ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da
198  a  206,  della  legge  24  dicembre  2012,   n.   228,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge  di  stabilita'  2013)»,  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Caltanissetta sulla istanza proposta da C.P.  ed  altri,
con ordinanza del 5 marzo 2014,  iscritta  al  n.  132  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Udito nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2015 il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con ordinanza  del  5  marzo  2014,  il  Tribunale  ordinario  di
Caltanissetta,  sezione  misure  di  prevenzione,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 36 della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 198  a  206,  della
legge  24  dicembre  2012,  n.  228,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (Legge  di
stabilita' 2013)», nella parte in cui  non  include  tra  i  soggetti
legittimati a valersi della speciale procedura  di  accertamento  dei
crediti, ivi disciplinata, anche «i  creditori  privilegiati  (ed  in
particolare i lavoratori dipendenti)». 
    Il giudice a quo premette di doversi pronunciare sulle istanze di
alcuni lavoratori subordinati, intese ad ottenere  il  pagamento  del
credito per trattamento di fine rapporto vantato nei confronti di una
societa' a responsabilita' limitata, loro datrice di lavoro,  le  cui
quote e il cui intero patrimonio erano stati confiscati, in  esito  a
procedimento di prevenzione, con provvedimento del 23 novembre  2012,
divenuto definitivo il 5 febbraio 2013. Tre degli istanti avevano  in
precedenza adito, al medesimo fine, il Tribunale di Caltanissetta  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,  il  quale  si   era   dichiarato
incompetente, ritenendo trattarsi di materia  disciplinata  dall'art.
52 del decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (Codice  delle
leggi  antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,  nonche'   nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). 
    Osserva il giudice a quo che il citato art. 52  e',  in  realta',
inapplicabile  nei  casi  in  esame,  in  quanto   la   proposta   di
applicazione della misura di  prevenzione  e'  stata,  nella  specie,
formulata il 15 aprile 2011 e, dunque, prima della data di entrata in
vigore del d.lgs. n. 159 del 2011  (13  ottobre  2011):  sicche',  in
forza della disposizione transitoria di cui all'art. 117 del medesimo
decreto, il procedimento resta regolato dalle norme previgenti. 
    Emergerebbe,  di  conseguenza,  in  relazione  alle  istanze  dei
ricorrenti,  il  problema  del  difetto  di  tutela   dei   creditori
privilegiati - e, in particolare, dei titolari di crediti  da  lavoro
dipendente - nelle ipotesi di confisca in  esito  a  procedimento  di
prevenzione del patrimonio del debitore. 
    Il Tribunale nisseno si dichiara consapevole  del  fatto  che  la
Corte costituzionale ha  dichiarato  inammissibile  la  questione  di
costituzionalita' volta a denunciare l'assenza di strumenti di tutela
giurisdizionale che, in caso di confisca a favore dello Stato di beni
dell'indiziato  mafioso,  consentano  ai  creditori  -   per   titoli
anteriori al procedimento di prevenzione e per la  parte  di  crediti
che non  trovino  capienza  sugli  altri  beni  del  prevenuto  -  di
conservare sui beni confiscati  la  garanzia  patrimoniale  dei  loro
crediti. La Corte ha, infatti, rilevato che detta questione mirava ad
ottenere «una pronuncia additiva cui non  corrisponde  una  soluzione
obbligata, ma  una  pluralita'  di  possibili  interventi  variamente
articolati»,  la  scelta   fra   i   quali   restava   rimessa   alla
discrezionalita' del legislatore (sentenza n. 190 del 1994). 
    Ad avviso del giudice a quo, la conclusione  andrebbe,  tuttavia,
riconsiderata alla luce dei successivi, profondi mutamenti del quadro
normativo di riferimento. 
    Nell'assenza di una organica disciplina della materia, la ricerca
di uno strumento processuale  che  consentisse  di  salvaguardare  le
ragioni dei creditori, contemperandole  con  l'interesse  pubblico  a
privare il proposto delle  ricchezze  illecitamente  accumulate,  era
rimasto,  in  effetti,  per  lungo   tempo   affidato   agli   sforzi
interpretativi della giurisprudenza. 
    Facendosi carico  delle  predette  esigenze,  il  legislatore  ha
peraltro introdotto, con gli artt. 52 e seguenti del  d.lgs.  n.  159
del 2011, una speciale procedura incidentale volta  alla  tutela  dei
creditori in buona fede, applicabile nei procedimenti di  prevenzione
instaurati dopo l'entrata in vigore del citato decreto legislativo. 
