ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  35,  comma
26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248; degli artt. 2 e 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992,  n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413), in combinato disposto con gli artt. 86 del d.P.R. 29  settembre
1973, n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito) -  come  sostituito  dall'art.  16,  comma  1,  del  decreto
legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina  della
riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1  della  legge  28
settembre 1998, n. 337) - e 91-bis del medesimo  d.P.R.  n.  602  del
1973 e con l'art. l, comma l, lettera q), del decreto legislativo  27
aprile 2001,  n.  193  (Disposizioni  integrative  e  correttive  dei
decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e  13  aprile  1999,  n.
112,  in  materia  di  riordino  della   disciplina   relativa   alla
riscossione); nonche' dell'art. 362, comma 2, del codice di procedura
civile, promossi dal Tribunale ordinario di Tivoli con due  ordinanze
del 19 dicembre 2013 e del 10 gennaio 2014, rispettivamente  iscritte
al n. 83 del  registro  ordinanze  2014  e  al  n.  55  del  registro
ordinanze  2015,  e  pubblicate  nella   Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2014 e n. 15, prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti  gli  atti  di  intervento  di  Equitalia  Sud  spa  e  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2015  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Marcello  Cecchetti  per  Equitalia  Sud  spa  e
l'avvocato dello Stato Paola  Maria  Zerman  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che con due ordinanze di analogo tenore, rispettivamente
depositate il 19 dicembre 2013 (r.o. n. 83 del 2014) ed il 10 gennaio
2014 (r.o. n. 55 del 2015),  il  Tribunale  ordinario  di  Tivoli  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35,
comma  26-quinquies,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,   n.   223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 4 agosto  2006,  n.  248;  degli  artt.  2  e  19  del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in combinato  disposto  con
gli artt. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito) -  come  sostituito  dall'art.
16, comma  1,  del  decreto  legislativo  26  febbraio  1999,  n.  46
(Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a  norma
dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) - e 91-bis del
medesimo d.P.R. n. 602 del 1973 e con l'art. l, comma l, lettera  q),
del  decreto  legislativo  27  aprile  2001,  n.  193   (Disposizioni
integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n.
46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina
relativa alla riscossione);  nonche'  dell'art.  362,  comma  2,  del
codice di procedura civile; 
    che tutte le  disposizioni  sopra  richiamate  vengono  censurate
«nella parte in cui non disciplinano la giurisdizione  del  preavviso
di fermo e nella  parte  in  cui  obbligano  un  soggetto  che  abbia
ricevuto un preavviso di  fermo  per  crediti  di  diversa  natura  a
rivolgersi a diversi giudici », ponendosi in contrasto con gli  artt.
11, 24, 111 e 117 della Costituzione, nonche' con gli artt.  6  e  13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,
nonche'  con  gli  artt.  47,  52  e  53  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea; 
    che, in via subordinata, il Tribunale rimettente ha sollevato, in
riferimento agli artt. 11, 24, 111 e 117 Cost., all'art. 6 della CEDU
e agli artt. 47,  52  e  53  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  questione   di   legittimita'   costituzionale
«dell'articolo 362 comma 2 e 3» del codice di procedura civile, nella
parte in cui non consente ad ogni  giudice,  di  qualsiasi  ordine  e
grado, di richiedere un'interpretazione pregiudiziale vincolante alle
sezioni unite della Corte di cassazione e, inoltre,  nella  parte  in
cui non prevede che i principi espressi dalle pronunce della Corte di
cassazione a sezioni unite costituiscano  precedente  vincolante  per
tutte  le  successive  decisioni  degli   uffici   giudiziari   della
Repubblica; 
