ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 7,
del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), promossi dal Tribunale ordinario di Bergamo con ordinanza
del 27 febbraio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per  la
Puglia con ordinanza del 10 luglio 2014, rispettivamente iscritte  ai
nn. 126 e 188 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della  Repubblica  nn.  35  e  46,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di costituzione di M.T. ed altri, nonche' gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 2015 e nella camera  di
consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi; 
    uditi nella stessa udienza pubblica del 28 aprile 2015 l'avvocato
Goffredo Gobbi per M.T. ed altri e l'avvocato  dello  Stato  Vincenzo
Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 27 febbraio  2014,  il  Tribunale
ordinario  di  Bergamo,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 23,  24,  36,  primo
comma,  e  97,  primo  comma,  della   Costituzione,   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  comma  7,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); 
    che il giudice rimettente premette di essere stato investito  dal
ricorso  proposto  da  alcuni  infermieri  professionali   dipendenti
dell'Azienda Ospedaliera Bolognini  di  Seriate,  con  il  quale  gli
stessi chiedono accertarsi che l'Azienda medesima non ha  il  diritto
di pretendere, in base  alla  disposizione  oggetto  di  censura,  il
versamento  delle   somme   da   essi   percepite   per   prestazioni
infermieristiche svolte presso  terzi  al  di  fuori  dell'orario  di
lavoro ma «senza premurarsi di  ottenere  la  previa  autorizzazione»
dell'amministrazione di appartenenza; 
    che il rimettente sottolinea come l'amministrazione  ospedaliera,
dopo aver comminato le sanzioni  disciplinari  reputate  adeguate  ed
aver iniziato ad esigere ratealmente le somme pretese, non ha mancato
di puntualizzare, nei provvedimenti disciplinari, che  «ciascuno  dei
dipendenti sanzionati aveva mantenuto un elevato standard qualitativo
nello svolgimento del servizio,  che  lo  svolgimento  dell'attivita'
lavorativa esterna non aveva recato danni  all'azienda  in  relazione
all'organizzazione   del   lavoro   [...],   che    lo    svolgimento
dell'attivita' lavorativa esterna non aveva pregiudicato il principio
di imparzialita' e il buon andamento  dell'azione  amministrativa  ed
infine che non vi era stato alcun nocumento all'immagine aziendale»; 
    che il Tribunale reputa incontestabile l'obbligo per  i  pubblici
dipendenti di osservare il principio di esclusivita' del rapporto  di
pubblico impiego, che trova fondamento  nell'art.  98,  primo  comma,
Cost., e considera altrettanto ovvio che la trasgressione del  dovere
di chiedere  l'autorizzazione  integri  -  secondo  la  stessa  norma
denunciata - un comportamento censurabile sul piano disciplinare; 
    che l'obbligo,  tuttavia,  di  restituire  all'amministrazione  i
compensi percepiti in assenza di autorizzazione sarebbe in contrasto,
anzitutto, con l'art. 36 Cost., trattandosi di  attivita'  lavorativa
lecita  nell'ordinamento  generale  e  correlato  ad  una  violazione
meramente formale, in quanto priva  di  connessione  rispetto  ad  un
eventuale danno per la  pubblica  amministrazione,  sul  piano  della
organizzazione e del buon andamento dell'azione amministrativa; 
    che  sarebbe,  altresi',  violato  l'art.  3  Cost.,   risultando
previsto   uno   stesso   trattamento   sanzionatorio   (restituzione
dell'intero compenso) tanto per chi abbia effettivamente  violato  il
dovere di fedelta' ed esclusivita' (ad esempio in caso  di  attivita'
incompatibili), quanto per chi tali doveri  non  abbia  concretamente
violato (ad esempio per attivita' che non interferisca con quella  di
ufficio), tenuto anche conto, a proposito  di  incompatibilita',  del
progressivo delinearsi, nel «diritto vivente della Costituzione»,  di
