ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto  di  attribuzione  tra  enti  sorto  a
seguito della nota del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -
Dipartimento  della  Ragioneria  generale  dello  Stato,  Ispettorato
generale di finanza, Servizi ispettivi di finanza pubblica -  dell'11
settembre  2013,  n.  74491,  con  la   quale   e'   stata   disposta
l'esecuzione,   presso   la   Regione   Marche,   di   una   verifica
amministrativo-contabile avente ad oggetto le spese per il personale,
della nota del 14  aprile  2014,  n.  36675,  con  cui  la  relazione
contenente  i  risultati  della   verifica   amministrativo-contabile
eseguita e' stata trasmessa alla  Regione  Marche,  nonche'  di  tale
relazione redatta il 15 gennaio 2014, promosso dalla  Regione  Marche
con ricorso notificato il 23  giugno-3  luglio  2014,  depositato  in
cancelleria il 3 luglio  2014  ed  iscritto  al  n.  7  del  registro
conflitti tra enti 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  28  aprile  2015  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi  l'avvocato  Stefano  Grassi  per  la  Regione   Marche   e
l'avvocato dello Stato Giovanni Paolo Polizzi per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ricorso  notificato  il  23  giugno-3  luglio  2014   e
depositato il 3 luglio 2014, la Regione Marche ha promosso  conflitto
di attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri per l'annullamento, previa dichiarazione  di  non  spettanza
allo Stato, della nota in data  11  settembre  2013,  n.  74491,  del
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -   Dipartimento   della
Ragioneria generale dello Stato,  Ispettorato  generale  di  finanza,
Servizi ispettivi di  finanza  pubblica  -  con  la  quale  e'  stata
disposta l'esecuzione, presso la  Regione  Marche,  di  una  verifica
amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese
per il personale,  ai  sensi  dell'art.  60,  comma  5,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle  amministrazioni  pubbliche);  della
successiva nota in  data  14  aprile  2014,  n.  36675,  con  cui  la
relazione     contenente     i     risultati      della      verifica
amministrativo-contabile eseguita e'  stata  trasmessa  alla  Regione
Marche; nonche' di tale relazione, redatta il 15 gennaio 2014. 
    2.- Riferisce la ricorrente che, in seguito ad una nota  in  data
11  settembre  2013  del  Ragioniere  generale  dello  Stato,  veniva
eseguita, dal 7  ottobre  2013  al  7  novembre  2013,  una  verifica
amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese
per il personale della Regione Marche. All'esito di tale verifica era
redatta, il 15 gennaio 2014, una  relazione  contenente  i  risultati
dell'ispezione eseguita, nella  quale  si  avanzavano  una  serie  di
rilievi critici in ordine alla complessiva gestione del personale, da
parte della Regione, in relazione agli anni 2008-2012. Tale relazione
veniva poi trasmessa alla Regione Marche con nota del 14 aprile 2014,
cui perveniva in data 24 aprile 2014. La nota si concludeva affidando
«all'iniziativa di codesta Regione l'adozione di provvedimenti idonei
all'eliminazione delle criticita' rilevate nella predetta relazione»,
richiedendo che «[i] relativi elementi informativi  [siano]  inviati,
con  nota  a  firma  del   rappresentante   legale   dell'Ente»,   al
Dipartimento della  Ragioneria  generale  dello  Stato,  «rispettando
l'ordine e il contenuto  dei  singoli  rilievi».  La  relazione  era,
infine,  inviata,   «[a]i   fini   dell'accertamento   di   eventuali
responsabilita'  per  danno  erariale»,   alla   competente   Procura
regionale della Corte dei conti, in conformita' al disposto dell'art.
60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    2.1.- Ad avviso della  difesa  regionale,  il  conflitto  sarebbe
ammissibile,  in  quanto  gli  atti  impugnati  presentano   indubbia
rilevanza esterna, dal momento che l'esercizio del  potere  ispettivo
si e'  tradotto  non  solo  nella  segnalazione  delle  irregolarita'
riscontrate, bensi' nella  richiesta,  nei  confronti  della  Regione
Marche, di adozione dei provvedimenti idonei  all'eliminazione  delle
irregolarita' rilevate. 