    che in entrambi  i  giudizi  il  Tribunale  riferisce  di  essere
chiamato a decidere in ordine alla domanda, avanzata nei confronti di
Equitalia Sud spa, volta  all'annullamento,  ovvero  all'accertamento
della nullita' o inefficacia, del fermo di un autoveicolo, in ragione
del mancato pagamento di diverse cartelle esattoriali,  alcune  delle
quali relative a crediti di natura tributaria,  altre  a  crediti  di
diversa natura; 
    che il giudice a quo rileva che l'art.  35,  comma  26-quinquies,
del d.l. n. 223 del 2006 ha inserito nell'art. 19, comma  1,  lettera
e-ter, del d.lgs. n. 546 del 1992 - e quindi nell'elenco  degli  atti
impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie - il  fermo  di  beni
mobili registrati, di cui all'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973; 
    che,  sebbene  tale  intervento  legislativo  fosse  destinato  a
risolvere la controversa questione del riparto  di  giurisdizione  in
ordine ai provvedimenti di fermo, sarebbe tuttavia rimasta incerta la
titolarita' della stessa giurisdizione allorche' il fermo riguardi (o
riguardi anche) obbligazioni extratributarie; 
    che, in ogni caso, osserva il Tribunale, alla luce dell'ordinanza
della Corte di cassazione, sezioni unite, 5 giugno  2008,  n.  14831,
laddove il provvedimento concerna piu' crediti di diversa natura,  il
giudice e' tenuto a disporre la separazione delle cause,  trattenendo
quella per la quale ha giurisdizione e rimettendo l'altra al  giudice
competente,  ferma  restando  la  possibilita'  per  il  debitore  di
proporre  separate  impugnazioni  innanzi  ai  giudici   diversamente
competenti, in relazione alla natura dei crediti  posti  a  base  del
provvedimento; 
    che,   d'altra   parte,   sarebbe   controversa   la    questione
dell'autonoma impugnabilita' dinanzi alle Commissione tributarie  del
preavviso di fermo, in quanto non ricompreso nell'elenco  degli  atti
impugnabili contenuto nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992; 
    che, a questo  riguardo,  il  rimettente  evidenzia  l'evoluzione
della giurisprudenza di legittimita', la quale, dopo alcune  iniziali
pronunce  che  hanno  negato  l'impugnabilita'  del  preavviso,   con
l'ordinanza  11  maggio  2009,  n.  10672,  ne   ha   definitivamente
riconosciuto  l'autonoma  impugnabilita',  ravvisando  nello   stesso
preavviso un atto funzionale a portare a conoscenza del  contribuente
una determinata pretesa tributaria, rispetto  alla  quale  sorge,  ai
sensi dell'art. 100 cod. proc.  civ.,  l'interesse  del  contribuente
alla tutela  giurisdizionale  per  il  controllo  della  legittimita'
sostanziale della pretesa impositiva; 
    che  il  rimettente  ritiene  la  questione  non   manifestamente
infondata in riferimento ai parametri di cui  agli  artt.  24  e  111
Cost., in  quanto  la  necessita'  di  proporre  cause  separate  per
l'impugnazione del medesimo atto finirebbe per raddoppiare gli oneri,
non  solo  economici,  a  carico  del  contribuente  e,  quindi,  per
comprimere il  diritto,  costituzionalmente  tutelato,  di  agire  in
giudizio; 
    che,  inoltre,  la  non  univoca  formulazione  letterale   delle
disposizioni  censurate  e  le  divergenze  giurisprudenziali   sopra
riportate avrebbero determinato una situazione di incertezza, tale da
integrare la violazione degli artt. 6  e  13  della  CEDU,  sotto  il
profilo della mancanza di certezza del diritto, nonche'  degli  artt.
47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
richiamati attraverso il riferimento agli artt. 11 e 117 Cost.; 
    che l'impossibilita' di  rimettere  la  questione  interpretativa
alle  sezioni  unite  della  Corte   di   cassazione,   in   funzione
nomofilattica,  nonche'  l'assenza  di   vincolativita'   delle   sue
decisioni determinerebbero la mancanza di  certezza  in  ordine  alle
regole giuridiche  da  applicare;  tale  incertezza,  ad  avviso  del
giudice a quo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 6  e  13  della
CEDU, richiamati attraverso il riferimento agli artt. 11, 111  e  117
Cost.; 
    che la  questione  di  costituzionalita',  cosi'  formulata,  non
sarebbe «meramente propositiva di una  interpretazione  piuttosto  di
