ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 28,  commi
2, 3, 6, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, e  48  del  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214,  promossi
dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla  Provincia
autonoma di  Trento,  dalla  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste,  dalla  Regione  siciliana,  dalla  Provincia  autonoma   di
Bolzano, dalla Regione autonoma Sardegna  e  dalla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con ricorsi notificati il 24, il 23-28, il 25,
il 24 e il 25 febbraio 2012, depositati in cancelleria il 28 e il  29
febbraio, il 1°, il 2 e il 5 marzo 2012 e rispettivamente iscritti ai
nn. 33, 34, 38, 39, 40, 47 e 50 del registro ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione (di cui quattro fuori termine) del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 25 marzo 2015 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi  gli  avvocati  Luigi  Manzi  per   la   Regione   autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, per la Provincia autonoma di  Trento  e
per la Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  Francesco  Saverio
Marini per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Beatrice
Fiandaca per la Regione siciliana, Massimo  Luciani  per  la  Regione
autonoma Sardegna e l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 28 febbraio 2012 (reg. ric. n. 33 del 2012), la Regione
autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  ha  promosso  questioni   di
legittimita' costituzionale, tra l'altro, degli artt. 28, comma 3,  e
48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201  (Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare
degli artt. 69 e 79, nonche' degli artt. 103, 104 e 107  del  decreto
del Presidente della Repubblica  31  agosto  1972,  n.  670  (Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige); degli artt. 2 e 4  del  decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra  atti
legislativi statali e  leggi  regionali  e  provinciali,  nonche'  la
potesta' statale di indirizzo e coordinamento); degli artt. 9,  10  e
10-bis del decreto legislativo  16  marzo  1992,  n.  268  (Norme  di
attuazione dello statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  in
materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 3, 117,  118
e 119 della Costituzione, «in combinato disposto» con l'art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell'art. 2,  comma  108,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2010), nonche' del principio di leale collaborazione. 
    1.1.- La Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3, del d.l.  n.
201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 69, 79, 104  e
107 dello statuto speciale, oltre che con l'art. 3 Cost. 
    Dopo aver ricordato che l'art. 28 ha ad oggetto il concorso  alla
manovra degli enti territoriali e ulteriori riduzioni  di  spese,  la
ricorrente riporta il contenuto del comma 3, sottolineando come  esso
configuri una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni
speciali,  che  si  aggiunge  a  quelle  gia'  stabilite  con   altri
interventi del legislatore statale. In particolare,  la  disposizione
impugnata prevede che: «Con le procedure previste  dall'articolo  27,
della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e  le
Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurano,  a  decorrere
dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni
annui.  Con  le  medesime  procedure  le  Regioni  Valle  d'Aosta   e
Friuli-Venezia Giulia e le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano
assicurano, a decorrere dall'anno  2012,  un  concorso  alla  finanza
pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei  Comuni  ricadenti
nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione
di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920  milioni
e' accantonato, proporzionalmente alla  media  degli  impegni  finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio  2007-2009,  a  valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Per la  Regione
siciliana si tiene conto della rideterminazione del  fondo  sanitario
nazionale per effetto del comma 2». 
    Ad avviso della ricorrente, il concorso  richiesto,  a  decorrere
dall'anno 2012, alle Regioni  a  statuto  speciale  e  alle  Province
autonome di Trento e di Bolzano, oltre che ai  Comuni  ricadenti  nel
territorio di alcune di esse (incluse le due Province autonome),  non
avrebbe alcuna base statutaria. Anzi, l'impugnato art. 28,  comma  3,
contrasterebbe sia con l'art. 69 dello statuto, laddove assicura alla
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol le risorse  finanziarie
necessarie all'esercizio delle sue funzioni, in particolare  mediante
la devoluzione di quote del  gettito  di  talune  entrate  tributarie
dello Stato riscosse nella Regione; sia, soprattutto, con  l'art.  79
del medesimo statuto (come sostituito dalla lettera h del  comma  107
dell'art.  2  della  legge   23   dicembre   2009,   n.   191),   che
disciplinerebbe in modo preciso, esaustivo  ed  esclusivo  le  regole
secondo cui la Regione autonoma assolve gli  «obblighi  di  carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale». 
    La ricorrente, inoltre, sottolinea come quest'ultima disposizione
configuri  un  regime  speciale,  che  non   puo'   essere   alterato
unilateralmente dal legislatore  ordinario  -  i  cui  interventi  in
materia non troverebbero dunque applicazione nella  Regione  speciale
(art. 79, comma 4) - ma che potrebbe essere configurato solo  con  la
procedura prevista dall'art. 104, primo comma, dello  statuto,  ossia
«con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e,
per quanto di  rispettiva  competenza,  della  regione  o  delle  due
province». Cio', in coerenza con il principio  dell'accordo  che,  ad
avviso della ricorrente, dominerebbe tutto  il  regime  dei  rapporti
finanziari tra lo Stato e le  Regioni  speciali,  riconosciuto  anche
nella giurisprudenza costituzionale (si  richiamano  le  sentenze  di
questa Corte n. 133 del 2010; n. 82 del 2007; n. 353 del 2004; n.  98
del 2000; n. 39 del 1984). 
    La ricorrente ritiene che il  rinvio  alle  norme  di  attuazione
dello statuto, in base all'art. 27 della legge 5 maggio 2009,  n.  42
(Delega al Governo in materia di federalismo  fiscale  in  attuazione
dell'articolo  119  della  Costituzione),  non  dovrebbe  trarre   in
inganno, per tre ordini di ragioni: in primo luogo, dal  momento  che
gia' l'accantonamento di risorse finanziarie - pari  complessivamente
a 920 milioni - a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi
erariali, sarebbe di per se' lesivo delle prerogative  regionali;  in
secondo luogo, perche' l'art. 79 dello statuto, che cosi' verrebbe ad
essere derogato, sarebbe modificabile solo con  l'apposita  procedura
di cui all'art. 104 del medesimo statuto (ossia «con legge  ordinaria
dello Stato su concorde  richiesta  del  Governo  e,  per  quanto  di
rispettiva competenza, della regione o delle due province»), e non in
sede di attuazione; in terzo e ultimo luogo, posto che in tal modo si
verrebbe a determinare un  vincolo  di  contenuto  per  le  norme  di
attuazione dello statuto. Su questi  ultimi  due  elementi  si  fonda
percio' la pretesa violazione degli artt. 104  e  107  dello  statuto
speciale. 
    E'  oggetto  di  censura  altresi'   il   criterio   di   riparto
dell'accantonamento determinato dal terzo periodo dell'art. 28, comma
3, impugnato, che deve aver luogo «proporzionalmente alla media degli
impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio
2007-2009»,  in  quanto  non  risulta  essere  stato  in  alcun  modo
pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali. 
    Ulteriori profili di illegittimita' riguarderebbero,  infine,  il
quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato,  sulla  base
del  quale  «[p]er  la  Regione  siciliana  si  tiene   conto   della
rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma
2». Ad avviso della ricorrente  la  disposizione,  ancorche'  oscura,
sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare
alla Regione  siciliana  andrebbe  ridotta  in  corrispondenza  delle
minori risorse del Fondo sanitario destinate alla  medesima  Regione.
Se cosi' fosse, si configurerebbe un'alterazione  in  peggio  per  la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata a
contribuire al finanziamento parziale  della  sanita'  siciliana,  in
violazione dell'art. 3 della Cost. - con censura reputata analoga  ad
altra gia' ritenuta  ammissibile  (e  infondata)  dalla  Corte  nella
sentenza  n.  16  del  2010  -   e   dell'autonomia   finanziaria   e
amministrativa della Regione. 
    La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol dubita  altresi'
della legittimita' costituzionale dell'art. 48, commi 1 e 1-bis,  del
medesimo  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  in  riferimento
agli artt. 69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale,  oltre  che
delle relative norme di attuazione (in particolare gli artt. 9, 10  e
10-bis del d.lgs.  n.  268  del  1992),  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    L'art. 48 si compone di due commi  che  contengono  due  distinte
disposizioni. 
    Al comma 1 e' dettata una generale «clausola di  finalizzazione»,
in base  alla  quale  le  maggiori  entrate  erariali  derivanti  dal
decreto-legge «sono riservate all'Erario, per un  periodo  di  cinque
anni,   per   essere   destinate   alle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione
economica  internazionale.  Con  apposito   decreto   del   Ministero
dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto e da trasmettere alla Camera dei deputati e al  Senato  della
Repubblica, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior
gettito, attraverso separata contabilizzazione». 
    Ad avviso della  ricorrente  tale  disposizione  risulterebbe  in
contrasto anzitutto con l'art. 69, comma 2, lettera b), dello statuto
del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che  garantisce  alla  Regione  una
precisa compartecipazione all'IVA. 
    Inoltre, essa non rispetterebbe due dei tre requisiti,  stabiliti
dall'art. 9 del d.lgs.  n.  268  del  1992,  necessari  affinche'  il
gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione  di
nuovi tributi possa essere riservato all'erario, e che  questa  Corte
ha enunciato nella sentenza n. 182 del 2010. Mancherebbero,  infatti,
nella specie: in primo luogo, la finalizzazione del maggior gettito a
finalita'  diverse  tanto  dal  raggiungimento  degli  obiettivi   di
riequilibrio della finanza pubblica (art. 10, comma 6, del d.lgs.  n.
268  del  1992),  quanto   dalla   copertura   di   spese   derivanti
dall'esercizio delle funzioni statali  delegate  alla  Regione  (art.
10-bis, comma 1, lettera b, del medesimo decreto legislativo),  posto
che le finalita'  individuate  («raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica concordati in sede europea») coinciderebbero con  il
riequilibrio  della  finanza   pubblica;   in   secondo   luogo,   la
destinazione del maggior gettito alla copertura di  nuove  specifiche
spese di carattere non continuativo che non rientrino  nelle  materie
di competenza della Regione o delle Province, visto che nella specie,
diversamente dall'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge  1°  luglio
2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini  e
della partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 3  agosto  2009,
n. 102, e scrutinato nella gia' citata sentenza n. 182 del 2010, cio'
non accadrebbe. 
    L'impugnato art.  48,  comma  1,  non  potrebbe  neppure  trovare
fondamento, sempre ad  avviso  della  ricorrente,  nell'art.  10  del
d.lgs.  n.  268  del  1992.  Anzitutto  perche'   tale   disposizione
risulterebbe inapplicabile una volta abrogato -  dall'art.  2,  comma
107, lettera a), della legge 23 dicembre 2009, n.  191,  a  decorrere
dal 1° gennaio 2010 - l'art. 78  dello  statuto  speciale,  cui  tale
disposizione da' attuazione. Anche qualora il  suddetto  art.  10  si
ritenesse tuttora applicabile, limitatamente al suo comma 6, la norma
impugnata risulterebbe non in linea con esso,  posto  che  mentre  in
quest'ultimo si ribadisce  il  principio  consensuale  che  regola  i
rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e comunque e  si  fa
riferimento  ad  «una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito
tributario»,   nella   norma   impugnata   lo   Stato    riserverebbe
unilateralmente all'erario tutte «le maggiori entrate» derivanti  dal
d.l. n. 201 del 2011. 
    L'art. 48, comma 1, risulterebbe in contrasto altresi' con l'art.
79 dello statuto speciale (come sostituito dalla lettera h del  comma
107  dell'art.  2  della  legge  23  dicembre  2009,  n.  191),  gia'
richiamato, che configurerebbe un sistema completo di concorso  della
Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con
le modalita' previste dallo Statuto. 
    Proprio in quanto configurerebbe una deroga agli artt.  69  e  79
dello statuto speciale e alle relative norme di  attuazione,  perche'
disposta con una fonte primaria "ordinaria" - ossia un  decreto-legge
convertito -, l'art. 48, comma 1, impugnato, violerebbe altresi',  ad
avviso della ricorrente, gli artt.  103,  104  e  107  dello  statuto
speciale  che,  rispettivamente,  disciplinano:  il  procedimento  di
revisione costituzionale per modificare lo statuto  speciale  in  via
ordinaria;  la  modifica  della  disciplina  finanziaria  con   legge
statale, ma «su concorde richiesta  del  Governo  e,  per  quanto  di
rispettiva competenza,  della  regione  o  delle  due  province»;  la
procedura per l'adozione delle  norme  di  attuazione  dello  statuto
speciale. 
    Una  specifica  censura  e'  poi  rivolta  dalla  ricorrente  nei
confronti del secondo periodo dell'art. 48, comma 1, che  demanda  ad
un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le modalita' di
individuazione del maggiore gettito.  Oltre  ad  essere  affetta  dai
medesimi vizi  che  caratterizzerebbero  il  periodo  precedente,  la
disposizione  sarebbe  in  contrasto  con  il  principio   di   leale
collaborazione, in quanto, in  una  materia  dominata  dal  principio
consensuale, prevede un decreto  ministeriale  senza  intesa  con  la
Regione. 
    L'impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola di
salvaguardia», rinviando  alle  norme  di  attuazione  degli  statuti
speciali di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione
delle modalita' di applicazione del decreto-legge e  i  suoi  effetti
finanziari per le Regioni a statuto speciale e le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano, stabilendo  peraltro  che  restano  ferme  le
disposizioni previste dagli artt. 13, 14 e  28,  nonche'  quelle  del
medesimo art. 48 (comma 1). 
    A parte la difficolta' di individuare un contenuto alle norme  di
attuazione   ivi   prefigurate,   la   ricorrente    argomenta    per
l'illegittimita' costituzionale anche di tale disposizione, in quanto
non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il contenuto  delle
norme di attuazione dello statuto. 
    1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato,  in  data
11 maggio 2012, e dunque fuori termine  (trenta  giorni  dal  termine
perentorio di trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito  per
il deposito del ricorso, ai sensi dell'art. 19, comma 3, delle  norme
integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale),  una
propria  memoria,  argomentando  per  l'infondatezza  del  ricorso  e
chiedendone il rigetto. 
    1.3.- In prossimita' dell'udienza  pubblica  fissata  per  il  29
gennaio 2014, la Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  ha
depositato, in data 7 gennaio 2014, una memoria, nella quale  reitera
le censure rivolte agli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011. 
    Riguardo all'art. 28, comma 3,  la  ricorrente  sostiene  che  la
fondatezza delle censure sollevate sarebbe avvalorata dalle  sentenze
n. 118 del 2012 e n. 241 del 2012, che hanno confermato  l'importanza
del principio pattizio  nei  rapporti  tra  lo  Stato  e  le  Regioni
speciali in materia finanziaria. 
    Riguardo all'art. 48, la ricorrente rileva  che  l'illegittimita'
costituzionale delle «riserve all'erario»  sarebbe  confermata  dalle
sentenze n. 142 e n. 241 del  2012,  che  hanno  accolto  le  censure
relative,  rispettivamente,  alla  riserva  allo  Stato  del  gettito
dell'addizionale  erariale  sulla  tassa  automobilistica  e  ad  una
riserva integrale di entrate  erariali  avente  analoga  destinazione
rispetto a quella oggetto di impugnazione. 
    1.4.- In prossimita' dell'udienza  pubblica  fissata  per  il  22
ottobre 2014, la Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  ha
depositato,  in  data  30  settembre  2014,  una  ulteriore  memoria,
richiamando in particolare, la sentenza n. 23 del  2014  della  Corte
costituzionale,  che  confermerebbe  l'illegittimita'  dell'art.  28,
comma 3, impugnato, per violazione dell'art. 69 dello statuto. 
    1.5.- La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol,  in  data
28  gennaio  2015,  ha  depositato  il  proprio  atto   di   rinuncia
all'impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l.  n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011. In data 4 febbraio 2015 la medesima Regione ha
depositato altresi' la delibera con cui il  Consiglio  regionale  del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, il 21 gennaio 2015,  ha  ratificato  la
delibera con cui la Giunta rinunciava al ricorso. 
    1.6.- Con memoria depositata il 19  febbraio  2015,  l'Avvocatura
generale dello Stato, sulla base della  delibera  del  Consiglio  dei
ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del
Presidente del Consiglio dei ministri, la  rinuncia  al  giudizio  da
parte della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    2.- Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 28 febbraio  2012  (reg.  ric.  n.  34  del  2012),  la
Provincia autonoma di Trento ha promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale, tra l'altro, degli  artt.  28,  comma  3,  e  48  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare
degli artt. 75, 79, 80, 81 e 82, nonche' degli artt. 103, 104  e  107
del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto  1972,  n.  670
(Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); degli artt.  9,  10  e
10-bis del decreto legislativo  16  marzo  1992,  n.  268  (Norme  di
attuazione dello statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  in
materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 2  e  4  del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la potesta' statale di indirizzo e  coordinamento);  degli  artt.  3,
117, 118 e 119 della Costituzione, «in combinato disposto» con l'art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3;  dell'art.  2,
comma 108, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2010), nonche' del principio di leale collaborazione. 
    2.1.- La Provincia autonoma di Trento  sospetta  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 3,  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, in riferimento agli artt.  69,  79,  104  e  107  dello
statuto speciale, oltre che all'art. 3 della Costituzione. 
    Con riguardo all'art. 28,  comma  3,  la  ricorrente,  dopo  aver
sottolineato come esso, nel  determinare  il  concorso  alla  finanza
pubblica delle Regioni a statuto speciale e delle  Province  autonome
di Trento e  di  Bolzano,  configuri  una  rilevante  sottrazione  di
risorse  alle  Regioni  speciali,  evidenzia  come  venga   stabilito
altresi', per effetto del terzo periodo di tale  comma  («le  Regioni
Valle d'Aosta e Friuli-Venezia  Giulia  e  le  Province  autonome  di
Trento e di  Bolzano  assicurano,  a  decorrere  dall'anno  2012,  un
concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da  parte
dei Comuni ricadenti nel proprio territorio»), un taglio  di  risorse
anche a  carico  degli  enti  locali  situati  nel  territorio  della
Provincia  autonoma.  Tale  taglio,  ad  avviso   della   ricorrente,
inciderebbe in sostanza sempre sulla Provincia autonoma, visto che ai
sensi dell'art. 81, comma 2,  dello  statuto  speciale  la  Provincia
autonoma deve finanziare adeguatamente i Comuni, e  sarebbe  comunque
impugnabile anche ad opera della Provincia (ex multis, le sentenze di
questa Corte n. 278 del 2010; n. 298 del 2009; n. 169 del 2007; n. 95
del 2007; n. 417 del 2005; n. 196 del 2004; n. 533 del 2002). 