    L'art. 52  stabilisce,  in  particolare,  che  «La  confisca  non
pregiudica i diritti di credito  dei  terzi  che  risultano  da  atti
aventi data certa anteriore al sequestro, nonche' i diritti reali  di
garanzia  costituiti  in  epoca  anteriore  al  sequestro»,   purche'
ricorrano le seguenti condizioni: «a) che l'escussione  del  restante
patrimonio   del   proposto   sia    risultata    insufficiente    al
soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti  da  cause
legittime di prelazione sui beni sequestrati; b) che il  credito  non
sia strumentale all'attivita' illecita o a quella che ne  costituisce
il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore  dimostri  di  aver
ignorato in buona fede il nesso di strumentalita';  c)  nel  caso  di
promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il
rapporto fondamentale; d) nel caso  di  titoli  di  credito,  che  il
portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il
possesso». 
    Con riguardo ai procedimenti gia' pendenti alla data  di  entrata
in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011,  l'art.  1,  comma  198,  della
legge n. 228 del 2012 ha successivamente  previsto  che  i  creditori
muniti di ipoteca iscritta prima della trascrizione del sequestro  di
prevenzione «sono soddisfatti nei limiti e con le modalita' di cui ai
commi da 194 a 206», e che  nello  stesso  modo  sono  soddisfatti  i
creditori che abbiano trascritto un pignoramento  anteriormente  alla
trascrizione del sequestro o che  siano  intervenuti  nell'esecuzione
iniziata con detto pignoramento prima dell'entrata  in  vigore  della
legge n. 228 del 2012. 
    A tal fine,  i  suddetti  creditori  debbono  proporre,  entro  i
termini perentori indicati, domanda di  ammissione  del  credito,  ai
sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011,  al  giudice
dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la  confisca,  il
quale - accertata la sussistenza e l'ammontare del  credito,  nonche'
la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n.  159
del 2011 - lo ammette al pagamento, dandone  immediata  comunicazione
all'Agenzia nazionale per l'amministrazione  e  la  destinazione  dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata (art.  1,
commi 199 e 200, della legge n. 228 del 2012). 
    Pur ampliando il novero dei soggetti «legittimati all'azione» (in
precedenza  individuati  nei  soli  titolari  di  diritti  reali   di
garanzia), l'art. 1, comma 198, della  legge  n.  228  del  2012  non
ricomprende, tuttavia, tra essi - diversamente da quanto avviene  per
i procedimenti iniziati nel vigore del d.lgs. n. 159  del  2011  -  i
creditori privilegiati e, segnatamente,  i  titolari  di  crediti  da
lavoro  dipendente  che  non  siano  anche  ipotecari,  pignoranti  o
intervenuti nell'esecuzione. Rispetto a tali  creditori  si  potrebbe
fare ricorso, quindi, unicamente alla normativa  di  cui  agli  artt.
2-ter e seguenti della legge 31 maggio  1965,  n.  575  (Disposizioni
contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere):
normativa che, peraltro, non regolando compiutamente i  rapporti  tra
lo Stato e i terzi nel caso  di  confisca,  non  offrirebbe  adeguati
strumenti di tutela. 
    Per questo verso, i commi da 198 a 206 dell'art. 1 della legge n.
228 del 2012 si porrebbero  -  a  parere  del  giudice  a  quo  -  in
contrasto con l'art. 3 Cost., sottoponendo ad un diverso  trattamento
posizioni creditorie  identiche,  in  ragione  della  mera  variabile
temporale rappresentata dal momento  di  avvio  del  procedimento  di
prevenzione.  La  rilevata  disparita'  di  trattamento   apparirebbe
irragionevole anche alla luce  della  considerazione  che,  ai  sensi
dell'art. 2745 del codice civile, il privilegio  e'  accordato  dalla
legge a crediti reputati meritevoli di maggiore tutela, per  la  loro
rilevanza sociale e giuridica: considerazione valevole tanto piu'  in
rapporto ai crediti da lavoro dipendente, relativamente ai  quali  la
Corte costituzionale ha gia' reputato ingiustificata la disparita' di
trattamento rispetto ai crediti ipotecari,  insita  nella  previsione
dell'art. 54, terzo comma, del regio decreto 16 marzo  1942,  n.  267
(Disciplina  del  fallimento,  del  concordato  preventivo  e   della
liquidazione coatta amministrativa) (sentenza n. 204 del 1989). 
    La sperequazione denunciata comporterebbe, inoltre, un vulnus del
diritto di difesa dei creditori privilegiati, ai quali  non  verrebbe
offerta «alcuna possibilita' di  dimostrare  il  proprio  affidamento
incolpevole  nella  regolarita'  del   rapporto   di   lavoro»:   con
conseguente creazione  di  un  ostacolo  all'effettivo  accesso  alla
tutela  giurisdizionale,  contrastante  con  la   garanzia   prevista
dall'art. 24 Cost. 