un'altra, ma, al contrario, e' atta ad  evitare  la  violazione  (che
implicherebbe una possibile condanna della  Repubblica  Italiana  per
"defaut de securite' juridique") della violazione  del  principio  di
certezza giuridica in base all'art. 6 della Convenzione EDU, nel caso
in cui il Giudice a quo dovesse decidere in base a dettato  normativo
non chiaro e la cui determinazione in concreto del significato  fosse
di fatto attribuito in modo arbitrario al singolo Giudice, stante  la
scarsa chiarezza ed intellegibilita' della norma [...]»; 
    che, inoltre, il giudice a quo osserva che, se si ammette che  il
giudice possa disapplicare la  norma  interna  per  contrasto  con  i
principi comunitari della  CEDU,  senza  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale, si verificherebbe un  paradosso,  ovvero
che il giudice - al quale sono precluse sia  l'applicazione,  sia  la
disapplicazione della legge della cui costituzionalita' egli dubita -
potrebbe, invece, disapplicare la legge per contrasto con i  principi
comunitari; 
    che detta possibilita' sarebbe  fondata  sull'argomentazione  per
cui «la Convenzione, in quanto richiamata dai  Trattati,  e'  diritto
comunitario», il  quale  prevale  sul  diritto  interno:  il  giudice
sarebbe quindi abilitato ad applicare  il  diritto  comunitario  e  a
disapplicare la norma interna che contrasti con la CEDU; 
    che  tuttavia,  ad  avviso  del  rimettente,  tale   procedimento
argomentativo porterebbe ad instaurare un nuovo  sistema,  parallelo,
di sindacato di costituzionalita' sulle leggi, realizzabile  in  modo
diffuso dai giudici comuni;  cio'  vanificherebbe  il  principio  del
controllo  accentrato  della  legittimita'  costituzionale,  cui   va
riconosciuta  la  portata  di  principio   supremo   dell'ordinamento
costituzionale;  tale  impostazione  non  sarebbe   condivisibile   e
richiederebbe, pertanto, di essere rimossa  da  una  pronuncia  della
Corte costituzionale; 
    che, in via subordinata, il rimettente solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale «dell'attuale sistema processuale civile,
nella parte in cui preclude al Giudice di  ogni  ordine  e  grado  di
poter offrire una soluzione (in  quanto  in  evidente  contrasto  con
l'art. 6 della  CEDU)  interessando  direttamente  il  giudice  della
nomofilachia, analogamente a  quanto  avviene  con  riferimento  alle
questioni pregiudiziali relative al diritto comunitario (innanzi alla
Corte di Giustizia UE)»; 
    che in tal senso, il giudice rimettente ritiene rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
«dell'art. 362, comma 2 e 3, cpc in relazione all'art. 24, 111  Cost.
e all'art. 6 della CEDU, come  interpretata  dalla  stessa  Corte  di
Strasburgo, nella parte in cui non prevede  la  possibilita'  per  il
giudice di ogni ordine e  grado  di  richiedere  preventivamente  una
pronuncia delle Sezioni Unite in funzione nomofilattica, analogamente
a quanto  previsto  dall'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea in relazione alle  pronunce  pregiudiziali  della
Corte di Giustizia Europea in merito ai dubbi interpretativi di norme
comunitarie»; 
    che nel dispositivo dell'ordinanza, la censura relativa  all'art.
362 cod. proc. civ. viene, altresi', riferita alla «parte  in  cui  i
principi espressi dalle pronunce della Corte Suprema di Cassazione  a
Sezioni Unite non costituiscono precedente vincolante  per  tutte  le
successive decisioni degli uffici giudiziari della Repubblica»; 
    che in entrambi i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile e comunque infondata; 
    che in via preliminare, la difesa statale ritiene che il  giudice
a  quo  non  abbia  adeguatamente  verificato  la   possibilita'   di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   normativa
censurata, alla luce della disciplina introdotta dall'art. 52,  comma
1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per
il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 e,  ancor  prima,  della
sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 7 maggio 2010,
n. 11087, che ha affermato l'autonoma impugnabilita' del preavviso di
fermo amministrativo; 
    che, nel merito, si osserva che dal  tenore  letterale  dell'art.
