  avvenuto  in  altri  ordinamenti,  come
un'imposta sulla redditivita'. 
    6.5.2.- A questa prima incongruenza  dell'imposizione  censurata,
se ne aggiunge un'altra ancor piu'  grave  relativa  alla  proiezione
temporale dell'«addizionale». Infatti, la  richiamata  giurisprudenza
di questa Corte e' costante nel  giustificare  temporanei  interventi
impositivi  differenziati,  volti   a   richiedere   un   particolare
contributo solidaristico  a  soggetti  privilegiati,  in  circostanze
eccezionali. 
    Orbene,  a  differenza  delle  ipotesi   appena   ricordate,   le
disposizioni censurate nascono e  permangono  nell'ordinamento  senza
essere  contenute  in  un  arco  temporale  predeterminato,  ne'   il
legislatore ha provveduto a corredarle di strumenti atti a verificare
il perdurare della congiuntura posta  a  giustificazione  della  piu'
severa imposizione. Con l'art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112
del  2008,  e  successive   modificazioni,   per   fronteggiare   una
congiuntura  economica  eccezionale  si  e'  invece   stabilita   una
imposizione strutturale, da  applicarsi  a  partire  dal  periodo  di
imposta 2008, senza limiti di tempo. 
    Si  riscontra,  pertanto,  un  conflitto  logico   interno   alle
disposizioni impugnate, le quali, da un lato, intendono  ancorare  la
maggiorazione di aliquota al permanere di una determinata  situazione
di fatto e, dall'altro, configurano un prelievo strutturale destinato
ad  operare  ben  oltre   l'orizzonte   temporale   della   peculiare
congiuntura. 
    6.5.3.- Un ulteriore profilo di inadeguatezza e  irragionevolezza
e' connesso alla inidoneita' della manovra tributaria in  giudizio  a
conseguire le finalita'  solidaristiche  che  intende  esplicitamente
perseguire. 
    Uno degli  obiettivi  dichiarati  delle  disposizioni  impugnate,
infatti, e' quello di attenuare «l'impatto sociale  dell'aumento  dei
prezzi e delle tariffe del settore energetico» (art. 81,  comma  16).
Coerentemente con tale finalita', il comma 18 prevede un  divieto  di
traslazione degli oneri dovuti all'aumento d'aliquota sui  prezzi  al
consumo.  In  tal  modo,  il  legislatore  ha  inteso   evitare   che
l'inasprimento fiscale diretto  verso  operatori  economici  ritenuti
avvantaggiati finisca, con un effetto paradossale, per  ricadere  sui
consumatori, cioe' proprio su  quei  soggetti  che  avrebbero  dovuto
beneficiare della manovra  tributaria  in  esame,  improntata  a  uno
spirito di solidarieta', in chiave redistributiva. Ora il divieto  di
traslazione degli oneri sui prezzi al consumo, cosi'  come  delineato
nel comma 18, non e' in grado  di  evitare  che  l'«addizionale»  sia
scaricata a valle, dall'uno all'altro dei contribuenti che compongono
la filiera petrolifera per poi essere, in definitiva, sopportata  dai
consumatori sotto forma di maggiorazione dei  prezzi.  Senza  entrare
qui  nel  merito  dei  profili  di   ingiustificata   discriminazione
intra-settoriale tra diversi  soggetti  della  "filiera"  petrolifera
sollevati  nell'ordinanza  di  rimessione,  la  disposizione   appare
irrazionale per inidoneita' a conseguire il suo scopo. 
    Il divieto di traslazione  degli  oneri  sui  prezzi  al  consumo
risulta difficilmente assoggettabile a  controlli  efficaci,  atti  a
garantire che non sia eluso. 
    Vero e' che  la  disposizione  ha  affidato  alla  Autorita'  per
l'energia elettrica,  il  gas  e  il  sistema  idrico  un  potere  di
vigilanza «sulla puntuale osservanza»  del  divieto  di  traslazione.
