ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 18, comma
9, e 19, comma 3, lettera a), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91
(Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e
l'efficientamento    energetico    dell'edilizia     scolastica     e
universitaria,  il  rilancio  e  lo  sviluppo   delle   imprese,   il
contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per
la definizione immediata di  adempimenti  derivanti  dalla  normativa
europea), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 11 agosto 2014, n. 116, promosso  dalla  Regione  Campania  con
ricorso notificato il 20-23 ottobre 2014, depositato  in  cancelleria
il 30 ottobre 2014 ed iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2015  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi  l'avvocato  Almerina  Bove  per  la  Regione  Campania   e
l'avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 20-23 ottobre 2014 e depositato  il
30 ottobre 2014, la Regione Campania ha chiesto  che  sia  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 18, comma 9, e 19,  comma
3, lettera a), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91  (Disposizioni
urgenti  per  il   settore   agricolo,   la   tutela   ambientale   e
l'efficientamento    energetico    dell'edilizia     scolastica     e
universitaria,  il  rilancio  e  lo  sviluppo   delle   imprese,   il
contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per
la definizione immediata di  adempimenti  derivanti  dalla  normativa
europea), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 11 agosto 2014, n. 116. 
    In particolare,  l'art.  18  prevede  un  credito  d'imposta  per
investimenti in beni strumentali nuovi e stabilisce, al comma 9,  che
agli oneri  che  ne  derivano  si  provvede  mediante  corrispondente
«riduzione della quota nazionale del  Fondo  per  lo  sviluppo  e  la
coesione, programmazione 2014-2020» (d'ora in avanti, FSC). 
    A sua  volta,  l'art.  19,  comma  3,  lettera  a),  prevede  una
riduzione della quota nazionale del suddetto Fondo per  la  copertura
di oneri analoghi, derivanti  dalla  modifica  della  disciplina  ACE
(aiuto  alla  crescita  economica),  che  consiste  nel  portare   in
deduzione, ai fini della determinazione del reddito delle societa' di
capitali, un importo corrispondente al rendimento nozionale di  nuovo
capitale proprio (art. 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,
recante  «Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici»). 
    2.- Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate sarebbero in
contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 119, quinto comma,  e  120,
secondo comma, della Costituzione. 
    2.1.- Con  riferimento  alla  violazione  dell'art.  119,  quinto
comma, Cost., la Regione ritiene  che  dalle  disposizioni  in  esame
discenda un'indebita  riduzione  del  Fondo  per  lo  sviluppo  e  la
coesione,  in  cui  confluiscono  le  risorse  aggiuntive   nazionali
destinate a finalita' di riequilibrio economico e sociale,  ai  sensi
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione) e  del  decreto  legislativo  31  maggio  2011,  n.  88
(Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali
per  la  rimozione  di  squilibri  economici  e  sociali,   a   norma
dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009,  n.  42).  Queste  norme,
assume ripetutamente la Regione, vanno considerate  norme  interposte
nel giudizio di costituzionalita'. 
    Viene richiamato anche l'art. 1, comma 6, della legge 27 dicembre
2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita'  2014),  ai  sensi  del
quale  «In  attuazione  dell'articolo  119,   quinto   comma,   della
Costituzione e in coerenza con le disposizioni di cui all'articolo 5,
comma 2, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, la  dotazione
aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la  coesione  e'  determinata,
per il periodo di programmazione  2014-2020,  in  54.810  milioni  di
euro.  Il  complesso  delle  risorse   e'   destinato   a   sostenere
esclusivamente  interventi  per  lo   sviluppo,   anche   di   natura
ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree  del
Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord [...]». 
    Ad  avviso  della  ricorrente,   nelle   disposizioni   censurate
mancherebbe ogni indice che  consenta  di  ritenere  che  le  risorse
destinate al finanziamento del credito  d'imposta  e  della  modifica
della disciplina ACE siano esclusivamente indirizzate a favore  delle
medesime aree sottoutilizzate e con la medesima chiave percentuale di
riparto (80 per cento per le aree del Mezzogiorno e 20 per cento  per
le  aree  del  Centro-Nord)  prevista  per  il   FSC;   infatti,   la
formulazione testuale si riferisce a strutture produttive (art. 18) e
societa' (art. 19), ubicate indifferentemente in tutto il  territorio
dello Stato. 
    Pertanto,  la  riduzione  della   quota   nazionale   del   Fondo
determinerebbe  una  riduzione  del  complesso  delle  risorse   gia'
destinate ex lege esclusivamente ad interventi per lo sviluppo  delle
aree sottoutilizzate, in violazione delle norme sopra indicate. 