    Sarebbe  violato,  infine,  l'art.  36  Cost.,   che   garantisce
inderogabilmente al  lavoratore  una  retribuzione  proporzionata  al
lavoro svolto e sufficiente ad  assicurare  a  se'  e  alla  famiglia
un'esistenza  libera  e  dignitosa:  precetto  riferibile  anche   al
trattamento di fine rapporto, in quanto avente natura di retribuzione
differita. La mancata estensione della «procedura di  riconoscimento»
anche  al  lavoratore  che  vanti  un   credito   per   tale   titolo
comporterebbe, quindi, nel caso di confisca dell'azienda  del  datore
di lavoro, una grave  lesione  del  diritto  alla  retribuzione  gia'
maturato: lesione che, stante la rilevanza costituzionale del diritto
stesso, non potrebbe essere giustificata dalle finalita' di sicurezza
pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale. 
    La questione risulterebbe, altresi',  rilevante  nel  giudizio  a
quo, giacche' il suo accoglimento  consentirebbe  al  rimettente  «di
attivare il procedimento disciplinato dalla L.  n.  228/2012  per  la
tutela dei suesposti diritti di credito». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Caltanissetta,  sezione  misure  di
prevenzione, dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
commi da 198 a 206, della legge 24 dicembre  2012,  n.  228,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2013)», nella parte  in  cui  -  nei
casi di confisca disposta all'esito di  procedimenti  di  prevenzione
per i quali non si applica la disciplina  dettata  dal  Libro  I  del
decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (Codice  delle  leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'  nuove  disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e  2
della legge 13 agosto 2010, n. 136) -  non  include  tra  i  soggetti
legittimati a proporre domanda di ammissione del  credito,  ai  sensi
dell'art. 58, comma 2, del medesimo  decreto  legislativo,  anche  «i
creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti)». 
    Ad avviso del Tribunale  rimettente,  le  disposizioni  censurate
violerebbero  l'art.   3   della   Costituzione,   determinando   una
irragionevole disparita' di trattamento di  situazioni  analoghe,  in
correlazione alla mera variabile temporale rappresentata  dalla  data
di  inizio  del  procedimento  di   prevenzione.   Nei   procedimenti
instaurati dopo l'entrata in  vigore  del  d.lgs.  n.  159  del  2011
trovano, infatti, applicazione le disposizioni di cui agli artt. 52 e
seguenti  del  suddetto  decreto  legislativo,  che  apprestano   «un
organico sistema di  tutela  delle  ragioni  di  tutti  i  creditori,
compresi i privilegiati, e segnatamente i lavoratori dipendenti». 
    Non consentendo a  detti  creditori  di  dimostrare  «il  proprio
affidamento incolpevole nella regolarita' del rapporto di lavoro», le
norme censurate  creerebbero,  altresi',  un  ostacolo  all'effettivo
accesso alla tutela giurisdizionale, in contrasto con l'art. 24 Cost. 
    Sarebbe violato, infine, l'art. 36  Cost.,  giacche'  la  mancata
estensione della procedura  di  accertamento  anche  ai  titolari  di
crediti da lavoro dipendente  comporterebbe,  nel  caso  di  confisca
dell'azienda del datore di lavoro, una grave lesione del diritto alla
retribuzione,  non  giustificabile  alla  luce  delle  finalita'   di
sicurezza pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale. 
    2.- In via preliminare, va rilevato come il giudice a quo,  tanto
nel dispositivo che nella motivazione dell'ordinanza  di  rimessione,
identifichi  i  beneficiari  dell'invocata  pronuncia  additiva   nei
«creditori  privilegiati»  e,  «in  particolare»,   nei   «lavoratori
dipendenti»: locuzione che potrebbe far pensare alla proposizione  di
due distinte questioni di legittimita' costituzionale, in rapporto di
subordinazione tra loro (la prima piu' ampia, riferita al  genus  dei
creditori privilegiati; la seconda  piu'  ristretta,  concernente  la
species dei titolari di crediti privilegiati da lavoro subordinato). 
    In fatto, tuttavia, le censure  sottoposte  all'esame  di  questa
Corte risultano calibrate  in  modo  specifico  sulla  posizione  dei
titolari di crediti da lavoro. Solo a questi ultimi e' riferibile, in
effetti, l'evocata garanzia costituzionale del diritto del lavoratore
ad una retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36  Cost.).  Ma
anche la violazione dei restanti parametri costituzionali (artt. 3  e
24  Cost.)  e'  dedotta  dal  Tribunale  rimettente   con   argomenti
"ritagliati" sulla predetta figura  soggettiva:  rispettivamente,  il
richiamo alla sentenza n. 204 del 1989 di questa  Corte  (concernente
il trattamento dei crediti privilegiati da lavoro nel  fallimento)  e
l'asserito impedimento posto dalle norme censurate alla dimostrazione
dell'«affidamento incolpevole [del creditore] nella  regolarita'  del
rapporto di lavoro». 