Tuttavia, come e'  congegnato  nella  normativa  in  questione,  tale
meccanismo pare difficilmente attuabile e  in  ogni  caso  facilmente
vulnerabile, se e' vero, come si legge nelle relazioni della medesima
Autorita'  preposta  al  controllo,  che  le  analisi  svolte   hanno
«mostrato che una  parte  dei  soggetti  vigilati  ha  continuato  ad
attuare  politiche  di  prezzo  tali  da  costituire  una   possibile
violazione del  divieto  di  traslazione,  comportando  comunque  uno
svantaggio  economico  per  i  consumatori  finali»   (Relazione   al
Parlamento  n.  18/2013/I/Rht  sull'attivita'  di  vigilanza   svolta
nell'anno 2012 dall'Autorita' per l'energia elettrica, il  gas  e  il
sistema idrico). Elementi indiziari tratti dalle politiche dei prezzi
adottati dai soggetti  vigilati,  «che  generano  un  incremento  dei
margini non sufficientemente motivato» (Relazione al Parlamento sopra
citata) alimentano il dubbio che il divieto di traslazione sui prezzi
non sia stato in  fatto  osservato,  ne'  possa  essere  puntualmente
sanzionato  a  causa  della  obiettiva  difficolta'  di  isolare,  in
un'economia di libero mercato, la parte di prezzo praticato dovuta  a
traslazioni dell'imposta. Da qui il contenzioso amministrativo che ha
di  fatto  paralizzato   le   iniziative   assunte   in   tal   senso
dall'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. 
    6.5.4.-  In  definitiva,  il   vizio   di   irragionevolezza   e'
evidenziato  dalla  configurazione  del   tributo   in   esame   come
maggiorazione di  aliquota  che  si  applica  all'intero  reddito  di
impresa, anziche'  ai  soli  "sovra-profitti";  dall'assenza  di  una
delimitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale
o di meccanismi atti a  verificare  il  perdurare  della  congiuntura
economica che ne giustifica  l'applicazione;  dall'impossibilita'  di
prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri
derivanti dall'incremento di imposta non si traducano in aumenti  del
prezzo al consumo. 
    Per tutti questi motivi, la maggiorazione  dell'IRES  applicabile
al  settore  petrolifero  e  dell'energia,  cosi'  come   configurata
dall'art. 81, commi, 16, 17 e  18,  del  d.l.  n.  112  del  2008,  e
successive modificazioni, viola gli artt. 3  e  53  Cost.,  sotto  il
profilo  della   ragionevolezza   e   della   proporzionalita',   per
incongruita' dei  mezzi  approntati  dal  legislatore  rispetto  allo
scopo, in se' e per se' legittimo, perseguito. 
    7.-  Nel  pronunciare   l'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni impugnate, questa Corte non puo' non  tenere  in  debita
considerazione l'impatto che una tale pronuncia  determina  su  altri
principi costituzionali, al fine di valutare  l'eventuale  necessita'
di una graduazione degli effetti temporali  della  propria  decisione
sui rapporti pendenti. 
    Il ruolo affidato a questa Corte come custode della  Costituzione
nella sua integralita' impone di  evitare  che  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale di una disposizione di legge determini,
paradossalmente,   «effetti   ancor   piu'   incompatibili   con   la
Costituzione» (sentenza n. 13 del 2004) di quelli che hanno indotto a
censurare la disciplina legislativa. Per evitare che cio' accada,  e'
compito della Corte modulare le proprie  decisioni,  anche  sotto  il
profilo temporale, in modo da scongiurare che  l'affermazione  di  un
principio costituzionale determini il sacrificio di un altro. 
    Questa Corte ha gia' chiarito (sentenze n. 49 del 1970, n. 58 del
1967 e n. 127 del 1966) che l'efficacia retroattiva delle pronunce di
illegittimita' costituzionale e' (e non puo'  non  essere)  principio
generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia,
non e' privo di limiti. 
    Anzitutto  e'  pacifico  che  l'efficacia   delle   sentenze   di
accoglimento  non  retroagisce  fino  al  punto  di   travolgere   le
«situazioni  giuridiche  comunque  divenute  irrevocabili»  ovvero  i
«rapporti esauriti».  Diversamente  ne  risulterebbe  compromessa  la
certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n.  26  del
1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966). Pertanto, il principio della
retroattivita' «vale [...] soltanto per i rapporti tuttora  pendenti,
con conseguente esclusione di  quelli  esauriti,  i  quali  rimangono
regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del  1984,
ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1  del  2014).  In  questi  casi,
l'individuazione  in  concreto  del   limite   alla   retroattivita',
dipendendo dalla specifica  disciplina  di  settore  -  relativa,  ad
esempio, ai termini di  decadenza,  prescrizione  o  inoppugnabilita'
degli atti amministrativi - che  precluda  ogni  ulteriore  azione  o
rimedio giurisdizionale, rientra nell'ambito dell'ordinaria attivita'
interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato,
ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970). 