    Nel  merito,  secondo  la  difesa  regionale,  allo   Stato   non
spetterebbe il potere di  adottare  gli  atti  impugnati,  in  quanto
fondati su una disposizione di legge, l'art. 60, comma 5, del  d.lgs.
n. 165 del 2001, che, in seguito all'entrata in  vigore  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione), sarebbe divenuto incostituzionale,
con riferimento ai sopravvenuti artt. 114, 117, terzo e quarto comma,
118 e 119 della Costituzione. Osserva, sul punto, la difesa regionale
che la disposizione legislativa  in  questione  consente  allo  Stato
l'esercizio di un potere ispettivo analogo  a  quello  attribuito  al
Ministero dell'economia e  delle  finanze  dall'art.  5  del  decreto
legislativo 6 settembre  2011,  n.  149  (Meccanismi  sanzionatori  e
premiali relativi  a  regioni,  province  e  comuni,  a  norma  degli
articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio  2009,  n.  42),  introdotto
dall'art. 1-bis, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012,  n.  174
(Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio  2012),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, dichiarato
costituzionalmente illegittimo da questa Corte, con sentenza  n.  219
del 2013,  nella  parte  in  cui  consentiva  di  disporre  attivita'
ispettive  "ad  ampio  spettro"   sull'attivita'   amministrativa   e
contabile delle Regioni secondo le modalita' previste  dall'art.  14,
comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196  (Legge  di
contabilita' e finanza pubblica). 
    Richiamando tale  decisione,  la  difesa  regionale  rileva  che,
mentre sono legittime le leggi  statali  intese  ad  acquisire  dalle
Regioni dati utili, anche nella prospettiva del  coordinamento  della
finanza pubblica, e, in particolare, in  rapporto  alle  attribuzioni
della Corte dei conti, non  sarebbe  invece  consentito  affidare  al
Governo  un  potere  di  verifica,  per  mezzo  dei  propri   servizi
ispettivi,  dell'intero  spettro  delle  attivita'  amministrative  e
finanziarie delle Regioni.  Non  sarebbe  in  ogni  caso  ammesso  un
generalizzato controllo statale  sull'operato  delle  Regioni  e,  in
particolare, un penetrante potere di accesso agli  uffici  regionali,
poiche' esso eccederebbe i  principi  fondamentali  di  coordinamento
della  finanza  pubblica  e  si  risolverebbe,  non   solo   in   una
sovrapposizione rispetto alla funzione di controllo  attribuita  alla
Corte dei  conti,  ma  soprattutto  in  una  invasione  dello  spazio
riservato all'autonomia legislativa e organizzativa delle Regioni. 
    La difesa della Regione Marche richiama, inoltre, la sentenza  n.
39  del  2014,  in   cui   la   Corte   costituzionale,   dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera e), del
d.l.  n.  174  del  2012,  come  convertito,  ha  osservato  che   il
legislatore statale non puo' attribuire «direttamente al  Governo  un
potere di verifica sull'intero spettro delle attivita' amministrative
e  finanziarie  degli  enti  locali,  sottraendolo,  in   tal   modo,
illegittimamente all'ambito  riservato  alla  potesta'  normativa  di
rango primario» delle Regioni. 
    Per questi motivi, la difesa regionale chiede a questa  Corte  di
sollevare  dinnanzi   a   se   stessa   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001,  in
riferimento agli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost., in quanto  trattasi
di questione senz'altro  rilevante  ai  fini  della  definizione  del
conflitto. 
    2.2.- In subordine, la difesa della Regione Marche osserva che il
potere ispettivo, oltre ad essere fondato su una norma  asseritamente
incostituzionale,  sarebbe  stato  esercitato   con   modalita'   che
travalicano i limiti ad esso posti dalla stessa disposizione  che  lo
ha istituito e che lo disciplina. Afferma, sul punto, che l'art.  60,
comma 5, del d.lgs. n. 165 del  2001,  in  seguito  alle  abrogazioni
operate dall'art. 26 del d.P.R. 30 gennaio 2008, n.  43  (Regolamento
di riorganizzazione del Ministero dell'economia e  delle  finanze,  a
norma dell'articolo 1, comma 404, della legge 27  dicembre  2006,  n.
296), limiterebbe il potere  ispettivo,  nell'ambito  della  gestione
finanziaria regionale, all'esame delle sole spese per  il  personale,
con particolare riferimento alle spese conseguenti  agli  «oneri  dei
contratti collettivi nazionali e decentrati», nonche', attraverso  il
rinvio all'art. 27, comma quarto, della legge 29 marzo  1983,  n.  93
(Legge quadro sul  pubblico  impiego),  alla  «corretta  applicazione
degli accordi collettivi stipulati». Dovrebbe, invece, essere esclusa
ogni altra valutazione, eccedente la mera verifica del  rispetto  dei
contratti collettivi nazionali e decentrati. 