    Se ne deve dedurre che l'oggetto della questione  e'  in  realta'
unitario, rimanendo circoscritto, nella prospettiva del rimettente, a
quanto segue alla locuzione «in particolare»,  ossia  ai  crediti  da
lavoro dipendente: e cio' in assonanza  con  l'oggetto  del  giudizio
principale, concernente istanze di lavoratori  subordinati  intese  a
conseguire il pagamento di crediti per trattamento di fine rapporto. 
    3.- Tanto puntualizzato, in  riferimento  all'art.  36  Cost.  la
questione e' fondata, nei termini di seguito specificati. 
    Il dubbio di costituzionalita' prospettato dal  rimettente  evoca
la complessa problematica relativa alla tutela dei terzi creditori di
fronte  alle  misure  di  prevenzione   patrimoniali   (sequestro   e
successiva  confisca):  misure   introdotte   nell'ordinamento,   con
riferimento alle persone indiziate di appartenenza ad associazioni di
tipo mafioso, dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni  in
materia  di  misure  di  prevenzione  di  carattere  patrimoniale  ed
integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio  1962,
n. 57 e 31 maggio  1965,  n.  575.  Istituzione  di  una  commissione
parlamentare sul fenomeno  della  mafia),  tramite  l'aggiunta  degli
artt.  2-ter  e  seguenti  alla  legge  31  maggio   1965,   n.   575
(Disposizioni contro le organizzazioni  criminali  di  tipo  mafioso,
anche straniere), al precipuo fine di sottrarre  alle  organizzazioni
criminali le risorse materiali necessarie per la loro esistenza e  le
ricchezze da esse illecitamente accumulate. 
    Nella sua versione originaria, l'art. 2-ter della  legge  n.  575
del 1965 si limitava a prevedere,  al  quinto  comma,  una  forma  di
tutela interna al procedimento di prevenzione a favore dei terzi  cui
risultassero appartenere i beni sequestrati. Costoro dovevano  essere
chiamati dal tribunale ad intervenire nel  procedimento,  nell'ambito
del quale potevano svolgere, anche con l'assistenza di un  difensore,
le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai
fini della decisione sulla confisca. 
    Nessun riferimento era, per converso, operato ai terzi creditori,
pure suscettibili di essere pregiudicati dalla  confisca,  in  quanto
depauperativa della  garanzia,  generica  o  specifica,  offerta  dal
patrimonio del proposto, e  pertanto  esposti  al  rischio  di  veder
sfumare, a seguito di essa, le loro aspettative di soddisfacimento. 
    In tale cornice  normativa,  l'assenza  di  strumenti  di  tutela
giurisdizionale che consentissero ai creditori - per titoli anteriori
al procedimento di prevenzione e per la  parte  di  crediti  che  non
trovasse capienza  sugli  altri  beni  dell'indiziato  mafioso  -  di
soddisfarsi sui beni  assoggettati  a  confisca,  formo'  oggetto  di
denuncia a questa Corte, in riferimento agli artt. 24,  primo  comma,
25, terzo comma, e 27, primo comma, Cost. La questione fu dichiarata,
tuttavia, inammissibile, in quanto diretta a conseguire un intervento
di tipo additivo eccedente i limiti  del  sindacato  di  legittimita'
costituzionale. Si  rilevo',  infatti,  che  il  risultato  auspicato
sarebbe stato realizzabile, non tramite un'unica soluzione obbligata,
ma attraverso  una  pluralita'  di  possibili  interventi  variamente
articolati,  tanto  sul  piano  processuale  (con  la  previsione  di
meccanismi  di  tutela  interni  o   esterni   al   procedimento   di
prevenzione) che su quello sostanziale  (essendo  ipotizzabili  varie
forme di inopponibilita' o inefficacia  della  confisca  rispetto  ai
creditori  e  differenti  configurazioni  del  «fatto  giuridico»  da
contrapporre ad  essa).  Con  la  conseguenza  che  il  conseguimento
dell'obiettivo avrebbe implicato scelte discrezionali, rimesse in via
esclusiva al legislatore (sentenza n. 190 del 1994). 