    Inoltre, come  il  limite  dei  «rapporti  esauriti»  ha  origine
nell'esigenza di tutelare il principio della  certezza  del  diritto,
cosi'  ulteriori  limiti  alla  retroattivita'  delle  decisioni   di
illegittimita' costituzionale possono derivare  dalla  necessita'  di
salvaguardare  principi  o  diritti  di  rango   costituzionale   che
altrimenti risulterebbero  irreparabilmente  sacrificati.  In  questi
casi,  la  loro  individuazione  e'  ascrivibile   all'attivita'   di
bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed  e',  quindi,  la
Corte costituzionale - e solo  essa  -  ad  avere  la  competenza  in
proposito. 
    Una   simile   graduazione   degli   effetti   temporali    delle
dichiarazioni  di  illegittimita'   costituzionale   deve   ritenersi
coerente con i principi della  Carta  costituzionale:  in  tal  senso
questa Corte ha operato anche in passato, in alcune  circostanze  sia
pure non del tutto sovrapponibili a quella in esame (sentenze n.  423
e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del  1991,
n. 50 del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988). 
    Il compito istituzionale affidato a questa Corte richiede che  la
Costituzione sia  garantita  come  un  tutto  unitario,  in  modo  da
assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza  n.  264
del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella  decisione.
«Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno
dei diritti, che  diverrebbe  "tiranno"  nei  confronti  delle  altre
situazioni giuridiche costituzionalmente  riconosciute  e  protette»:
per questo la Corte opera normalmente  un  ragionevole  bilanciamento
dei valori coinvolti nella normativa sottoposta  al  suo  esame,  dal
momento che «[l]a Costituzione italiana, come le  altre  Costituzioni
democratiche e  pluraliste  contemporanee,  richiede  un  continuo  e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali,  senza
pretese di assolutezza per nessuno  di  essi»  (sentenza  n.  85  del
2013). 
    Sono proprio le esigenze dettate  dal  ragionevole  bilanciamento
tra i diritti e i principi coinvolti a determinare  la  scelta  della
tecnica decisoria usata dalla  Corte:  cosi'  come  la  decisione  di
illegittimita' costituzionale puo' essere circoscritta solo ad alcuni
aspetti della disposizione sottoposta a giudizio -  come  avviene  ad
esempio nelle  pronunce  manipolative  -  similmente  la  modulazione
dell'intervento della Corte puo' riguardare la  dimensione  temporale
della normativa impugnata, limitando gli effetti  della  declaratoria
di illegittimita' costituzionale sul piano del tempo. 
    Del resto, la comparazione con altre Corti costituzionali europee
- quali ad esempio quelle austriaca, tedesca, spagnola e portoghese -
mostra che il contenimento degli effetti retroattivi delle  decisioni
di illegittimita'  costituzionale  rappresenta  una  prassi  diffusa,
anche nei giudizi in via incidentale, indipendentemente dal fatto che
la Costituzione o il  legislatore  abbiano  esplicitamente  conferito
tali poteri al giudice delle leggi. 
    Una simile regolazione degli  effetti  temporali  deve  ritenersi
consentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale. 
    Essa non risulta inconciliabile con  il  rispetto  del  requisito
della rilevanza, proprio del giudizio incidentale (sentenza n. 50 del
1989). Va ricordato in proposito che tale  requisito  opera  soltanto
nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilita'  della
questione, ma non anche nei confronti della Corte  ad  quem  al  fine
della decisione sulla medesima. In questa chiave, si spiega come mai,
di norma,  la  Corte  costituzionale  svolga  un  controllo  di  mera
plausibilita' sulla motivazione contenuta,  in  punto  di  rilevanza,
nell'ordinanza  di  rimessione,  comunque  effettuato  con  esclusivo
riferimento al momento e al modo in cui la questione di  legittimita'
costituzionale e' stata sollevata. In questa prospettiva  si  spiega,
ad esempio, quell'orientamento giurisprudenziale che ha  riconosciuto
la sindacabilita' costituzionale delle norme penali di  favore  anche
nelle ipotesi  in  cui  la  pronuncia  di  accoglimento  si  rifletta
soltanto  «sullo   schema   argomentativo   della   sentenza   penale
assolutoria,  modificandone  la  ratio  decidendi  [...],  pur  fermi
restando i pratici effetti  di  essa»  (sentenza  n.  148  del  1983,
ripresa sul punto dalla sentenza n. 28 del 2010). 