un concetto «piu' flessibile» di esclusivita'; 
    che  violato  sarebbe  pure  il  «principio   costituzionale   di
proporzionalita' e modulazione delle sanzioni (artt. 1-2-3 Cost.)»; 
    che l'automatismo di cui alla previsione  censurata  impedirebbe,
infatti, di bilanciare il bene preservato (esclusivita' del  servizio
in favore dell'amministrazione)  con  il  valore  costituzionale  del
lavoro, inteso  quale  strumento  che  concorre  al  progresso  della
societa' (art. 4 Cost.), pure se prestato da un  dipendente  pubblico
fuori dell'orario di lavoro, tanto piu' in quanto «Il  lavoro  svolto
nel caso concreto non era immorale, degradante o  disonesto»  e  «non
comportava dispersione di competenze o di segreti professionali,  ne'
svilimento della funzione svolta in principalita' per la P.A.»; 
    che «il principio del necessario bilanciamento degli interessi in
gioco e dei valori» sarebbe «sotteso dall'ordinamento  costituzionale
a  tutti  i  procedimenti  e  provvedimenti   sanzionatori   (penali,
amministrativi e privatistici)», cosicche' al  recupero  delle  somme
sarebbe da riconnettere, accanto ad una funzione  «general-preventiva
tipica della punizione», anche una «funzione  individuale  di  punire
l'effrazione in concreto (funzione individuale-successiva)»; 
    che dunque la sanzione automatica, svincolata  dal  principio  di
proporzionalita', risulterebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 23  e
24 Cost.; 
    che, inoltre,  prescindendosi  da  qualsiasi  profilo  di  danno,
l'amministrazione verrebbe di fatto a  conseguire  un  ingiustificato
arricchimento,  «di  dubbia  compatibilita'  con  il   principio   di
imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97 Cost.»; 
    che  l'automaticita'  della  sanzione   non   sarebbe,   infatti,
compatibile con il «concetto di buon andamento  della  P.A.»,  inteso
quale  «principio  di  democraticita'   dell'operato   della   P.A.»,
postulando   questo   un'adeguatezza   nell'esercizio   del    potere
amministrativo sia rispetto ai  benefici  per  la  collettivita'  sia
anche al principio del minor sacrificio per le  posizioni  giuridiche
dei destinatari; 
    che  hanno  depositato  memoria  di  costituzione  i   dipendenti
pubblici parti nel giudizio a  quo,  chiedendo  l'accoglimento  della
questione; 
    che   la   previsione   censurata   determinerebbe    un'illogica
duplicazione, al  di  la'  del  piano  disciplinare,  di  conseguenze
derivanti da  un  unico  comportamento,  senza  collegamento  con  la
gravita' dell'inadempimento e con la sussistenza di un danno  nonche'
con il profilo psicologico degli inadempienti; 
    che, d'altra parte, la norma denunciata contrasterebbe, oltre che
con il principio di ragionevolezza, con i principi di  adeguatezza  e
proporzionalita'  dei  trattamenti   sanzionatori,   anche   per   la
sostanziale assenza di un diritto al ricorso effettivo ad un giudice,
imposto dall'art. 24 della Costituzione e dagli artt. 47 e  49  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,
evidenziandosi, peraltro, una disparita' di trattamento tra personale
medico - la  cui  attivita'  libero-professionale  non  richiederebbe
autorizzazione - e personale infermieristico; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
chiesto dichiararsi inammissibile e infondata la questione proposta; 
    che l'art. 36 Cost. non verrebbe in discorso, dal momento che  la
norma denunciata non esclude il diritto del dipendente al compenso; 
    che  neppure  sarebbe  violato  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  si
comparerebbero  fra  loro  situazioni  diverse,  quali   quella   del
dipendente  che  ha  chiesto   e   ottenuto   l'autorizzazione   allo
svolgimento della  attivita'  presso  terzi  e  del  dipendente  che,
invece, tale autorizzazione non ha provveduto a chiedere; 
    che l'automatismo della sanzione sarebbe, poi, in  linea  con  la
circostanza che «l'entita' del compenso percepito dal dipendente  per