    Nella perdurante assenza di interventi legislativi sul punto,  il
compito di  individuare  possibili  meccanismi  di  salvaguardia  dei
creditori  rimase  quindi  affidato,  in  via  interpretativa,   alla
giurisprudenza ordinaria. In un panorama ermeneutico pure solcato  da
significative divergenze di opinioni, emerse comunque la  tendenza  a
limitare la tutela ai crediti assistiti da diritti reali di  garanzia
sui  beni  oggetto  del  provvedimento  ablativo:  diritti   ritenuti
insensibili alla confisca, a condizione che risultassero  iscritti  o
comunque costituiti in data certa anteriore al  sequestro,  e  sempre
che il loro titolare dimostrasse la sua buona  fede  e  l'affidamento
incolpevole, inteso come mancanza di collegamento del proprio diritto
con  l'attivita'  illecita  del  proposto.  A  detti   creditori   la
giurisprudenza riconobbe,  in  qualche  caso,  la  legittimazione  ad
intervenire nel  procedimento  di  prevenzione,  sulla  base  di  una
lettura ampia del concetto di  «appartenenza»  dei  beni,  richiamato
dall'art. 2-ter, quinto comma, della legge  n.  575  del  1965;  piu'
spesso, e comunque, la possibilita' di far valere le loro ragioni sui
beni attinti dal provvedimento ablativo tramite la proposizione di un
incidente di esecuzione. Tale indirizzo  trovo'  una  successiva  eco
normativa con il decreto-legge 4 febbraio  2010,  n.  4  (Istituzione
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata),
convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50,  che
estese espressamente ai titolari di diritti reali di garanzia  (oltre
che ai titolari di diritti reali di godimento o  di  quote  indivise)
sui  beni  immobili  sequestrati  la  facolta'  di  intervenire   nel
procedimento di prevenzione, esigendo,  al  tempo  stesso,  la  prova
«della   loro   buona   fede   e   dell'inconsapevole    affidamento»
nell'acquisizione di detti diritti. 
    Nessuna facolta' di intervento nel procedimento, o altra forma di
tutela sui beni confiscati, era in genere riconosciuta, di contro, ai
rimanenti  creditori,  chirografari  e  privilegiati.  In   caso   di
inadempimento, non rimaneva, dunque, a costoro che azionare  il  loro
diritto nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio,
ma senza la  possibilita'  di  coinvolgere  nell'azione  esecutiva  i
cespiti ormai trasferiti allo Stato per  effetto  della  confisca:  e
cio' neppure nel caso in  cui  il  patrimonio  residuo  del  proposto
risultasse incapiente. 
    Nell'ipotesi in cui, tuttavia, la confisca investisse,  non  gia'
singoli beni, ma  un'azienda,  parte  della  giurisprudenza  riteneva
applicabile - a salvaguardia dei creditori non assistiti da  garanzie
reali -  la  disciplina  civilistica  relativa  alla  responsabilita'
dell'acquirente per i debiti  relativi  all'azienda  ceduta,  di  cui
all'art. 2560, secondo comma, del codice civile. Sul piano operativo,
si registravano, inoltre, prassi di pagamento in via  transattiva  di
quote dei debiti aziendali  pregressi  da  parte  dell'amministratore
giudiziario dei beni colpiti dalle  misure,  nell'ottica  di  evitare
l'immediata  paralisi  dell'attivita'   imprenditoriale   conseguente
all'interruzione traumatica dei rapporti con i fornitori  e  con  gli
altri creditori. 
    4.- Il panorama ora tratteggiato e' stato profondamente  innovato
dal d.lgs. n. 159 del 2011, che - in attuazione dei criteri di delega
dettati dalla legge 13  agosto  2010,  n.  136  (Piano  straordinario
contro le mafie, nonche' delega al Governo in  materia  di  normativa
antimafia) e recependo suggerimenti da  piu'  parti  formulati  -  ha
introdotto un sistema organico di tutela esteso alla generalita'  dei
creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale  di
verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione
di un «piano di pagamento», secondo cadenze mutuate in  larga  misura
dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare. 
    L'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 159  del  2011  stabilisce,  in
specie, che «La confisca non pregiudica  i  diritti  di  credito  dei
terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro,
nonche' i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore  al
sequestro», purche' sussistano  tre  distinte  condizioni.  In  primo
luogo, «l'escussione  del  restante  patrimonio  del  proposto»  deve
essere «risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo
per i crediti assistiti da cause legittime  di  prelazione  sui  beni
sequestrati» (lettera a). In secondo luogo, non deve trattarsi di  un
credito  «strumentale  all'attivita'  illecita  o  a  quella  che  ne
costituisce il frutto  o  il  reimpiego,  a  meno  che  il  creditore
dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di  strumentalita'»
(lettera b): buona fede da valutare alla luce dei parametri  indicati
nel comma 3 dello stesso art. 52. In terzo luogo  e  da  ultimo,  nel
caso in cui il titolo genetico  o  rappresentativo  del  credito  sia
astratto (promessa di pagamento o ricognizione di debito,  titoli  di
credito),  l'interessato  deve  provare  il  rapporto   fondamentale,
nonche', nel caso del portatore di titoli di credito, quello  che  ne
legittima il possesso (lettere c e d). 