    Ne' si puo' dimenticare che,  in  virtu'  della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, gli interessi della  parte  ricorrente
trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, sia pure
solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima. 
    Naturalmente,   considerato   il   principio    generale    della
retroattivita' risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della  legge  n.
87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli  effetti
temporali della  decisione  devono  essere  vagliati  alla  luce  del
principio di stretta proporzionalita'. Essi debbono, pertanto, essere
rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti:
l'impellente   necessita'   di   tutelare   uno   o   piu'   principi
costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero  irrimediabilmente
compromessi da una decisione di mero accoglimento  e  la  circostanza
che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata  a  quanto
strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei  valori
in gioco. 
    8.- Cio' chiarito in ordine al potere della Corte di regolare gli
effetti delle proprie decisioni e ai relativi limiti, deve osservarsi
che,  nella  specie,  l'applicazione   retroattiva   della   presente
declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale    determinerebbe
anzitutto una grave violazione dell'equilibro di  bilancio  ai  sensi
dell'art. 81 Cost. 
    Come questa Corte ha affermato gia' con la sentenza  n.  260  del
1990, tale principio esige una gradualita' nell'attuazione dei valori
costituzionali che imponga rilevanti  oneri  a  carico  del  bilancio
statale. Cio' vale a fortiori dopo l'entrata in  vigore  della  legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del  principio  del
pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha  riaffermato
il necessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio  e  di
sostenibilita' del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014). 
    L'impatto  macroeconomico  delle  restituzioni   dei   versamenti
tributari   connesse    alla    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n.  112  del
2008,  e  successive  modificazioni,  determinerebbe,  infatti,   uno
squilibrio del bilancio dello Stato di entita' tale da  implicare  la
necessita' di una  manovra  finanziaria  aggiuntiva,  anche  per  non
venire meno al rispetto dei parametri cui l'Italia si e' obbligata in
sede di Unione europea e internazionale (artt. 11 e 117, primo comma,
Cost.) e, in particolare,  delle  previsioni  annuali  e  pluriennali
indicate nelle leggi di stabilita'  in  cui  tale  entrata  e'  stata
considerata a regime. 
    Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con  effetto
retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere,  in
un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle
fasce piu' deboli, una irragionevole redistribuzione della  ricchezza
a vantaggio di quegli operatori economici che  possono  avere  invece
beneficiato di una congiuntura favorevole. Si determinerebbe cosi' un
irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarieta' sociale  con
grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost. 
    Inoltre, l'indebito vantaggio che alcuni operatori economici  del
settore  potrebbero  conseguire  -   in   ragione   dell'applicazione
retroattiva  della  decisione   della   Corte   in   una   situazione
caratterizzata dalla impossibilita' di distinguere ed esonerare dalla
restituzione coloro che hanno traslato gli oneri - determinerebbe una
ulteriore irragionevole disparita' di trattamento, questa volta tra i
diversi  soggetti  che  operano  nell'ambito  dello  stesso   settore
petrolifero, con conseguente pregiudizio anche degli  artt.  3  e  53
Cost. 
    La cessazione degli effetti delle  norme  dichiarate  illegittime
dal solo giorno della pubblicazione della  presente  decisione  nella
Gazzetta    Ufficiale    della    Repubblica     risulta,     quindi,
costituzionalmente necessaria allo  scopo  di  contemperare  tutti  i
principi e i diritti in gioco, in modo da impedire «alterazioni della
disponibilita' economica a svantaggio di  alcuni  contribuenti  ed  a
vantaggio di altri [...]  garantendo  il  rispetto  dei  principi  di
uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro  carattere  fondante,
occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con  gli  altri
valori costituzionali» (sentenza n. 264  del  2012).  Essa  consente,
inoltre, al legislatore di  provvedere  tempestivamente  al  fine  di
rispettare il vincolo  costituzionale  dell'equilibrio  di  bilancio,
anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014, n. 266 del 2013, n.
250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1  del  1966),  e
gli  obblighi  comunitari  e  internazionali  connessi,  cio'   anche
eventualmente rimediando ai rilevati vizi della disciplina tributaria
in esame. 
    In conclusione, gli effetti della dichiarazione di illegittimita'
costituzionale di cui sopra devono, nella specie e per le ragioni  di
stretta necessita' sopra esposte,  decorrere  dal  giorno  successivo
alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica. 
    9.- Devono  considerarsi  assorbite  le  ulteriori  questioni  di
legittimita' costituzionale.