    La relazione sulla  verifica  amministrativo-contabile  eseguita,
attuale oggetto d'impugnazione,  avrebbe,  invece,  travalicato  tali
confini, in quanto conterrebbe rilievi critici volti a segnalare casi
di asserito contrasto tra la legislazione regionale e la legislazione
statale, e tra la legislazione regionale  e  i  contratti  collettivi
nazionali. Osserva, sul  punto,  la  Regione  che  tali  rilievi  non
potrebbero appuntarsi su  una  asserita  illegittimita'  delle  leggi
regionali, dovendo  tali  leggi  essere,  se  del  caso,  ritualmente
impugnate di fronte alla Corte costituzionale, ne' potrebbe il potere
ispettivo tradursi nella  richiesta  di  modificare  tali  leggi.  E'
richiamata, in argomento, la sentenza n. 39 del 2014 di questa Corte,
nella quale, sia pur con riferimento al  potere  di  controllo  della
Corte dei conti, si afferma che le «funzioni di controllo non possono
essere spinte sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi  o
a privarli dei loro effetti», trovando esse «un limite nella potesta'
legislativa dei Consigli regionali». 
    La difesa della Regione Marche  rileva,  infine,  che  il  potere
ispettivo avrebbe travalicato i limiti consentiti dall'art. 60, comma
5, del d.lgs. n. 165 del 2001 anche sotto altri profili. 
    Anzitutto,  mentre  tale   disposizione   affida   al   Ministero
dell'economia    e    delle    finanze    un    potere    d'ispezione
amministrativo-contabile  limitato  alla  verifica  della  spesa  con
riguardo  all'osservanza  dei  contratti   collettivi   nazionali   e
decentrati, la relazione evidenzierebbe, invece, come tale potere  si
sia  spinto  a  sindacare  i  contratti  collettivi  decentrati,   in
riferimento ai contenuti dei contratti collettivi nazionali. 
    In secondo luogo, mentre il potere ispettivo sulla  gestione  del
personale puo' riguardare l'attuazione, da parte  della  legislazione
regionale, dei contratti collettivi nazionali e decentrati, esso  non
potrebbe estendersi  a  verificare  l'attuazione  delle  disposizioni
regionali in tema di gestione del personale. 
    Per tali motivi, la difesa della Regione Marche  ritiene  che  il
potere  di  ispezione,  asseritamente  esercitato  oltre  i   confini
tracciati dall'art. 60, comma 5, del  d.lgs.  n.  165  del  2001,  si
sarebbe  tradotto  in  una  violazione  della  sfera   di   autonomia
legislativa, organizzativa, contabile e  finanziaria  della  Regione,
costituzionalmente garantita dagli artt. 114,  117,  terzo  e  quarto
comma, 118 e 119 Cost. (venendo  in  rilievo  sia  il  «coordinamento
della finanza pubblica»,  sia  la  competenza  legislativa  residuale
regionale in  materia  di  «organizzazione  degli  uffici»).  Chiede,
pertanto, a questa Corte di dichiarare che non  spettava  allo  Stato
adottare gli atti impugnati e, per l'effetto, di annullarli. 
    3.- Si e' costituito  nel  giudizio,  con  atto  depositato  l'11
agosto 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  il
ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, infondato. 
    Rileva l'Avvocatura generale dello Stato che il ricorso  dovrebbe
essere dichiarato inammissibile per plurime ragioni: in  quanto  esso
si fonda sulla presunta illegittimita' costituzionale  dell'art.  60,
comma 5, del d.lgs. n.  165  del  2001,  che  avrebbe  dovuto  essere
eccepita tramite rituale e tempestiva impugnativa nel giudizio  sulle
leggi; in quanto non specificherebbe i profili degli  atti  impugnati
che pregiudicherebbero l'autonomia regionale; in quanto  la  verifica
amministrativo-contabile non avrebbe travalicato i confini  tracciati
dall'art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, mancando,  dunque,
il tono costituzionale del conflitto. 
    3.1.- Quanto  al  merito  delle  censure  proposte,  l'Avvocatura
generale dello Stato osserva, anzitutto, che le  verifiche  ispettive
previste dall'art. 60, comma 5, del d.lgs.  n.  165  del  2001,  sono
finalizzate alla valutazione e alla verifica di tutte le spese per il
personale, non solo del rispetto degli oneri derivanti dai  contratti
collettivi. A sostegno di tale interpretazione, osserva che il citato
d.P.R. n. 43 del 2008 e' stato, a sua volta, abrogato  dall'art.  21,
comma 1, del decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  27
febbraio 2013, n. 67 (Regolamento  di  organizzazione  del  Ministero
dell'economia e delle  finanze,  a  norma  degli  articoli  2,  comma
10-ter, e 23-quinquies, del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), il
quale, ridefinendo le competenze del  Dipartimento  della  Ragioneria
generale  dello  Stato,  ne  avrebbe  incrementato   l'attivita'   di
controllo contabile. 