    L'art. 55 del d.lgs. n. 159 del 2011  vieta,  in  ogni  caso,  di
iniziare  o  proseguire  azioni  esecutive  sui   beni   sequestrati,
stabilendo,  altresi',  che  in  caso  di  confisca   definitiva   le
esecuzioni si estinguono. Al fine di  conseguire  il  soddisfacimento
del loro  diritto,  i  creditori  legittimati  devono  presentare  al
giudice «domanda di ammissione» del loro credito nei termini e con le
modalita' indicate  dall'art.  58.  Le  domande  formano  oggetto  di
verifica in contraddittorio, all'esito della quale  si  procede  alla
formazione dello stato passivo della procedura (art. 59). 
    I crediti ammessi sono quindi soddisfatti dallo Stato, sulla base
di apposito piano di pagamento (art. 61), nel limite del settanta per
cento del valore dei beni sequestrati o confiscati, risultante  dalla
stima redatta dall'amministratore o dalla minor  somma  eventualmente
ricavata  dalla  vendita  degli   stessi   (art.   53):   percentuale
successivamente ridotta al sessanta per cento dall'art. 1, comma 443,
lettera  b),  della  legge  27  dicembre  2013,   n.   147,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2014)». 
    Come appare evidente, la disciplina ora ricordata rappresenta  il
frutto del bilanciamento legislativo  tra  i  due  interessi  che  in
materia si contrappongono: da un lato, l'interesse dei creditori  del
proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale
sulla cui base avevano concesso  credito  o  effettuato  prestazioni;
dall'altro, l'interesse pubblico ad assicurare  l'effettivita'  della
misura di prevenzione patrimoniale  e  il  raggiungimento  delle  sue
finalita', consistenti nel  privare  il  destinatario  dei  risultati
economici dell'attivita' illecita. 
    In particolare, i requisiti di legittimazione stabiliti dall'art.
52 del d.lgs. n. 159 del 2011  rivelano  come  il  legislatore  abbia
inteso, per un verso, escludere dalla tutela i crediti  scaturiti  da
prestazioni connesse all'attivita' illecita o a quella  di  reimpiego
dei suoi proventi (requisito della  non  strumentalita'  del  credito
rispetto a  quest'ultima,  salva  la  dimostrazione  dell'incolpevole
ignoranza di tale nesso da parte del  creditore);  per  altro  verso,
evitare che il proposto possa  eludere  gli  effetti  della  confisca
precostituendo delle posizioni creditorie di comodo o  simulandone  a
posteriori l'esistenza (requisiti della "non astrattezza" del credito
e della sua sicura anteriorita' rispetto  al  sequestro);  per  altro
verso ancora, impedire che la persona sottoposta al  procedimento  di
prevenzione possa comunque  giovarsi  dei  proventi  delle  attivita'
illecite per "liberare" dai debiti il restante  patrimonio  personale
(requisito della preventiva infruttuosa escussione degli  altri  beni
del proposto). 
    5.- La disciplina ora ricordata opera, tuttavia, solo in rapporto
ai procedimenti di prevenzione instaurati dopo  l'entrata  in  vigore
del d.lgs. n. 159 del 2011 (13 ottobre 2011). L'art.  117,  comma  1,
del  citato  decreto  legislativo   stabilisce,   infatti,   che   le
disposizioni contenute nel Libro I  -  tra  le  quali  sono  comprese
quelle degli artt. 52 e seguenti - non si applicano nei  procedimenti
nei quali, alla predetta data, «sia gia' stata formulata proposta  di
applicazione della misura di prevenzione», soggiungendo che «In  tali
casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti». 
    Successivamente, peraltro, il legislatore ha  ritenuto  di  dover
dettare, con l'art. 1, commi da 194 a 206, della  legge  n.  228  del
2012, una specifica disciplina della materia anche per i procedimenti
di prevenzione  sottratti  all'applicazione  delle  disposizioni  del
Libro I del d.lgs. n. 159  del  2011,  in  quanto  gia'  pendenti  al
momento  dell'entrata   in   vigore   di   quest'ultimo:   disciplina
transitoria   sulla    quale    verte    l'odierno    scrutinio    di
costituzionalita'. 
    In parallelo al disposto dell'art. 55 del d.lgs. n. 159 del 2011,
si prevede, in particolare, che a decorrere dalla data di entrata  in
vigore della citata legge n. 228  del  2012  (1°  gennaio  2013)  non
possono essere iniziate o proseguite,  a  pena  di  nullita',  azioni
esecutive sui beni confiscati e che «gli  oneri  e  pesi  iscritti  o
trascritti» su detti beni anteriormente alla confisca  «sono  estinti
di diritto» (commi 194 e 197 dell'art.  1  della  legge  n.  228  del
2012): cio', fatta eccezione per i casi in cui il bene  risulti  gia'
trasferito o aggiudicato, anche in  via  provvisoria,  alla  predetta
data, o sia costituito da una quota indivisa  gia'  pignorata  (comma
195). 