lo  svolgimento  dell'attivita'  non  autorizzata  e'  immediatamente
rappresentativa dell'entita' quantitativa e qualitativa  dell'impegno
richiesto  e,  dunque,  della   rilevanza   dell'autorizzazione   non
richiesta» e, infine, della gravita' della violazione addebitabile; 
    che  non  risulterebbero  poi  comprensibili   «le   ragioni   di
incompatibilita'»   della   lamentata   ipotesi   di   ingiustificato
arricchimento della  pubblica  amministrazione,  considerato  che  un
rafforzamento del divieto di attivita' non autorizzate costituirebbe,
piuttosto, «un ulteriore disincentivo a tale condotta»; 
    che,  con  ordinanza   del   10   luglio   2014,   il   Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia  ha  sollevato  anch'esso,  in
riferimento  all'art.  36,   primo   comma,   Cost.,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 7, del d.lgs. n.  165
del 2001; 
    che il giudizio principale e' stato instaurato su ricorso  di  un
ufficiale pilota dell'aeronautica  militare,  il  quale,  durante  un
periodo  di   congedo   straordinario   senza   assegni   concessogli
dall'amministrazione, aveva svolto, senza  autorizzazione,  attivita'
lavorativa retribuita quale pilota di elicotteri presso una  societa'
spagnola, e che, successivamente, ripreso il proprio servizio, si era
visto richiedere le somme percepite a titolo di compenso; 
    che la previsione di cui all'art. 36 Cost., secondo la  quale  al
lavoratore spetta, "in ogni caso", una  retribuzione  sufficiente  ai
bisogni propri e della  propria  famiglia,  dovrebbe  «ritenersi  una
norma precettiva e di immediata applicazione»,  imponendo  la  tutela
del lavoratore anche nel caso di rapporto illegittimamente conseguito
o radicalmente nullo o di mero fatto; 
    che, nel prevedere la restituzione integrale della  retribuzione,
la norma censurata priverebbe «il lavoratore e la famiglia dei  mezzi
di sussistenza necessari», risultando, invece, conforme  ai  principi
costituzionali  «la  restituzione  della  sola  parte  eccedente  gli
emolumenti  che  il  dipendente  avrebbe  percepito  nell'ambito  del
rapporto di impiego con l'Amministrazione di appartenenza, al fine di
sanzionare in tal modo l'indebita locupletazione che il lavoratore si
sarebbe illegittimamente procurato, svolgendo un'attivita' lavorativa
non autorizzata e in violazione degli obblighi assunti»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale
ha  chiesto  dichiararsi  inammissibile  e  infondata  la   questione
proposta; 
    che il d.lgs. n. 165 del 2001 non si applicherebbe  al  personale
delle Forze armate, sottoposto alla disciplina dettata  dal  relativo
ordinamento; 
    che  il  giudice  a  quo  avrebbe,  quindi,  dovuto  prendere  in
considerazione il decreto legislativo 15 marzo 2010,  n.  66  (Codice
dell'ordinamento  militare),   il   quale,   all'art.   901,   regola
l'aspettativa  per  motivi  privati,  facendo  salve   le   eventuali
disposizioni  speciali  adottate  in  sede  di  concertazione  con  i
rappresentanti del personale; 
    che, d'altra parte, l'art. 18, comma 2, della  legge  4  novembre
2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di  lavori  usuranti,  di
riorganizzazione di enti, di  congedi,  aspettative  e  permessi,  di
ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di  incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro
pubblico e di controversie di lavoro) espressamente  prevede  che  ai
dipendenti  collocati  in  aspettativa  senza   assegni   non   siano
applicabili le incompatibilita' di cui all'art. 53 del d.lgs. n.  165
del 2001; 
    che si imporrebbe, dunque, la restituzione degli atti al  giudice
rimettente, «affinche' provveda a prendere in compiuta considerazione
tutti gli elementi desumibili dal quadro normativo applicabile  nella
materia». 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di
giudice del lavoro, solleva, in riferimento agli artt. 1,  2,  3,  4,
