ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  21-octies,
comma 2, primo periodo, della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove
norme in materia di  procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di
accesso ai documenti amministrativi), promosso dalla Corte dei  conti
- sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, nel  procedimento
vertente tra R. G. e la Regione siciliana - Fondo  pensioni  Sicilia,
con ordinanza del 9 settembre 2014, iscritta al n. 226  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 29  aprile  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 9 settembre 2014,  la  Corte  dei
conti  -  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  siciliana,   ha
sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.
21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi), in riferimento agli artt. 3,
97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione; 
    che la questione, cosi' prospettata, e'  stata  sollevata  in  un
processo avente ad oggetto la domanda di annullamento  dell'atto  con
cui la  Direzione  regionale  servizi  di  quiescenza  della  Regione
siciliana - Fondo pensioni Sicilia ha comunicato  ad  una  pensionata
l'avvio di un procedimento di  recupero,  sui  ratei  della  pensione
percepita, di somme indebitamente erogate,  e  che  nel  giudizio  la
ricorrente lamentava l'impossibilita' di comprendere  le  ragioni  di
fatto e di diritto della disposta ripetizione  e  di  aver  percepito
tali somme in buona fede; 
    che il giudice  a  quo,  sul  presupposto  che  l'amministrazione
regionale  avrebbe  fornito,  con  la  memoria  di  costituzione   in
giudizio,  motivazioni  integrative  della  impugnata  comunicazione,
dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 21-octies, secondo
comma, primo periodo, della legge n. 241 del 1990,  nella  misura  in
cui tale disposizione consente  l'integrazione  in  sede  processuale
della motivazione del  provvedimento  amministrativo  anche  dopo  un
rilevante periodo di tempo; 
    che, secondo la remittente, la norma si  porrebbe  in  contrasto:
con  gli  artt.  24,  97  e  113  Cost.,  costituendo,  l'obbligo  di
motivazione  dei  provvedimenti  amministrativi,  un  corollario  dei
principi di buon andamento e di  imparzialita'  dell'amministrazione,
in quanto consente al destinatario del provvedimento che ritenga lesa
una propria situazione giuridica di far  valere  la  relativa  tutela
giurisdizionale, senza che assuma alcuna  rilevanza  al  riguardo  la
natura discrezionale o vincolata dell'atto;  con  l'art.  117,  primo
comma,  Cost.,  in  quanto  la  norma  contravverrebbe   i   principi
dell'ordinamento  comunitario  come  interpretati  dalla   Corte   di
giustizia dell'Unione europea,  la  quale  avrebbe  sempre  affermato
l'impossibilita' di integrare  la  motivazione  di  un  provvedimento
amministrativo nel corso del processo; con l'art.  3  Cost.,  per  la
disparita' di trattamento che ne conseguirebbe, in termini di  tutela
giurisdizionale, tra atti derivati dalla normativa comunitaria e atti
esclusivamente  interni;  con  il  principio  della  separazione  dei
poteri,  in  quanto   consentirebbe   al   giudice   di   sostituirsi
all'amministrazione integrando la motivazione dell'atto; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque infondata; 
    che nel suo intervento il Presidente del Consiglio  dei  ministri
eccepisce, in punto di rilevanza,  che  le  regole  sul  procedimento
amministrativo sarebbero inapplicabili a fattispecie come  quella  in
esame, riguardanti un'attivita' paritetica nell'ambito della quale la
consistenza  della  posizione  soggettiva  azionata  e'  di   diritto
soggettivo; 
    che   la   fattispecie   in   esame    prescinderebbe    comunque
dall'applicazione dell'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, in
quanto l'obbligo di motivazione non potrebbe ritenersi violato quando
le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili  sulla  base
della sua parte dispositiva  e  si  verta  in  ipotesi  di  attivita'
vincolata; 
    che per gli atti vincolati la  motivazione  non  corrisponderebbe
alla logica, fatta propria  anche  dall'art.  296  del  Trattato  sul
funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),  di  esplicitare  l'iter
formativo e le ragioni della scelta discrezionale, ma si  limiterebbe
a indicare i presupposti fattuali e le norme di riferimento; 
    che, anche se si volesse ritenere che la fattispecie in esame  va
valutata alla luce dell'art. 21-octies della legge n. 241  del  1990,
la questione prospettata risulterebbe comunque infondata,  in  quanto
il meccanismo dettato dalla norma non altera in alcun modo il diritto
di difesa, ne' arreca un pregiudizio  alle  ragioni  sostanziali  del
ricorrente,  collegandosi  invece  alla  carenza  di  interesse   del
ricorrente  stesso  a  ottenere  l'annullamento  di   un   atto   che
l'amministrazione potrebbe  successivamente  reiterare  con  identico
contenuto. 