    In correlazione a tali previsioni, si prefigura, quindi, anche in
questo caso, un  meccanismo  di  tutela  basato  su  un  procedimento
incidentale di verifica dei crediti e  sulla  predisposizione  di  un
piano di pagamento dei creditori ammessi, secondo modalita'  distinte
e semplificate rispetto a quelle delineate dalla normativa "a regime"
(commi da 199 a 206): ma con una  discrepanza  di  fondo,  quanto  ai
destinatari della tutela. 
    Questi ultimi sono,  infatti,  identificati  nei  soli  creditori
muniti di ipoteca iscritta anteriormente al sequestro di prevenzione,
nonche' nei creditori che, prima della  trascrizione  del  sequestro,
abbiano trascritto un pignoramento sul bene, ovvero che, alla data di
entrata in vigore della legge n.  228  del  2012,  siano  intervenuti
nell'esecuzione iniziata con il predetto pignoramento (art. 1,  comma
198). Solo costoro sono legittimati a  proporre  -  entro  i  termini
perentori normativamente indicati (centottanta giorni dall'entrata in
vigore della legge o dal successivo momento in  cui  la  confisca  e'
divenuta definitiva: commi 198 e 205) -  domanda  di  ammissione  del
credito, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159 del  2011,
«al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che  ha  disposto  la
confisca»  (e  cioe',  secondo  la  corrente  lettura,  allo   stesso
tribunale che ha adottato il provvedimento ablativo): domanda che, in
caso di  positivo  scrutinio  -  esteso  anche  alla  verifica  delle
condizioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011  e  condotto
con l'applicazione delle disposizioni sul procedimento di  esecuzione
(comma 200 dell'art. 1 della legge n. 228 del  2012)  -  consente  ai
creditori ammessi di conseguire il pagamento del loro credito. 
    Al pagamento - effettuato tramite la  liquidazione  di  beni  dal
valore di mercato complessivo non inferiore al doppio  dell'ammontare
dei crediti ammessi (comma 201) - si procede  sulla  base  del  piano
formato   dall'Agenzia   nazionale   per   l'amministrazione   e   la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata  (piano  suscettibile  di  opposizione   da   parte   dei
creditori). Anche nel frangente, e' stabilito un limite alla garanzia
patrimoniale, non potendo il piano «prevedere  pagamenti  complessivi
superiori al minor importo tra il 70 per cento del valore del bene  e
il ricavato dall'eventuale liquidazione dello stesso» (comma 203). 
    6.- In sostanza, dunque, mentre per i procedimenti di prevenzione
iniziati successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 159  del
2011  la  legittimazione  ad  avvalersi  della   speciale   procedura
incidentale di verifica e' estesa a tutti i creditori  -  siano  essi
chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale  -
per i  procedimenti  pendenti  (quale  quello  cui  si  riferisce  il
giudizio a quo) la legittimazione e' circoscritta ai  soli  creditori
ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione (i  secondi  e  i
terzi, peraltro, indipendentemente dal  rango  del  loro  credito  e,
quindi, anche se chirografari). 
    Restano  esclusi,  in  tal  modo,  dalla  tutela  i  crediti  dei
prestatori di lavoro subordinato, che non siano ipotecari, pignoranti
o intervenuti nell'esecuzione, ma comunque  assistiti  da  privilegio
generale sui beni mobili, ai sensi  dell'art.  2751-bis,  numero  1),
cod. civ., e con diritto alla  collocazione  sussidiaria  sul  prezzo
degli immobili, ai sensi dell'art. 2776 cod. civ. Per  questo  verso,
la disciplina in esame si pone, tuttavia, in contrasto con l'art.  36
Cost., in quanto idonea a pregiudicare il  diritto,  riconosciuto  al
lavoratore dal primo comma della citata norma costituzionale, «ad una
retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e
in ogni  caso  sufficiente  ad  assicurare  a  se'  e  alla  famiglia
un'esistenza libera e dignitosa». 
    Stante il  generale  divieto  di  iniziare  o  proseguire  azioni
esecutive sui beni confiscati,  enunciato  dall'art.  1,  comma  194,
della legge n. 228 del 2012, la misura patrimoniale rischia, infatti,
di privare ex abrupto  il  lavoratore  della  possibilita'  di  agire
utilmente in executivis per il  pagamento  delle  proprie  spettanze.