86, comma 2, del d.P.R. n. 602  del  1973  sono  ricavabili  puntuali
indicazioni anche in ordine alla natura giuridica  del  preavviso  di
fermo,  quale  atto  di  comunicazione  preventiva,  finalizzato   ad
assicurare, mediante una pronta conoscibilita' del  provvedimento  di
fermo, un'ampia tutela del contribuente, che di quel provvedimento e'
il destinatario; 
    che, in riferimento alla circostanza che il fermo amministrativo,
e conseguentemente anche  il  preavviso  di  fermo,  rientrino  nella
giurisdizione del giudice tributario soltanto se riferiti  a  crediti
di natura tributaria - con la conseguenza  che  il  destinatario  dei
provvedimenti in questione debba  rivolgersi  a  giudici  diversi  in
relazione alla natura del credito - la  difesa  statale  ritiene  che
cio' costituisca una conseguenza diretta della specializzazione delle
competenze degli organi giudicanti, funzionale ad  assicurare,  sulla
base di distinte attribuzioni, una piu' adeguata ed efficace risposta
alla domanda di giustizia; 
    che, con riferimento alla questione formulata in via subordinata,
l'Avvocatura  generale   dello   Stato   osserva   che   le   censure
coinvolgerebbero la costituzionalita' dell'intero sistema processuale
civile, nella parte in cui preclude al giudice di ogni ordine e grado
di adire direttamente e preventivamente la  Corte  di  cassazione  in
funzione nomofilattica; 
    che  ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello   Stato,   tale
richiesta deve ritenersi inammissibile, in quanto comporta una vera e
propria sovversione di sistema con risultati, peraltro,  marcatamente
disarmonici, stante la estraneita' della regola dello  stare  decisis
alle  coordinate  generali  del  nostro  ordinamento,  il  quale   e'
viceversa  improntato  al  principio  della  supremazia  della  legge
scritta; 
    che, d'altra parte, i dubbi ermeneutici circa la corretta portata
precettiva  di  una  disposizione  non  avrebbero  valenza  tale   da
pregiudicare il diritto di difesa e  il  principio  di  certezza  del
diritto, cosi' come interpretato dalla Corte di Strasburgo; 
    che sarebbe inoltre inconferente il  richiamo  all'art.  267  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), fatto  a  Roma
il 25 marzo 1957, che permette ai giudici nazionali di interrogare la
Corte di giustizia circa l'interpretazione o la validita' del diritto
europeo; tale strumento, infatti, garantisce l'uniforme  applicazione
del diritto europeo e non di quello nazionale, riservata  ai  giudici
degli Stati membri; la  funzione  del  rinvio  pregiudiziale  sarebbe
quindi del tutto diversa da quella svolta dalla Corte  di  cassazione
in chiave nomofilattica; 
    che con memoria depositata  il  10  novembre  2015,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  ha  insistito  affinche'  le   questioni   di
legittimita' costituzionale  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di
Tivoli siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate; 
    che i dubbi interpretativi formulati dal giudice a quo  sarebbero
superabili mediante  un'interpretazione  sistematica  delle  norme  e
dell'ordinamento giudiziario, il quale  prevede  l'esistenza  di  una
pluralita' di giudici volta ad assicurare,  sulla  base  di  distinte
competenze, una piu' adeguata risposta  alla  domanda  di  giustizia,
unitamente al principio di conservazione degli effetti, sostanziali e
processuali,  della  domanda  proposta  ad  un   giudice   privo   di
giurisdizione; 
    che  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   ribadisce,   inoltre,
l'eccezione di inammissibilita' della  questione,  sollevata  in  via
subordinata, dell'art. 362 cod. proc. civ.,  richiamando  i  medesimi
argomenti svolti nel proprio atto di intervento; 
    che in entrambi i giudizi di costituzionalita' e' intervenuta  la
societa' Equitalia Sud spa,  quale  parte  convenuta  nei  giudizi  a
quibus,  chiedendo   che   tutte   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dal  Tribunale  ordinario  di  Tivoli  siano
dichiarate manifestamente inammissibili o,  comunque,  manifestamente
infondate nel merito; 
    che la  societa'  interveniente  ha  eccepito  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate in riferimento all'art. 117,  primo  comma,
Cost., in combinato disposto con gli artt. 47, 52 e  53  della  Carta
dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  in   quanto   tali