    Considerato che, con ordinanza del 9 settembre 2014, la Corte dei
conti  -  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  siciliana,   ha
sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.
21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi), in riferimento agli artt. 3,
97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, nella  misura  in
cui tale disposizione consente  l'integrazione  in  sede  processuale
della motivazione del provvedimento amministrativo; 
    che, secondo la rimettente, la norma si  porrebbe  in  contrasto:
con  gli  artt.  24,  97  e  113  Cost.,  costituendo,  l'obbligo  di
motivazione  dei  provvedimenti  amministrativi,  un  corollario  dei
principi di buon andamento e d'imparzialita' dell'amministrazione, in
quanto consente al destinatario del provvedimento  che  ritenga  lesa
una propria situazione giuridica di far  valere  la  relativa  tutela
giurisdizionale, senza che assuma alcuna  rilevanza  al  riguardo  la
natura discrezionale o vincolata dell'atto;  con  l'art.  117,  primo
comma,  Cost.,  in  quanto  la  norma  contravverrebbe   i   principi
dell'ordinamento  comunitario  come  interpretati  dalla   Corte   di
giustizia dell'Unione europea,  la  quale  avrebbe  sempre  affermato
l'impossibilita' di integrare  la  motivazione  di  un  provvedimento
amministrativo nel corso del processo; con l'art.  3  Cost.,  per  la
disparita' di trattamento che ne conseguirebbe, in termini di  tutela
giurisdizionale, tra atti derivati dalla normativa comunitaria e atti
esclusivamente  interni;  con  il  principio  della  separazione  dei
poteri,  in  quanto   consentirebbe   al   giudice   di   sostituirsi
all'amministrazione integrando la motivazione dell'atto; 
    che  l'ordinanza  di   rimessione   muove   da   una   incompleta
ricostruzione del quadro giurisprudenziale; 
    che,  difatti,  secondo  l'indirizzo  formatosi  in  materia   di
giudizio  pensionistico,  «dalla  natura  meramente  ricognitiva  del
procedimento  amministrativo,  preordinato   all'accertamento,   alla
liquidazione e all'adempimento  della  prestazione  pensionistica  in
favore  dell'assicurato  deriva  che  l'inosservanza,  da  parte  del
competente Istituto previdenziale, delle  regole  proprie  di  questo
procedimento, come, piu' in generale, delle prescrizioni  concernenti
il giusto procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei
precetti di buona fede e correttezza non  dispiega  incidenza  alcuna
sul rapporto obbligatorio  avente  ad  oggetto  quella  prestazione»,
cosicche' l'istante «non puo', in difetto dei fatti costitutivi della
relativa obbligazione, fondare la  pretesa  giudiziale  di  pagamento
della prestazione previdenziale rinvenendone la causa in  disfunzioni
procedimentali addebitabili all'Istituto», ferma restando l'eventuale
rilevanza a fini diversi di queste violazioni, come ad  esempio,  ove
ne  ricorrano  i  presupposti,  la  possibilita'   di   chiedere   il
risarcimento del danno che ne sia derivato  (ex  plurimis,  Corte  di
cassazione civile - sezione lavoro, sentenze 30  settembre  2014,  n.