Cio' avviene segnatamente allorche' la confisca renda i residui  beni
del  debitore  insufficienti  a  soddisfare   le   sue   ragioni,   e
massimamente  nell'ipotesi  di  confisca  "totalizzante",  la   quale
investa, cioe' - come nel caso oggetto del giudizio a quo -  l'intero
patrimonio del datore  di  lavoro  (nella  specie,  una  societa'  di
capitali   nella   quale   erano   stati   convogliati   i   proventi
dell'attivita' illecita). In simili evenienze, il  lavoratore  perde,
in pratica, ogni prospettiva di  ottenere  il  pagamento  dei  propri
crediti tanto dal debitore (che non  ha  piu'  mezzi),  quanto  dallo
Stato, cui sono devoluti i beni confiscati:  sicche'  la  sua  tutela
resta affidata al solo eventuale intervento sostitutivo del Fondo  di
garanzia  istituito  presso  l'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale, ai sensi dell'art. 2 della legge  29  maggio  1982,  n.  297
(Disciplina del trattamento di  fine  rapporto  e  norme  in  materia
pensionistica), subordinato, peraltro, a  particolari  presupposti  e
circoscritto,  comunque,  ad  una  limitata  porzione   dei   crediti
derivanti dal rapporto di lavoro subordinato. 
    La disciplina di cui ai commi 198 e seguenti  dell'art.  1  della
legge n. 228 del 2012 assume,  in  effetti,  una  chiara  valenza  ad
excludendum, rispetto a pagamenti da parte degli organi  di  gestione
dei beni confiscati in favore di  creditori  diversi  da  quelli  ivi
considerati. Non e', infatti, pensabile che creditori particolarmente
qualificati - quali, in specie,  gli  ipotecari,  muniti  di  diritto
reale di garanzia - possano conseguire il pagamento dei loro  crediti
solo alle rigorose  condizioni,  anche  procedimentali,  ed  entro  i
limiti quantitativi stabiliti  dalle  predette  disposizioni,  mentre
creditori di diverso  tipo  possano  essere  liberamente  soddisfatti
tramite i beni assoggettati al provvedimento ablativo. 
    7.- La disciplina  censurata  non  puo'  essere,  d'altra  parte,
giustificata in una  prospettiva  di  bilanciamento  con  l'interesse
sotteso alle misure di  prevenzione  patrimoniali,  ricollegabile  ad
esigenze di ordine e sicurezza pubblica anch'esse  costituzionalmente
rilevanti. 
    Nella specie, in effetti, non di bilanciamento si tratta, «ma  di
un sacrificio puro e semplice» dell'interesse contrapposto  (sentenza
n. 317 del 2009). Il bilanciamento - come detto - e' quello espresso,
nell'ambito della normativa "a regime", dalle  previsioni  limitative
recate dall'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, volte ad impedire che
la  tutela  si  estenda  a  soggetti  lato  sensu  "conniventi"   con
l'attivita' illecita del proposto o di reimpiego dei suoi proventi, o
a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero  ancora  a  casi
nei quali e' possibile aggredire utilmente il residuo patrimonio  del
debitore: previsioni peraltro valevoli - in  virtu'  dello  specifico
richiamo operato dall'art. 1, comma 200, primo periodo,  della  legge
n. 228 del 2012 (da ritenere comprensivo del  requisito  della  certa
anteriorita' del credito rispetto al sequestro) -  anche  nell'ambito
della disciplina transitoria relativa ai procedimenti di  prevenzione
pendenti, che qui interessa. 
    In quest'ottica, la mancata inclusione dei titolari di crediti da
lavoro subordinato  tra  i  soggetti  abilitati  ad  avvalersi  della
procedura in questione si rivela, dunque,  priva  di  giustificazione
adeguata sul piano costituzionale. 
    Nelle notazioni che precedono  e',  d'altra  parte,  gia'  insita
l'insussistenza, nell'attuale cornice normativa, dell'impedimento  ad
un intervento di questa Corte in  materia,  precedentemente  rilevato
dalla sentenza n. 190 del 1994. Il legislatore  ha  gia'  provveduto,
infatti, a delineare, tanto  sul  piano  sostanziale  che  su  quello
processuale, un meccanismo di salvaguardia dei creditori di fronte ai
provvedimenti di confisca. La Corte non e', pertanto,  chiamata  oggi
ad operare alcuna scelta discrezionale tra un ventaglio di  possibili
soluzioni alternative - operazione che esorbiterebbe dai  limiti  del
proprio potere decisorio - ma soltanto  ad  implementare,  nei  sensi
imposti dall'art. 36 Cost., il catalogo  dei  creditori  che  possono
valersi di quel meccanismo. 
    8.- Al fine di rimuovere il vulnus riscontrato non e',  peraltro,
necessario   coinvolgere   nella   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale - come chiede il rimettente - tutte le disposizioni di
cui ai commi da 198 a 206 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012. E'
sufficiente, per converso, incidere sul comma 198, trattandosi  della
previsione  normativa  che  regge  quelle   dei   commi   successivi,
identificando i creditori cui esse si riferiscono. 
    Il citato comma 198 dell'art. 1 della legge n. 228  del  2012  va
dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui
non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con  le
modalita'  ivi  indicati  anche  i  titolari  di  crediti  da  lavoro
subordinato. 
    9.-  Le  censure  relative  agli  artt.  3  e  24  Cost.  restano
assorbite.