    La  sottrazione  di  risorse  operata  dall'art.  28,  comma   3,
impugnato, non avrebbe  alcuna  base  statutaria  e  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 75, laddove assicura alla Provincia  autonoma
di Trento le finanze necessarie all'esercizio delle sue  funzioni,  e
79 dello  statuto  speciale.  Quest'ultima  disposizione  definirebbe
infatti in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le modalita' con  cui
le Province autonome assolvono gli obblighi di carattere  finanziario
derivanti  dalle  misure  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
stabilite dalla legislazione statale, con regole che  possono  essere
modificate esclusivamente con la  procedura  prevista  dall'art.  104
dello statuto speciale, configurando un regime speciale che non  puo'
essere  unilateralmente  alterato   dal   legislatore   statale,   in
violazione del principio dell'accordo circa il  regime  dei  rapporti
finanziari  tra  Stato  e  Regioni   speciali,   riconosciuto   dalla
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 133 del 2010;  n.  82  del
2007; n. 353 del 2004; n. 98 del 2000; n. 39 del 1984). 
    Per quel che specificamente riguarda le Province autonome,  viene
invocato, poi, l'art. 79, comma  3,  dello  statuto,  il  quale,  nel
quadro della generale competenza legislativa provinciale  in  materia
di finanza locale di cui all'art. 80 dello statuto, attribuisce  alle
medesime Province poteri di coordinamento finanziario con riferimento
agli enti locali: questa competenza e' stata esercitata con la  legge
provinciale 15 novembre 1993, n. 36  (Norme  in  materia  di  finanza
locale), il cui art. 3 dispone che le misure necessarie  a  garantire
il coordinamento  della  finanza  comunale  con  quella  provinciale,
incluse quelle per il  perseguimento  degli  obiettivi  correlati  al
patto di stabilita' interno, sono stabilite in  sede  di  definizione
dell'accordo di cui  all'art.  81  dello  statuto  speciale,  fra  il
Presidente della Provincia autonoma e una rappresentanza unitaria dei
rispettivi comuni. 
    La ricorrente ritiene che il  rinvio  alle  norme  di  attuazione
dello statuto speciale, in base all'art. 27 della  legge  n.  42  del
2009, non dovrebbe trarre in inganno, per tre ordini di  ragioni:  in
primo  luogo,  dal  momento  che  gia'  l'accantonamento  di  risorse
finanziarie - pari complessivamente a 920 milioni -  a  valere  sulle
quote   di   compartecipazione   dei   tributi   erariali,    sarebbe
autonomamente lesivo; in  secondo  luogo,  perche'  l'art.  79  dello
statuto, che cosi' verrebbe ad essere derogato, sarebbe  modificabile
solo con l'apposita  procedura  di  cui  all'art.  104  del  medesimo
statuto (ossia «con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta
del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della  regione  o
delle due province»), e non in sede di attuazione; in terzo e  ultimo
luogo, posto che in tal modo si verrebbe a determinare un vincolo  di
contenuto per le norme di attuazione dello statuto. Su questi  ultimi
due elementi si fonda percio' la pretesa violazione degli artt. 104 e
107 dello statuto speciale. 
    Analoghe censure possono essere rivolte alla quota di 60  milioni
di euro che, ai sensi dell'impugnato art. 28, comma 3, terzo periodo,
lo Stato esige (anche) dalla Provincia autonoma di Trento  «da  parte
dei Comuni ricadenti nel proprio territorio»,  dal  momento  che  non
rientrerebbe tra i compiti della Provincia autonoma quello di fungere
da esattore per conto dello Stato, ne' lo Stato  avrebbe  titolo  per
esigere dalla medesima Provincia somme che ritenga a qualsiasi titolo
dovute dai Comuni. 
    E'  oggetto  di  censura  altresi'   il   criterio   di   riparto
dell'accantonamento determinato dal terzo periodo dell'art. 28, comma
3, impugnato, secondo cui esso  deve  aver  luogo  «proporzionalmente
alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel
triennio 2007-2009», in quanto non risulterebbe essere stato in alcun
modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali. 
    Ulteriori profili di illegittimita' riguarderebbero,  infine,  il
quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato,  sulla  base
del  quale  «Per  la  Regione  Siciliana   si   tiene   conto   della
rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma
2». Ad avviso  del  ricorrente  la  disposizione,  ancorche'  oscura,
sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare
alla Regione  siciliana  andrebbe  ridotta  in  corrispondenza  delle
minori risorse del Fondo sanitario destinate alla  medesima  Regione.
Se cosi' fosse, si configurerebbe un'alterazione  in  peggio  per  la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata a
contribuire al finanziamento parziale  della  sanita'  siciliana,  in
violazione dell'art. 3 della Cost.  e  dell'autonomia  finanziaria  e
amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    La   Provincia   autonoma   di   Trento    sospetta,    altresi',
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 48, commi 1  e  1-bis,  del
medesimo  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  in  riferimento
agli artt. 69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale,  oltre  che
alle relative norme di attuazione (in particolare gli artt. 9,  10  e
10-bis del  d.lgs.  n.  268  del  1992),  e  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    Ad avviso  della  ricorrente  il  comma  1,  il  quale,  con  una
«clausola di finalizzazione», riserva il maggior gettito  all'Erario,
per un periodo di cinque anni, destinandolo alle esigenze prioritarie
di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica  concordati  in
sede europea e demanda ad un decreto del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze le modalita' di  individuazione  del  maggior  gettito,
risulterebbe  in  contrasto  con  l'art.   75   dello   statuto   del
Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  che  garantisce  alla  Provincia  ben
precise compartecipazione a tutti i tributi erariali. 
    Inoltre,  tale  disposizione  non  rispetterebbe  due   dei   tre
requisiti,  stabiliti  dall'art.  9  del  d.lgs.  n.  268  del  1992,
necessari affinche' il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote
o dall'istituzione di nuovi tributi possa essere riservato all'erario
(sentenza n. 182 del 2010). Mancherebbero, infatti, nella specie:  in
primo luogo,  la  finalizzazione  del  maggior  gettito  a  finalita'
diverse tanto dal  raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio
della finanza pubblica quanto  dalla  copertura  di  spese  derivanti
dall'esercizio delle funzioni statali  delegate  alla  Regione  -  ai
sensi, rispettivamente, dell'art. 10, comma 6,  e  dell'art.  10-bis,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 268  del  1992  -,  posto  che  le
finalita' individuate («raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica  concordati  in  sede  europea»)  coinciderebbero   con   il
riequilibrio  della  finanza  pubblica;  e,  in  secondo  luogo,   la
destinazione del maggior gettito alla copertura di  nuove  specifiche
spese di carattere non continuativo che non rientrino  nelle  materie
di competenza della Regione o delle Province autonome, visto  che  in
questo caso, diversamente dall'art. 13-bis, comma 8, del d.l.  n.  78
del 2009, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge n. 102 del 2009, e scrutinato nella gia' citata sentenza n. 182
del 2010, cio' non accadrebbe. 
    L'impugnato art.  48,  comma  1,  non  potrebbe  neppure  trovare
fondamento, sempre ad  avviso  della  ricorrente,  nell'art.  10  del
d.lgs.  n.  268  del  1992.  Anzitutto  perche'   tale   disposizione
risulterebbe inapplicabile una volta abrogato -  dall'art.  2,  comma
107, lettera a), della legge n. 191 del  2009,  a  decorrere  dal  1°
gennaio  2010  -  l'art.  78  dello  statuto   speciale,   cui   tale
disposizione da' attuazione. Anche qualora il  suddetto  art.  10  si
ritenesse tuttora applicabile, limitatamente al suo comma 6, la norma
impugnata risulterebbe non in linea con esso,  posto  che  mentre  in
quest'ultimo si ribadisce  il  principio  consensuale  che  regola  i
rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e comunque e  si  fa
riferimento  ad  «una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito
tributario»,   nella   norma   impugnata   lo   Stato    riserverebbe
unilateralmente all'erario tutte «le maggiori entrate» derivanti  dal
d.l. n. 201 del 2011. 
    L'impugnato art. 48, comma 1, risulterebbe in contrasto  altresi'
con l'art. 79 dello statuto speciale - come sostituito dalla  lettera
h) del comma 107 dell'art. 2 della legge n.  191  del  2009  -,  gia'
richiamato, che configurerebbe un sistema completo di concorso  della
Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con
le modalita' previste dallo statuto. 
    Proprio in quanto configurerebbe una deroga agli artt.  75  e  79
dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione,  disposta
con  una  fonte  primaria  "ordinaria"  -  ossia   un   decreto-legge
convertito -, l'art. 48, comma 1, impugnato, violerebbe altresi',  ad
avviso della ricorrente, gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto  che,
rispettivamente,   disciplinano:   il   procedimento   di   revisione
costituzionale  per  modificare  lo  statuto  in  via  ordinaria;  la
modifica della disciplina  finanziaria  con  legge  statale,  ma  «su
concorde  richiesta  del  Governo  e,  per   quanto   di   rispettiva
competenza, della regione o delle due  province»;  la  procedura  per
l'adozione delle norme di attuazione dello statuto. 
    Una  specifica  censura  e'  poi  rivolta  dalla  ricorrente  nei
confronti del secondo periodo dell'art. 48, comma 1, che  demanda  ad
un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le modalita' di
individuazione del maggiore gettito.  Oltre  ad  essere  affetta  dai
medesimi vizi  che  caratterizzerebbero  il  periodo  precedente,  la
disposizione  sarebbe  in  contrasto  con  il  principio   di   leale
collaborazione, in quanto, in  una  materia  dominata  dal  principio
consensuale, prevede un decreto  ministeriale  senza  intesa  con  la
Provincia autonoma di Trento. 
    L'impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola di
salvaguardia», rinviando  alle  norme  di  attuazione  degli  statuti
speciali di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione
delle modalita' di applicazione del decreto-legge e  i  suoi  effetti
finanziari per le Regioni a statuto speciale e le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano, stabilendo  peraltro  che  restano  ferme  le
disposizioni previste dagli artt. 13, 14 e  28,  nonche'  quelle  del
medesimo art. 48 (comma 1). 
    A parte la difficolta' di individuare un contenuto alle norme  di
attuazione   ivi   prefigurate,   la   ricorrente    argomenta    per
l'illegittimita' costituzionale anche di tale disposizione, in quanto
non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il contenuto  delle
norme di attuazione dello Statuto. 
    2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato,  in  data
11  maggio  2012,  e  dunque  fuori  termine,  una  propria  memoria,
argomentando per l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. 
    2.3.- In prossimita' dell'udienza  pubblica  fissata  per  il  29
gennaio 2014, la Provincia autonoma di Trento ha depositato, in  data
7 gennaio 2014, una memoria, nella quale reitera le  censure  rivolte
agli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201  del  2011,  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. 
    Riguardo all'art. 28, comma 3,  la  ricorrente  sostiene  che  la
fondatezza delle censure sollevate sarebbe avvalorata dalle  sentenze
n. 118 del 2012 e  n.  241  del  2012  di  questa  Corte,  che  hanno
confermato l'importanza del principio pattizio nei  rapporti  tra  lo
Stato e le Regioni speciali in materia finanziaria. 
    Riguardo all'art. 48, la ricorrente rileva  che  l'illegittimita'
costituzionale delle «riserve all'erario»  sarebbe  confermata  dalle
sentenze n. 142 e n. 241 del  2012,  che  hanno  accolto  le  censure
relative,  rispettivamente,  alla  riserva  allo  Stato  del  gettito
dell'addizionale  erariale  sulla  tassa  automobilistica  e  ad  una
riserva integrale di entrate  erariali  avente  analoga  destinazione
rispetto a quella oggetto di impugnazione. 
    2.4.- La Provincia autonoma di Trento, in data 28  gennaio  2015,
ha depositato il proprio  atto  di  rinuncia  all'impugnazione  degli
artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.  In
data 24 febbraio 2015 la medesima Provincia  autonoma  ha  depositato
altresi', la delibera con cui il Consiglio provinciale di Trento,  il
3 febbraio  2015,  ha  ratificato  la  delibera  con  cui  la  Giunta
rinunciava al ricorso. 
    2.5.- Con memoria depositata il 19  febbraio  2015,  l'Avvocatura
generale dello Stato, sulla base della  delibera  del  Consiglio  dei
ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del
Presidente del Consiglio dei ministri, la  rinuncia  al  giudizio  da
parte della Provincia autonoma di Trento. 
    3.-  Con  ricorso  notificato  in  data  23-28  febbraio  2012  e
depositato il successivo 29 febbraio 2012 (ric. n. 38 del  2012),  la
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha  promosso  questioni
di legittimita' costituzionale, tra l'altro, degli artt. 28, comma 3,
e 48 del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del  2011,  per  violazione:
nel  caso  della  prima  disposizione,   del   principio   di   leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., degli artt. 2,  comma
1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12,  48-bis  e  50  dello
statuto speciale della Regione Valle d'Aosta (legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4) e della relativa normativa di attuazione di  cui
agli artt. da 2 a 7 della legge 26 novembre 1981, n.  690  (Revisione
dell'ordinamento finanziario della regione  Valle  d'Aosta),  nonche'
del principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.;  nel  caso
della seconda disposizione, degli artt. 3, comma 1, lettera  f),  12,
48-bis e 50 del medesimo statuto e delle relative norme di attuazione
- in particolare, dell'art. 8 della legge n. 690 del 1981  -  nonche'
del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    3.1.- Ad avviso della ricorrente, il censurato art. 28, comma  3,
che  definisce  unilateralmente  la  misura  puntuale  delle  entita'
finanziarie cui sono tenute le singole autonomie speciali, aggiuntive
rispetto a  quelle  gia'  stabilite  dalla  legislazione  vigente,  e
altresi', senza alcun criterio di proporzionalita', la quota gravante
sui Comuni ricadenti nei territori delle Regioni a statuto  speciale,
sarebbe  manifestamente  illegittimo  per  violazione  del  principio
costituzionale di leale collaborazione, di cui agli  artt.  5  e  120
Cost.,  e  quindi  della  particolare  autonomia   finanziaria,   sia
regionale  che  locale,  di  cui  gode  la  Regione  autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, alla luce degli artt. 2, comma 1, lettere  a)
e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 del suo statuto e della
relativa  normativa  di  attuazione,  in  base  a  cui   occorrerebbe
privilegiare, nei rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  la  Regione
autonoma,  il  metodo  dell'accordo.  Dello  strumento  preferenziale
dell'accordo, che in base alla giurisprudenza costituzionale  sarebbe
da ritenersi espressione della particolare autonomia  finanziaria  di
cui godono le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 74 del 2009; n.
82 del  2007;  n.  353  del  2004),  non  vi  sarebbe  traccia  nella
disposizione impugnata. 
    L'impugnato art. 28, comma 3, sarebbe in contrasto  altresi'  con
il  principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3   Cost.,   in
particolare laddove  determina  la  misura  puntuale  del  contributo
dovuto dalla Regione e dai Comuni del suo  territorio  a  prescindere
dalla necessaria preventiva enunciazione dei criteri sulla  cui  base
l'individuazione e' stata fatta. 
    La ricorrente evidenzia poi  che  la  lesione  delle  prerogative
regionali  deriverebbe  dal  fatto  che  la  disposizione   impugnata
determina  immediatamente  l'accantonamento   delle   risorse   cosi'
individuate, e quindi una riduzione delle quote di partecipazione  ai
tributi erariali, ponendosi percio' in contrasto con la normativa  di
attuazione di cui agli articoli da 2 a 7 della legge n. 690 del 1981,
cui sarebbe  riservata  la  disciplina  relativa  alle  modalita'  di
compartecipazione regionale ai tributi erariali, e che  non  potrebbe
essere  modificata  con  legge  ordinaria:  quest'ultima   normativa,
adottata previo accordo con la Giunta regionale  ai  sensi  dell'art.
50,  comma  5,   dello   statuto   della   Regione   autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  rientrerebbe   nel   novero   delle   norme
modificabili esclusivamente con il particolare procedimento  previsto
dall'art. 48-bis dello statuto (decreti legislativi elaborati da  una
commissione paritetica e sottoposti al parere del Consiglio  stesso),
richiamato, con  specifico  riferimento  all'ordinamento  finanziario
della Regione, dall'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n.
320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della  regione  Valle
d'Aosta). 
    Quanto all'indicazione, collocata in apertura del  terzo  periodo
dell'art. 28, comma 3,  impugnato,  secondo  cui  la  disciplina  ivi
dettata  si  applicherebbe  «[f]ino  all'emanazione  delle  norme  di
attuazione» di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, la Regione
autonoma rileva come si tratterebbe di una disposizione temporalmente
illimitata, dal momento che il termine  di  trenta  mesi,  decorrenti
dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del  2009,
originariamente  previsto  per   l'adozione   della   disciplina   di
attuazione degli statuti speciali, e'  stato  abrogato  dal  comma  4
della disposizione qui considerata. 
    Ad avviso della ricorrente, anche l'art. 48 del d.l. n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge  n.  214  del  2011,  laddove  prevede  una  riserva   generale
all'erario, per cinque anni, delle  maggiori  entrate  derivanti  dal
medesimo decreto-legge,  configurerebbe  una  lesione  dell'autonomia
legislativa e finanziaria della Regione autonoma. Tale  disposizione,
infatti,  altererebbe  unilateralmente  l'assetto  finanziario  della
ricorrente e si porrebbe in contrasto con l'art. 8 della legge n. 690
del 1981, laddove dispone  che  l'ammontare  delle  maggiori  entrate
derivanti da tributi devoluti alla Regione autonoma da  riversare  al
bilancio  dello  Stato  sia   determinato   per   ciascun   esercizio
finanziario con decreto ministeriale,  «d'intesa  con  il  presidente
della giunta regionale», originando anche la lesione del principio di
leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Questi vizi, ad avviso della ricorrente,  non  sarebbero  esclusi
dal contenuto  dell'art.  48,  comma  1-bis,  impugnato,  che,  ferme
restando le disposizioni previste dagli artt.  13,  14,  28  e  dello
stesso art. 48, demanda alle norme di attuazione  statutaria  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 le modalita'  di  applicazione
del decreto-legge per le Regioni a statuto  speciale.  In  tal  modo,
infatti, il legislatore ribadirebbe la volonta' di  incidere  in  via
unilaterale sui rapporti finanziari con le autonomie speciali. 