    In secondo luogo, l'Avvocatura generale dello Stato  rileva  come
la ricorrente non avrebbe motivato in ordine  al  presunto  contrasto
del potere ispettivo previsto dall'art.  60,  comma  5,  citato,  con
l'art. 114 Cost., limitandosi a  richiamare  la  sentenza  di  questa
Corte n. 219 del 2013, che  si  riferirebbe,  invece,  a  fattispecie
radicalmente diversa,  poiche'  la  disposizione  oggetto  di  quella
pronuncia attribuiva al Governo «un potere  di  verifica  sull'intero
spettro delle attivita' amministrative e finanziarie  della  Regione,
nel caso di squilibrio finanziario», duplicando  il  controllo  della
Corte dei conti. 
    Inoltre, l'Avvocatura generale dello Stato osserva come,  proprio
in quella pronuncia,  la  Corte  avrebbe  fatto  salvi  altri  poteri
ispettivi, al fine di far  valere  specifici  obblighi  gravanti  sul
sistema regionale, in particolare nella prospettiva di riferirne alla
Procura contabile. E' richiamata, a tal fine, la sentenza n. 370  del
2010, con cui questa Corte avrebbe affermato che  spetta  allo  Stato
esercitare il potere ispettivo previsto dall'art. 60,  comma  5,  del
d.lgs. n. 165 del 2001, ossia una verifica puntuale e  mirata  ad  un
determinato  settore  finalizzato  al  coordinamento  della   finanza
pubblica. 
    Per le medesime ragioni, l'Avvocatura generale dello Stato reputa
non conferente anche il richiamo alla sentenza n.  39  del  2014,  in
quanto la Corte, in quella pronuncia, avrebbe  censurato  l'esercizio
del potere statale sull'intero spettro delle attivita' amministrative
e finanziarie degli enti locali e non, invece, una verifica mirata  e
circoscritta, qual e' quella consentita dal piu'  volte  citato  art.
60, comma 5. 
    Tanto premesso, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che non
vi sarebbero i presupposti per lamentare un contrasto  dell'art.  60,
comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 con gli artt. 114, 117, 118 e 119
Cost. 
    3.2.- Con riferimento alla seconda parte del  ricorso  regionale,
in cui si censura l'esercizio di  un  potere  ispettivo  eccedente  i
limiti previsti dalla  legislazione  vigente,  l'Avvocatura  generale
dello Stato ribadisce, anzitutto, che il comma 5 dell'art. 60  citato
deve essere letto nel contesto dell'intero articolo e della normativa
successiva, da cui si  desumerebbe  che  la  verifica  amministrativa
investe tutte le spese per  il  personale.  In  secondo  luogo,  essa
rileva,  con  particolare  riferimento  al  contrasto   asseritamente
rilevato tra la legislazione regionale, la legislazione statale e  la
disciplina contenuta nei contratti collettivi, che l'attivita' svolta
non avrebbe in realta'  carattere  impeditivo  o  repressivo,  bensi'
conoscitivo-collaborativo, essendosi limitata a riferire alla Regione
le irregolarita'  rilevate,  lasciando  alla  stessa  il  compito  di
provvedere alla loro rimozione. Inconferente sarebbe,  dunque,  anche
sotto questo profilo, il richiamo  alla  sentenza  n.  39  del  2014,
poiche' in quella pronuncia la Corte ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale di una disposizione che, in seguito ai controlli della
Corte dei conti, obbligava le amministrazioni interessate ad adottare
i provvedimenti idonei a  ripristinare  gli  equilibri  di  bilancio,
risultando preclusa, in caso contrario, l'attuazione dei programmi di
spesa  per  i  quali  fosse  accertata   la   mancata   copertura   o
l'insostenibilita' finanziaria. 
    4.- In vista dell'udienza, in data 2 aprile 2015, la difesa della
Regione Marche ha depositato ulteriore memoria, con  osservazioni  in
ordine ai rilievi dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    Contesta, innanzitutto, la Regione che  il  conflitto  sia  volto
essenzialmente a censurare l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, ricordando  che  alla  Corte
costituzionale non sarebbe comunque precluso sollevare di fronte a se
stessa questioni di legittimita'  costituzionale  nel  conflitto  fra
enti e, inoltre, che la  Regione  non  aveva  impugnato  la  predetta
disposizione nel giudizio  in  via  principale,  in  quanto  essa  e'
divenuta  costituzionalmente  illegittima  solo  dopo  l'entrata   in
vigore, in data 8 maggio 2001, della legge costituzionale  n.  3  del
2001 di riforma del Titolo V della Parte seconda della  Costituzione.