disposizioni non  costituirebbero  parametro  idoneo  ai  fini  dello
scrutinio di costituzionalita' delle norme impugnate,  ma  verrebbero
in rilievo «solo in riferimento ad ambiti  di  competenza  attribuiti
all'Unione dai trattati»; nel caso  di  specie,  tuttavia,  le  norme
interne censurate attengono al riparto di giurisdizione  e  rientrano
in un ambito di competenza dell'ordinamento italiano; 
    che viene,  inoltre,  eccepito  il  difetto  di  rilevanza  della
questione relativa alla violazione del principio di  «non  incertezza
del diritto»; il giudice a  quo  si  preoccuperebbe,  infatti,  degli
eventuali contrasti giurisprudenziali derivanti dalla mancanza, nella
formulazione della norma, di chiarezza ed univocita' di  significato;
essi, tuttavia, sarebbero configurabili solo in un momento successivo
alla pronuncia del Tribunale rimettente e,  pertanto,  non  avrebbero
nulla a che vedere con il giudizio a quo; 
    che   inoltre,   nel   caso   in   esame,    sarebbe    possibile
un'interpretazione  conforme  a  Costituzione  (ed  alla  Convenzione
europea), attribuendo alla disposizione in esame il  significato  che
emerge dal combinato disposto degli artt. 2 e 19,  primo  comma,  del
d.lgs. n.  546  del  1992,  ovvero  facendo  leva  sulla  consolidata
giurisprudenza di legittimita'; 
    che, in ogni caso, la questione sarebbe manifestamente infondata,
in quanto il principio di non incertezza del diritto enucleato  dalla
Corte di Strasburgo in riferimento all'art. 6 della CEDU non comporta
che    non    possano    esistere     contrasti     giurisprudenziali
sull'interpretazione di  una  norma,  ma  semmai  che,  qualora  tali
contrasti effettivamente sussistano, vi sia un organo supremo che  li
possa dirimere; nel caso dell'ordinamento italiano,  quest'organo  e'
la Corte di cassazione che,  infatti,  ha  prodotto  una  consolidata
giurisprudenza (richiamata dallo stesso  giudice  a  quo)  in  merito
all'interpretazione da attribuire alla disposizione impugnata,  dando
soluzione ai dubbi ermeneutici prospettati dal Tribunale rimettente; 
    che, inoltre, nel  prospettare  l'«incertezza  potenziale»  della
disciplina, per il carattere non  vincolante  delle  decisioni  della
Corte  di  cassazione,  il  Tribunale  ordinario  di  Tivoli  avrebbe
sollevato una questione non rilevante, non essendo stato chiarito  se
il giudice rimettente intenda  disattendere  gli  insegnamenti  della
Corte di cassazione sul punto, ovvero ritenga di condividerli; 
    che, d'altro canto,  ad  avviso  della  parte  interveniente,  la
questione   sarebbe   infondata   anche   laddove   si    presupponga
l'applicazione delle censurate regole di riparto della giurisdizione;
infatti, la necessita' di  adire  contestualmente  piu'  giudici  per
opporsi al medesimo fermo, iscritto a tutela  di  crediti  di  natura
diversa, non deriverebbe affatto dall'illogicita' o incoerenza  della
regola  di  riparto  della  giurisdizione,   ma   dalla   contestuale
esistenza, in capo al medesimo soggetto, di debiti di diversa natura,
come tali soggetti alla giurisdizione di diversi  giudici;  pertanto,
ove il giudice a quo avesse voluto contestare la legittimita' di tale
assetto normativo, avrebbe dovuto censurare le norme che stabiliscono
l'esistenza  delle  diverse  giurisdizioni,  e  non  la  regola   che
disciplina il riparto della giurisdizione tra i diversi giudici; 
    che   Equitalia   spa   eccepisce,    inoltre,    la    manifesta
inammissibilita' per difetto di rilevanza, della questione  sollevata
in via subordinata, relativa all'art. 362, comma 2, cod. proc.  civ.,
non essendo stati chiariti i motivi per i quali non sarebbe possibile
decidere senza il previo rinvio alla Corte di  cassazione  a  sezioni
unite, ne' se vi siano dei profili sui quali  il  medesimo  Tribunale
ritenga insufficienti le indicazioni ricavabili dalla  giurisprudenza
di  legittimita';  il  rimettente  avrebbe,  quindi,  formulato   una
prospettazione  del  tutto  ipotetica,  che  prescinde  dai   giudizi
pendenti dinanzi a se', e che dovrebbe  riguardare  l'intero  sistema
processuale; 
    che, d'altra parte, l'impossibilita'  di  adire  direttamente  la
Corte di cassazione non pregiudicherebbe i diritti  di  difesa  delle
parti,  in  quanto  l'ordinamento  predispone   uno   strumento   per
accertare, in forma definitiva e vincolante, la giurisdizione su  una