    Il Fondo in questione sarebbe vincolato quanto alla  destinazione
delle risorse e la rideterminazione delle stesse dovrebbe avvenire in
conformita' alle previsioni del d.lgs. n. 88 del 2011, ai sensi delle
quali  essa  viene  effettuata  dalle  leggi  annuali  di  stabilita'
successive a quella che ha preceduto l'avvio del ciclo pluriennale di
programmazione, qualora si renda necessario, soltanto  «in  relazione
alle  previsioni   macroeconomiche,   con   particolare   riferimento
all'andamento del PIL, e di finanza pubblica» e a condizione  che  la
nota  di  aggiornamento  del  DEF  indichi  i  nuovi  «obiettivi   di
convergenza economica delle aree del Paese a minore capacita' fiscale
[...] valutando l'impatto macroeconomico e gli effetti, in termini di
convergenza, delle politiche di  coesione  e  della  spesa  ordinaria
destinata alle aree svantaggiate»,  previa  acquisizione  del  parere
della  Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica, di cui all'art. 5, comma l, lett. a), della legge n. 42 del
2009. 
    Secondo la Regione, il rispetto del «principio di tipicita' delle
ipotesi e dei  procedimenti  attinenti  la  perequazione  regionale»,
affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 176 del  2012,
imporrebbe, inoltre, al  legislatore  statale  di  osservare  -  come
normativa di attuazione dell'art. 119, quinto comma, Cost. - la legge
n. 42 del 2009. In particolare,  l'art.  16,  comma  1,  lettera  d),
stabilisce che «l'azione per la rimozione degli squilibri strutturali
di natura economica e sociale a sostegno delle  aree  sottoutilizzate
si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici
finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione». 
    Viene  inoltre  evidenziato  come  il  d.lgs.  n.  88  del   2011
stabilisca che la politica di riequilibrio economico  e  sociale  sia
perseguita  prioritariamente  con  le  risorse  del  FSC  e   con   i
finanziamenti  a  finalita'  strutturale  dell'Unione  europea  «e  i
relativi cofinanziamenti nazionali» (art. 2, comma l). 
    Nella riduzione della quota nazionale del  Fondo,  lo  Stato  non
potrebbe, ad avviso  della  ricorrente,  invocare  legittimamente  il
titolo competenziale del coordinamento  della  finanza  pubblica,  in
ragione   dell'incidenza   sproporzionata   degli   oneri   derivanti
dall'applicazione dell'art. 18 del d.l. n. 91 del 2014 in  danno  dei
territori  interessati  dagli  interventi  di  perequazione   e   del
conseguente effetto sperequativo implicito della riduzione,  mancando
ogni indice da cui possa trarsi la conclusione che le  risorse  cosi'
finalizzate siano esclusivamente destinate ai  medesimi  territori  e
con le medesima misura percentuale di riparto (80 per  cento  per  le
aree del Mezzogiorno e 20 per cento per le aree del Centro-Nord). 
    2.2.-  Sarebbe  inoltre  violato  il  principio  di   uguaglianza
sostanziale  di  cui   all'art.   3,   secondo   comma,   Cost.,   in
considerazione della irragionevole sottrazione di risorse dall'ambito
delle azioni volte a rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale
che, soprattutto in determinati territori svantaggiati,  limitano  di
fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini. 
    2.3.- Risulterebbe,  infine,  violato  l'art.  120  Cost.  ed  il
principio di leale collaborazione, in quanto verrebbe  vanificata  la
bilateralita'  della  procedura,  prevista   da   norme   interposte,
attraverso la statuizione della volonta' della  sola  parte  statale,
successivamente alla intesa prestata dalla Conferenza unificata. 
    3.- Con atto depositato il 28 novembre 2014 si e'  costituito  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile o infondato. 
    3.1.-  Il  Presidente   del   Consiglio   eccepisce,   anzitutto,
l'inammissibilita'  del  ricorso,  poiche'  la  Regione  denuncerebbe
esclusivamente la riduzione  ingiustificata  e  sproporzionata  della
quota nazionale del Fondo  per  lo  sviluppo  e  la  coesione,  senza
lamentare  la  violazione  delle  norme  sul  riparto  di  competenza
legislativa tra Stato e Regioni. 
    3.1.1.- In  particolare,  la  censura  relativa  alla  violazione
dell'art. 119 Cost. sarebbe inammissibile per carenza di un interesse
concreto e attuale. Secondo la difesa statale,  infatti,  la  Regione
non riceverebbe alcuna utilita' diretta  e  immediata  dall'eventuale
accoglimento del ricorso. 
    3.1.2.- Del  pari  inammissibile,  per  genericita',  sarebbe  la
censura relativa alla violazione dell'art. 120 Cost. Il principio  di
leale collaborazione non troverebbe applicazione  in  riferimento  al
procedimento legislativo e, in ogni  caso,  l'intesa  prestata  dalla
Regione sulla proposta di Accordo di  partenariato  non  impegnerebbe
affatto lo Stato a non ridurre l'importo delle risorse destinate alla
realizzazione degli obiettivi fissati. 