23, 24, 36, primo comma,  e  97,  primo  comma,  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma  7,  del
decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche); 
    che,  a  parere  del  Tribunale  rimettente,   tale   disciplina,
imponendo   al   «dipendente   pubblico   l'obbligo   di   restituire
automaticamente  all'Amministrazione  di  appartenenza   i   compensi
percepiti per incarichi  extraistituzionali  privi  della  prescritta
autorizzazione», si porrebbe in contrasto anzitutto  con  l'art.  36,
primo comma, Cost., «che prevede il diritto alla retribuzione per  il
lavoro prestato, conformandone la misura»,  trattandosi  di  compensi
«che pure derivano da attivita'  lavorativa  lecita  nell'ordinamento
generale,  seppure  non  autorizzata  dalla  P.A.»  e  risultando  la
sanzione correlata ad una violazione  meramente  formale,  in  quanto
priva di connessione rispetto ad un eventuale danno per  la  pubblica
amministrazione, sul piano della organizzazione e del buon  andamento
dell'azione amministrativa; 
    che vulnerati sarebbero anche gli artt. 1, 2 e 3 Cost., in quanto
l'automatismo  della  previsione  censurata  contrasterebbe  con   il
«principio costituzionale di  proporzionalita'  e  modulazione  delle
sanzioni»; 
    che, in particolare, la sanzione automatica,  «svincolata  da  un
principio di proporzione con la gravita' del fatto concreto,  con  il
suo disvalore oggettivo e con il grado di  colpevolezza  soggettiva»,
contrasterebbe con «il principio del  bilanciamento  degli  interessi
che trova il suo puntello costituzionale negli artt.  2,  3,  23,  24
Cost.»; 
    che, ancora, risulterebbe  violato  l'art.  97  Cost.,  giacche',
prescindendosi  totalmente  dall'apprezzamento  del  danno   per   la
pubblica   amministrazione,   si   determinerebbe,   per   essa,   un
ingiustificato  arricchimento,  di  dubbia  compatibilita'   con   il
principio  di  imparzialita'  e   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione; 
    che, infine, vi sarebbe violazione degli artt.  1,  2,  3  (e  4)
Cost., in quanto la normativa censurata apparirebbe in contrasto  con
il «principio di democraticita' dell'operato della  P.A.»,  dovendosi
questa, prima di operare, «prefigurarsi le conseguenze della  propria
azione non solo in termini di  beneficio  per  la  collettivita',  ma
anche negli esiti pregiudizievoli che essa potra' comportare  per  le
posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, all'uopo adottando  le
soluzioni migliori nel caso concreto alla luce  di  un  principio  di
democrazia e giustizia»; 
    che si sono costituiti in giudizio i  dipendenti  pubblici  parti
nel giudizio a quo, chiedendo l'accoglimento della questione; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
chiesto dichiararsi inammissibile e infondata la questione proposta; 
    che una questione sostanzialmente  identica  e'  stata  sollevata
anche dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, il  quale
reputa che l'art. 53, comma 7, del d.lgs. n.  165  del  2001  sia  in
contrasto con l'art. 36, primo comma, Cost., in quanto, nel prevedere
la  restituzione  integrale  della   retribuzione,   «priverebbe   il
lavoratore e la famiglia dei mezzi di sussistenza necessari»,  mentre
apparirebbe,  viceversa,  conforme  ai  principi  costituzionali  «la
restituzione  della  sola  parte  eccedente  gli  emolumenti  che  il
dipendente avrebbe percepito nell'ambito del rapporto di impiego  con
l'Amministrazione di appartenenza, al fine di sanzionare in tal  modo
l'indebita   locupletazione   che   il    lavoratore    si    sarebbe
illegittimamente procurato,  svolgendo  un'attivita'  lavorativa  non
autorizzata e in violazione degli obblighi assunti»; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che  ha  chiesto  dichiararsi  inammissibile  e  infondata  la
questione proposta; 
    che i giudizi, avendo ad oggetto  la  medesima  questione,  vanno
riuniti per essere definiti con un'unica pronuncia; 
    che  la   questione   deve   essere   dichiarata   manifestamente