    3.2.-  Con  atto  depositato  in  data  10  aprile  2012,  si  e'
costituito nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che il ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  o  comunque
rigettato. 
    Premesso che tutte le censure addotte nei confronti  delle  varie
disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n.  214  del  2011,  non  sarebbero
articolate in modo sufficientemente specifico - con riguardo sia alle
norme censurate e alla loro interpretazione, sia ai parametri evocati
-  e  che,  pertanto,  il   ricorso   risulterebbe   complessivamente
inammissibile, nel merito, con specifico riguardo all'impugnato  art.
28,  comma  3,  la  difesa  erariale  deduce  che  quest'ultimo,  nel
determinare il contributo da versare al bilancio dello Stato,  lascia
all'autonoma determinazione delle Regioni  e  degli  enti  locali  le
modalita'  di  reperimento  di  tali  risorse.  D'altra  parte,  tale
contribuzione sarebbe inquadrata nel processo di attuazione negoziata
del  coordinamento  finanziario  Stato-autonomie  speciali,  di   cui
all'art.  27  della  legge  n.  42  del  2009,  e  il  meccanismo  di
accantonamento automatico costituirebbe una  misura  di  salvaguardia
temporanea, giustificata dall'urgenza sottesa all'intero d.l. n.  201
del 2011 e destinata a durare solo  sino  all'attuazione  del  citato
art. 27. 
    Con riguardo al censurato art. 48,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato osserva che appunto l'urgenza di conformare la finanza pubblica
agli obblighi assunti in sede  europea  giustifica  la  riserva  allo
Stato  delle  maggiori  entrate   di   natura   erariale,   derivanti
dall'applicazione dello stesso decreto-legge; e che anche  questa  e'
una  misura  temporanea,  della  quale  non  sarebbe  dimostrata   la
manifesta    eccessivita'    o    sproporzione,    ne'    l'efficacia
pregiudizievole rispetto all'equilibrio finanziario della ricorrente. 
    3.3.- L'11 giugno 2013, in prossimita' dell'udienza pubblica  del
2 luglio 2013, la ricorrente ha depositato memoria, ribadendo che  il
censurato  art.  28,   comma   3,   risulterebbe   costituzionalmente
illegittimo in  quanto  stabilisce  unilateralmente  il  criterio  di
quantificazione dell'entita' del contributo dovuto, in violazione del
principio consensuale che deve presiedere alla  regolamentazione  dei
rapporti finanziari tra  lo  Stato  e  la  Regione,  a  tutela  della
specialita', anche finanziaria,  dell'ente  autonomo.  La  ricorrente
reitera anche le censure sull'art.  48  del  medesimo  decreto-legge,
riaffermando di  essere  titolare  di  un  interesse  processuale  al
ricorso giustificato dal fatto che la norma  censurata  comporta  una
minore entrata rispetto al  gettito  che  sarebbe  spettato,  in  sua
assenza, alla Regione. Nel merito, rileva che si tratterebbe  di  una
riserva di risorse in favore dell'erario  ampia,  generica  e  lesiva
dell'autonomia finanziaria delle Regioni speciali, contrastante con i
presupposti di cui all'art. 8  della  legge  n.  690  del  1981,  dal
momento che i relativi proventi non sono destinati alla copertura  di
nuovi o maggiori spese e che la loro determinazione non e'  stabilita
di intesa con la Regione. L'esclusione di tale riserva, disposta  per
un  periodo  di  cinque  anni  e  dunque   non   qualificabile   come
transitoria,  dall'ambito  di  applicazione  del  meccanismo  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, percio',  determinerebbe  una
violazione dell'autonomia finanziaria della  Regione  autonoma  della
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, garantita dagli 3, comma 1, lettera f),
12, 48-bis e 50, comma 5, del suo statuto. 
    4.- Con ricorso notificato in data 25 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 1°  marzo  (reg.  ric.  n.  39  del  2012)  la  Regione
siciliana ha promosso questioni di legittimita'  costituzionale,  tra
l'altro, degli artt. 28, commi 2, 3, 6, 7, 8, 9 e 10, e 48  del  d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge n. 214 del 2011, in  riferimento  agli  artt.  17,  primo
comma, lettera b), 36, 37 e 43 dello statuto della Regione  siciliana
(approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946,  n.  455,
convertito in legge  costituzionale  dalla  legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 2); all'art. 2 delle relative norme  di  attuazione
in materia finanziaria (si intende  quelle  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 26 luglio  1965,  n.  1074);  nonche'  al
principio di leale collaborazione. 
    4.1.- Una prima censura, riferita agli artt. 28 e 48 - oltre  che
agli artt. 13 e 14 - del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, si fonderebbe  sul  fatto
che tali disposizioni siano immediatamente applicabili  alla  Regione
siciliana, senza il previo espletamento delle modalita' attuative  di
cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, per  espressa  previsione
dell'art.  48,  comma  1-bis,  del  decreto-legge   impugnato.   Esse
darebbero  origine  a  una  violazione  dell'art.  43  dello  statuto
siciliano,  laddove  demanda  ad  una   commissione   paritetica   la
determinazione delle norme di attuazione dello statuto;  nonche'  del
principio di leale collaborazione, del  quale  le  procedure  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, con la previsione del  tavolo
di confronto per il  coordinamento  della  finanza  delle  Regioni  a
statuto speciale e delle Province autonome, sarebbero espressione. Ad
avviso della  ricorrente,  lo  Stato  avrebbe  dovuto  concordare  le
modalita' applicative dei censurati artt. 13, 14, 28 e 48 nell'ambito
di tale tavolo di confronto,  cosi'  conformandosi  alle  indicazioni
provenienti  dalla  giurisprudenza  costituzionale,   che   in   piu'
occasioni  ha  evidenziato  il  rilievo  del   principio   di   leale
collaborazione. 
    Una seconda censura riguarda, ad avviso della ricorrente, i commi
2  e  3  del  citato  art.  28,  laddove  prevedono   che   l'aumento
dell'aliquota di base dell'addizionale IRPEF - elevata, a  norma  del
comma  1  dello  stesso  art.  28,  dallo  0,9  all'1,23  per   cento
retroattivamente dall'anno 2011 - si applica  anche  alle  Regioni  a
statuto  speciale,  compresa  la  ricorrente,  ma  non  destinano  il
conseguente aumento di gettito a quest'ultima, bensi' rideterminano a
vantaggio dell'erario il Fondo sanitario nazionale, per assicurare da
parte della Regione siciliana l'apporto di cui al censurato comma  3.
In tal  modo,  la  contribuzione  statale  necessaria  a  coprire  il
fabbisogno sanitario regionale sarebbe stata  ulteriormente  ridotta,
sino a essere annullata, senza il rispetto  delle  procedure  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi,  senza  considerare
le peculiari esigenze  della  Regione.  Tale  intervento  legislativo
contrasterebbe con il principio di leale collaborazione, in quanto la
riduzione  dello  stanziamento  avrebbe  dovuto  essere   determinata
quantomeno sentita la Regione; degli artt. 36 e 37  dello  statuto  e
dell'art. 2 delle relative norme di attuazione (di cui al  d.P.R.  n.
1074 del 1965), che delineano l'autonomia finanziaria della  Regione;
nonche' dell'art. 17, primo comma, lettera  b),  dello  statuto,  che
assegna alla Regione la competenza legislativa concorrente in materia
sanitaria. 
    Una terza censura e' riferita al comma 6 del censurato  art.  28,
che si ritiene violi i gia' ricordati artt. 36  e  17,  primo  comma,
lettera b), dello statuto e art. 2 delle relative norme di attuazione
(di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965). 
    La disposizione aggiunge un  periodo,  del  medesimo  tenore,  ai
commi 4 e 5 dell'art. 77-quater del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133. In particolare, a seguito di tale novella, il  comma  5  risulta
cosi' formulato:  «Alla  Regione  siciliana  sono  erogate  le  somme
spettanti a  titolo  di  Fondo  sanitario  nazionale,  quale  risulta
dall'Intesa espressa, ai sensi delle norme vigenti, dalla  Conferenza
permanente per i rapporti fra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome  di  Trento  e   di   Bolzano   sulla   ripartizione   delle
disponibilita' finanziarie complessive destinate al finanziamento del
Servizio sanitario nazionale, previo  accantonamento  di  un  importo
corrispondente alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno
sanitario condizionata alla verifica degli adempimenti regionali,  ai
sensi  della  legislazione  vigente.  Le  risorse  corrispondenti  al
predetto  importo,  condizionate   alla   verifica   positiva   degli
adempimenti regionali, rimangono accantonate in  bilancio  fino  alla
realizzazione  delle  condizioni  che,   ai   sensi   della   vigente
legislazione, ne consentono l'erogabilita' alle  regioni  e  comunque
per un periodo non superiore al quinto anno successivo  a  quello  di
iscrizione in bilancio». 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  l'aggiunta  dell'ultimo  periodo,
subordinando  l'erogazione  alla  Regione  siciliana  delle   risorse
destinate al finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  alla
verifica positiva  degli  adempimenti  regionali,  sottrarrebbe  alla
Regione  medesima  l'immediata  disponibilita'   delle   risorse   in
questione, per un periodo massimo di un quinquennio. 
    Una quarta censura riguarda,  infine,  i  commi  7,  8,  9  e  10
dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione del
principio di leale collaborazione. Sostiene infatti la ricorrente che
le suddette disposizioni, riducendo il finanziamento dello Stato agli
enti locali siciliani, in  misura  proporzionale  alla  distribuzione
territoriale dell'imposta municipale propria (IMU) di cui all'art. 13
dello stesso d.l. n. 201 del 2011, determinerebbero  una  diminuzione
di fondi il cui importo non e' stato previamente quantificato  e  che
non  terrebbe  in  alcuna  considerazione  le  peculiari   condizioni
economiche della Regione siciliana e dei suoi enti locali. 
    4.2.- Con atto depositato in data 8 maggio 2012,  fuori  termine,
si e'  costituito  nel  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le censure dedotte, tra l'altro,  contro  l'art.
28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, siano dichiarate infondate. 
    Premesso   che   l'intero   decreto-legge    impugnato    sarebbe
riconducibile  all'armonizzazione   dei   bilanci   pubblici   e   al
coordinamento delle pubbliche finanze, anche  nella  prospettiva  del
rispetto degli obblighi comunitari, la difesa erariale, con  riguardo
all'art. 28, osserva che la determinazione del  contributo  richiesto
alle Regioni a statuto speciale non entra nel merito delle scelte sul
reperimento di tali risorse; che l'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965
consente  di  riservare  all'erario  l'incremento  di  gettito  delle
imposte riscosse nel territorio regionale, per far fronte a  esigenze
specifiche  e  contingenti,  come  quelle  di  carattere  finanziario
risultanti dal censurato art. 48; che il comma 1-bis di tale articolo
prevede una norma di salvaguardia per le Regioni a statuto  speciale;
che lo stesso art.  28,  censurato,  richiama  le  procedure  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009; che in tale contesto andrebbe
inquadrato anche il comma 3 del citato art. 28, in virtu' del  quale,
per la Regione siciliana, il maggior gettito  derivante  dall'aumento
dell'addizionale IRPEF finanzierebbe  una  parte  della  quota  della
spesa sanitaria ancora a carico dello Stato. 
    5.- Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 1° marzo (reg. ric. 40 del 2012) la Provincia  autonoma
di Bolzano ha promosso questioni di legittimita' costituzionale,  tra
l'altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, per violazione del Titolo VI, e, in particolare,  degli
artt. 75, 79, 80, 81, 82 e 83, nonche' degli artt. 103, 104 e 107 del
decreto del Presidente  della  Repubblica  31  agosto  1972,  n.  670
(Statuto  speciale  per  il   Trentino-Alto   Adige);   del   decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra  atti
legislativi statali e  leggi  regionali  e  provinciali,  nonche'  la
potesta' statale di indirizzo e coordinamento), degli artt. 9,  10  e
10-bis, del decreto legislativo 16  marzo  1992,  n.  268  (Norme  di
attuazione dello statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  in
materia di finanza regionale e provinciale); dell'art. 2, comma  108,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2010),  nonche'  dei  principi   di   ragionevolezza   e   di   leale
collaborazione. 
    5.1.- La Provincia autonoma di Bolzano censura l'art.  28,  comma
3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento  all'art.  79
dello statuto speciale. 
    Ad avviso della ricorrente, infatti, la  disposizione  impugnata,
prevedendo un ulteriore concorso alla riduzione della spesa pubblica,
solo a carico delle autonomie speciali - dopo le misure gia'  assunte
in precedenti decreti-legge  adottati  nel  2010  e  nel  2011  -  si
porrebbe in contrasto con l'art. 79 dello statuto speciale, che  gia'
disciplina il concorso  della  Provincia  autonoma  al  conseguimento
degli obiettivi di perequazione e di  solidarieta',  all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  disposte   dalla   normativa
statale. 
    La Provincia autonoma di Bolzano dubita  poi  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,  in
riferimento agli artt.  75  e  79  dello  statuto  speciale  e  delle
relative norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 268 del
1992, oltre che con l'art. 2, comma 108, della legge n. 191 del 2009. 
    Dopo  aver  ricordato  il  contenuto  dei   commi   1   e   1-bis
dell'impugnato art. 48, sottolineando che esso e' diretto a riservare
al bilancio dello Stato il maggior gettito derivante  dalle  maggiori
entrate tributarie previste dal decreto-legge, introducendo  apposite
modalita' di contabilizzazione delle stesse, la ricorrente sintetizza
la disciplina contenuta nei  parametri  invocati,  che,  all'art.  75
dello statuto speciale riconosce  alle  Province  autonome  quote  di
compartecipazione al gettito delle  entrate  tributarie  dello  Stato
percette nei  relativi  territori;  nella  normativa  di  attuazione,
individua tassativamente le  ipotesi  di  riserva  allo  Stato  delle
entrate tributarie  erariali;  all'art.  79  dello  statuto  speciale
definisce in modo completo ed esaustivo i termini e le modalita'  del
concorso delle Province autonome  al  conseguimento  degli  obiettivi
stabiliti  dalla   normativa   statale.   Quest'ultima   disposizione
stabilisce  altresi'  che  tali  misure  possono  essere   modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 dello  statuto
speciale, in ossequio della  quale  e'  stato  in  effetti  approvato
l'art. 2, comma 108, della legge n. 191 del 2009. 
    5.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, in data 4
aprile 2012, una propria memoria, argomentando per l'infondatezza del
ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare, si sostiene che  le
norme impugnate non  si  porrebbero  in  contrasto  con  i  parametri
statutari invocati, perche' si richiamerebbero alle procedure di  cui
all'art.  27  della  legge  n.  42  del  2009  e  perche'   sarebbero
giustificate dalla  necessita'  di  fronteggiare  temporaneamente  la
difficile situazione economica in cui versa il Paese, allo  scopo  di
raggiungere nei tempi concordati in sede comunitaria gli obiettivi di
finanza pubblica imposti a livello europeo. 
    5.3.-  In  prossimita'  dell'udienza   pubblica   originariamente
fissata per il 6 novembre  2012,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ed intervenuto in giudizio, ha depositato, in data 16  ottobre
2012, una propria memoria. 
    Riguardo all'art. 28, comma 3, la difesa statale  rileva  che  la
disposizione non entrerebbe nel merito delle modalita' di reperimento
delle risorse attraverso cui la  Provincia  autonoma  e'  chiamata  a
concorrere  al  risanamento  dei  conti  pubblici  e,  pertanto,  non
potrebbe ritenersi lesiva delle prerogative provinciali in materia di
destinazione delle risorse finanziarie  provenienti  dal  territorio:
verrebbe  predeterminata  solo  l'entita'  della  somma  da  versare,
lasciandosi all'accordo tra  la  Provincia  autonoma  e  il  Ministro
dell'economia i criteri  del  riparto  interno.  Sottolinea  poi  che
l'ordinamento  finanziario  delle  autonomie   speciali,   per   come
disciplinato  dagli  statuti  speciali  e  dalle  relative  norme  di
attuazione, prevedrebbe  la  possibilita'  di  riservare  allo  Stato
l'incremento di gettito delle imposte riscosse nel  territorio  delle
Regioni, disposto dalla legge statale per  far  fronte  a  specifiche
esigenze, in particolare, per le autonomie  speciali,  attraverso  le
procedure  previste  dall'art.  27  della  legge  n.  42  del   2009.
Spetterebbe alla  ricorrente,  percio',  provare  l'invocata  lesione
all'equilibrio finanziario regionale,  dimostrando  che  l'intervento
normativo  in  questione  abbia  dato   luogo   a   una   complessiva
insufficienza dei mezzi finanziari  a  disposizione  della  Provincia
autonoma per l'adempimento dei propri compiti (sentenze  n.  145  del
2008 e n. 431 del 2004). 
    Relativamente all'art. 48, la difesa statale reputa adeguatamente
giustificate le ragioni della destinazione, temporanea,  del  maggior
gettito  esclusivamente  allo  Stato,  consistenti   nelle   esigenze
prioritarie del «pareggio di bilancio» e nella riduzione  del  debito
in un periodo di  eccezionale  gravita'  della  situazione  economica
interna. E si richiama all'art. 48, comma  1-bis,  del  decreto-legge
impugnato, che porrebbe una precisa clausola  di  salvaguardia  delle
Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, che a suo avviso  sarebbe  applicabile  anche  all'art.  48,
comma 1. 
    5.4.- In data 15 ottobre 2012 la Provincia autonoma di Bolzano ha
depositato   una   propria   memoria   nella   quale   insiste    per
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate. 