    3.1.3.- Sarebbe infine inammissibile anche  la  censura  relativa
alla violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost., perche' generica e
riferita a parametri non attinenti al riparto di competenze tra Stato
e Regioni. 
    3.2.- Nel merito, il ricorso sarebbe infondato perche' la Regione
non avrebbe fornito alcuna dimostrazione dell'insufficienza dei mezzi
finanziari necessari all'esercizio  delle  funzioni  che  deriverebbe
dalla lamentata riduzione dei trasferimenti statali. 
    3.3.- In secondo luogo, le norme contestate sarebbero espressione
della competenza esclusiva statale in materia di «perequazione  delle
risorse finanziarie», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e),
e, con riferimento alle «risorse aggiuntive» destinate  alla  Regione
Campania, dell'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  inoltre,  i
richiami della ricorrente alle leggi  ordinarie  che  disciplinano  i
vincoli di destinazione  cui  soggiace  il  Fondo  e  i  procedimenti
attinenti la perequazione regionale, non consentirebbero  affatto  di
avallare alcun dubbio di costituzionalita' delle norme in parola. 
    3.4.- Non sarebbe neppure violato il principio di  tipicita'  dei
procedimenti attinenti alla  perequazione  regionale,  in  quanto  il
legislatore  si  sarebbe  limitato  a  modificare  l'ammontare  delle
risorse  iscritte  nel  Fondo   e   non   gli   aspetti   strutturali
dell'intervento perequativo. 
    Inoltre, fino all'emanazione delle delibere CIPE  che  dispongono
il riparto del Fondo, l'appostamento delle  risorse  potrebbe  sempre
essere modificato; d'altra parte, la legge di stabilita' per il  2014
prevede interventi di  riduzione  del  Fondo,  a  seguito  dei  quali
sarebbero revocabili le stesse assegnazioni disposte dal CIPE. 
    Pertanto, non esisterebbe un vincolo permanente  di  destinazione
delle risorse appostate nel Fondo, con la conseguenza che la Regione,
in caso di accoglimento del ricorso, non avrebbe alcuna  certezza  in
ordine  all'effettivo  reinserimento  di  tali  risorse  nell'importo
precedente all'adozione delle norme censurate. 
    3.5.- Parimenti  infondata  sarebbe  la  questione  formulata  in
riferimento all'art. 120 Cost., non essendo ravvisabile,  nell'azione
dello Stato, alcun intervento sostitutivo nei confronti della Regione
riconducibile alle previsioni di tale disposizione. 
    3.6.- Infine, sarebbe infondata anche la denuncia  relativa  alla
violazione  dell'art.  3,  secondo  comma,  Cost.,  non  essendo   in
discussione l'esistenza del Fondo,  ma  solo  la  determinazione  del
quantum delle risorse messe a disposizione. 
    4.- Con una memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri, ha insistito nelle conclusioni
gia' rassegnate nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Campania, con ricorso notificato il 20-23  ottobre
2014 e  depositato  il  successivo  30  ottobre,  ha  promosso  -  in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, 119,  quinto  comma,  e  120
della Costituzione -  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 18, comma 9, e 19, comma 3, lettera a), del decreto-legge
24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore  agricolo,
la tutela ambientale  e  l'efficientamento  energetico  dell'edilizia
scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle  imprese,
il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche,  nonche'
per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 11 agosto 2014, n. 116. 
    Le disposizioni impugnate provvedono alla  copertura  finanziaria
di oneri derivanti, rispettivamente, dall'istituzione di  un  credito
d'imposta per investimenti in beni strumentali nuovi,  nonche'  dalla
modifica della disciplina in materia di aiuti alla crescita economica
(ACE), mediante corrispondente riduzione della  quota  nazionale  del
Fondo per lo sviluppo e la coesione, programmazione 2014-2020, di cui
all'art.  1,  comma  6,  della  legge  27  dicembre  2013,   n.   147
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2014). 
    2.- In via preliminare, devono essere esaminate le  eccezioni  di
inammissibilita' sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    2.1.- L'eccezione di inammissibilita' della questione proposta in
riferimento all'art. 3, secondo comma, Cost., e' fondata. 
    La   Regione,   infatti,   contesta   l'irragionevolezza    della
sottrazione dal Fondo di risorse  finalizzate  alla  rimozione  degli
ostacoli economici e sociali, ma non prospetta  come  da  cio'  possa
derivare un pregiudizio alle sue attribuzioni costituzionali. 
    Di  qui  l'inammissibilita'  della  questione,  posto   che,   in
riferimento ad essa, il ricorso e' generico quanto alla motivazione e
carente quanto alla ridondanza  della  disposizione  impugnata  sulla
lesione delle proprie competenze (sentenza n. 246 del 2012). 