inammissibile, in quanto entrambi i giudici  rimettenti,  trascurando
di compiere una esauriente ricognizione del  contesto  regolativo  di
riferimento, hanno completamente omesso di esaminare e  di  risolvere
motivatamente il problema relativo alla sussistenza della  rispettiva
giurisdizione in ordine alla specifica domanda a ciascuno devoluta; 
    che, infatti, il comma 7-bis dello stesso art. 53 del d.lgs.  165
del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 42,  lettera  d),  della
legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione  e  la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione), stabilisce  che  «L'omissione  del  versamento  del
compenso  da  parte  del  dipendente  pubblico  indebito   percettore
costituisce  ipotesi  di  responsabilita'  erariale   soggetta   alla
giurisdizione della Corte dei conti»; 
    che,  del  resto,  le  sezioni  unite  civili  della   Corte   di
cassazione,   pronunciandosi   su   ricorsi   per   regolamento    di
giurisdizione, avevano, in precedenza, con ordinanza del  2  novembre
2011, n. 22688, avuto modo di affermare che sussiste la giurisdizione
della Corte dei conti in materia di responsabilita' amministrativa di
un soggetto che, legato all'amministrazione da un rapporto di impiego
o di servizio, causi un danno con azioni od omissioni  connesse  alla
violazione  non   soltanto   dei   doveri   tipici   delle   funzioni
concretamente  svolte,  ma  anche  di  quelli  ad  esse  strumentali,
attinendo al merito e,  dunque,  ai  limiti  interni  della  potestas
iudicandi, ogni questione attinente al tipo e all'ammontare del danno
stesso diverso da quello all'immagine; 
    che, dunque, i giudici a quibus hanno, in particolare, omesso  di
indicare le ragioni per le  quali  ciascuno  di  essi  implicitamente
esclude che la disciplina di cui  al  richiamato  comma  7-bis  possa
trovare applicazione alle vicende di cui ai giudizi loro devoluti, le
quali, per di piu', apparendo  del  tutto  analoghe  anche  sotto  il
profilo  della   normativa   applicabile,   risulterebbero   tuttavia
contemporaneamente attribuite sia alla giurisdizione ordinaria sia  a
quella amministrativa; 
    che, accanto a cio', la questione  proposta  dal  TAR  Puglia  va
dichiarata manifestamente inammissibile anche per carente motivazione
sulla rilevanza,  avendo  il  giudice  rimettente  insufficientemente
descritto le circostanze di fatto di cui al giudizio a quo,  relative
alla situazione di  un  ufficiale  pilota  dell'aeronautica  militare
collocato in aspettativa; 
    che, d'altra parte, questo giudice rimettente non ha mostrato  di
tenere, in alcun modo, conto di quanto  specificamente  previsto  sia
dallo stesso art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 - il quale, al  comma
6, lettera e), esclude dalla disciplina sanzionatoria, tra gli altri,
proprio i compensi derivanti «da incarichi  per  lo  svolgimento  dei
quali il dipendente e' posto in posizione di aspettativa, di  comando
o di fuori ruolo» -;  sia,  come  eccepito  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, dall'art. 18, comma 2, della legge 4 novembre  2010,  n.
183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di   lavori   usuranti,   di
riorganizzazione di enti, di  congedi,  aspettative  e  permessi,  di
ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di  incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro
pubblico e di controversie di  lavoro)  -  secondo  cui  nel  periodo
dell'aspettativa  «non  si  applicano  le  disposizioni  in  tema  di
incompatibilita' di cui all'articolo 53 del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165,  e  successive  modificazioni»  -;  sia,  infine,
eventualmente, dall'art. 901 del decreto legislativo 15  marzo  2010,
n.   66   (Codice   dell'ordinamento   militare),   che    disciplina
l'aspettativa per motivi  privati,  prevedendo  l'interruzione  della
retribuzione e dell'anzianita' di servizio.