20604; 29 aprile 2009, n. 9986; 24 febbraio 2003, n. 2804); 
    che la stessa giurisprudenza contabile, sul  presupposto  che  il
giudizio pensionistico, ancorche' promosso  formalmente  con  ricorso
contro un atto della pubblica  amministrazione,  ha  per  oggetto  il
completo riesame del rapporto obbligatorio di  quiescenza  nella  sua
globalita'  (cosi'  come  individuato   e   delimitato   dall'istanza
pensionistica nella previa sede amministrativa e, poi, dalla  domanda
giudiziale), ha affermato che non sono dirimenti le censure  formali,
includendo in esse anche  quelle  relative  alla  illegittimita'  del
provvedimento per violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del  1990
(Corte dei conti - sezione terza giurisdizionale centrale  d'appello,
14 maggio  2008,  n.  167;  sezione  prima  giurisdizionale  centrale
d'appello, 26 giugno 2002, n. 206;  sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Veneto 18 marzo 2009, n. 229); 
    che la  rimettente  non  spiega  se  e  come  ritiene  superabile
l'impostazione  giurisprudenziale  che  esclude   l'incidenza   delle
violazioni procedimentali (o di altre regole derivanti dalla legge n.
241 del 1990) sul rapporto obbligatorio di fonte  legale,  avente  ad
oggetto prestazioni pensionistiche; 
    che l'assenza di argomentazioni su  tale  profilo  preclude  ogni
verifica  in  ordine  alla  rilevanza  della  questione  prospettata,
comportandone l'inammissibilita'; 
    che, anche qualora si ritenesse la  norma  impugnata  applicabile
nel tipo di  contenzioso  in  esame,  la  rimettente  non  prende  in
considerazione il fatto che, secondo un  diffuso  orientamento  della
giurisprudenza  amministrativa,  «il  difetto  di   motivazione   nel
provvedimento  non  puo'  essere  in  alcun  modo   assimilato   alla
violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la
motivazione del  provvedimento  il  presupposto,  il  fondamento,  il
baricentro e l'essenza stessa  del  legittimo  esercizio  del  potere
amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un
presidio di legalita' sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il
ragionamento ipotetico che fa salvo, ai  sensi  dell'art.  21-octies,
comma 2, della legge n. 241 del 1990, il  provvedimento  affetto  dai
cosiddetti vizi non invalidanti» (ex multis,  Consiglio  di  Stato  -
sezione terza, 7 aprile 2014, n. 1629; sezione  sesta,  22  settembre
2014, n. 4770; sezione  terza,  30  aprile  2014,  n.  2247;  sezione
quinta, 27 marzo 2013, n. 1808); 
    che, dunque, la rimettente si e' sottratta al doveroso  tentativo
di sperimentare l'interpretazione costituzionalmente orientata  della
disposizione censurata, in applicazione del principio secondo cui una
disposizione  di  legge  puo'  essere  dichiarata  costituzionalmente
illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un  significato
che la renda conforme ai parametri costituzionali invocati  (sentenza
n. 77 del 2007; ordinanze n. 102 del 2012, n. 212, n. 103, n.  101  e
n. 15 del 2011, n. 322, n. 192 e n. 110 del 2010, n. 257 del  2009  e
n. 363 del 2008); 
    che la questione appare  altresi'  diretta  non  a  risolvere  un
dubbio di legittimita' costituzionale, ma a ricevere dalla  Corte  un
improprio  avallo  a  una  determinata  interpretazione  della  norma
censurata (rimessa al giudice di merito), operazione,  questa,  tanto
piu' inammissibile in presenza di indirizzi giurisprudenziali non del
tutto stabilizzati (sentenza n. 242 del 2008; ordinanze  n.  297  del
2007, n. 114 del 2006, n. 211 del 2005 e n. 142 del 2004); 
    che, in definitiva,  la  questione  sollevata  e'  manifestamente
inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, per mancato
esperimento del tentativo d'interpretazione conforme a  Costituzione,
nonche'  per  l'uso  improprio  dello   strumento   del   vaglio   di
costituzionalita' per avallare una certa interpretazione della  norma
censurata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per  i  giudizi  avanti
alla Corte costituzionale.