    2.2.- Non fondata, invece,  e'  l'eccezione  di  inammissibilita'
della questione proposta in riferimento all'art. 119,  quinto  comma,
Cost., per carenza di un interesse ad agire concreto e attuale. 
    Con  riguardo  alla  pretesa  violazione  dell'art.  119   Cost.,
infatti, questa Corte esige, ai fini dell'ammissibilita' del ricorso,
che sia «verificata la sussistenza di un interesse ad agire  concreto
ed attuale consistente in quella utilita' diretta ed immediata che il
soggetto attore puo' effettivamente ottenere con  l'accoglimento  del
ricorso» (sentenza n. 176 del 2012), non essendo sufficiente,  a  tal
proposito, «una astratta idoneita' della disciplina in  contestazione
ad influire sull'autonomia finanziaria delle  Regioni»  (sentenza  n.
216 del 2008). 
    Nel caso in esame, a sostegno del ricorso  la  Regione,  pur  non
richiamando l'invasione specifica di alcuna delle competenze  di  cui
all'art. 117 Cost., ha dedotto un  pregiudizio  concreto  conseguente
alla riduzione delle risorse destinate ad alimentare il Fondo per  lo
sviluppo e la coesione. 
    In attuazione dell'art. 119, quinto  comma,  Cost.,  infatti,  lo
Stato ha destinato il Fondo al finanziamento di  interventi  speciali
per le Regioni del Mezzogiorno. Sulla base di tali risorse sono state
avviate procedure volte al  finanziamento  di  progetti  di  sviluppo
anche  nel  territorio  della  Regione  ricorrente.  La  probabilita'
statistica  che  un  numero  imprecisato  di  questi  progetti  venga
cancellato  a   seguito   della   decurtazione   delle   risorse   e'
sufficientemente elevata da far  ritenere  ammissibile  la  questione
sollevata in riferimento all'art. 119, quinto comma, Cost. 
    2.3.- Del pari non fondata e'  l'eccezione  di  inammissibilita',
per genericita', della questione proposta in riferimento all'art. 120
Cost. 
    Ancorche' formulata  in  termini  particolarmente  sintetici,  la
censura risulta descritta in modo sufficiente e ricollega la  lesione
del parametro all'unilateralita'  dell'intervento  con  il  quale  il
legislatore statale ha ridotto il Fondo per lo sviluppo e la coesione
successivamente all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata. 
    3.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
proposta in riferimento all'art. 119, quinto  comma,  Cost.,  non  e'
fondata. 
    Secondo la Regione, le disposizioni che prevedono la destinazione
delle risorse  del  Fondo  secondo  una  determinata  percentuale  di
riparto tra aree del Mezzogiorno e aree  del  Centro-Nord,  sarebbero
norme  interposte  nel  giudizio   di   costituzionalita',   con   la
conseguenza  che  le  leggi  successive  dovrebbero   necessariamente
uniformarsi a tale percentuale, pena la loro illegittimita'. 
    Questa tesi non puo' essere condivisa. Come questa Corte ha  gia'
avuto modo di precisare, dal fatto  che  «un  atto  legislativo  [sia
stato] adottato in immediata attuazione della Costituzione, non  puo'
per cio' stesso ritenersi che sia dotato di una forza o di un  valore
di legge peculiare  o  superiore  a  quello  delle  leggi  ordinarie»
(sentenza n. 85 del 1990). 
    Quel  criterio  percentuale,  dunque,   non   ha   alcun   valore
costituzionale, neppure indiretto.  Ne  deriva  che  leggi  ordinarie
successive ben possono modificare le disposizioni che disciplinano la
destinazione del Fondo, anche ripartendone diversamente  le  risorse,
ovvero non applicando alcuna percentuale di riparto, come peraltro lo
stesso decreto legislativo 31 maggio 2011,  n.  88  (Disposizioni  in
materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione
di squilibri economici e sociali,  a  norma  dell'articolo  16  della
legge 5 maggio 2009, n. 42) lascia  intendere,  allorche'  stabilisce
che «La programmazione degli interventi finanziati a carico del Fondo
di cui  al  presente  articolo  e'  realizzata  tenendo  conto  della
programmazione degli interventi  di  carattere  ordinario»  (art.  4,
comma 3, ultimo periodo). 
    3.1.-  Del  pari  non  fondata,  infine,  e'  la   questione   di
legittimita' costituzionale  promossa  in  riferimento  all'art.  120
Cost. 
    Le norme  impugnate  non  sono  lesive  del  principio  di  leale
collaborazione «posta l'evidente sussistenza della competenza statale
a disciplinare il fondo nei  termini  suddetti,  che  non  incide  su
alcuna competenza della Regione e rende pertanto inapplicabile, nella
specie, l'invocato principio di leale collaborazione (sentenza n. 297
del 2012)» (sentenza n. 273 del 2013).