determinata   controversia,    costituito    dal    regolamento    di
giurisdizione, di cui agli artt. 41 e 367 cod. proc. civ.; 
    che viene eccepita, inoltre, la manifesta  inammissibilita',  per
difetto di rilevanza, della questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 362, comma 2, cod. proc.  civ.,  nella  parte  in  cui  non
prevede la vincolativita' delle decisioni della Corte di cassazione a
sezioni unite; ed invero, osserva Equitalia Sud spa, se il  Tribunale
ritenesse costituzionalmente necessaria  l'esistenza  di  un  vincolo
alla decisione del giudice di primo grado  (vincolo  individuato  nei
principi  elaborati  dalla  Corte  di  cassazione),   egli   potrebbe
direttamente decidere in tal senso, senza per cio' pretendere che sia
la Corte costituzionale adita a dare  «fondamento  costituzionale»  a
tale scelta; in ogni caso, la questione  prospettata  dal  rimettente
riguarderebbe problematiche di  politica  del  diritto,  destinate  a
rimanere   estranee   al   giudizio   incidentale   di   legittimita'
costituzionale; 
    che, ad  avviso  di  Equitalia  Sud  spa,  la  questione  sarebbe
comunque infondata,  in  quanto  l'assenza  di  vincolativita'  delle
decisioni della Corte di cassazione non solo non contrasta con  alcun
principio costituzionale, ma  trova  proprio  nella  Costituzione  il
proprio fondamento ed  il  proprio  riconoscimento;  in  particolare,
l'art. 101, secondo comma, Cost., laddove afferma che «i giudici sono
soggetti soltanto alla legge», stabilisce un  principio  generale  in
base al quale ciascun giudice decide la  controversia  sottoposta  al
suo esame applicando le norme di diritto,  cosi'  come  dallo  stesso
giudice  rilevate  ed  interpretate,  senza  che   possano   assumere
rilevanza ed  efficacia  vincolante  precedenti  decisioni  di  altri
giudici; 
    che,  con  due  memorie  di  identico   tenore,   depositate   in
prossimita' dell'udienza pubblica, Equitalia  Sud  spa  ha  insistito
affinche' tutte le questioni di legittimita' costituzionale sollevate
dal Tribunale ordinario di  Tivoli  siano  dichiarate  manifestamente
inammissibili o, comunque, manifestamente infondate; 
    che  la  societa'  interveniente  sottolinea  come  il   «diritto
vivente» non lasci  alcuno  spazio  a  incertezze:  la  giurisdizione
sull'impugnazione del fermo amministrativo di  cui  all'art.  86  del
d.P.R. n. 602 del 1973 deve essere individuata avendo  riguardo  alla
natura del credito alla cui tutela il fermo stesso e' finalizzato; 
    che a dimostrazione della  formazione  di  un  «diritto  vivente»
sulla questione in esame, Equitalia Sud spa richiama, oltre  a  tutte
le pronunce gia' evidenziate nella  memoria  di  costituzione,  anche
decisioni piu' recenti, ed in particolare la sentenza 18 maggio 2015,
n. 10093; non sussisterebbe,  quindi,  alcuna  incertezza  in  ordine
all'individuazione del giudice avente giurisdizione sull'impugnazione
del fermo amministrativo; 
    che   d'altra   parte,    non    sarebbe    ravvisabile    alcuna
irragionevolezza nella regola di riparto  che  impone,  nel  caso  di
fermo iscritto a tutela  di  crediti  di  diversa  natura,  di  adire
contestualmente   giudici   differenti,   in   quanto   tale   regola
discenderebbe dai principi costituzionali  in  forza  dei  quali  «la
giurisdizione    del    giudice    tributario     "deve     ritenersi
imprescindibilmente collegata" alla natura tributaria  del  rapporto»
(sentenza n. 39 del 2010). 
    Considerato  che  con   due   ordinanze,   di   analogo   tenore,
rispettivamente depositate il 19 dicembre 2013 (r.o. n. 83 del  2014)
ed il 10 gennaio 2014 (r.o. n. 55 del 2015), il  Tribunale  ordinario
di Tivoli  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.
223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 4 agosto  2006,  n.  248;  degli  artt.  2  e  19  del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in combinato  disposto  con
gli artt. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito) -  come  sostituito  dall'art.
16, comma  1,  del  decreto  legislativo  26  febbraio  1999,  n.  46
(Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a  norma
dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) - e 91-bis del
medesimo d.P.R. n. 602 del 1973 e con l'art. l, comma l, lettera  q),
del  decreto  legislativo  27  aprile  2001,  n.  193   (Disposizioni
integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n.