    Oltre a ribadire le ragioni del ricorso,  la  Provincia  autonoma
evidenzia che il rinvio, contenuto nell'art. 28 del d.l. n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011, alla procedura di cui all'art. 27 della  legge
n.  42  del  2009  non  sarebbe  idoneo  a  superare  il  profilo  di
incostituzionalita', in  quanto  tale  rinvio  risulterebbe  svuotato
dalla immediata previsione di una nuova misura  di  compartecipazione
al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica  -  unilaterale,
puntuale  e  stabile,  e  dunque  non  rientrante  nella   competenza
concorrente in materia di finanza pubblica -  posta  a  carico  della
Provincia   autonoma,   con   conseguente    immediata    alterazione
dell'assetto  delineato  dall'art.  79  dello  statuto  speciale.  La
sostanziale   inconsistenza   del   rinvio   suddetto   sarebbe   poi
ulteriormente vanificato dal fatto che l'art. 48,  comma  1-bis,  del
decreto-legge  impugnato  fa  espressamente   salve   le   previsioni
dell'art. 28 dalla clausola di salvaguardia in cui si stabilisce  che
le  modalita'  di  applicazione  e   gli   effetti   finanziari   del
decreto-legge siano definiti con le norme di attuazione statutaria di
cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009. 
    Riguardo  poi  all'art.  48  del  decreto-legge   impugnato,   la
Provincia  autonoma  ribadisce  come  tale   articolo,   nell'imporre
indiscriminatamente che siano destinate allo Stato tutte le  maggiori
entrate da esso derivanti, contrasterebbe frontalmente con l'art.  75
dello statuto speciale, il quale stabilisce che siano attribuite alle
Province autonome di Trento e di Bolzano i nove decimi  di  tutte  le
entrate  tributarie   erariali,   dirette   o   indirette,   comunque
denominate,  diverse  da  quelle  espressamente  indicate   in   tale
articolo.  Ne'  sarebbero  invocabili  l'eccezionale  gravita'  della
situazione economica o la natura transitoria della destinazione, alla
luce del carattere  tassativo  del  sistema  pattizio  nel  delineare
l'autonomia finanziaria delle Regioni  a  statuto  speciale  e  delle
Province autonome (sentenza n. 133 del 2010). 
    5.5.- La Provincia autonoma di Bolzano, in data 21 gennaio  2015,
ha depositato il proprio  atto  di  rinuncia  all'impugnazione  degli
artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. 
    5.6.- Con memoria depositata il 19  febbraio  2015,  l'Avvocatura
generale dello Stato, sulla base della  delibera  del  Consiglio  dei
ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del
Presidente del Consiglio dei ministri, la  rinuncia  al  giudizio  da
parte della Provincia autonoma di Bolzano. 
    6.- Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 2 marzo (reg. ric. 47 del  2012)  la  Regione  autonoma
Sardegna ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale,  tra
l'altro, degli artt. 28, commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter, e 48 del d.l.  n.
201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7  e
8 dello statuto  della  Regione  Sardegna  (legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3), nonche' degli artt. 3, 116, 117 e 119 Cost. 
    6.1.- Quale premessa generale a tutte le censure svolte contro le
singole disposizioni del decreto-legge impugnato, la Regione richiama
l'attenzione sull'art. 8 del proprio  statuto,  come  modificato,  in
applicazione dell'art. 54, comma 5, dello stesso  statuto,  dall'art.
1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2007): tale revisione ha determinato rilevanti  modifiche
al sistema delle entrate regionali, per consentire alla ricorrente di
assolvere ai propri compiti  istituzionali;  ma  essa  non  e'  stata
correttamente  attuata  da  parte  dello  Stato,  con  grave   vulnus
all'autonomia regionale. 
    6.1.1.- L'art. 28 del d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  214  del  2011,
fissa un ulteriore  concorso  delle  Regioni  speciali  alla  finanza
pubblica, stabilendo - senza alcuna intesa o forma di cooperazione  -
che, fino all'emanazione delle norme  di  attuazione  degli  statuti,
come richiamate anche dall'art.  27  della  legge  n.  42  del  2009,
ciascuna Regione, in misura proporzionale alla  media  degli  impegni
nel   triennio   2007-2009,   sopporti   questi   oneri    attraverso
l'accantonamento delle somme corrispondenti a valere sulle  quote  di
compartecipazione ai tributi erariali. Cosi' facendo, ad avviso della
ricorrente, il legislatore sarebbe incorso in una duplice  violazione
dell'art. 8 dello statuto della Sardegna: il contributo della Regione
sarebbe equiparato a quello delle altre autonomie  speciali,  benche'
proprio la citata modifica del  parametro  statutario,  disposta  nel
2006,  attesti  la  particolare  necessita'  di  adeguare  il  quadro
normativo  regionale  alla  mutata   realta'   economico-finanziaria;
inoltre, incorrendo  in  una  contraddizione  intrinseca  censurabile
anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3
Cost.,  sarebbero  stati  fissati  obiettivi  di   finanza   pubblica
incoerenti con la novella statutaria. 
    Sarebbero violati anche gli artt. 117 e 119  Cost.,  ed  altresi'
gli artt. 3, 4 e 5, nonche' 7 e 8 dello statuto della  Sardegna  -  i
quali, rispettivamente, enumerano  le  competenze  legislative  della
Regione e garantiscono la sua autonomia finanziaria,  anche  mediante
specifiche entrate tributarie e patrimoniali - giacche', in  mancanza
di una completa e corretta attuazione del citato art.  8,  l'aggravio
degli oneri finanziari impedirebbe alla Regione e  agli  enti  locali
del suo territorio di adempiere alle proprie  funzioni  senza  essere
condizionati  da  "vincoli  eterodeterminati"  e  irragionevoli.   E'
richiamato, al riguardo, il principio, affermato nella giurisprudenza
costituzionale (sentenza n. 245 del 1984), che vieterebbe di  imporre
alle Regioni oneri senza corrispondente attribuzione  di  risorse:  a
maggior  ragione,  visto  che,   contestualmente   alla   riscrittura
dell'art. 8 dello statuto sardo, lo stesso legislatore  statale,  con
l'art. 1, commi 836 e 837, della  legge  n.  296  del  2006,  avrebbe
ulteriormente ampliato il catalogo delle funzioni  pubbliche  che  la
Regione e' tenuta a finanziare. 
    Ancora gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8  dello  statuto  della  Sardegna,
nonche' gli artt. 116,  117  e  119  Cost.,  anche  in  relazione  al
principio di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  Cost.,  sarebbero
violati  in  quanto  l'art.   28   impugnato   avrebbe   creato   uno
"pseudo-comparto",  composto  dalle  autonomie  regionali   speciali,
accomunando in un'unica voce realta' diverse sia in punto  di  fatto,
per la localizzazione geografica, condizione di  sviluppo  economico,
popolazione residente, sia in punto di diritto, per il diverso regime
di compartecipazione alle entrate erariali fissato per  ciascun  ente
dal rispettivo statuto. 
    Per questo specifico profilo, la  ricorrente  specifica  poi  che
l'ultimo periodo dell'art. 28, comma 3, impugnato, laddove stabilisce
che «Per la Regione Siciliana si tiene conto  della  rideterminazione
del fondo sanitario nazionale», violerebbe l'art. 3 Cost., sia  sotto
il profilo del principio d'eguaglianza,  sia  sotto  il  profilo  del
principio di ragionevolezza, oltre all'art.  7  dello  statuto  della
Sardegna, che ne  tutela  l'autonomia  finanziaria,  e  all'art.  119
Cost.: si sarebbe imposto alla Sardegna, assieme alle altre autonomie
speciali (ma non anche alle Regioni ordinarie), di farsi  carico  pro
parte della spesa sanitaria della Regione siciliana. 
    6.1.2.- In contrasto con l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del
principio d'eguaglianza,  sia  sotto  il  profilo  del  principio  di
ragionevolezza, e con l'art.  7  dello  statuto  della  Sardegna,  si
porrebbero anche - sempre ad avviso della ricorrente - i commi 7 e  8
dell'impugnato art. 28. 
    Essi  dispongono  una  riduzione  rispettivamente  pari  a  1.450
milioni di euro e di 415 milioni di euro, per il 2012 e per gli  anni
successivi, da un lato, del fondo sperimentale di riequilibrio e  del
fondo perequativo di cui agli artt. 2 e 13 del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in  materia  di  federalismo  fiscale
municipale) e dei  trasferimenti  erariali  dovuti  ai  Comuni  della
Regione  siciliana  e  della   Regione   autonoma   della   Sardegna;
dall'altro, del  fondo  sperimentale  di  riequilibrio  e  del  fondo
perequativo di cui agli artt. 21  e  23  del  decreto  legislativo  6
maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata
delle regioni a  statuto  ordinario  e  delle  province,  nonche'  di
determinazione dei  costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel  settore
sanitario) e dei trasferimenti erariali dovuti  alle  Province  della
Regione siciliana e della Regione autonoma della Sardegna. 
    La ricorrente sottolinea che in tal modo il  legislatore  statale
avrebbe introdotto una misura  che  graverebbe  soltanto  sugli  enti
locali delle due Regioni, senza che tale  limitazione  sia  legata  a
specifici elementi o a parametri obiettivi. Sarebbero dunque  violati
gli stessi parametri in relazione ai quali sono censurati  gli  artt.
13 e 14, comma 13-bis, del  decreto-legge  impugnato,  e  dunque  gli
artt. 3, 5, 117 e 119  Cost.,  nonche'  gli  artt.  3,  comma  primo,
lettera b), 7 e 8  dello  statuto  della  Sardegna:  in  particolare,
l'art. 3 Cost., sotto  il  profilo  dei  principi  di  eguaglianza  e
ragionevolezza, in relazione all'art. 7 dello statuto della Sardegna,
che tutela l'autonomia finanziaria della Regione, pregiudicata  anche
dalla necessita' per la stessa Regione  autonoma  di  sovvenire  agli
enti locali depauperati dalla misura in questione. 
    6.1.3.- Una specifica censura e'  poi  rivolta  al  comma  11-ter
dell'impugnato  art.  28,  in  cui  si  prevede  che  «[a]l  fine  di
potenziare il coordinamento della  finanza  pubblica  e'  avviata  la
ridefinizione delle regole del patto di  stabilita'  interno»,  senza
tenere conto, ad avviso della ricorrente, del principio  dell'accordo
con le Regioni e senza prevedere alcun contraddittorio con esse. 
    Sarebbero in tal modo violati il principio di  ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost., il principio di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 5 Cost. e all'intero Titolo V della parte seconda  Cost.,  e
in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e  l'art.  7  dello  statuto
della  Sardegna,  tenuto  conto  anche  della  rilevanza  del  metodo
dell'accordo, affermata altresi' nella giurisprudenza  costituzionale
con la sentenza n. 82 del 2007. 
    Gli art. 3 e 117 Cost., nonche' gli artt. 3, comma primo, lettera
b), e 7 dello statuto della Sardegna sarebbero altresi' violati dalla
norma in questione, giacche' la declinazione per gli enti locali  del
patto di stabilita' interno non potrebbe prescindere da un intervento
regolativo  delle  Regioni  e,  specialmente,  di  quelle  a  statuto
speciale, come riconosciuto dallo stesso legislatore statale mediante
la cosiddetta territorializzazione del patto di stabilita'  prevista,
tra l'altro, all'art. 1, comma 141, della legge 13 dicembre 2010,  n.
220  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato -  legge  di  stabilita'  2011),  nonche'  in
analoghe disposizioni anteriori. 
    6.1.4.- La Regione dubita poi della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  in  riferimento
agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e degli artt. 3,  117  e  119
Cost. 
    Nel riservare allo Stato le maggiori entrate  erariali  derivanti
dall'impugnato  decreto-legge,   infatti,   l'art.   48,   comma   1,
acquisirebbe alla disponibilita' dello Stato  maggiori  entrate  che,
almeno in notevole misura, dovrebbero essere di spettanza  regionale,
in violazione dei principi affermati, proprio  con  riferimento  alla
Regione autonoma Sardegna, dalla sentenza n. 198 del 1999. Cio'  vale
in particolare per le maggiori entrate derivanti da  diverse  misure,
previste nel d.l. n. 201 del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per  il  contrasto
dell'evasione  fiscale:   ad   avviso   della   ricorrente,   sarebbe
paradossale che la Regione subisse  la  diminuzione  di  entrate  cui
avrebbe avuto diritto, se le somme dovute fossero state  regolarmente
versate.  Inoltre,  poiche'  l'attuale  regime  delle  risorse  della
Regione  e'  stato  riconosciuto  come  insufficiente  attraverso  la
richiamata revisione dell'art. 8 dello statuto, riservare allo  Stato
entrate che dovrebbero sopperire a tali  insufficienze  comporterebbe
una violazione, oltre che della disposizione appena citata, dell'art.
7 dello statuto della Sardegna, degli artt. 117 e  119  Cost.  e  del
principio di ragionevolezza, di cui  all'art.  3  Cost.  Inoltre,  la
censurata riserva sarebbe prevista per un periodo  di  tempo  (cinque
anni),  ad  avviso  della  ricorrente,  "lunghissimo",  ne'   sarebbe
previsto uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio imposto
alla Regione. 
    La  disposizione  di  cui   all'art.   48,   comma   1-bis,   del
decreto-legge impugnato non sarebbe idonea ad  escludere  i  vizi  di
legittimita' costituzionale ipotizzati, visto  che  rinvia  a  future
determinazioni, da adottarsi ai sensi dell'art. 27 della legge n.  42
del 2009, solo le modalita' di applicazione e gli effetti  finanziari
del decreto-legge, senza prevedere che la Regione possa fruire  della
quota di compartecipazione che le spetterebbe in  applicazione  delle
norme statutarie. 
    6.2.- Con atto depositato in data 4 aprile 2012, si e' costituito
nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  il
ricorso sia dichiarato inammissibile o  infondato  o,  comunque,  sia
rigettato. 
    Premesso che, in generale, le misure previste nel d.l. n. 201 del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011, tendono a contenere il deficit di bilancio, in
un momento  particolarmente  difficile  per  la  tenuta  del  sistema
finanziario italiano, in assolvimento anche degli obblighi  derivanti
dall'ordinamento europeo, e appaiono riconducibili all'armonizzazione
dei bilanci pubblici e al coordinamento della finanza  pubblica,  con
particolare  riguardo  al  censurato  art.  28,  la  difesa  erariale
sottolinea  che   le   prerogative   regionali   sono   salvaguardate
dall'assenza di vincoli in merito al  reperimento  delle  risorse  da
versare allo Stato e  dalla  prevista  necessita'  che  gli  obblighi
relativi al patto di stabilita', con riguardo ai saldi di bilancio da
conseguire, e segnatamente  i  criteri  di  riparto  della  somma  da
versare, siano concordati  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze. 
    L'ordinamento  finanziario  delle  Regioni  a  statuto   speciale
consentirebbe la riserva all'erario  dell'incremento  di  gettito  di
imposte riscosse nei territori regionali, per far fronte  a  esigenze
specifiche e  contingenti.  Dal  canto  suo,  il  censurato  art.  28
richiama le previsioni dell'art. 27 della legge n. 42  del  2009,  in
merito al concorso di tali enti al conseguimento degli  obiettivi  di
finanza   pubblica.   Proprio   la   necessita'    di    fronteggiare
temporaneamente la difficile situazione finanziaria sorreggerebbe  la
previsione  di  cui  al  comma  6  del  citato  art.  28,  in  merito
all'accantonamento di somme destinate al finanziamento del fabbisogno
sanitario, e quelle di cui ai successivi commi da 7 a 10,  in  merito
alla riduzione di alcuni tradizionali trasferimenti erariali. 
    Analoga giustificazione varrebbe per il censurato art. 48, il cui
comma 1-bis conterrebbe comunque una clausola di salvaguardia  idonea
a garantire che l'attuazione  del  precedente  comma  1  avvenga  nel
rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione. 
    6.3.- In data 16  ottobre  2012,  in  prossimita'  delle  udienze
pubbliche fissate per il 6 e 7 novembre  2012,  la  Regione  autonoma
Sardegna ha depositato due memorie  di  identico  contenuto  in  cui,
insistendo nelle conclusioni gia' formulate, si  sofferma  su  alcuni
principi affermati nella piu' recente giurisprudenza costituzionale e
replica a talune argomentazioni presenti  nell'atto  di  costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Pur  riconoscendo  la  difficile  congiuntura   e   la   delicata
situazione economico-finanziaria  della  Repubblica,  che  del  resto
costituiscono i presupposti, ai sensi dell'art. 77 Cost., del d.l. n.
201 del 2011, e dichiarando di non volersi  sottrarre  al  contributo
dovuto da tutti gli enti territoriali per migliorare lo  stato  della
finanza pubblica, la ricorrente  ricorda  anzitutto  come  la  stessa
giurisprudenza costituzionale, nella sentenza n. 151 del 2012,  abbia
affermato che l'emergenza finanziaria deve  essere  affrontata  dallo
Stato con rimedi consentiti dall'ordinamento  e  compatibili  con  le
garanzie di autonomia spettanti agli enti territoriali. 
    In merito al censurato art. 28, la  Regione  autonoma  sottolinea
che sia il contributo  obbligatorio,  di  cui  al  comma  3,  sia  le
riduzioni ai finanziamenti per gli enti locali, di cui ai commi 7 e 8
(da praticare secondo i criteri di cui ai  commi  9  e  10,  ritenuti
ancillari), sono previsti per tutti gli  anni  a  partire  dal  2012:
quindi, a tempo indeterminato.  Si  tratterebbe  percio'  di  vincoli
posti in via definitiva, in violazione dei principi  affermati  dalla
giurisprudenza costituzionale, che ha  ammesso  analoghe  limitazioni
soltanto in caso di vincoli stabiliti in via transitoria (oltre  alla
sentenza n. 82 del 2007, viene invocata la sentenza n. 193 del 2012). 
    La ricorrente ribadisce poi che l'art. 28, impugnato,  violerebbe
l'art. 7 dello  statuto  della  Sardegna  e  l'art.  119  Cost.,  che
tutelano l'autonomia finanziaria  della  Regione,  nonche'  l'art.  8
dello stesso statuto e il principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 117 Cost.,  dal  momento  che  il  contributo  ivi  previsto
sarebbe fatto valere direttamente sulle  quote  di  compartecipazione
alle entrate erariali, nonostante che lo Stato non abbia dato  ancora
completa esecuzione  al  nuovo  regime  di  tali  entrate,  per  come
previsto dal citato art. 8. 