In ogni caso, il ricorso  non  sarebbe  volto  a  censurare  solo  la
disposizione normativa in esame, in  quanto  e'  lamentato  anche  il
travalicamento  dei  limiti  che  la  stessa  disposizione  normativa
statale impone al potere ispettivo. 
    In ordine alla  presunta  inammissibilita'  per  genericita'  dei
parametri costituzionali che si assumono violati, la  Regione  Marche
osserva che le disposizioni indicate nel ricorso  -  gli  artt.  114,
117, terzo e quarto comma,  118  e  119  Cost.  -  concorrono,  tutte
insieme, a definire il  grado  di  autonomia  politica,  legislativa,
amministrativa e finanziaria che la riforma del Titolo V della  Parte
seconda della Costituzione ha assicurato alle Regioni. Ed  e'  questa
autonomia che si assume pregiudicata da un potere ispettivo, qual  e'
quello di cui all'art. 60, comma 5, citato, affidato non ad un organo
terzo e imparziale, bensi' ad un  soggetto  riconducibile  al  potere
esecutivo. 
    Quanto all'assenza di tono costituzionale del conflitto,  ritiene
la Regione che tale profilo attenga al merito di esso, e non alla sua
ammissibilita'. 
    E in  relazione  al  merito,  in  particolare  alle  osservazioni
contenute nell'atto di costituzione  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato, la difesa della Regione Marche riconosce che il d.P.C.m. n. 67
del 2013, all'art. 21, comma 1, ha abrogato il d.P.R. n. 43 del 2008,
a sua volta responsabile dell'abrogazione dei  poteri  del  Ministero
dell'economia e delle  finanze  di  cui  all'art.  3  del  d.P.R.  20
febbraio  1998,  n.  38  (Regolamento  recante  le  attribuzioni  dei
Dipartimenti  del  Ministero  del  tesoro,  del  bilancio   e   della
programmazione  economica,  nonche'  disposizioni   in   materia   di
organizzazione e di personale, a  norma  dell'articolo  7,  comma  3,
della L. 3 aprile 1997, n. 94), e all'art. 2  del  d.P.R.  28  aprile
1998,  n.   154   (Regolamento   recante   norme   sull'articolazione
organizzativa e le dotazioni organiche dei dipartimenti del Ministero
del tesoro, del bilancio e della programmazione  economica,  a  norma
dell'articolo 7, comma 3, della legge 3 aprile 1997, n. 94), ai quali
rinvia l'art. 60, comma 5, citato, ed ha ridefinito le competenze del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato all'art. 7,  comma
1. Ritiene, tuttavia, che cio' non infici la propria ricostruzione in
ordine ai limiti del potere ispettivo, in quanto una disposizione  di
rango secondario non  puo'  in  alcun  modo  ampliare  il  potere  di
controllo  della  Ragioneria  generale  dello   Stato,   cosi'   come
disciplinato dall'art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    La difesa regionale ribadisce che il  potere  ispettivo  previsto
dall'art. 60, comma 5, citato, in  quanto  attribuito  ad  un  organo
riconducibile al Governo e in quanto non si  limiti  all'acquisizione
di  dati,  bensi'  preveda  un  accesso  agli  uffici  regionali,  si
collocherebbe certamente ben al di la' del «punto  di  sintesi  [...]
raggiunto a tutela dell'autonomia regionale»  (sentenza  n.  219  del
2013), ne' potrebbe essere ricondotto a  quelle  ipotesi  eccezionali
che, secondo la giurisprudenza costituzionale,  possono  giustificare
verifiche ispettive da parte del Governo nei confronti delle Regioni.
Al contrario, esso duplicherebbe, in danno delle Regioni, i controlli
gia' affidati alla Corte dei conti. 
    Infine, con riferimento alla censura proposta in via subordinata,
in ordine alla non spettanza allo Stato del potere  di  adottare  gli
atti impugnati,  sotto  il  profilo  dell'illegittimo  esercizio  del
potere ispettivo di cui all'art. 60, comma 5, del d.lgs. n.  165  del
2001, la difesa della Regione  Marche  osserva  che  non  assumerebbe
rilevanza - quantomeno in astratto  -  la  natura  collaborativa  del
potere di controllo dei servizi ispettivi della  Ragioneria  generale
dello Stato, poiche' cio' che viene lamentato e' che tale potere  sia
stato esercitato al di fuori dei limiti e dei confini tracciati dalla
norma legislativa che lo istituisce e lo disciplina. In  particolare,
si ricorda che la  relazione  ispettiva  si  e'  spinta  a  segnalare
asseriti contrasti tra leggi regionali e leggi  statali  o  contratti
collettivi nazionali, con la conseguenza  che  l'invito  a  rimuovere
tali irregolarita' non puo'  che  incidere  sulla  sfera  legislativa
regionale, nonche', data la materia a cui quest'ultima si  riferisce,
sulla sfera di autonomia legislativa,  organizzativa,  finanziaria  e
contabile della Regione. 