46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina
relativa alla riscossione);  nonche'  dell'art.  362,  comma  2,  del
codice di procedura civile; 
    che tutte le  disposizioni  sopra  richiamate  vengono  censurate
«nella parte in cui non disciplinano la giurisdizione  del  preavviso
di fermo e nella  parte  in  cui  obbligano  un  soggetto  che  abbia
ricevuto un preavviso di  fermo  per  crediti  di  diversa  natura  a
rivolgersi a diversi giudici », ponendosi in contrasto con gli  artt.
11, 24, 111 e 117 della Costituzione, nonche' con gli artt.  6  e  13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,
nonche'  con  gli  artt.  47,  52  e  53  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea; 
    che, in via subordinata, il Tribunale rimettente ha sollevato, in
riferimento agli artt. 11, 24, 111 e 117 Cost., all'art. 6 della CEDU
e agli artt. 47,  52  e  53  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  questione   di   legittimita'   costituzionale
«dell'articolo 362 comma 2 e 3» del codice di procedura civile, nella
parte in cui non consente ad ogni  giudice,  di  qualsiasi  ordine  e
grado, di richiedere un'interpretazione pregiudiziale vincolante alle
sezioni unite della Corte di cassazione e, inoltre,  nella  parte  in
cui non prevede che i principi espressi dalle pronunce della Corte di
cassazione a sezioni unite costituiscano  precedente  vincolante  per
tutte  le  successive  decisioni  degli   uffici   giudiziari   della
Repubblica; 
    che le due ordinanze di rimessione pongono questioni identiche, o
tra  loro  strettamente  connesse,   in   relazione   alle   medesime
disposizioni censurate; i giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere
congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia; 
    che la questione di legittimita', sollevata in via principale dal
Tribunale ordinario di Tivoli, e' manifestamente  inammissibile,  per
molteplici ragioni; 
    che, in particolare, il rimettente denuncia  l'illegittimita'  di
plurime disposizioni, complessivamente considerate, «nella  parte  in
cui non disciplinano la giurisdizione del preavviso di fermo e  nella
parte in cui obbligano un soggetto che abbia ricevuto un preavviso di
fermo per crediti di diversa natura a rivolgersi a diversi giudici»; 
    che, a questo riguardo, deve essere rilevata  la  carenza,  nella
motivazione di entrambe  le  ordinanze  di  rimessione,  di  puntuali
indicazioni in ordine non solo al titolo di  ciascuna  delle  pretese
creditorie in contestazione nei giudizi a quibus, ma anche ai  motivi
dedotti dai ricorrenti a sostegno delle  domande  di  nullita'  o  di
annullamento; tali lacune nell'impianto di entrambe le  ordinanze  di
rimessione, non emendabili  attraverso  una  lettura  degli  atti  di
causa, impediscono di stabilire, in concreto, se il giudice a quo sia
sfornito di giurisdizione in  ordine  ad  alcune  delle  controversie
sottoposte al suo esame e, in particolare,  se  egli  sia  tenuto  ad
affermare o  a  declinare  la  propria  giurisdizione  rispetto  alle
controversie sottoposte al suo esame; 
    che tali lacune nella ricostruzione delle fattispecie  sottoposte
all'esame del Tribunale  rimettente  si  riflettono  nel  difetto  di
motivazione sulla necessita' di fare applicazione di  ciascuna  delle
molteplici disposizioni censurate, e quindi in ordine alla  rilevanza
della questione rispetto ai giudizi a quibus; 
    che,  sotto  un  diverso  ed  ulteriore   profilo,   l'intervento
manipolativo invocato si presenta  incerto  e  non  identificato;  in
particolare, il giudice  a  quo  -  pur  consapevole  del  definitivo
consolidamento della regola di riparto della giurisdizione  elaborata
dalle sezioni unite  della  Corte  di  cassazione  -  ne  censura  le
ricadute sul piano dell'effettivita' della tutela, ma  non  chiarisce
quale dovrebbe essere  la  regola  di  riparto  della  giurisdizione,
ritenuta conforme ai principi costituzionali evocati,  alternativa  a
quella elaborata dalla giurisprudenza di legittimita',  rimettendo  a
questa Corte la elaborazione ex novo di una diversa regola di riparto
della giurisdizione; 
    che, infatti, il rimettente  non  invoca  affatto  una  pronuncia
ablativa delle norme censurate, ma richiede piuttosto  un  intervento
di tipo additivo, finalizzato a concentrare presso  un  unico  plesso
giurisdizionale le controversie in ordine ai provvedimenti  di  fermo
amministrativo;  e  tuttavia,  ai  fini  del  conseguimento  di  tale
obiettivo, e' stata omessa ogni indicazione in ordine alla  direzione
e ai contenuti dell'intervento correttivo auspicato, tra i molteplici
astrattamente  ipotizzabili;  tale   omissione   si   risolve   nella
indeterminatezza ed  ambiguita'  del  petitum,  le  quali  comportano
l'inammissibilita' della questione (ex plurimis, sentenze n. 220  del
2014; n. 220 del 2012; n. 186 e n. 117 del 2011; ordinanze n. 335, n.