    In replica all'argomentazione secondo cui la  riserva  all'erario
statale dell'aumento di  gettito  sarebbe  prevista  dall'ordinamento
finanziario delle Regioni a statuto speciale, la  ricorrente  replica
che la propria situazione normativa sarebbe ben diversa da quella  di
altre Regioni a statuto speciale e  fa  presente  che  lo  Stato  non
sarebbe stato in grado di citare alcuna  disposizione  dello  statuto
speciale, o di attuazione del medesimo, che valga da  base  normativa
dell'intervento contestato. 
    Il medesimo profilo viene fatto valere  anche  riguardo  all'art.
48, comma 1,  impugnato,  in  quanto  non  vi  sarebbe  alcuna  norma
statutaria, o di attuazione dello statuto, idonea a  consentire  allo
Stato di riservarsi il maggior gettito derivante da modificazioni del
sistema tributario. Alla Regione ricorrente,  pertanto,  non  sarebbe
applicabile  quella  giurisprudenza  costituzionale  che   ha   fatto
applicazione di norme di tal tipo,  esistenti  negli  ordinamenti  di
altre autonomie speciali (sentenze n. 143, n. 142 e n. 135 del  2012,
n. 182 del 2010). 
    6.4.-  Anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha
depositato una memoria in data 16 ottobre 2012. 
    Ribadite le finalita' del d.l. n. 201 del 2011, come  convertito,
la loro rilevanza costituzionale e l'attinenza delle misure  adottate
alle competenze dello Stato,  la  difesa  erariale  sottolinea  come,
secondo la giurisprudenza costituzionale, anche le Regioni a  statuto
speciale  potrebbero  essere  assoggettate  a  vincoli  di   bilancio
introdotti in  via  transitoria  o  in  vista  del  conseguimento  di
specifici obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza  pubblica  ne',
d'altra parte, sarebbe  vietato  allo  Stato  disporre  in  merito  a
tributi da esso istituiti, benche' il loro gettito sia destinato alle
Regioni, purche' non sia  alterato  il  rapporto  tra  i  complessivi
bisogni regionali e le risorse per farvi fronte. 
    Cio' premesso, in merito al censurato art. 28, oltre a  reiterare
argomenti gia' enunciati, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri
osserva che spetterebbe alla ricorrente  provare  l'invocata  lesione
all'equilibrio finanziario regionale,  dimostrando  che  l'intervento
normativo  in  questione  abbia  dato   luogo   a   una   complessiva
insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione della  Regione  per
l'adempimento dei propri compiti (sentenza n. 431 del 2004). Da  cio'
deriverebbe la genericita'  delle  doglianze  della  ricorrente,  con
conseguente inammissibilita' delle questioni sollevate. 
    Anche  in  merito  all'art.  48,  censurato,  sono  ribaditi  gli
argomenti gia' enunciati,  soggiungendosi  in  conclusione  che  tale
disposizione altro non e' se non la logica  conseguenza  della  ratio
dell'intero d.l. n. 201 del 2011: predisporre  una  serie  di  misure
che, in una difficile congiuntura, consentano di conseguire nei tempi
concordati gli  obiettivi  di  finanza  pubblica  imposti  a  livello
europeo. 
    6.5.- In prossimita' dell'udienza  pubblica  fissata  per  il  29
gennaio 2014, la Regione autonoma Sardegna ha depositato, in data  27
dicembre 2013, un'ulteriore memoria, tutta incentrata  sulle  censure
rivolte agli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, che
in parte ribadisce argomenti gia' esposti, in  parte  li  sviluppa  e
correda di ulteriori riferimenti. 
    Con riguardo  all'art.  28,  comma  3,  la  Regione  Sardegna  si
richiama alle sentenze n. 99 e n. 118 del 2012 e alla sentenza n.  95
del 2013 di questa Corte, oltre che alle considerazioni svolte  dalla
Corte dei conti, sezione di controllo per la  Regione  Sardegna,  nel
giudizio di parificazione  del  bilancio  regionale  per  l'esercizio
2011. In particolare, i passaggi della sentenza n. 95 del 2013 in cui
questa Corte ha rilevato che «l'inerzia statale  troppo  a  lungo  ha
fatto permanere uno stato di  incertezza  che  determina  conseguenze
negative sulle finanze regionali», e che «il ritardo  accumulato  sta
determinando una emergenza finanziaria», rafforzerebbero  la  censura
secondo  cui  la  disposizione  impugnata,  imponendo  un   ulteriore
contributo di finanza pubblica,  comporterebbe  la  violazione  degli
artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto della Sardegna, degli artt. 3, 117
e 119 Cost.: si impedirebbe  alla  Regione  di  disporre  di  risorse
idonee a  finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche  a  essa
attribuite. La Corte dei conti, nel citato giudizio di parificazione,
ha evidenziato  come  il  quadro  di  riferimento  finanziario  della
Regione ricorrente sia stato cristallizzato alle  disponibilita'  del
2005, e, nella requisitoria del Procuratore regionale,  ha  rinnovato
l'auspicio   che   "le   problematiche   connesse   al   regime    di
compartecipazione al gettito dei tributi erariali  siano  risolte  al
piu' presto". 
    Quanto alle censure relative ai commi 3,  7  e  8  dell'impugnato
art. 28,  la  memoria  replica  alle  argomentazioni  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato  secondo  cui  tali   disposizioni   sarebbero
legittime, in quanto non entrerebbero nel merito delle  modalita'  di
reperimento delle risorse da versare allo Stato e  salvaguarderebbero
comunque,  nell'ambito  del   patto   di   stabilita'   interno,   la
partecipazione   paritetica   della   Regione   alla   determinazione
dell'obiettivo, in termini di saldi di bilancio, di finanza pubblica.
In senso contrario, la difesa regionale osserva che  le  disposizioni
in questione, ponendo vincoli non transitori ma definitivi  alla  sua
autonomia di spesa, senza delineare meccanismi di interlocuzione  con
il Ministero dell'economia e delle finanze che  possano  condurre  ad
una modulazione ne' del quantum ne' del  quando  del  contributo  ivi
previsto,  violerebbero  l'autonomia  finanziaria  della  Regione.  A
maggior ragione sussisterebbe il contrasto con l'art. 8 dello statuto
della Sardegna, visto che - come riconosciuto dalla sentenza  n.  241
del 2012 - nessuna norma dello statuto speciale o di  attuazione  del
medesimo  prevede  la  possibilita'  di  derogare  al  regime   delle
compartecipazioni fisse alle entrate tributarie. 
    Nel ribadire le censure nei confronti del comma 11-ter  dell'art.
28 impugnato, circa l'avvio di una  ridefinizione  unilaterale  delle
regole del patto di  stabilita'  interno,  la  ricorrente  sottolinea
come, successivamente all'entrata in vigore di tale disposizione,  la
disciplina  del  patto  di  stabilita'   sia   stata   effettivamente
modificata  dall'art.  32  della  legge  12  novembre  2011,  n.  183
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2012), e dall'art. 1, commi  428  e
seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2013), nel senso, tra l'altro, di imporre il rispetto  dei
limiti derivanti anche dai contributi finanziari imposti dallo Stato;
nonche' dall'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8  aprile  2013,
n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 6 giugno 2013, n. 64. Dopo aver ricordato di avere impugnato le
citate disposizioni di cui alla legge n. 228 del 2012 e al d.l. n. 35
del 2013, la Regione  osserva  come  esse  renderebbero  ancora  piu'
evidente la lesivita' del censurato art. 28,  comma  11-ter,  che  ha
posto un  principio  metodologico,  senza  definire  i  principi  che
dovrebbero necessariamente ispirare la ridefinizione delle regole del
patto di stabilita', con riferimento alla Regione autonoma Sardegna e
agli enti locali in essa ricompresi. 
    In   particolare,    il    suddetto    comma    11-ter    sarebbe
costituzionalmente  illegittimo,  in  quanto  non  menziona  principi
quali: la necessita' di  un  accordo  sui  limiti  alla  spesa  della
Regione; il rispetto delle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali di cui all'art. 8 dello statuto; la facolta'  della  Regione
di operare quale "camera di compensazione" della capacita' di impiego
delle risorse da parte degli enti locali del proprio  territorio;  il
dovere per lo  Stato  di  cercare  un  accordo  con  la  Regione  sul
contenuto del patto di stabilita', nel rispetto dello statuto e ferma
restando la possibilita' per lo Stato di fissare  unilateralmente  un
regime transitorio in caso di mancato accordo. 
    Quanto infine alle censure relative all'art.  48,  comma  1,  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011, la ricorrente, ricapitolando  i
rilievi della difesa erariale e  riproponendo,  in  replica  a  essi,
argomenti  gia'  illustrati  in  precedenza,  richiama   l'attenzione
soprattutto sulla sentenza n.  241  del  2012  di  questa  Corte.  Le
disposizioni allora in questione, che riservavano allo Stato  per  un
periodo di cinque anni le maggiori entrate  da  esse  previste,  sono
state   giudicate   incompatibili    con    la    disciplina    delle
compartecipazioni regionali di cui all'art.  8  dello  statuto  della
Sardegna, sul presupposto che non risultino eccezioni poste da  norme
di rango statutario a  tale  attribuzione  di  gettito  alla  Regione
autonoma. 
    6.6.( Sempre  in  prossimita'  dell'udienza  fissata  per  il  29
gennaio 2014, anche l'Avvocatura generale dello Stato ha  depositato,
in data 8 gennaio 2014,  una  propria  memoria,  in  cui  richiama  e
ribadisce, in replica alle ragioni illustrate  dalla  ricorrente,  le
argomentazioni formulate in precedenza. 
    In aggiunta a quanto gia' dedotto, la difesa erariale osserva che
l'obbligo di solidarieta' di cui all'art. 27 della legge  n.  42  del
2009  non  potrebbe  essere  paralizzato,  per  la   ricorrente,   da
un'eccezione, da parte di quest'ultima, di inadempienza  dello  Stato
ai doveri connessi con la riforma dello statuto speciale. Sarebbe  in
proposito necessario che la  Regione  dimostrasse  -  secondo  quanto
richiesto dalla sentenza n. 431 del 2004 di questa  Corte  -  che  la
riduzione  delle  risorse  finanziarie  abbia  dato  luogo   ad   una
complessiva insufficienza dei mezzi  finanziari  a  disposizione  per
l'adempimento  dei  propri  compiti,  mentre   le   doglianze   della
ricorrente sarebbero, sul punto, generiche,  e  pertanto  inidonee  a
documentare tale insufficienza. Quanto infine alla sentenza n. 95 del
2013 di questa Corte, richiamata nella memoria della  ricorrente,  la
difesa erariale rileva che essa riconosce che  l'inadempimento  dello
Stato e' solo parziale e dichiara inammissibile il ricorso proprio in
base alla considerazione che il legislatore statale ha gia'  operato,
con la legge 16 ottobre 2012, n. 182 (Disposizioni per l'assestamento
del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome
per l'anno finanziario 2012), gli aggiustamenti  contabili  necessari
all'esecuzione dell'art. 8 dello statuto della Sardegna. 
    6.7.- La Regione autonoma Sardegna in data  17  marzo  2015  (con
successiva correzione di errore  materiale  depositata  il  24  marzo
2015) ha depositato la delibera della Giunta regionale del  10  marzo
2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente all'art. 28, commi 3, da 7
a 10, e 11-ter, e all'art. 48 del decreto-legge impugnato. 
    7.- Con ricorso notificato in data 25 febbraio 2012 e  depositato
il successivo 5 marzo (reg. ric. n. 50 del 2012) la Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale, tra l'altro, degli artt. 28, comma 3, e 48  del  d.l.
n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 116,  primo
comma, e 119 della Costituzione; agli artt. 48, 49, 51, 54, 63  e  65
dello statuto speciale adottato con legge costituzionale  31  gennaio
1963, n. 1, dell'art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n.  9
(Norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale   per   la   regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti  locali  e
delle relative circoscrizioni), all'art. 4 del decreto del Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di  attuazione  dello
Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia  in  materia  di
finanza regionale), nonche' al principio di leale collaborazione. 
    7.1.- In merito al censurato art.  28,  comma  3,  la  ricorrente
premette che esso determina una rilevante sottrazione di risorse  per
le Regioni speciali, aggiuntiva rispetto a quelle gia'  previste  con
precedenti interventi dello Stato, ed estesa anche agli  enti  locali
ricompresi nel territorio di tali Regioni. La ricorrente  si  ritiene
legittimata ad agire anche a tutela di tali enti,  il  cui  concorso,
peraltro, incide comunque sulla Regione, in forza dell'art. 54  dello
statuto del Friuli-Venezia Giulia e dell'art. 9 del d.lgs. n.  9  del
1997. 
    La disposizione censurata, ad avviso della difesa regionale,  non
avrebbe  alcuna  base  statutaria  e,  anzi,  contrasterebbe  con  le
disposizioni dello statuto speciale, a partire dall'art. 49, le quali
assicurano alla Regione le  finanze  necessarie  all'esercizio  delle
funzioni e, ad avviso della  ricorrente,  non  avrebbero  senso,  ove
fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di  riportare,  con
deliberazione unilaterale, riportare all'erario tali risorse. Cio'  a
maggior ragione se si considera che lo Stato avrebbe gia' ridefinito,
con l'art. 1, commi da 152 a 155, della legge n. 220  del  2010,  con
norme che hanno recepito il  cosiddetto  «accordo  di  Roma»  del  29
ottobre 2010, le modalita' con cui la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica. In tal modo il
legislatore statale avrebbe invaso la generale competenza legislativa
regionale in materia di finanza locale prevista dagli artt. 51  e  54
dello statuto speciale e dall'art. 9 del d.lgs.  n.  9  del  1997,  e
avrebbe operato in contrasto con il principio  dell'accordo  che,  ad
avviso della ricorrente, dominerebbe i  rapporti  finanziari  tra  lo
Stato e le Regioni speciali, riconosciuto anche nella  giurisprudenza
costituzionale. 
    La ricorrente ritiene che il  rinvio  alle  norme  di  attuazione
dello statuto, in base all'art. 27 della legge n. 42  del  2009,  non
sia sufficiente  a  nascondere  l'illegittimita'  della  disposizione
impugnata: in primo luogo, l'accantonamento di  risorse  finanziarie,
previsto in attesa delle norme di attuazione,  sarebbe  autonomamente
lesivo; in secondo luogo, nemmeno  con  le  norme  di  attuazione  si
potrebbe  derogare  all'art.  49  dello  statuto  del  Friuli-Venezia
Giulia, modificabile solo con l'apposita procedura  di  cui  all'art.
104 (recte: 63, quinto comma) dello statuto speciale (secondo cui «Le
disposizioni contenute nel titolo IV possono  essere  modificate  con
leggi ordinarie, su proposta di  ciascun  membro  delle  Camere,  del
Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita  la  Regione»);  in
terzo luogo, il censurato art. 28, comma 3, porrebbe  un  vincolo  di
contenuto alle norme di attuazione. Sarebbero dunque violate  diverse
previsioni  dello  statuto  della  Regione  autonoma   Friuli-Venezia
Giulia:  l'art.  49,  perche'   sarebbe   ridotto   l'importo   delle
compartecipazioni spettanti in virtu' di tale previsione  statutaria;
l'art. 63, comma quinto, che richiederebbe il consenso della  Regione
per la modifica delle disposizioni del Titolo VI  (recte:  IV)  dello
statuto; l'art. 65,  perche'  una  fonte  primaria  pretenderebbe  di
vincolare il contenuto delle norme di attuazione. 
    Analoghe censure possono essere rivolte alla quota di 60  milioni
di euro che, ai  sensi  dell'impugnato  art.  28,  comma  3,  secondo
periodo, lo Stato esige dalla  Regione  come  «da  parte  dei  Comuni
ricadenti nel proprio territorio», dal momento che  non  rientrerebbe
tra i compiti della Regione quello di fungere da esattore  per  conto
dello Stato, ne' quest'ultimo avrebbe titolo per esigere dalla  prima
somme che ritenga a qualsiasi titolo dovute dai Comuni. 
    E'  oggetto  di  censura  altresi'   il   criterio   di   riparto
dell'accantonamento determinato dal terzo periodo dell'art. 28, comma
3, impugnato, che deve aver luogo «proporzionalmente alla media degli
impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio
2007-2009»,  in  quanto  non  risulta  essere  stato  in  alcun  modo
pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali. 
    Ulteriori profili di illegittimita' riguarderebbero,  infine,  il
quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato,  sulla  base
del  quale  per  la  Regione  siciliana   «si   tiene   conto   della
rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma
2». Ad avviso  del  ricorrente  la  disposizione,  ancorche'  oscura,
sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare
alla Regione  siciliana  andrebbe  ridotta  in  corrispondenza  delle
minori risorse del Fondo sanitario destinate alla  medesima  Regione.
Se cosi' fosse, si configurerebbe un'alterazione peggiorativa per  la
ricorrente, che  sarebbe  chiamata  a  contribuire  al  finanziamento
parziale della sanita' siciliana, in violazione dell'art. 3  Cost.  -
con censura reputata analoga ad altra gia' ritenuta ammissibile nella
sentenza  n.  16  del  2010  -   e   dell'autonomia   finanziaria   e
amministrativa della Regione. 
    In subordine alle deduzioni incentrate sulla mancanza di una base
statutaria per i censurati interventi  del  legislatore  statale,  la
ricorrente sviluppa ulteriori argomenti. 
    Anzitutto, in  relazione  al  "principio  di  corrispondenza  tra
autonomia finanziaria ed esercizio  delle  funzioni",  la  ricorrente
sostiene che il "taglio" di risorse previsto nel censurato  art.  28,
comma 3, se considerato insieme alle riduzioni di cui alla  legge  n.