    Contesta, infine, la  Regione  che  la  scelta  di  rimuovere  le
irregolarita'  segnalate  dall'ispettore   sia   rimessa   alla   sua
discrezionale volonta', sia perche', in tal modo, si  svuoterebbe  di
significato il controllo di cui al  citato  art.  60,  comma  5,  sia
perche'   il   referto   dell'ispezione   deve    essere    trasmesso
dall'ispettore alla Procura contabile, con il rischio per la  Regione
che quelle "criticita'", ove non  risolte,  generino  responsabilita'
per danno erariale. 
    Per questi motivi, la Regione Marche insiste  per  l'accoglimento
del ricorso. 
    5.-  Anche  l'Avvocatura   generale   dello   Stato,   in   vista
dell'udienza, ha depositato, in data 3 aprile 2015, una  memoria,  in
cui insiste per il rigetto del ricorso. 
    Osserva, in particolare, come il d.P.R.  n.  38  del  1998  e  il
d.P.R. n. 154 del 1998, ai quali l'art. 60, comma  5,  rinvia,  siano
stati non solo abrogati, ma anche sostituiti dal  d.P.R.  n.  43  del
2008, il quale, a sua volta, e' stato poi abrogato e  sostituito  dal
d.P.C.m. n. 67 del 2013. Tali novelle non sarebbero, dunque, idonee a
limitare il potere ispettivo esercitato ai sensi dell'art. 60,  comma
5, anche perche' le disposizioni in esso contenute  non  riguardavano
l'oggetto delle verifiche ispettive, bensi' le funzioni che i servizi
ispettivi potevano esercitare presso le Amministrazioni  destinatarie
delle ispezioni. 
    Contesta quindi il rinvio a quanto statuito da questa Corte nelle
sentenze n. 39 del 2014 e n. 219 del 2013, in quanto il  citato  art.
60, comma 5, non  consentirebbe  una  verifica  «sull'intero  spettro
delle attivita' amministrative e finanziarie della  Regione»,  bensi'
una  verifica  limitata  alle  spese  del  personale.   Quanto   alla
richiesta, avanzata alla Corte dalla difesa della Regione Marche,  di
sollevare  dinnanzi   a   se   stessa   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'anzidetto art. 60, comma 5, l'Avvocatura generale
dello Stato rileva come non siano stati adeguatamente  individuati  e
motivati i parametri costituzionali che si assumono violati. In  ogni
caso, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  contesta  la  nozione  di
autonomia che la Regione Marche assume violata, poiche'  dal  ricorso
emergerebbe che l'autonomia, anziche' presentarsi come  un  complesso
di competenze che lo Stato deve rispettare,  si  risolverebbe  in  un
diritto a sottrarsi ad ogni tentativo  di  contenimento  della  spesa
pubblica e, in definitiva, a quell'obbligo  di  leale  collaborazione
che la Corte costituzionale ha indicato come parametro prioritario di
valutazione di tutti i rapporti Stato-Regione. 
    A sostegno  della  legittimita'  del  potere  ispettivo  previsto
dall'art. 60, comma 5,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001  l'Avvocatura
generale dello Stato  invoca  le  disposizioni  normative  recate  in
materia di controllo e monitoraggio dei conti pubblici dalla legge n.
196 del 2009, che pure  prevede  poteri  ispettivi,  e,  soprattutto,
ricorda che  l'attivita'  ispettiva  avrebbe  carattere  referente  e
natura conoscitivo-collaborativa. 
    Nel caso in esame,  infine,  tale  attivita'  non  sarebbe  stata
esercitata   con   riguardo    all'organizzazione    regionale,    ma
esclusivamente con riferimento al trattamento economico erogato ed ai
limiti di finanza pubblica, materie di chiara competenza statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Marche ha promosso conflitto di  attribuzione  nei
confronti   del   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   per
l'annullamento, previa dichiarazione di  non  spettanza  allo  Stato,
della nota in  data  11  settembre  2013,  n.  74491,  del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  della   Ragioneria
generale  dello  Stato,  Ispettorato  generale  di  finanza,  Servizi
ispettivi di finanza pubblica  -  con  la  quale  e'  stata  disposta
l'esecuzione,    presso    la    Regione,     di     una     verifica
amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese
per il personale,  ai  sensi  dell'art.  60,  comma  5,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle  amministrazioni  pubbliche);  della
nota in data 14 aprile 2014, n. 36675,  con  la  quale  la  relazione
sulla verifica amministrativo-contabile, contenente i  risultati  del
controllo effettuato, e' stata trasmessa alla Regione Marche; e della
relazione, redatta il 15 gennaio 2014. 