260 e n. 21 del 2011); 
    che   deve   essere    parimenti    dichiarata    la    manifesta
inammissibilita'  della  questione,  formulata  in  via  subordinata,
relativa alla denunciata illegittimita' dell'«articolo 362, comma 2 e
3, cpc», nella parte in cui  non  prevede  la  possibilita',  per  il
giudice di ogni ordine e grado, di richiedere in via  preventiva  una
pronuncia delle sezioni unite in funzione nomofilattica, analogamente
a quanto previsto in  relazione  alle  pronunce  pregiudiziali  della
Corte di giustizia europea, nonche' nella parte in  cui  non  prevede
che i principi espressi dalle pronunce della Corte  di  cassazione  a
sezioni  unite  costituiscano  precedente  vincolante  per  tutte  le
successive decisioni degli uffici giudiziari della Repubblica; 
    che - al di la' della carente descrizione della fattispecie,  per
l'omessa indicazione del contenuto degli atti impugnati  e  dei  vizi
dai quali sarebbero affetti - anche con riferimento a tale  questione
subordinata la motivazione dell'ordinanza di rimessione non chiarisce
se, ed in quale misura, il giudice a quo ritenga di  essere  titolare
di  giurisdizione  in  ordine  alle  azioni  proposte   dalle   parti
ricorrenti,  ossia  in  che   modo   i   principi   elaborati   dalla
giurisprudenza  di  legittimita'   sul   riparto   di   giurisdizione
nell'impugnazione   del   fermo   amministrativo   debbano    trovare
applicazione nei casi sottoposti al suo esame; 
    che, d'altra parte, anche a tacere del fatto che l'art. 362  cod.
proc. civ. si compone di due soli commi, il Tribunale rimettente  non
indica il motivo per cui  ritenga  di  non  poter  decidere  il  caso
sottoposto al suo esame, senza il previo rinvio "pregiudiziale"  alla
Corte di cassazione a sezioni unite; la  denunciata  assenza  di  uno
strumento processuale  per  interpellare  direttamente  la  Corte  di
cassazione  in  funzione  nomofilattica   introduce   una   questione
meramente ipotetica, che prescinde dal giudizio a  quo,  riguardando,
invece, l'intero sistema del processo civile; 
    che,  inoltre,  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 362, comma 2, cod. proc.  civ.  investe  una  disposizione,
relativa alla proposizione dei ricorsi per  cassazione,  inconferente
con i giudizi nei quali e' stata formulata  la  questione,  la  quale
risulta, pertanto, non rilevante nel caso concreto; 
    che, in ogni caso, come gia' affermato nella precedente ordinanza
n.  156  del  2013,  con  cui  e'  stata  dichiarata   manifestamente
inammissibile analoga questione di  legittimita'  costituzionale,  il
rimettente - nel denunciare l'impossibilita'  di  richiedere  in  via
preventiva  una   pronuncia   delle   sezioni   unite   in   funzione
nomofilattica e la mancanza di vincolativita'  delle  pronunce  della
Corte di cassazione - «ha richiesto alla Corte un intervento additivo
"creativo", peraltro manipolativo  di  sistema,  in  assenza  di  una
soluzione  costituzionalmente  obbligata,  che  eccede  i  poteri  di
intervento  di  questa  Corte,  implicando   scelte   affidate   alla
discrezionalita' del legislatore (ex plurimis: ordinanze n. 255 e  n.
252 del 2012, n. 243 e n. 182 del 2009)»; 
    che,  in  definitiva,  tutte   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale  ordinario  di  Tivoli  devono
essere dichiarate manifestamente inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  dinanzi  alla
Corte costituzionale.