220 del 2010, pregiudica la possibilita' per la Regione  autonoma  di
assolvere alle proprie funzioni, in violazione dell'art. 119 Cost.  e
dell'art. 48 dello statuto del Friuli  Venezia-Giulia.  Tale  duplice
violazione sarebbe dimostrata  anche  dal  denunciato  contrasto  con
l'art. 116, primo comma, Cost.: la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia finirebbe per ricevere un trattamento deteriore rispetto  alle
Regioni ordinarie, dato che solo alla  prima  l'art.  1,  comma  152,
della legge n. 220 del 2010 ha  imposto  un  maggiore  onere  di  370
milioni di euro annui. 
    Ne' tali  compressioni  delle  prerogative  regionali  potrebbero
essere giustificate richiamando la competenza dello Stato a stabilire
principi di coordinamento della finanza  pubblica;  o  l'eventualita'
che le manovre finanziarie statali determinino un maggior gettito  di
tributi erariali dei quali, in quote fisse, beneficiano le Regioni; o
ancora le esigenze di solidarieta' nazionale. Anche la considerazione
di  questi  valori  deve   avvenire   mediante   strumenti   previsti
dall'ordinamento, come la possibilita' di  riservare  allo  Stato  il
gettito derivante da modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla
Regione, a norma dell'art.  4  del  d.P.R.  n.  114  del  1965,  alle
condizioni ivi stabilite, o ulteriori strumenti da introdurre in  via
di modifica alle pertinenti disposizioni statutarie. 
    In generale, poi, i  rapporti  finanziari  tra  Stato  e  Regione
autonoma sarebbero  governati  dal  "principio  della  determinazione
consensuale": in particolare, nella sentenza n. 82 del 2007 di questa
Corte si afferma la necessita' di contemperare l'obbligo generale  di
partecipazione di tutte le Regioni, ivi  comprese  quelle  a  statuto
speciale, all'azione di risanamento della  finanza  pubblica  con  la
speciale autonomia in materia finanziaria di cui  godono  le  Regioni
speciali, in forza dei loro statuti, qualificando percio'  il  metodo
dell'accordo tra il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  e  le
Regioni a statuto speciale  come  espressione  della  loro  autonomia
finanziaria; e questo principio ha trovato attuazione  sia  nell'art.
27 della legge n. 42 del 2009, sia nelle misure di  cui  all'art.  1,
commi da 152 a 156, della legge n.  220  del  2010,  che  sono  state
oggetto di confronto e discussione tra Stato e Regione autonoma. 
    La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  sospetta  altresi'
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 48  del  d.l.  n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011. 
    La ricorrente sottolinea anzitutto che l'art. 1-bis avrebbe  solo
l'apparenza di una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali,
visto che, in realta', essa ribadirebbe la diretta applicabilita' sia
degli artt.  13,  14  e  28  dell'impugnato  decreto-legge,  sia  del
medesimo art. 48, comma 1. 
    Il citato comma 1, che, con  una  «clausola  di  finalizzazione»,
riserva all'erario, per un periodo di cinque anni, il maggior gettito
derivante dal decreto-legge, destinandolo alle  esigenze  prioritarie
di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica  concordati  in
sede europea e demanda ad un decreto del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze le modalita' di  individuazione  del  maggior  gettito,
risulterebbe in contrasto con l'art. 49 dello statuto  speciale,  che
garantisce alla Regione  ben  precise  compartecipazioni  a  tutti  i
tributi erariali. 
    Inoltre,  a  rendere  legittima  tale  disposizione  non  sarebbe
sufficiente invocare l'art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 114  del  1965,
il quale consente  che  il  gettito  derivante  da  maggiorazioni  di
aliquote o da altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti  alla
Regione possa essere riservato all'erario, a condizione, tra l'altro,
che tale gettito sia destinato per legge  «alla  copertura  di  nuove
specifiche spese di carattere non  continuativo,  che  non  rientrano
nelle materie  di  competenza  della  regione,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali»: ad avviso  della  ricorrente,  che  a
supporto della propria argomentazione richiama la sentenza n. 182 del
2010 di questa Corte, non si tratterebbe,  nel  caso  di  specie,  di
«spese» e le  situazioni  alle  quali  si  intende  fare  fronte  non
sarebbero ne' «nuove», ne' «specifiche».  Ne'  l'impugnato  art.  48,
comma  1,  potrebbe  trovare  fondamento,  sempre  ad  avviso   della
ricorrente, nell'art. 6, comma 2, del decreto legislativo  2  gennaio
1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R.  23
gennaio  1965,  n.  114,  concernente  la  finanza  regionale).  Tale
disposizione risulterebbe non applicabile nel caso di specie, perche'
priva di portata generale. Quand'anche  fosse  ritenuta  applicabile,
con essa non risulterebbe coerente  la  disposizione  censurata:  sia
perche' quest'ultima disporrebbe una riserva all'erario di  tutte  le
maggiori entrate derivanti dal decreto-legge; sia  per  il  carattere
unilaterale di tale riserva,  mentre  il  citato  art.  6,  comma  2,
presuppone comunque un accordo,  in  applicazione  del  principio  di
leale collaborazione e del principio consensuale. 
    L'impugnato art. 48, comma 1, in quanto configurerebbe una deroga
agli artt. 48 e 49 dello statuto, disposta con  una  «fonte  primaria
"ordinaria"», violerebbe altresi', ad avviso  della  ricorrente,  gli
artt.  63,  commi  primo  e  quinto,  e   65   dello   statuto   che,
rispettivamente,   disciplinano:   il   procedimento   di   revisione
costituzionale  per  modificare  lo  statuto  in  via  ordinaria;  la
modifica della disciplina  finanziaria  con  legge  statale,  ma  «su
proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della  Regione
e, in ogni caso, sentita la Regione»;  la  procedura  per  l'adozione
delle norme di attuazione dello statuto. Su un piano  piu'  generale,
la  ricorrente  sostiene  che   l'impugnato   art.   48   altererebbe
unilateralmente  la  relazione  strutturale  che  intercorre  tra  il
tributo  erariale  e  la  compartecipazione   statutaria   regionale,
violando il carattere automatico della compartecipazione nel  momento
in cui esclude che talune innovazioni  fiscali  possano  tradursi  in
beneficio per l'entrata  della  Regione.  Se,  come  affermato  nella
sentenza n. 155 del 2006, la Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
non puo' contestare nuove norme tributarie statali che, incidendo  su
tributi erariali cui la Regione compartecipa, riducano il gettito per
la Regione, reciprocamente anche i vantaggi  economici  che  derivino
dalla modifica di aliquote o da altre  novita'  relative  ai  tributi
erariali dovrebbero andare, pro quota,  a  beneficio  della  Regione,
secondo quanto stabilito nello statuto speciale. 
    Una specifica censura e'  infine  rivolta  dalla  ricorrente  nei
confronti del secondo periodo dell'art. 48, comma 1, che  demanda  ad
un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le modalita' di
individuazione del maggiore gettito.  Oltre  ad  essere  affetta  dai
medesimi vizi  che  caratterizzerebbero  il  periodo  precedente,  la
disposizione  sarebbe  in  contrasto  con  il  principio   di   leale
collaborazione, in quanto, in  una  materia  dominata  dal  principio
consensuale, prevede un decreto  ministeriale  senza  intesa  con  la
Regione autonoma. 
    7.2.- Con atto depositato in data 11 maggio 2012, fuori  termine,
si e'  costituito  nel  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le censure  dedotte,  tra  l'altro,  contro  gli
artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  214  del  2011,
siano dichiarate infondate. 
    Riproponendo argomenti analoghi a quelli  con  cui  ha  replicato
alle censure dedotte in altri ricorsi contro le stesse  disposizioni,
la difesa erariale deduce che il censurato art. 28, comma 3,  demanda
a un accordo tra la ricorrente e il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze la determinazione dei criteri di riparto  del  contributo  da
versare allo Stato e, infatti, richiama le procedure di cui  all'art.
27 della legge n. 42 del 2009; e che sarebbe onere  della  ricorrente
provare  che  l'intervento  legislativo  in  questione   abbia   reso
complessivamente insufficienti i mezzi finanziari con cui la  Regione
autonoma dovrebbe adempiere ai propri compiti. Quanto all'art. 48,  e
precisamente al suo comma 2 (recte: 1), l'Avvocatura  generale  dello
Stato rileva che la riserva all'erario degli  incrementi  di  gettito
ivi previsti e' giustificata, come tutte le misure di cui al d.l.  n.
201 del 2001, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 214 del 2011, dall'esigenza di raggiungere il pareggio
del bilancio in un periodo di eccezionale  crisi  economica;  e  che,
comunque, tale previsione va coordinata con quella di  cui  al  comma
1-bis, che contiene una clausola di salvaguardia per le Regioni e  le
Province ad autonomia speciale. 
    7.3.- In  data  16  ottobre  2012,  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica originariamente fissata per il 6 novembre 2012,  la  Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha   depositato   una   memoria   a
integrazione di quanto gia' dedotto nel proprio ricorso. 
    Riguardo al censurato art. 28, comma 3, la ricorrente ricorda che
il concorso  alla  finanza  pubblica  e'  stato  rideterminato  prima
dall'art. 35, comma 4,  del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27; poi dall'art.
4, comma 11, del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16  (Disposizioni
urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di  efficientamento
e potenziamento delle procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 26 aprile  2012,  n.
44; resterebbero pero' ferme tutte le censure proposte nel ricorso. A
sostegno  di  esse  la  ricorrente  rinviene,   peraltro,   ulteriori
argomenti nella sentenza  n.  193  del  2012  di  questa  Corte,  che
riconosce una portata generale al meccanismo di cui all'art. 27 della
legge n. 42 del 2009; nella sentenza n. 118 del 2012 di questa Corte,
che  ha  ribadito  come  lo  strumento  dell'accordo  si  sia   ormai
consolidato come idoneo a conciliare e regolare in modo negoziato  il
doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale  alla  manovra  di
finanza pubblica  e  la  tutela  della  loro  autonomia  finanziaria,
costituzionalmente rafforzata; e infine nella  sentenza  n.  142  del
2012 di questa Corte, che ha dichiarato illegittima la  riserva  allo
Stato del gettito derivante  dall'addizionale  erariale  sulla  tassa
automobilistica. 
    Riguardo al censurato art. 48, e  al  suo  comma  1,  la  Regione
autonoma sottolinea  che  esso  e'  stato  attuato  dal  decreto  del
Direttore generale delle finanze  e  del  Ragioniere  generale  dello
Stato 20 luglio 2012 (Modalita' di individuazione del maggior gettito
da  riservare  all'Erario,  ai  sensi  dell'art.  2,  comma  36,  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dell'art. 48, comma  1,  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) e ritiene che  l'illegittimita'
costituzionale della riserva ivi  contemplata  sia  confermata  dalla
citata sentenza n. 142 del 2012, che  ha  dichiarato  illegittima  la
riserva allo Stato del gettito dell'addizionale erariale sulla  tassa
automobilistica, per la mancanza dei presupposti di  cui  all'art.  9
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268  (Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale per  il  Trentino-Alto  Adige  in  materia  di
finanza regionale e provinciale), 
    7.4.-  In  data  3  gennaio  2014,  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica del 29 gennaio  2014,  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia ha depositato un'ulteriore memoria, nella quale svolge  talune
considerazioni integrative. 
    Riguardo  all'art.  28,  comma  3,  impugnato,  ricorda  che   e'
intervenuta la sentenza n. 241 del  2012  di  questa  Corte,  che  ha
ribadito il principio pattizio nei rapporti  in  materia  finanziaria
tra Stato e Regioni speciali, rilevando che l'art. 27 della legge  n.
42 del 2009, laddove pone una vera e propria  riserva  di  competenza
alle norme di attuazione degli statuti, si configura «quale autentico
presidio procedurale della specialita' finanziaria di tali enti».  La
medesima  sentenza  viene  richiamata  anche  riguardo  all'art.  48,
impugnato. Con essa infatti questa Corte ha accertato - riguardo alla
riserva all'erario prevista dall'art. 2, comma 36, del  decreto-legge
13  agosto  2011,  n.  138   (Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148, avente la medesima destinazione della disposizione  impugnata
- la non ricorrenza di uno dei requisiti prescritti dall'art.  4  del
d.P.R. n. 114 del 1965: ossia, quello consistente nella «copertura di
nuove specifiche spese di carattere non continuativo», posto che  gli
obiettivi ai  quali  e'  destinato  il  maggior  gettito  sono  stati
ritenuti privi della specificita' richiesta dalla norma di attuazione
statutaria.  Tali  obiettivi  sarebbero  uguali  a  quelli   cui   si
riferirebbe il censurato art. 48. 
    7.5.- In data 30  settembre  2014,  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica del 22 ottobre  2014,  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia ha depositato un'altra memoria, nella  quale,  insistendo  per
l'accoglimento   del   ricorso,   svolge   ulteriori   considerazioni
integrative, segnatamente in merito al censurato art. 28, comma 3. 
    L'illegittimita' costituzionale di  questa  disposizione  sarebbe
confermata dalla sentenza n. 23 del 2014 di questa Corte, relativa al
taglio di alcuni trasferimenti erariali,  nella  misura  dell'ottanta
per cento, a titolo di sanzione per il  caso  di  mancata  tempestiva
adozione di una serie di provvedimenti. Il taglio era stato impugnato
dalla  ricorrente  Regione   autonoma   Friuli-Venezia   Giulia   per
violazione dell'art. 49 del proprio statuto, per  il  caso  che  esso
comprendesse  le  spettanze  finanziarie  garantite  da  tale   norma
statutaria. Secondo la Regione, questa  Corte  ha  ritenuto  doveroso
interpretare le disposizioni censurate in modo da  escludere  effetti
sulle compartecipazioni ai tributi erariali spettanti alle Regioni ad
autonomia speciale, giacche' altrimenti si sarebbe dovuto  concludere
che una legge ordinaria avesse imposto  limiti  o  condizioni  a  una
fonte di rango costituzionale. 
    7.6.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in data 23  marzo
2015 ha depositato la delibera della Giunta regionale  del  13  marzo
2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente agli artt. 28, comma 3,  e
48 del decreto-legge impugnato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sette ricorsi (rispettivamente iscritti ai  nn.  33,  34,
38, 39, 40, 47 e 50 del registro ricorsi 2012), la  Regione  autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia  autonoma  di  Trento,  la
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, la Regione  siciliana,
la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione autonoma Sardegna  e  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 28 e 48 del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214. 
    Riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni promosse nei confronti di altre disposizioni  del  d.l.  n.
201 del 2011, come convertito, i  richiamati  ricorsi  devono  essere
riuniti e qui esaminati congiuntamente, limitatamente agli artt. 28 e
48, censurati da tutte le ricorrenti in riferimento a parametri e per
motivi almeno in parte coincidenti (ex plurimis, sentenze n. 144,  n.
44, n. 28 e n. 23 del 2014). 
    Il Presidente del Consiglio dei  ministri  si  e'  costituito  in
tutti i giudizi. Tuttavia, in relazione ai citati ricorsi n.  33,  n.
34, n. 39 e n. 50, gli atti di costituzione del  Governo  sono  stati
depositati oltre il termine perentorio  di  cui  all'art.  19,  terzo
comma, delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  la  Corte
costituzionale e sono pertanto inammissibili. 
    2.- La Regione autonoma Trentino-Alto Adige  e  le  due  Province
autonome di Trento e di Bolzano hanno rinunciato ai  propri  ricorsi.
Previa deliberazione del Consiglio dei ministri,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha
dichiarato di accettare le rinunce.  Pertanto,  a  prescindere  dalla
tardivita'  della  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in due di questi giudizi, i relativi processi devono  essere
dichiarati estinti, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    3.- Successivamente, anche la  Regione  autonoma  Sardegna  e  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno rinunciato ai rispettivi
ricorsi, in seguito ad accordi stipulati con lo Stato in  materia  di
finanza pubblica. Dette rinunce,  non  avendo  riportato  la  formale
accettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, comportano la
cessazione della materia del contendere in relazione alle  parti  dei
ricorsi oggetto del presente giudizio (ex plurimis,  sentenza  n.  19
del 2015). 
    4.- Restano da  esaminare  i  ricorsi  presentati  dalla  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e dalla Regione siciliana. 
    4.1.- La Regione autonoma Valle d'Aosta  ha  censurato  anzitutto
l'art. 28, comma 3,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  214  del  2011.
Tale disposizione prevede che le Regioni  a  statuto  speciale  e  le
Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurino,  a  decorrere
dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni
annui; che le Regioni Valle d'Aosta  e  Friuli-Venezia  Giulia  e  le
Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurino,  parimenti  a
decorrere dall'anno 2012, un concorso alla  finanza  pubblica  di  60
milioni di euro annui da  parte  dei  Comuni  ricadenti  nel  proprio
territorio; che, in entrambe le sue forme, il  previsto  concorso  si
realizzi con le procedure di cui all'art. 27  della  legge  5  maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in
attuazione  dell'articolo  119  della  Costituzione),  vale  a   dire
«secondo criteri e modalita' stabiliti da  norme  di  attuazione  dei
rispettivi statuti, da definire,  con  le  procedure  previste  dagli
statuti medesimi» (comma 1); e che, fino all'emanazione  delle  norme
di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo  complessivamente
corrispondente all'anzidetto  concorso  sia  accantonato,  in  misura
proporzionale alla media degli impegni finali registrata per ciascuna
autonomia  nel  triennio  2007-2009,  a   valere   sulle   quote   di
compartecipazione ai tributi erariali. 
    Ad avviso della ricorrente, il censurato comma 3  violerebbe,  in
primo luogo, il principio di leale collaborazione, di cui agli  artt.
5 e 120  della  Costituzione,  in  quanto  definisce  unilateralmente
l'assetto dei rapporti finanziari tra  lo  Stato  e  la  Regione;  in
secondo luogo, gli artt. 2, comma 1, lettere a) e  b),  3,  comma  1,
lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e  della  relativa
normativa di attuazione (articoli da 2 a 7 della  legge  26  novembre
1981, n. 690, recante «Revisione dell'ordinamento  finanziario  della
regione Valle d'Aosta»), in  quanto  lede  la  particolare  autonomia
finanziaria, anche con  riguardo  all'ambito  locale,  della  Regione
autonoma, senza rispettare  il  metodo  dell'accordo  e  determinando
l'immediato accantonamento di somme spettanti alla stessa Regione; in
terzo luogo, il principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost.,
in quanto non enuncia i criteri in base ai quali  e'  determinata  la
misura del contributo dovuto dalla  Regione  autonoma  e  dai  Comuni
valdostani. Il rinvio operato dall'art.  28,  comma  3,  alla  futura
emanazione delle norme di attuazione statutaria di  cui  all'art.  27
della legge n. 42 del 2009, non sarebbe una garanzia sufficiente, dal
momento che il termine di  trenta  mesi,  decorrenti  dalla  data  di
entrata  in  vigore  della   medesima   legge   n.   42   del   2009,
originariamente previsto per l'adozione  delle  norme  anzidette,  e'
stato abrogato dal comma 4 del censurato art. 28. 
    La stessa ricorrente ha censurato, altresi', l'art. 48  del  d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della  legge  n.  214  del  2011,  il  quale,  dopo  aver   riservato
all'erario, per  cinque  anni,  le  maggiori  entrate  derivanti  dal
decreto-legge, dispone che con decreto del Ministero dell'economia  e
delle finanze siano stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del
maggior   gettito,   attraverso   apposita   contabilizzazione.    La
disposizione si porrebbe in contrasto  con  gli  artt.  3,  comma  1,
lettera f), 12, 48-bis e 50 della l. cost. n. 4 del 1948, nonche' con
l'art. 8 della legge n. 690 del 1981 e, altresi', con il principio di
leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in particolare
in quanto non stabilisce che l'apposito decreto  sia  emanato  previa
intesa con il Presidente della Giunta regionale. 
    4.2.- La Regione siciliana ha impugnato gli artt.  28  e  48  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge  n.  214  del  2011,  in  quanto  immediatamente
applicabili a essa ricorrente, a norma del comma 1-bis  dello  stesso
art. 48. Tali articoli violerebbero, in primo luogo, l'art. 43  dello
statuto speciale, il quale demanda la determinazione delle norme  per
la propria attuazione a una commissione paritetica; in secondo luogo,
il principio di leale  collaborazione,  come  espresso  dall'art.  27
della legge n. 42 del 2009, il quale prevede un tavolo  di  confronto
per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome. 
    La  medesima   Regione   siciliana   ha   censurato   poi,   piu'
specificamente, l'art. 28, il quale, dopo aver previsto, al comma  2,
l'applicabilita'  anche  alle  Regioni  a  statuto  speciale  e  alle
Province autonome di Trento e di Bolzano  dell'aumento  dell'aliquota
di  base  dell'addizionale  IRPEF,  impone  alle  suddette  autonomie
speciali di  assicurare  il  gia'  descritto  concorso  alla  finanza
pubblica di cui al comma 3, con il pure gia' descritto accantonamento
dell'importo complessivo a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali; e precisa, sempre al comma 3, ultimo  periodo,  che
per la sola Regione siciliana si tiene conto  della  rideterminazione
del   fondo   sanitario   nazionale   conseguente    all'applicazione
dell'incrementata aliquota di base dell'addizionale IRPEF. 
    Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni  si  porrebbero  in
contrasto con il principio di leale collaborazione, con gli artt.  36
e 37 dello statuto speciale e con l'art. 2 delle  relative  norme  di
attuazione in materia finanziaria  -  si  intende,  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  26  luglio  1065,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria) - nonche' con l'art. 17, primo comma, lettera b),  dello
statuto speciale. In particolare, secondo la  ricorrente,  «l'aumento
del detto gettito non e' destinato  alla  Regione  siciliana  per  il
soddisfacimento dei suoi bisogni indistinti» e,  «contemporaneamente,
la  rideterminazione  del  Fondo  sanitario  nazionale  [...]   viene
destinata all'erario  statale»;  tale  rideterminazione;  ridurrebbe,
fino ad azzerarlo, il contributo dello  Stato  alla  spesa  sanitaria
regionale; non sarebbero rispettate le procedure  previste  dall'art.
27 della legge n. 42 del 2009, ne'  sarebbe  contemplata  una  previa
consultazione della Regione autonoma. 
    Oggetto di impugnazione e' anche l'art. 28, comma 6,  del  citato
d.l. n. 201 del 2011, come convertito, nella  parte  in  cui  prevede
l'accantonamento delle  somme  spettanti  alla  Regione  siciliana  a
titolo di Fondo sanitario nazionale, per un periodo non superiore  al
quinto  anno  successivo  a  quello  di   iscrizione   in   bilancio,
subordinandone l'erogazione alla verifica positiva degli  adempimenti
regionali, ai sensi della  legislazione  vigente.  Tale  disposizione
violerebbe, in primo luogo, l'art. 36 dello statuto speciale e l'art.
2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto sottrarrebbe  alla  Regione,
per un periodo di un quinquennio,  l'immediata  disponibilita'  delle
risorse in questione; in  secondo  luogo,  l'art.  17,  primo  comma,
lettera b), dello statuto speciale,  in  quanto  inciderebbero  sulla
competenza concorrente in materia sanitaria. 
    La Regione siciliana ha censurato, altresi', i commi da  7  a  10
dell'impugnato  art.  28,  i  quali  prevedono  una   riduzione   del
finanziamento dello Stato ai Comuni (commi 7 e  9)  e  alle  Province
(commi 8 e 10) ricompresi sia nel territorio delle Regioni ordinarie,
sia nel territorio della Regione siciliana e della  Regione  autonoma
Sardegna, per gli anni 2012 e successivi. 
    In particolare, la riduzione opera, da un lato, sui trasferimenti
erariali dovuti ai Comuni e alle Province delle due Regioni  insulari
e, dall'altro, sulle dotazioni di due Fondi,  entrambi  istituiti  in
attuazione della legge n. 42  del  2009:  il  Fondo  sperimentale  di
riequilibrio, determinato, per i  Comuni,  dall'art.  2  del  decreto
legislativo  14  marzo  2011,  n.  23  (Disposizioni  in  materia  di
federalismo fiscale municipale) e, per le Province, dall'art. 21  del
decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia  di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
Province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore sanitario); il Fondo  perequativo,  determinato,
per i Comuni, dall'art. 13 del d.lgs.  n.  23  del  2011  e,  per  le
Province, dall'art. 23 del d.lgs. n. 68 del 2011. Ai sensi del  comma
9 del censurato art. 28, il riparto tra i Comuni della  riduzione  in
questione  avviene  in  proporzione  all'imposta  municipale  propria
(IMU), istituita dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, impugnato. Il
successivo comma 10 stabilisce che il riparto tra le  Province  della
relativa riduzione avvenga «proporzionalmente». 
    Ad avviso della Regione siciliana, sarebbe violato  il  principio
di leale  collaborazione,  in  quanto  gli  importi  delle  descritte
riduzioni  non  sarebbero  stati  previamente  quantificati,  ne'  si
sarebbe tenuto conto  delle  peculiari  condizioni  economiche  della
Regione siciliana e degli enti locali del suo territorio. 
    5.- Procedendo all'esame delle singole censure, occorre anzitutto
esaminare  quella  rivolta  dalla  Regione  siciliana  nei  confronti
dell'intero testo degli artt. 28 e. 48 del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011 - oltre che degli  artt.  13  e  14  del  medesimo  atto
normativo, i quali sono pero' oggetto di separato giudizio. 
    Nei termini in cui e' formulata, la doglianza e' inammissibile. 
    Questa Corte ha gia' piu' volte chiarito che il  ricorso  in  via
principale  deve  identificare  esattamente  la  questione  nei  suoi
termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie,  la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della questione e che, inoltre, deve  contenere
una argomentazione di merito a sostegno della richiesta  declaratoria
di illegittimita' costituzionale, giacche' l'esigenza di una adeguata
motivazione a supporto della impugnativa si pone in  termini  perfino
piu' pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali  (ex
plurimis, sentenza n. 259 del 2014).  La  censura  ora  in  esame  e'
generica,  perche'  rivolta   indiscriminatamente   contro   l'intero
contenuto  normativo  di  entrambi  questi  articoli,  i  quali  sono
composti da una pluralita' di proposizioni normative e solo in  parte
riguardano la Regione siciliana. 
    6.- La Regione siciliana ha impugnato, altresi', l'art. 28, comma
3, ultimo  periodo,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,  in
quanto esso disporrebbe  una  rideterminazione  del  fondo  sanitario
nazionale, tale  da  ridurre  sino  ad  annullarla  la  contribuzione
statale alla spesa sanitaria della ricorrente. 
    La censura e' inammissibile, per un duplice ordine di motivi. 
    Anzitutto, piu'  volte  questa  Corte  ha  chiarito  che  non  e'
possibile  considerare  in  modo  atomistico   singole   disposizioni
incidenti su entrate tributarie delle Regioni, senza valutare nel suo
complesso  la  manovra  fiscale   entro   la   quale   esse   trovano
collocazione, ben potendosi verificare che, per  effetto  di  plurime
disposizioni, contenute nella stessa legge  oggetto  di  impugnazione
principale, o in altre leggi dirette a governare la medesima manovra,
il gettito complessivo destinato alla finanza regionale  non  subisca
riduzioni (ex plurimis, sentenza  n.  26  del  2014).  Nel  caso,  la
ricorrente trascura che lo stesso art. 28, pur richiamando le Regioni
speciali e le Province autonome a un maggiore concorso agli obiettivi
nazionali di finanza pubblica, prevede  altresi',  al  comma  2,  che
anche a questi enti  si  applichi  l'aumento  dell'aliquota  di  base
dell'addizionale IRPEF  disposta  dal  comma  1,  incrementandone  le
entrate. 
    Inoltre,  nel  lamentare  la  riduzione  dei  finanziamenti  alla
propria spesa sanitaria, la ricorrente trascura che l'ultimo  periodo
del comma 3 si limita a presupporre la  «rideterminazione  del  fondo
sanitario nazionale per effetto del comma 2», cui fa riferimento allo
scopo di ridurre in pari misura  il  concorso  dovuto  dalla  Regione
autonoma a norma dei periodi precedenti dello stesso comma 3. Non  si
comprende, dunque,  dove  risieda  la  lesivita'  della  disposizione
impugnata. 
    La  censura  e'  dunque  inammissibile  per  insufficienza  della
motivazione e  incompleta  ricostruzione  del  quadro  normativo  (ex
plurimis, sentenza n. 165 del 2014). 
    7.- Comune ad entrambi i ricorsi e'  un  gruppo  di  censure  che
hanno ad oggetto l'art. 28, comma 3, i cui contenuti  possono  essere
sintetizzati come segue. A decorrere dal 2012 - e quindi per  ciascun
anno a partire da questo -  e'  dovuto  un  concorso  agli  obiettivi
nazionali di finanza  pubblica  da  parte  delle  Regioni  a  statuto
speciale e delle Province autonome, specificato nella sua  dimensione
quantitativa. Il concorso e' assicurato  con  le  procedure  previste
dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi, secondo criteri  e
modalita' stabiliti da norme di attuazione  dei  rispettivi  statuti.
Tuttavia, fino all'emanazione  delle  suddette  norme  di  attuazione
l'importo dovuto e' accantonato, proporzionalmente alla  media  degli
impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio
2007-2009, a valere  sulle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali. Il predetto accantonamento perdura  fino  al  completamento
delle procedure di cui al richiamato art. 27 della legge  n.  42  del
2009. 
    7.1.- Per una corretta comprensione  della  normativa  impugnata,
occorre ricordare che il d.l. n. 201 del 2011 e'  stato  adottato  in
applicazione del comma 6 dell'art. 10-bis della legge di contabilita'
e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), come  introdotto
dall'art. 2, comma 3, della legge 7 aprile  2011,  n.  39  (Modifiche
alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti  alle  nuove  regole
adottate  dall'Unione  europea  in  materia  di  coordinamento  delle
politiche  economiche  degli  Stati  membri).  Esso   e'   il   primo
provvedimento che, pur successivo  alla  legge  di  stabilita',  puo'
qualificarsi come a essa collegato, in  quanto  reca  gli  interventi
correttivi  necessari  per  garantire  l'equilibrio   della   manovra
(sentenza n. 6 del 2015). Infatti, il  Governo,  nella  Relazione  al
Parlamento presentata il 4 dicembre 2011, rilevava la gravita'  della
congiuntura  economica  e   riteneva   indispensabile   una   manovra
ulteriore, correttiva rispetto a quella di cui alla legge 12 novembre
2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato -  Legge  di  stabilita'  2012),  comprensiva
anche di interventi sulla finanza degli enti territoriali,  anche  al
fine di rispettare gli impegni assunti in  seno  all'Unione  europea.
Tali specifiche contingenze si riflettono  anche  nel  titolo  e  nel
preambolo del decreto-legge,  oltre  che  nel  suo  contenuto  e  nel
collegamento procedurale con la legge di stabilita'. 
    7.2.- Venendo, poi, piu' specificamente all'art. 28,  di  cui  fa
parte l'impugnato comma 3, e' bene dare conto anche delle  previsioni
di cui ai commi 1 e 2, il cui  contenuto  concorre  ad  una  corretta
comprensione della manovra nel  suo  insieme.  Infatti,  il  comma  1
dispone un incremento da 0,9 a  1,23  per  cento  dell'aliquota  base
dell'addizionale  regionale  all'IRPEF,  a  decorrere  dall'anno   di
imposta 2011: quindi, anche con  riguardo  all'anno  solare  nel  cui
ultimo mese il decreto-legge e' stato emanato. Il comma 2 prevede che
l'aliquota cosi' incrementata si applica anche alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Pertanto, i
primi due commi determinano un incremento delle entrate delle Regioni
ordinarie e speciali, per effetto della  maggiorazione  dell'aliquota
di base dell'addizionale IRPEF. 
    E' in questo contesto che si collocano il concorso delle  Regioni
a statuto speciale disposto dall'impugnato  comma  3  e  il  relativo
accantonamento. 
    7.3.- Ancora in via preliminare, va  osservato  che  il  concorso
delle Regioni speciali e delle Province autonome  di  cui  al  citato
art.  28,  comma  3,  oggetto  del  presente   giudizio,   e'   stato
successivamente piu' volte rideterminato, anzitutto  con  l'art.  35,
comma 4, del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1  (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo  delle  infrastrutture  e  la
competitivita'), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 24 marzo 2012, n. 27, oggetto di un giudizio gia'  deciso
da questa Corte con sentenza n. 65  del  2015.  In  seguito,  a  tale
disposizione  hanno  fatto  riferimento  ulteriori  norme   volte   a
disciplinare il contributo delle Regioni speciali  e  delle  Province
autonome agli obiettivi nazionali di finanza pubblica,  a  cominciare
dall'art. 16, comma  4,  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
135,  oggetto  di  separato  giudizio.  Tuttavia,   tali   evoluzioni
legislative non interferiscono con l'esame dei ricorsi qui in  esame,
dato  che  esse  non  hanno  portata  retroattiva  ne',  soprattutto,
contenuto satisfattivo rispetto alle doglianze delle ricorrenti. 
    7.4.- Nel merito, il principale  nucleo  tematico  delle  censure
rivolte, da parte di entrambe le ricorrenti, nei confronti  dell'art.
28, comma 3, riguarda l'unilateralita' della decisione  statale,  sia
laddove impone un concorso delle Regioni  ad  autonomia  speciale  al
risanamento della finanza pubblica, sia laddove richiede che  a  tale
concorso venga data attuazione mediante  l'accantonamento  di  quanto
dovuto a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali,
sia  laddove  ne  determina  l'ammontare  complessivo  da  ripartirsi
«proporzionalmente alla media degli  impegni  finali  registrata  per
ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009». 
    Le questioni non sono fondate. 
    Questa Corte ha costantemente affermato che di regola i  principi
fondamentali fissati dalla legislazione  dello  Stato  nell'esercizio
della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano
anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n.  46
del 2015, n. 54 del 2014, n. 30 del 2012, n. 229 del 2011, n. 120 del
2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, n. 353 e  n.  36  del
2004), in quanto  essi  sono  funzionali  a  prevenire  disavanzi  di
bilancio,  a  preservare   l'equilibrio   economico-finanziario   del
complesso  delle  amministrazioni  pubbliche  e  anche  a   garantire
l'unita' economica della  Repubblica,  come  richiesto  dai  principi
costituzionali e dai vincoli derivanti dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea. Tali principi e  vincoli  sono  oggi  ancor  piu'
pregnanti nel quadro delineato dall'art.  2,  comma  1,  della  legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del  principio  del
pareggio di bilancio  nella  Carta  costituzionale)  che,  nel  comma
premesso all'art. 97 Cost.,  obbliga  il  complesso  delle  pubbliche
amministrazioni  ad  assicurare  «l'equilibrio  dei  bilanci   e   la
sostenibilita' del debito pubblico» (sentenze n.  175  e  n.  39  del
2014; n. 60 del 2013). 
    Gli obiettivi programmatici del patto di  stabilita'  e  crescita
non  possono  che  essere  perseguiti   dal   legislatore   nazionale
attraverso norme capaci d'imporsi all'intero sistema delle  autonomie
(sentenza n. 284 del 2009). In tale prospettiva, questa Corte  si  e'
pronunciata  recentemente  con  la   sentenza   n.   19   del   2015,
specificamente in merito a disposizioni (art.  32,  comma  10,  della
legge n. 183 del  2011)  che,  come  quelle  impugnate  nel  presente
giudizio, determinavano i contributi alla finanza  pubblica  posti  a
carico di ciascuna autonomia speciale. Esaminando le censure  rivolte
a queste disposizioni, in quanto il contributo ivi previsto era stato
determinato in via unilaterale dallo Stato, la Corte ha attribuito un
preciso  rilievo  alla  tempestivita'  degli  adempimenti   nazionali
rispetto alle  cadenze  temporali  tipiche  del  sistema  europeo  di
coordinamento  delle  politiche  economiche   degli   Stati   membri;
tempestivita' che non puo' essere messa in pericolo dalla necessita',
per lo Stato, di attendere di avere completato l'iter di negoziazione
con ciascun ente territoriale. 
    E' vero che anche nella pronuncia da ultimo citata  questa  Corte
non ha mancato di sottolineare che  in  riferimento  alle  Regioni  a
statuto  speciale  merita  sempre  di  essere   intrapresa   la   via
dell'accordo, espressione di un  principio  generale  che  governa  i
rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali; e' altresi'
vero, tuttavia, che  tale  principio  non  e'  stato  recepito  dagli
statuti di autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio - o
dalle norme di attuazione degli stessi -, cosicche' esso puo'  essere
derogato dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015; n. 23  del
2014 e n. 193 del 2012), tanto piu' in casi come quello in  esame  in
cui la norma impugnata si colloca in un piu' ampio contesto normativo
nel quale il principio  pattizio  e'  gia'  largamente  adottato  per
volonta' dello stesso legislatore ordinario. 
    E' sulla base di questo presupposto che  il  richiamato  art.  27
della legge  n.  42  del  2009  prevede  che  le  autonomie  speciali
concorrono al patto di stabilita' interno sulla  base  del  principio
dell'accordo «secondo criteri e modalita' stabiliti  dalle  norme  di
attuazione dei rispettivi statuti»: una tale previsione  non  sarebbe
necessaria  se  le  fonti  dell'autonomia  speciale   avessero   gia'
provveduto  a  disciplinare  la  materia,  recependo   il   principio
dell'accordo  in  forme  opponibili  al  legislatore  ordinario.  Con
specifico riguardo all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 -  rispetto
al quale la disciplina oggetto del presente giudizio esplicitamente e
transitoriamente si discosta, in attesa della sua attuazione - questa
Corte ha gia' osservato (sentenza n.  23  del  2014)  che  esso  pone
bensi' una riserva di competenza a favore delle norme  di  attuazione
degli statuti speciali per la modifica della  disciplina  finanziaria
degli enti ad autonomia differenziata  (sentenza  n.  71  del  2012),
cosi' da configurarsi quale presidio  procedurale  della  specialita'
finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012).  Nondimeno  esso
ha rango di legge ordinaria, derogabile  da  atti  successivi  aventi
pari forza normativa; sicche', specie in un contesto di  grave  crisi
economica,   il   legislatore   puo'    discostarsi    dal    modello
consensualistico nella determinazione delle  modalita'  del  concorso
delle autonomie speciali alle manovre di finanza  pubblica  (sentenza
n. 193  del  2012),  fermo  restando  il  necessario  rispetto  della
sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012). 
    Del resto, gia' in passato e in piu' occasioni,  pur  riguardanti
fattispecie non perfettamente sovrapponibili  a  quella  oggetto  del
presente giudizio, la competenza in materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica ha consentito allo Stato  di  imporre  all'autonomia
finanziaria delle Regioni speciali e delle Province  autonome  limiti
analoghi a quelli che valgono per le  Regioni  a  statuto  ordinario,
nelle  more  delle  trattative  finalizzate  al  raggiungimento   dei
necessari accordi (sentenze n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007,
n. 353 del 2004). 
    7.5.- Alla luce dei principi sopra richiamati, appare chiaro  che
lo Stato  ha  stabilito  la  misura  del  contributo  richiesto  alle
autonomie speciali, nonche' ai Comuni ricompresi  nel  territorio  di
alcune Regioni speciali, nell'adempimento della propria  funzione  di
coordinamento della finanza pubblica e nell'esercizio della  relativa
competenza legislativa. Solo  in  via  transitoria  e'  disposto  che
l'importo complessivo sia ripartito tra i vari enti proporzionalmente
alla media degli impegni finali registrata per ciascuno di  essi  nel
triennio 2007-2009 e che la somma cosi' determinata sia accantonata a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. 
    L'accantonamento e' disposto al fine  di  rendere  immediatamente
effettivo il concorso che le Regioni speciali e le Province  autonome
hanno il dovere di assicurare, con i mezzi di cui sono  titolari,  il
raggiungimento  degli  obiettivi  finanziari  nazionali.  Una   volta
chiarito che il contributo  imposto  alle  ricorrenti  e'  legittimo,
l'accantonamento  delle  quote  di  compartecipazione  e'  il   mezzo
procedurale attraverso  il  quale  le  autonomie  speciali  assolvono
tempestivamente gli obblighi di partecipazione al  risanamento  delle
finanze pubbliche.  Cosi'  come  e'  configurata  nella  disposizione
impugnata, una simile tecnica non viola  i  parametri  dedotti  dalle
ricorrenti, giacche' si risolve nell'omessa erogazione di  somme  che
queste ultime non avrebbero comunque potuto impiegare. 
    L'accantonamento avviene sul presupposto che  le  relative  somme
appartengano agli enti territoriali,  come  previsto  dai  rispettivi
statuti speciali:  da  questo  punto  di  vista,  non  vi  e'  alcuna
sostituzione dello Stato alle autonomie  speciali  nella  titolarita'
del gettito. Naturalmente, affinche'  esso  non  si  tramuti  in  una
definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte
dello Stato, occorre  che  tale  modalita'  non  si  protragga  senza
limite. Anche sotto questo profilo la  disposizione  non  incorre  in
vizi di incostituzionalita' dal momento che essa prevede che,  quando
saranno completate le procedure di cui all'art. 27 della legge n.  42
del 2009, siano le nuove norme di attuazione  statutaria  a  definire
l'entita' e le modalita'  del  concorso  dei  soggetti  ad  autonomia
speciale  agli  obiettivi  della  finanza  pubblica   nazionale.   La
disposizione impugnata si configura, dunque, come misura transitoria,
necessaria per assicurare il conseguimento effettivo degli  obiettivi
di   coordinamento   finanziario,   nell'ambito   della   particolare
contingenza nella quale si inseriva il decreto-legge impugnato, anche
in relazione alle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee. 
    E'  appena  il  caso  di  ribadire  che   nell'attuazione   delle
previsioni sopra richiamate deve essere rispettato  il  principio  di
leale collaborazione,  il  quale  richiede  un  confronto  autentico,
orientato al superiore interesse pubblico di  conciliare  l'autonomia
finanziaria delle Regioni con l'indefettibile vincolo di concorso  di
ciascun soggetto ad autonomia speciale alla  manovra  di  stabilita',
sicche' su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di
collaborazione e di discussione,  articolato  nelle  necessarie  fasi
dialogiche (ex plurimis, sentenza n. 19 del 2015). Non  mancano  alle
Regioni  e  alle  Province  autonome  gli  strumenti  per  reagire  a
eventuali comportamenti, anche omissivi, dello Stato che non appaiano
conformi al principio  di  leale  collaborazione,  cosicche'  nessuna
delle parti possa abbandonarsi ad atteggiamenti arbitrari di  inerzia
o dilazione pretestuosa. 
    8.- L'art. 28, comma 6, e' oggetto di impugnazione da parte della
sola Regione siciliana,  ad  avviso  della  quale  le  somme  che  le
spettano a titolo di Fondo sanitario  nazionale  dovrebbero  giungere
immediatamente nella sua  disponibilita'  e  non  dovrebbero  restare
accantonate in bilancio, per un massimo di cinque anni,  fino  a  che
sia  stata  verificata  la  realizzazione  delle  condizioni  che  ne
consentono l'erogazione. 
    La questione non e' fondata. 
    Occorre premettere che  la  Regione  siciliana  e'  l'unica,  tra
quelle a statuto speciale,  che  non  autofinanzia  integralmente  le
proprie prestazioni  sanitarie,  ma  beneficia,  come  le  Regioni  a
statuto ordinario, di fondi statali. Pertanto, in analogia con quanto
disposto  per  le   Regioni   a   statuto   ordinario,   gia'   prima
dell'introduzione della norma  in  questione,  l'art.  77-quater  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto  2008,  n.  133,  prevedeva,  al  comma  5,  che   all'odierna
ricorrente fossero erogate le  somme  spettanti  a  titolo  di  Fondo
sanitario   nazionale,   «previo   accantonamento   di   un   importo
corrispondente alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno
sanitario condizionata alla verifica degli adempimenti regionali,  ai
sensi della legislazione vigente». L'accantonamento di cui la Regione
lamenta  l'illegittimita'  costituzionale   non   e'   stato   dunque
introdotto dal censurato art. 28, comma 6, del d.l. n. 201 del  2011,
come convertito, ma era gia' previsto dal citato art.  77-quater  del
d.l. n. 112 del 2008 come convertito. Neppure gli adempimenti la  cui
positiva  verifica  e'  condizione  per  l'erogabilita'  delle  somme
spettanti  alla  Regione  siciliana  a  titolo  di  fondo   sanitario
nazionale sono stabiliti nella disposizione  impugnata.  Quest'ultima
si limita, invece, a regolare un  solo  aspetto  dell'accantonamento,
fissando per esso una durata massima non  superiore  al  quinto  anno
successivo a quello di iscrizione in bilancio, esplicitando cosi'  la
natura temporanea  della  misura  gia'  prevista  dalla  legislazione
vigente. In tal  modo,  la  disposizione  anzidetta  sicuramente  non
accresce, e anzi contiene, l'incidenza nei  confronti  della  Regione
del gia' previsto accantonamento, al quale peraltro  va  riconosciuta
valenza di sanzione rispetto all'eventuale trasgressione di  obblighi
imposti dalla legislazione dello  Stato,  al  fine  di  garantire  la
tenuta della finanza pubblica allargata,  con  conseguente  riduzione
dei margini di autonomia finanziaria e  organizzativa  della  Regione
(sentenza n. 46 del 2015). 
    9.- Neppure sono fondate le  questioni  sollevate  dalla  Regione
siciliana nei confronti dei commi da 7 a 10  dell'art.  28,  i  quali
prevedono una riduzione  del  finanziamento  dello  Stato  ai  Comuni
(commi 7 e 9) e alle Province (commi  8  e  10)  ricompresi  sia  nel
territorio delle Regioni ordinarie, sia nel territorio della  Regione
siciliana e della Regione autonoma della Sardegna, per gli anni  2012
e successivi. 
    Non e' dubbio che, per il finanziamento delle normali funzioni di
Regioni ed enti locali, lo Stato possa erogare  fondi  senza  vincoli
specifici  di  destinazione,  in   particolare   tramite   il   fondo
perequativo di cui all'art. 119, terzo  comma,  Cost.  (ex  plurimis,
sentenza n. 370 del  2003),  cosi'  esercitando  una  competenza  che
pacificamente gli spetta in via esclusiva,  a  norma  dell'art.  117,
comma  secondo,  lettera  e),  Cost.,  a  tutela  della  coesione   e
dell'unita' economica della  Repubblica.  Allo  Stato  spetta  dunque
anche determinare l'entita' dei trasferimenti erariali  e  dei  fondi
che alimentano la finanza comunale  e  provinciale  ed  eventualmente
anche di ridurli, naturalmente con il vincolo di assicurare  a  tutti
gli enti territoriali, compresi quelli con minore  capacita'  fiscale
per abitante,  risorse  sufficienti  a  finanziare  integralmente  le
funzioni loro attribuite, come previsto dall'art. 119, quarto  comma,
Cost. 
    La ricorrente lamenta che la riduzione dei finanziamenti, operata
in via unilaterale dallo  Stato,  sia  di  entita'  tale  da  rendere
impossibile lo svolgimento delle sue funzioni, anche alla luce  delle
peculiari condizioni economiche della Regione e dei suoi enti locali.
Tuttavia, a supporto di tale circostanza la ricorrente  non  fornisce
alcun elemento che dimostri in concreto  che  l'intervento  normativo
abbia  dato  luogo  ad  una  insufficienza  complessiva   dei   mezzi
finanziari a disposizione (ex plurimis, sentenze n. 145 del 2008 e n.
29 del 2004). 
    D'altra parte, le riduzioni di  cui  ai  commi  da  7  a  10  del
censurato art.  28  hanno  interessato  anche  i  fondi  destinati  a
finanziare gli enti locali delle Regioni ordinarie. In relazione alle
altre  Regioni  ad  autonomia   speciale,   non   puo'   considerarsi
irragionevole che la riduzione riguardi solo i Comuni e  le  Province
ricompresi nel territorio delle due Regioni isolane: infatti, solo in
queste, tra tutte le autonomie speciali, la finanza degli enti locali
riceve tuttora contributi a carico dello  Stato;  non  per  caso,  il
comma 3 del censurato art. 28 prevede che le Regioni  autonome  Valle
d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, nonche' le  due  Province  autonome,
che provvedono alla finanza dei rispettivi enti locali, versino anche
un contributo aggiuntivo a titolo di concorso alla  finanza  pubblica
da parte dei Comuni ricadenti nel loro territorio. In forme  diverse,
la riduzione dei fondi degli enti locali lamentata  dalla  ricorrente
riguarda tutti i soggetti dotati di autonomia, ordinaria e speciale. 
    Neppure e' privo di rilievo il fatto che l'attuazione del riparto
delle riduzioni disposte dall'impugnato comma 6 era da attuarsi, e di
fatto e' stato attuato - in base alla normativa che in  quel  momento
regolamentava i fondi in questione (artt. 2, comma 7, e 13, comma  1,
del d.lgs. n. 23 del 2011; art. 21 del d.lgs. n. 68 del 2011)  -  con
decreti ministeriali adottati sulla base di accordi o  previa  intesa
in sede di Conferenza Stato citta' e autonomie. 
    Sotto ogni profilo, dunque, le  censure  appaiono  destituite  di
fondamento. 
    10.- L'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 era ed e', anche dopo  la
conversione operata dall'art. 1, comma 1,  della  legge  n.  214  del
2011, rubricato «clausola di finalizzazione». La rubrica  corrisponde
al contenuto del comma 1 del suddetto articolo, in virtu'  del  quale
le maggiori entrate erariali derivanti dall'applicazione del  decreto
«sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere
destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della
eccezionalita' della situazione economica internazionale».  Ai  sensi
del secondo periodo dello stesso comma 1, un  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, del quale la legge di  conversione  ha
prescritto la trasmissione alla Camera dei deputati e al Senato della
Repubblica, stabilisce le modalita'  di  individuazione  del  maggior
gettito, attraverso una contabilizzazione separata. 
    Il comma 1-bis, introdotto  in  sede  di  conversione,  reca  una
clausola di salvaguardia:  essa  rinvia  alle  «norme  di  attuazione
statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e
successive modificazioni», per  la  definizione  delle  modalita'  di
applicazione e degli effetti finanziari del d.l. n. 201 del 2011  per
le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento  e
di Bolzano. Tuttavia, la stessa  clausola  esordisce  stabilendo  che
restano ferme, anche per questi enti, «le disposizioni previste dagli
articoli 13, 14 e 28», nonche' quelle recate dallo stesso art. 48, si
intende al comma 1. 
    In riferimento al suddetto art. 48,  la  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta censura il  comma  1,  secondo  periodo,  lamentando  che  la
disposizione impugnata  non  ha  rispettato  le  condizioni  previste
dall'art. 8, primo comma, della legge  n.  690  del  1981,  il  quale
consente che maggiori entrate erariali  siano  riservate  allo  Stato
qualora esse siano destinate per legge  alla  copertura  di  nuove  o
maggiori spese a carico del bilancio statale,  a  condizione  che  il
maggior gettito riservato all'erario  sia  «determinato  per  ciascun
esercizio finanziario con decreto dei Ministri delle  finanze  e  del
tesoro, d'intesa con il  presidente  della  giunta  regionale»;  tale
intesa, si deduce, non sarebbe prevista dal  censurato  art.  48  del
d.l. n. 201 del 2011, come convertito. 
    La questione e' fondata. 
    Manca infatti, nell'impugnato art. 48, come nel resto del d.l. n.
201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge n.  214  del  2011,  qualsivoglia  previsione  in  merito
all'intesa con il Presidente della Regione  autonoma  Valle  d'Aosta,
espressamente richiesta dalla legge n. 690 del 1981:  una  legge  che
questa Corte (nella sentenza  n.  133  del  2010)  ha  gia'  ritenuto
modificabile solo con il procedimento previsto dall'art. 48-bis dello
statuto  speciale,  prescritto   per   l'approvazione   dei   decreti
legislativi di  attuazione  statutaria,  anche  in  forza  di  quanto
disposto dall'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994,  n.  320
(Norme di attuazione  dello  statuto  speciale  della  regione  Valle
d'Aosta). 
    Neppure in sede attuativa si e' verificata tale intesa.  Infatti,
il decreto del Direttore generale  delle  finanze  e  del  Ragioniere
generale dello Stato 20 luglio 2012 (Modalita' di individuazione  del
maggior gettito da riservare all'Erario, ai sensi dell'art. 2,  comma
36  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dell'art. 48,
comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214),  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale 26 luglio 2012, n. 173,  si  limita  a  dare
atto che, con una propria nota trasmessa anche alla Regione  autonoma
Valle  d'Aosta,  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze   ha
preventivamente  comunicato  i  criteri  di  contabilizzazione  delle
riserve erariali previste dal censurato art. 48, comma 1. 
    Tuttavia, da tempo la giurisprudenza costituzionale  ha  chiarito
la differenza tra un semplice onere di informazione  da  parte  dello
Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle  Regioni,  e  la
vera e propria intesa, la quale  costituisce  «una  tipica  forma  di
coordinamento  paritario,  in  quanto   comporta   che   i   soggetti
partecipanti  siano  posti  sullo  stesso  piano  in  relazione  alla
decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come
il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta  fra
il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e  quello  la
cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa» (sentenza n.  337
del 1989; in tal senso, sentenza n. 116 del 1994). 
    Come questa Corte ha recentemente ribadito nella sentenza  n.  65
del 2015, in relazione all'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
27 del 2012, la normativa di attuazione dello statuto  della  Regione
autonoma Valle d'Aosta richiede  l'intesa  con  il  Presidente  della
Regione ai fini dell'adozione della determinazione  ministeriale  per
la quantificazione delle  maggiori  entrate,  riservate  allo  Stato,
rivenienti nel territorio della Regione autonoma. 
    Pertanto, ferma restando la spettanza  sostanziale  del  maggiore
gettito cosi' riservato allo Stato, il vizio  qui  accertato  risiede
esclusivamente  nella  mancata  previsione  di   un'intesa   con   il
Presidente della Giunta regionale in merito al provvedimento  tecnico
con il quale si quantifica l'esatto ammontare  di  tale  gettito,  in
ordine a quanto percepito nel territorio della Regione autonoma Valle
d'Aosta.