    La ricorrente assume, in primo luogo, che  non  spetterebbe  allo
Stato     disporre     presso     la     Regione     una     verifica
amministrativo-contabile  per  la  valutazione  delle  spese  per  il
personale,  in  quanto  essa  sarebbe  lesiva  della  sua  sfera   di
attribuzioni costituzionali, definita dagli artt. 114, 117,  terzo  e
quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    Assume, sul punto, la Regione che tale verifica si fonderebbe  su
una disposizione - l'art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del  2001  -
costituzionalmente  illegittima,  e  di  cui  chiede  alla  Corte  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale  di  fronte  a  se
stessa. In subordine, ritiene che la verifica si  sia  svolta  al  di
fuori  dei  limiti  fissati  dalla  norma  appena   citata,   poiche'
l'attivita' ispettiva non si sarebbe limitata a verificare  la  spesa
in riferimento  agli  oneri  dei  contratti  collettivi  nazionali  e
decentrati e alla «corretta  applicazione  degli  accordi  collettivi
stipulati» (ai sensi dell'art. 27, comma  4,  della  legge  29  marzo
1983, n. 93, recante «Legge quadro  sul  pubblico  impiego»,  cui  il
citato art. 60, comma 5,  rinvia),  ma  si  sarebbe  tradotta  in  un
sindacato di carattere generale sulla gestione del personale, e in un
controllo su leggi regionali vigenti. 
    2.- In via preliminare, va rilevata la tardivita' della  censura,
proposta dalla ricorrente in via principale, circa  la  spettanza  in
capo allo Stato e, per  esso,  al  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, Dipartimento della  Ragioneria  generale  dello  Stato,  del
potere di disporre verifiche ispettive ai sensi dell'art.  60,  comma
5, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    La Regione, infatti, ha impugnato la nota in  data  11  settembre
2013, n. 74491, con la quale e' stata disposta la verifica ispettiva,
ma lo ha fatto oltre il  termine  decadenziale  di  sessanta  giorni,
stabilito dall'art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), che  decorre  dalla  notificazione  o  pubblicazione
ovvero dall'avvenuta conoscenza dell'atto impugnato. 
    Quella prima nota «esprime una chiara manifestazione di  volonta'
dello Stato di affermare la propria competenza a svolgere  verifiche»
(sentenza n. 370 del 2010), ed e' dalla  ricezione  di  essa  che  la
Regione ha avuto conoscenza della decisione dello Stato di  procedere
a verifiche ispettive. E', dunque, da quel  momento  che  decorre  il
termine, previsto dalla legge, per contestare la spettanza del potere
ispettivo. 
    Il ricorso, per questa parte, deve dunque ritenersi inammissibile
per tardivita'. 
    3.-  L'inammissibilita'  per  tardivita',  appena  rilevata,  non
riguarda  invece  la  censura,  proposta   dalla   Regione   in   via
subordinata, relativa non gia' alla spettanza del  potere  ispettivo,
bensi' alle modalita' con le quali tale potere e' stato  in  concreto
esercitato.  La  menomazione  delle  attribuzioni   lamentata   dalla
ricorrente e', infatti, autonomamente imputabile  alla  nota  del  14
aprile 2014 del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento
della Ragioneria generale dello Stato, che trasmette alla Regione  la
relazione conclusiva dell'ispezione, nonche' alla  relazione  stessa.
Da questi  atti,  tempestivamente  impugnati,  emergono  le  concrete
modalita' di esercizio del potere, contestate dalla Regione. 
    4.- Va ora esaminata l'eccezione di  inammissibilita'  formulata,
per questa parte del ricorso, dall'Avvocatura generale  dello  Stato,
in ordine alla genericita' delle censure prospettate. Assume  infatti
la resistente che il ricorso non specificherebbe in che modo gli atti
impugnati violerebbero  i  parametri  costituzionali,  a  loro  volta
genericamente evocati. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In realta', la ricorrente individua i paragrafi  della  relazione
ispettiva asseritamente lesivi e, con riferimento all'indicazione dei
parametri costituzionali, assume  che  le  modalita'  di  svolgimento
delle  verifiche  ispettive,  ad  opera  di  organi  dipendenti   dal
Ministero dell'economia e delle  finanze,  avrebbero  determinato  un
pregiudizio alla complessiva posizione  di  autonomia  costituzionale
garantita alla Regione, soprattutto dopo  la  riforma  del  Titolo  V
della Parte seconda della Costituzione, e attraverso il richiamo alla
sentenza n. 219 del 2013 di questa Corte. 
    Tanto appare sufficiente per radicare validamente il conflitto. 
    5.- La censura proposta in via subordinata dalla  Regione  Marche
e'  comunque  inammissibile,   in   parte   per   assenza   di   tono
costituzionale,  in  parte  per  carenza  di  lesivita'  degli   atti
impugnati. 
    La difesa della Regione Marche ha sollevato due censure. 
    Ritiene, innanzitutto, che in  alcuni  passaggi  della  relazione
ispettiva sarebbero state rilevate irregolarita' - in vari atti,  fra
i quali contratti collettivi  decentrati,  delibere  della  Giunta  e
dell'ufficio di presidenza del Consiglio regionale  -  non  attinenti
all'oggetto  dell'ispezione,  giacche'  la  disposizione  legislativa
statale consentirebbe verifiche circa la sola osservanza degli  oneri
derivanti dai contratti collettivi  nazionali  e  decentrati,  e  non
invece un  sindacato  esteso  a  tutte  le  spese  per  il  personale
regionale. 
    In  secondo  luogo,  la  Regione  evidenzia  che  gli   ispettori
avrebbero esteso il controllo al rispetto, da parte  del  legislatore
regionale, dei principi contenuti in leggi statali o della disciplina
desumibile da contratti collettivi nazionali. 
    5.1.-  L'esame  della   prima   delle   due   obiezioni   darebbe
inammissibilmente  ingresso,  in  un  giudizio   per   conflitto   di
attribuzione fra enti, ad  un  sindacato  sul  rispetto  della  fonte
primaria  da  parte   di   atti   amministrativi,   privo   di   tono
costituzionale, e pertanto non spettante a questa Corte. 
    Anche se i parametri costituzionali invocabili nei conflitti  tra
enti   ben   possono   essere   integrati   da   fonti    di    rango
sub-costituzionale (attuative delle disposizioni costituzionali), per
costante giurisprudenza di questa Corte il  tono  costituzionale  del
conflitto sussiste  quando  le  Regioni  non  lamentino  una  lesione
qualsiasi, ma una lesione  delle  proprie  competenze  costituzionali
(sentenze n. 263 del 2014, n. 52 del 2013, n. 305 del  2011,  n.  412
del 2008, n. 380 del 2007 e n. 467 del 1997). Vanno, dunque, distinti
i casi in cui la lesione derivi da un atto meramente illegittimo  (la
tutela dal quale e' apprestata dalla  giurisdizione  amministrativa),
da quelli in cui l'atto e', di per se', viziato per contrasto con  le
norme costituzionali sulla competenza (mentre non rileva  che  l'atto
possa essere anche oggetto di impugnazione in  sede  giurisdizionale:
cosi', espressamente, sentenze n. 137 del 2014 e n. 287 del 2005). 
    Da questo punto di vista, la Regione Marche chiede un  penetrante
sindacato sui contenuti della  relazione  ispettiva,  alla  luce  del
dettato normativo primario, al fine di definire  confini  ed  oggetto
del potere ispettivo consentito dal citato art. 60, comma 5, ma senza
dimostrare, in questa parte del ricorso, che il controllo in concreto
operato dagli ispettori, e asseritamente svolto contra  legem,  abbia
effettivamente recato pregiudizio, per ampiezza  e  intensita',  alla
sua sfera costituzionale di attribuzione. 
    5.2.-  Inammissibili  sono  altresi'  le  censure   mosse   dalla
ricorrente alle parti della relazione  ispettiva,  nelle  quali  sono
rilevati, e sottoposti a critica,  casi  di  asserito  contrasto  tra
legislazione regionale e legislazione  statale,  o  tra  legislazione
regionale e disciplina desumibile da contratti collettivi nazionali. 
    Per  quanto   possano   risultare   fortemente   inopportune   le
espressioni, contenute in varie parti della  relazione  ispettiva  (e
particolarmente nel suo capitolo conclusivo), che riconducono  alcune
irregolarita'   a   vizi   di   legittimita'   costituzionale   della
legislazione regionale, esse  non  arrivano  a  ledere  la  sfera  di
attribuzione  costituzionale  della  ricorrente.  Infatti,  tali  pur
irrituali  rilievi  non  producono  effetti  su   tale   sfera,   ne'
compromettendo la piena efficacia delle leggi regionali sottoposte  a
critica, ne' determinando l'insorgere, in capo alla  Regione,  di  un
obbligo giuridico di modificare  la  propria  legislazione  all'esito
della verifica ispettiva (sentenza n. 39 del 2014). 
    I rilievi in discussione non possiedono quindi  reale  attitudine
lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione.