ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
1, 8, comma 4, 11, 13 e 17, comma 1, della legge della Regione Marche
17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale  10  novembre
2009, n. 27  "Testo  unico  in  materia  di  commercio",  alla  legge
regionale 11 luglio 2006, n. 9 "Testo unico delle norme regionali  in
materia di turismo", e alla legge regionale  29  aprile  2008,  n.  8
"Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale"),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 23-27 gennaio 2015,  depositato  in  cancelleria  il  2
febbraio 2015 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Giovanni   Palatiello   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per
la Regione Marche. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 23-27 gennaio 2015 e depositato nella cancelleria di questa  Corte
il successivo 2 febbraio  (registro  ricorsi  n.  19  del  2015),  ha
promosso, ai sensi dell'art. 127  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e  13
della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n.  29  (Modifiche
alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 "Testo unico in  materia
di commercio", alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 "Testo unico
delle norme regionali in materia di turismo", e alla legge  regionale
29 aprile 2008,  n.  8  "Interventi  di  sostegno  e  promozione  del
commercio equo e solidale"),  per  violazione  dell'art.  117,  primo
comma e secondo comma, lettera e), Cost., e  degli  artt.  11  e  17,
comma 1, della medesima legge  regionale,  per  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost. 
    1.1.- Con la prima censura,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
osserva che gli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della  legge  reg.
Marche n. 29 del 2014, modificando, rispettivamente, gli artt.  10  e
11 della legge regionale n. 27 del 2009 e inserendo gli artt.  16-bis
e 16-ter nella medesima legge regionale, introducono una tipologia di
struttura commerciale ("parco commerciale") non  prevista  a  livello
statale e ne dettano integralmente la disciplina. In particolare,  la
definizione di parco  commerciale  contenuta  nella  norma  regionale
includerebbe  le  medie  e  le  grandi   strutture   di   vendita   e
consentirebbe «che gli esercizi commerciali in esso presenti  possano
essere di qualsiasi tipologia, compresi, quindi, anche  gli  esercizi
di vicinato». Inoltre, richiedendo, tra le altre previsioni, che  per
l'apertura, il trasferimento di sede, l'ampliamento e la modifica del
settore merceologico sia  necessaria  «la  preventiva  autorizzazione
rilasciata ai sensi delle previsioni regionali dedicate alle medie  e
alle grandi strutture», introduce «limitazioni vietate  ai  sensi  di
tutta la recente normativa comunitaria e statale  [...],  frapponendo
un effettivo ostacolo alla libera concorrenza nella Regione  Marche».
Il  nuovo  quadro  normativo  regionale  si  porrebbe,  pertanto,  in
contrasto, secondo il ricorrente, con la direttiva 12 dicembre  2006,
n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa  ai
servizi  nel  mercato  interno),  con  l'art.  31,   comma   2,   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, di cui e' attuazione, e  sarebbe,  per  queste
ragioni, in violazione dell'art. 117, primo comma  e  secondo  comma,
lettera e), Cost.  A  conferma  della  illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni regionali censurate, il ricorrente, richiamando la
sentenza n. 165 del 2014, afferma «che non  possono  essere  inserite
procedure che aggravano l'avvio di un'attivita' commerciale». 
    1.2.- Con la seconda censura, l'Avvocatura generale  dello  Stato
lamenta che, in base agli artt. 11 e 17, comma 1, della legge Regione
Marche n. 29 del 2014 (che  hanno,  rispettivamente,  modificato  gli
artt. 14, comma 2, e 28, comma 2, della legge  regionale  n.  27  del
2009), sono condizionate al parere delle organizzazioni delle imprese
del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative
a livello regionale, delle associazioni dei consumatori  iscritte  al
registro regionale, nonche' delle organizzazioni dei  lavoratori  del
settore  maggiormente  rappresentative  a   livello   regionale,   le
previsioni per il  rilascio  delle  autorizzazioni  (art.  11)  e  la
definizione  dei  criteri  e  delle  modalita'  per  l'apertura,   il
trasferimento e l'ampliamento di un esercizio di vendita della stampa
quotidiana e periodica, anche a carattere stagionale (art. 17,  comma
1). L'inclusione dell'inciso, rispettivamente,  nel  primo  articolo,
«sentite» e, nel secondo articolo,  «previo  parere»  delle  indicate
organizzazioni, contrasterebbe con l'art. 14, numero 6), della citata
direttiva  comunitaria   n.   2006/123/CE,   la   quale   vieta   «il
coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in
seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o
ai fini dell'adozione di altre decisioni delle autorita'  competenti,
ad  eccezione  degli  organismi  o  ordini   e   delle   associazioni
professionali o di altre organizzazioni che agiscono in  qualita'  di
autorita' competente», e,  di  conseguenza,  violerebbe  l'art.  117,
primo comma, Cost. 
    2.- Con memoria depositata il 27 febbraio 2015, la Regione Marche
si  e'  costituita,  chiedendo  che   il   ricorso   sia   dichiarato
inammissibile o, comunque, infondato. 
    2.1.1.- Con riferimento alla censura mossa  nei  confronti  degli
artt. 7, comma 1, e 8, comma 4, della legge regionale  impugnata  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa
regionale   argomenta   l'inammissibilita'   della   questione    per
genericita' e assoluta carenza di motivazione. 
    Secondo la difesa regionale, la parte ricorrente  avrebbe  omesso
di spiegare  le  ragioni  per  le  quali  la  definizione  di  "parco
commerciale" (art. 7, comma 1) e il suo richiamo nel contesto di  una
previsione  relativa  ai  parametri  di  parcheggio  per   realizzare
strutture di vendita (art. 8, comma 4) sarebbero in contrasto con  la
normativa statale in materia di «tutela della  concorrenza».  L'unico
elemento riportato dalla  ricorrente,  ma  senza  che  sia  messo  in
relazione con le norme regionali  impugnate,  sarebbe  l'articolo  4,
lettera g), del decreto legislativo 31 marzo, 1998, n.  114  (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art.
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale  definisce  i
centri commerciali. Ritiene,  inoltre,  la  Regione  che  il  termine
"parco commerciale" «rientr[i] ormai da tempo nel  linguaggio  comune
non soltanto del settore commerciale, ma anche  della  giurisprudenza
civile ed amministrativa» e che «[l]a differenza principale  rispetto
al centro commerciale, in ogni caso,  rest[i]  l'unitarieta'  o  meno
della costruzione in cui sono  inseriti  gli  esercizi  commerciali».
L'inclusione   di   tale   tipologia   di    esercizio    commerciale
nell'applicazione delle disposizioni in materia di commercio in  sede
fissa «non rappresenta altro», secondo la  Regione  resistente,  «che
un'ulteriore tutela rivolta agli operatori commerciali ed agli stessi
cittadini» e interviene nel rispetto delle finalita' perseguite dalla
Regione stessa in attuazione dei principi comunitari  e  delle  leggi
statali in materia di tutela della concorrenza.  La  censura  sarebbe
comunque manifestamente infondata, non  essendo  il  contenuto  delle
disposizioni censurate idoneo a incidere, sotto un qualunque aspetto,
sulla tutela della concorrenza. 
    2.1.2.- Con  riferimento  alla  censura  avanzata  nei  confronti
dell'art. 13 della legge regionale n.  29  del  2014  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa  regionale
ritiene l'inammissibilita' della questione per due ordini di  motivi:
1) il ricorrente sostiene l'introduzione, ad opera della disposizione
regionale, di limitazioni  all'esercizio  dell'attivita'  commerciale
vietate dalla normativa statale, semplicemente richiamando l'art. 31,
comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, ma senza indicare il contenuto  di
tali limitazioni, ne'  quali  aspetti  della  censurata  disposizione
regionale vi contrasterebbero; 2) il  riferimento  all'autorizzazione
richiesta dalla disposizione  regionale  ai  fini  dell'apertura  dei
parchi commerciali, del trasferimento  di  sede,  dell'ampliamento  e
della modifica del settore merceologico non e'  sostenuto  da  alcuna
spiegazione  circa  la   sua   configurabilita'   quale   limitazione
illegittimamente posta. A tal proposito la  Regione,  richiamando  la
sentenza n. 165 del 2014, afferma che «la mera previsione da parte di
una legge regionale di un'autorizzazione a carico delle strutture  di
vendita [...] non viola in se' e per  se'  la  normativa  statale  in
materia  di   "tutela   della   concorrenza",   rendendosi   pertanto
necessaria, al fine di lamentare la suddetta violazione nel  giudizio
di  legittimita'  costituzionale,  una  compiuta  esplicazione  delle
ragioni specifiche che la sorreggono». 
    La  censura  sarebbe,  secondo  la  difesa  regionale,   comunque
manifestamente infondata, in quanto l'art. 31, comma 2, del  d.l.  n.
201 del 2011, nonche' l'art. 10 della direttiva  comunitaria  di  cui
l'atto  governativo  e'  attuazione,  non  vietano  di  per  se'   la
previsione di un regime  autorizzatorio:  l'art.  31,  comma  2,  nel
prevedere  la  liberta'  di  apertura  degli  esercizi   commerciali,
«costituisce un principio generale, come tale suscettibile di  subire
deroghe», purche' esse rientrino all'interno  dei  confini  tracciati
dalla stessa disposizione; e l'art. 10, imponendo  dei  limiti  nella
determinazione dei criteri  di  rilascio  dell'autorizzazione,  muove
dall'assunto della loro ammissibilita'. Cio'  che,  dunque,  potrebbe
essere in contrasto con le disposizioni invocate come  parametro  non
e' la previsione del regime autorizzatorio in se', ma  la  previsione
di procedure per il rilascio  dell'autorizzazione  che  rendano  piu'
gravoso l'avvio di una attivita' commerciale. Nulla,  pero',  dispone
in merito la censurata disposizione regionale. 
    2.1.3.- Secondo la Regione resistente, e' altresi' manifestamente
inammissibile  la  questione  sollevata  sull'art.  13  della   legge
regionale n. 29 del 2014 per violazione dell'art. 117,  primo  comma,
Cost., essendo  essa  formulata  in  modo  assolutamente  generico  e
apodittico,  senza  che  siano  indicate  le  ragioni  della  pretesa
violazione, ne' le specifiche norme della direttiva  comunitaria  che
si presumono violate. 
    2.2.- Con riferimento alla  censura  mossa  nei  confronti  degli
artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n.  29  del  2014,  per
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., la difesa regionale  ne
argomenta la manifesta inammissibilita'  e,  comunque,  la  manifesta
infondatezza. In via preliminare, la difesa regionale osserva che  le
formulazioni introdotte dalle  disposizioni  censurate  sostituiscono
formulazioni del tutto analoghe gia' contenute nella legge  regionale
precedente,  e  che  l'integrazione  dei   soggetti   collettivi   da
consultare permette un adeguamento delle disposizioni  censurate,  da
questo punto di vista,  all'art.  2,  comma  1,  della  stessa  legge
regionale,  articolo   non   sottoposto   all'odierno   giudizio   di
costituzionalita'. 
    La difesa regionale osserva, inoltre, che  il  ricorrente  si  e'
limitato, nella prospettazione della questione, a riportare  i  testi
delle due norme regionali e l'art. 14  della  direttiva  comunitaria,
invocato quale parametro interposto, affermandone apoditticamente  il
contrasto. La mancata  argomentazione  sulla  riconducibilita'  delle
organizzazioni  richiamate  dalle  norme  impugnate   alla   nozione,
adottata dalla direttiva europea, di «operatori concorrenti»  il  cui
coinvolgimento  e'  vietato,  rende   la   questione   manifestamente
infondata. 
    3.- Con memoria integrativa depositata il 31  dicembre  2015,  la
Regione Marche chiede che sia dichiarata la cessazione della  materia
del contendere, essendo stata approvata, nelle more del giudizio,  la
legge regionale 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di  aggiornamento
della legislazione  regionale.  Modifiche  alla  legge  regionale  30
dicembre 2014, n. 36 "Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio
annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria
2015" e alla legge regionale 30 dicembre 2014,  n.  37  "Bilancio  di
previsione per l'anno 2015 ed adozione del bilancio  pluriennale  per
il triennio 2015/2017"), il cui art. 7 ha modificato le  disposizioni
censurate  in  senso  satisfattivo  della  pretesa  avanzata  con  il
ricorso. In particolare, tale  articolo  ha  abrogato,  al  comma  5,
lettere c), d) ed e), esplicitamente gli artt. 7, comma 1,  8,  comma
4, e 13 della legge regionale n. 29 del 2014;  e  ai  commi  2  e  3,
tacitamente, gli  artt.  11  e  17,  comma  1,  nella  parte  in  cui
sostituiscono alla consultazione  dei  soggetti  collettivi  il  mero
confronto con i medesimi. 
    3.1.- La difesa regionale insiste comunque per l'inammissibilita'
e la manifesta infondatezza  delle  censure  di  incostituzionalita',
richiamando integralmente le argomentazioni gia' dedotte in  sede  di
costituzione, e integrandole sotto due profili. Con riferimento  alla
censura avanzata sull'art. 13 della legge  regionale  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la Regione  richiama
gli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 114 del 1998, i quali prevedono per  le
medie e le grandi strutture di vendita un regime  autorizzatorio.  Ne
deriva, secondo la Regione resistente, che «il legislatore  regionale
non ha adottato alcuna norma contraria a quanto  gia'  stabilito  dal
legislatore statale nell'esercizio  della  sua  potesta'  legislativa
esclusiva in materia  di  "tutela  della  concorrenza",  limitandosi,
semmai, a dare attuazione alla disciplina posta da quest'ultimo». Con
riferimento alla censura avanzata sugli artt. 11 e 17, comma 1, della
legge regionale per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,  la
Regione sostiene che, anche qualora le questioni venissero trasferite
sulle disposizioni nella loro nuova formulazione, permarrebbe la loro
manifesta infondatezza, contemplando  le  nuove  previsioni  un  mero
confronto. 
    4.- Con  memoria  depositata  il  5  gennaio  2016,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  insiste  per  l'accoglimento  delle  proposte
questioni di legittimita'  costituzionale,  integrando  i  motivi  di
censura. 
    Gli artt. 7, comma 1, e 8, comma 4, della legge regionale  n.  29
del 2014, nell'introdurre  una  tipologia  di  esercizio  commerciale
("parco commerciale") non prevista a livello statale, contrastano con
l'art.  4  del  d.lgs.  n.  114  del  1998,  il  quale  contiene  una
definizione di "centro commerciale", e incidono sulla  materia  della
«tutela della concorrenza», riservata,  al  fine  di  assicurare  una
disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, alla competenza
esclusiva dello Stato. L'art. 13  della  censurata  legge  regionale,
nella misura in cui, nel disciplinare i parchi commerciali,  richiede
per l'apertura, il trasferimento di sede, l'ampliamento e la modifica
del settore  merceologico  la  preventiva  autorizzazione,  introduce
limitazioni vietate dalla legge statale (art. 31, comma  2,  d.l.  n.
201 del 2011) e dalla normativa europea (direttiva  n.  2006/123/CE),
in  quanto  limitazioni  -  quale  e'  il  rilascio  di   un   titolo
autorizzatorio - sono consentite «solo qualora vi sia  la  necessita'
di garantire la tutela della salute, dei  lavoratori,  dell'ambiente,
ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali»,  e  la  Regione
Marche «non fornisce la  dimostrazione  delle  eventuali  ragioni  di
tutela [...] che, nel  caso  di  specie,  renderebbero  legittima  la
deroga  al  principio  generale  della  liberta'  di  apertura  degli
esercizi  commerciali».  A  ulteriore  conferma  di   tale   percorso
argomentativo, la difesa statale richiama le pronunce n. 104 del 2014
e n. 165 del 2014, nella parte in cui affermano, la  prima,  che  «la
materia della concorrenza, a motivo della sua  natura  "trasversale",
e' idonea a porsi come limite alla disciplina che le Regioni  possono
adottare in  altre  materie  di  propria  competenza,  concorrente  o
residuale, come in materia di commercio», e,  la  seconda,  che  «non
possono  essere  inserite  procedure   che   aggravino   l'avvio   di
un'attivita'  commerciale».  Inoltre,  la  previsione  di  un  regime
autorizzatorio  contrasterebbe  con  la  normativa  comunitaria,   in
particolare  con  gli  artt.  9  e  10  della  menzionata   direttiva
comunitaria, che consente  deroghe  «alla  liberta'  di  stabilimento
giustificate dalla necessita' di  perseguire  obiettivi  di  politica
sociale». 
    Infine,   l'Avvocatura   generale   dello   Stato   insiste   per
l'accoglimento delle censure avanzate nei confronti degli art.  11  e
17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014, ritenendo entrambe
le  disposizioni  in  contrasto  con  l'art.  14,  numero  6),  della
direttiva comunitaria n. 2006/123/CE. Il divieto  di  coinvolgimento,
diretto o indiretto, di  operatori  concorrenti  include  certamente,
secondo il ricorrente, le organizzazioni delle imprese del commercio,
del turismo e dei  servizi  maggiormente  rappresentative  a  livello
regionale, le quali, «inserendosi in un  processo  decisionale  volto
all'emanazione di atti  ad  efficacia  generale  ed  astratta  [...],
potrebbero  sfruttare  la  funzione  consultiva  loro  assegnata  per
incrementare il proprio livello di rappresentativita' sul  territorio
regionale, plasmando a proprio favore i criteri e le altre condizioni
necessarie al rilascio dell'autorizzazione», e cosi'  escludere,  «in
capo agli altri operatori concorrenti, che non abbiano esercitato  la
funzione consultiva de qua in quanto non altrettanto rappresentativi,
la  possibilita'  stessa  di  accedere  al  servizio».   Ad   analoga
conclusione giunge poi il ricorrente in riferimento alle associazioni
dei consumatori iscritte al registro regionale e alle  organizzazioni
dei lavoratori del settore  maggiormente  rappresentative  a  livello
regionale,  il  cui  coinvolgimento  nell'esercizio  della   funzione
consultiva  dovrebbe  essere  escluso,  attraverso  una   lettura   a
contrario del secondo periodo dell'art. 14,  numero  6),  secondo  la
quale «tale divieto non riguarda la consultazione di organismi  quali
le camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse  dalle
singole domande di autorizzazione ne'  la  consultazione  del  grande
pubblico». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 19 del registro ricorsi  2015,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell'art.
127 della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della  legge  della  Regione
Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche  alla  legge  regionale  10
novembre 2009, n. 27 "Testo unico  in  materia  di  commercio",  alla
legge regionale 11  luglio  2006,  n.  9  "Testo  unico  delle  norme
regionali in materia di turismo" e alla  legge  regionale  29  aprile
2008, n. 8 "Interventi di sostegno e promozione del commercio equo  e
solidale"), per violazione  dell'art.  117,  primo  comma  e  secondo
comma, lettera e) Cost., e degli  artt.  11  e  17,  comma  1,  della
medesima legge regionale, per violazione dell'art. 117, primo  comma,
Cost. 
    1.1.- Con il primo motivo di ricorso, l'Avvocatura generale dello
Stato lamenta che le disposizioni regionali  censurate,  introducendo
la definizione  di  una  nuova  tipologia  di  struttura  commerciale
denominata "parco commerciale" (artt. 7, comma 1, e  8,  comma  4)  e
dettandone la disciplina (art. 13), contrasterebbero  con  l'art.  4,
lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore  del  commercio,   a   norma
dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale
contiene una definizione di "centro commerciale" che  non  include  i
parchi commerciali, e con l'art. 31, comma  2,  del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214, attuativo della  direttiva  12  dicembre  2006,  n.  2006/123/CE
(Direttiva del Parlamento e del Consiglio  relativa  ai  servizi  nel
mercato interno), nella parte  in  cui  introducono  limitazioni  non
consentite    all'esercizio    dell'attivita'    commerciale.    Cio'
inciderebbe, secondo il ricorrente, sulla materia della «tutela della
concorrenza»,  riservata,  al  fine  di  assicurare  una   disciplina
uniforme  su  tutto  il   territorio   nazionale,   alla   competenza
legislativa esclusiva dello Stato,  e  determinerebbe  la  violazione
dell'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost. 
    1.2.- Con  il  secondo  motivo  di  ricorso,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri censura gli artt. 11  e  17,  comma  1,  della
legge reg. Marche n. 29 del 2014,  i  quali  condizionano  al  parere
delle organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo  e  dei
servizi  maggiormente  rappresentative  a  livello  regionale,  delle
associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale,  nonche'
delle  organizzazioni  dei  lavoratori   del   settore   maggiormente
rappresentative a livello regionale,  la  previsione,  da  parte  del
Comune, di condizioni, procedure e  criteri  per  il  rilascio  delle
autorizzazioni (art.  11)  e  la  definizione  dei  criteri  e  delle
modalita' per l'apertura, il trasferimento e l'ampliamento di vendita
della stampa quotidiana e periodica,  anche  a  carattere  stagionale
(art. 17, comma 1). L'inclusione  dell'inciso,  rispettivamente,  nel
primo articolo, «sentite» e, nel secondo  articolo,  «previo  parere»
delle indicate organizzazioni rappresentative contrasterebbe, secondo
il ricorrente, con l'art. 14, numero 6), della  citata  direttiva  n.
2006/123/CE, la quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di
operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai  fini
del rilascio di autorizzazioni  o  ai  fini  dell'adozione  di  altre
decisioni delle autorita' competenti, ad eccezione degli organismi  o
ordini e delle associazioni professionali o di  altre  organizzazioni
che agiscono in qualita' di autorita' competente». 
    Di qui  discenderebbe,  secondo  il  ricorrente,  la  prospettata
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    2.- In via preliminare deve osservarsi che, successivamente  alla
proposizione del ricorso, la Regione Marche ha approvato la legge  13
aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della  legislazione
regionale. Modifiche alla legge regionale 30  dicembre  2014,  n.  36
"Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale   2015   e
pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015"  e  alla
legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 "Bilancio di  previsione  per
l'anno 2015 ed adozione del  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2015/2017"), modificando le  disposizioni  censurate  al  fine,  come
esplicitato nella relazione alla proposta di legge, di  provocare  la
cessazione della materia del contendere.  In  particolare,  l'art.  7
della legge regionale sopravvenuta ha abrogato esplicitamente, al suo
comma 5, lettere c), d) ed e), gli artt. 7, comma 1, 8,  comma  4,  e
13, della legge regionale n. 29 del 2014; ed ha abrogato tacitamente,
ai suoi commi 2 e 3, gli artt. 11  e  17,  comma  1,  della  medesima
legge, sostituendo rispettivamente gli  incisi  «sentite»  e  «previo
parere» con la formula «a seguito di confronto con» le organizzazioni
rappresentative   gia'   individuate   dalla   disciplina   regionale
previgente. 
    Occorre, dunque, stabilire se la  sopravvenienza  legislativa  in
esame, abrogando e modificando le disposizioni  regionali  censurate,
determini la cessazione della materia del contendere. 
    Secondo il costante orientamento di questa Corte, per  addivenire
a tale esito, devono congiuntamente verificarsi due  condizioni:  che
la sopravvenuta abrogazione o  modificazione  delle  norme  censurate
possa ritenersi satisfattiva della pretesa avanzata con il ricorso, e
che le norme  abrogate  o  modificate  non  abbiano  ricevuto,  medio
tempore, applicazione (ex plurimis, sentenze n. 149 e n. 32 del 2015,
n. 165 del 2014). 
    2.1.- Con  riferimento  al  primo  motivo  del  ricorso,  lo  ius
superveniens, incidendo  specificamente  sulle  disposizioni  oggetto
della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  deve   ritenersi
satisfattivo delle ragioni del ricorrente.  La  novella  legislativa,
infatti, ha abrogato le disposizioni che  implicavano  l'introduzione
della   tipologia   di   esercizio   commerciale   definita    "parco
commerciale", ogni riferimento  a  tale  tipologia,  nonche'  la  sua
disciplina. 
    Anche  la  seconda  condizione  puo'  ritenersi  soddisfatta.   A
sostegno  della  mancata  attuazione  delle   norme   sospettate   di
illegittimita'  costituzionale  milita  il  breve   lasso   temporale
intercorso tra le due discipline, essendo le disposizioni  introdotte
con la legge regionale n.  29  del  2014  entrate  in  vigore  il  28
novembre 2014, e l'art. 7, comma 5, della legge regionale n.  16  del
2015, che ne ha dichiarato esplicitamente l'abrogazione, il 14 aprile
2015. 
    Inoltre, il contenuto delle disposizioni censurate e ora abrogate
non era di automatica e immediata applicazione, essendo le prime  due
(artt. 7, comma  1,  e  8,  comma  4)  di  carattere  definitorio,  e
necessitando la terza (art. 13) di ulteriori sviluppi  normativi  per
poter essere implementata. Il regolamento di attuazione e' stato  poi
approvato il 2 marzo 2015 - Regolamento regionale 2 marzo 2015, n.  1
(Disciplina delle attivita' di commercio in sede fissa, in attuazione
del Titolo II, Capo I, della legge regionale 10 novembre 2009, n. 27,
recante Testo unico  in  materia  di  commercio)  -,  pubblicato  nel
Bollettino Ufficiale regionale il successivo 12 marzo ed  entrato  in
vigore al termine del consueto periodo di vacatio legis. Pertanto, il
tempo in cui le disposizioni censurate avrebbero potuto  avere  medio
tempore applicazione e' fortemente limitato, essendo  ricompreso  tra
il 27 marzo 2015 (data di entrata in vigore del regolamento) e il  14
aprile 2015 (data di entrata in vigore della novella legislativa). 
    Deve essere,  di  conseguenza,  dichiarata  la  cessazione  della
materia del contendere in relazione alla  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13  della  legge
regionale impugnata. 
    2.2.- A una  conclusione  diversa  deve,  invece,  giungersi  con
riferimento al secondo motivo di ricorso. 
    Gli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del  2014
sono stati abrogati tacitamente dalla legge regionale n. 16 del 2015,
attraverso una modifica del  testo.  In  sostituzione  degli  incisi,
rispettivamente,  nel  primo  articolo,  «sentite»  e,  nel   secondo
articolo, «previo parere», predicati  nei  confronti  delle  elencate
organizzazioni rappresentative, la legge regionale n. 16 del 2015  ha
introdotto l'inciso «a seguito di confronto con» le medesime. 
    Tale modifica, per quanto innovativa, non e'  tuttavia  idonea  a
ritenere soddisfatte le pretese del ricorrente. 
    La censura  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato  muove  dalla
considerazione che condizionare al parere delle organizzazioni  delle
imprese  del  commercio,  del  turismo  e  dei  servizi  maggiormente
rappresentative  a  livello   regionale,   delle   associazioni   dei
consumatori   iscritte   al   registro   regionale,   nonche'   delle
organizzazioni    dei    lavoratori    del    settore    maggiormente
rappresentative a livello regionale, le previsioni  per  il  rilascio
delle autorizzazioni (art. 11) e la definizione dei criteri  e  delle
modalita' per l'apertura, il  trasferimento  e  l'ampliamento  di  un
esercizio di vendita della stampa quotidiana  e  periodica,  anche  a
carattere stagionale (art. 17, comma 1),  contrasti  con  l'art.  14,
numero 6), della gia' citata direttiva n. 2006/123/CE, il quale vieta
«il coinvolgimento diretto  o  indiretto  di  operatori  concorrenti,
anche in seno  agli  organi  consultivi,  ai  fini  del  rilascio  di
autorizzazioni o ai  fini  dell'adozione  di  altre  decisioni  delle
autorita' competenti, ad eccezione degli organismi o ordini  e  delle
associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono  in
qualita' di autorita' competente». A prescindere, al momento, da ogni
valutazione sulla fondatezza della censura, essa e' volta a escludere
ogni forma di coinvolgimento delle organizzazioni indicate. 
    Il legislatore regionale non ha, dunque, soddisfatto  le  pretese
avanzate dal ricorrente, considerato che, sia pure in forma  di  mero
«confronto», permane il coinvolgimento delle organizzazioni  elencate
nei procedimenti disciplinati dalla legge. 
    Non puo', pertanto, essere dichiarata la cessazione della materia
del contendere con riferimento alla questione sollevata nei confronti
degli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n.  29  del  2014
(ex plurimis, sentenze n. 219 e n. 178 del 2013). 
    3.- Occorre, invece, procedere alla  estensione  della  questione
prospettata dal ricorso in riferimento agli artt. 11 e 17,  comma  1,
della legge  regionale  n.  29  del  2014  anche  nei  confronti  del
sopravvenuto art. 7, commi 2 e 3, della legge  regionale  n.  16  del
2015. 
    La  disposizione  sopravvenuta,  per   quanto   non   del   tutto
sovrapponibile a quella modificata - dato che il «confronto»  con  le
organizzazioni    rappresentative    costituisce    un'ipotesi     di
coinvolgimento mitigata rispetto al «previo parere» -,  presenta  una
portata precettiva paragonabile alla prima  sotto  il  profilo  della
potenziale  lesivita'  dei  principi  costituzionali   invocati   dal
ricorrente. 
    Il vizio lamentato nei confronti della  prima  colpisce,  dunque,
anche la seconda  nonostante  la  variazione  normativa  intervenuta.
D'altra parte, considerato il diverso ambito temporale  di  efficacia
delle due leggi - essendo la prima rimasta in vigore dal 18  novembre
2014 al 14 aprile 2015, e la seconda a partire dal 14 aprile 2015  -,
occorre che lo scrutinio di legittimita' costituzionale investa tanto
la disposizione originaria, quanto  quella  sopravvenuta,  nel  testo
sostitutivo (sentenza n. 21 del 2016). 
    4.-  Ancora  in  via  preliminare,  devono  essere  esaminate  le
eccezioni  di  inammissibilita'   sollevate   dalla   resistente   in
riferimento al secondo motivo di ricorso. 
    Secondo  la  Regione  resistente,   le   disposizioni   censurate
sostituiscono formulazioni del tutto analoghe  gia'  contenute  nella
legge regionale  precedente.  Inoltre,  la  partecipazione,  prevista
nelle disposizioni censurate, dei soggetti collettivi mira a un  loro
allineamento, da questo punto di vista, all'art. 2,  comma  1,  della
medesima  legge  regionale,  articolo  non   sottoposto   all'odierno
giudizio di costituzionalita'. 
    Entrambe le eccezioni non sono fondate. 
    In primo luogo, la mancata impugnazione di una  disposizione  poi
riprodotta, in forma analoga o addirittura  identica,  da  una  legge
successiva non puo' di per  se'  essere  motivo  di  inammissibilita'
della   questione,   non   trovando   applicazione    nel    processo
costituzionale l'istituto dell'acquiescenza (ex plurimis, sentenze n.
215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n.  187  del
2011). 
    In secondo luogo, sebbene l'integrazione dei  soggetti  coinvolti
sia volto  a  un  allineamento  all'art.  2,  comma  1,  della  legge
regionale n. 27 del 2009, come modificato dalla legge regionale n. 29
del 2014, che introduce il riferimento alle organizzazioni  indicate,
tuttavia non  puo'  non  considerarsi  la  diversita'  dei  contenuti
normativi delle due disposizioni. L'art.  2,  comma  1,  prevede  che
siano sentite le indicate organizzazioni, dalla Giunta regionale,  al
fine  di  adottare,  previo  parere  della   competente   Commissione
assembleare, uno o piu' regolamenti per l'attuazione della legge  sul
commercio. I censurati artt. 11 e 17, comma 1, prevedono, invece, che
il Comune definisca le procedure per il rilascio delle autorizzazioni
e determini i criteri e le modalita' per l'apertura, il trasferimento
e l'ampliamento dell'esercizio, «sentite» le indicate  organizzazioni
(nella formulazione censurata direttamente) e «a seguito di confronto
con» le indicate organizzazioni (nella formulazione  successiva).  Il
primo articolo riguarda dunque un procedimento normativo, mentre  gli
altri  disciplinano  procedimenti  amministrativi,  che  ben  possono
richiedere diverse forme e limiti alla  partecipazione  dei  soggetti
interessati. 
    4.1.- La Regione Marche  eccepisce,  inoltre,  l'inammissibilita'
della questione per carenza argomentativa in  punto  di  motivazione,
essendosi  il  ricorrente  limitato,   nella   prospettazione   della
questione, a riportare, mettendoli a raffronto,  i  testi  delle  due
norme regionali e l'art. 14, numero 6) della  direttiva  comunitaria,
invocato quale  parametro  interposto,  senza  spiegare  la  presunta
riconducibilita' delle suddette organizzazioni alla  categoria  degli
«operatori  concorrenti»   di   cui   alla   direttiva   comunitaria,
affermandone, dunque, apoditticamente il contrasto. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nel   ricorso   e
successivamente nella  memoria  depositata  il  5  gennaio  2016,  ha
chiarito i motivi del gravame e ha illustrato le ragioni per le quali
le disposizioni impugnate violerebbero i parametri invocati. 
    In  particolare,  il  ricorrente  precisa  che  il   divieto   di
coinvolgimento,  diretto  o  indiretto,  di  operatori   concorrenti,
previsto dalla direttiva comunitaria, include le organizzazioni delle
imprese  del  commercio,  del  turismo  e  dei  servizi  maggiormente
rappresentative a livello regionale, le  quali,  «inserendosi  in  un
processo  decisionale  volto  all'emanazione  di  atti  ad  efficacia
generale  ed  astratta  [...],  potrebbero  sfruttare   la   funzione
consultiva loro assegnata per  incrementare  il  proprio  livello  di
rappresentativita' sul  territorio  regionale,  plasmando  a  proprio
favore i  criteri  e  le  altre  condizioni  necessarie  al  rilascio
dell'autorizzazione»,  e  cosi'  escludere,  «in  capo   agli   altri
operatori  concorrenti,  che  non  abbiano  esercitato  la   funzione
consultiva de qua  in  quanto  non  altrettanto  rappresentativi,  la
possibilita' stessa di accedere al servizio». Ad analoga  conclusione
giunge  poi  il  ricorrente  in  riferimento  alle  associazioni  dei
consumatori iscritte al registro regionale e alle organizzazioni  dei
lavoratori  del  settore  maggiormente  rappresentative   a   livello
regionale,  il  cui  coinvolgimento  nell'esercizio  della   funzione
consultiva  dovrebbe  essere  escluso,  attraverso  una   lettura   a
contrario del secondo periodo dell'art. 14,  numero  6),  secondo  la
quale «tale divieto non riguarda la consultazione di organismi  quali
le camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse  dalle
singole domande di autorizzazione ne'  la  consultazione  del  grande
pubblico». 
    Le  censure  prospettate,  dunque,   risultano   sufficientemente
motivate  e  i  parametri  invocati   adeguatamente   specificati   e
illustrati. 
    5.- Nel merito, la  questione  non  e'  fondata  nei  termini  di
seguito specificati. 
    Le disposizioni censurate prevedono che,  «sentite»  (secondo  la
formulazione introdotta con legge regionale n.  29  del  2014)  e  «a
seguito di confronto con» (secondo  la  formulazione  introdotta  con
legge regionale n. 16 del 2015) le organizzazioni delle  imprese  del
commercio, del turismo e dei servizi maggiormente  rappresentative  a
livello  regionale,  le  associazioni  dei  consumatori  iscritte  al
registro regionale, nonche'  le  organizzazioni  dei  lavoratori  del
settore maggiormente rappresentative a livello regionale, il  Comune,
sulla base di quanto stabilito nel regolamento  attuativo,  definisce
le condizioni, le  procedure  e  i  criteri  per  il  rilascio  delle
autorizzazioni (con riferimento alle medie strutture di vendita), e i
criteri  e  le  modalita'  per   l'apertura,   il   trasferimento   e
l'ampliamento dell'esercizio di vendita  della  stampa  quotidiana  e
periodica. 
    La violazione dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  deriverebbe,
secondo il ricorrente, dal contrasto con l'art. 14, numero 6),  della
direttiva n. 2006/123/CE, il quale vieta «il coinvolgimento diretto o
indiretto  di  operatori  concorrenti,  anche  in  seno  agli  organi
consultivi,  ai  fini  del  rilascio  di  autorizzazioni  o  ai  fini
dell'adozione di  altre  decisioni  delle  autorita'  competenti,  ad
eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali
o di altre organizzazioni  che  agiscono  in  qualita'  di  autorita'
competente; tale divieto non riguarda la consultazione  di  organismi
quali le camere di commercio o le parti sociali su questioni  diverse
dalle singole domande di  autorizzazione  ne'  la  consultazione  del
grande pubblico». 
    5.1.- Come questa Corte ha avuto modo di affermare  (sentenze  n.
98 del 2013 e n. 291 del 2012), la direttiva n. 2006/123/CE, relativa
ai  servizi  nel  mercato  interno,  persegue,  in  via  prioritaria,
finalita' di massima liberalizzazione delle attivita' economiche.  In
conformita' a tale obiettivo si pone il suo art. 14, che,  attraverso
espliciti divieti, circoscrive l'ambito dei regimi di autorizzazione,
per evitare che gli stati membri introducano  requisiti  che  rendano
piu' gravosa la procedura di avvio degli esercizi commerciali. 
    La liberalizzazione nell'esercizio delle attivita' commerciali e'
recepita come principio dell'ordinamento nazionale (sentenza  n.  165
del 2014) e, come questa Corte ha chiarito (sentenze n. 200 del 2012,
n. 247 e n. 152 del 2010, n.  167  del  2009  e  n.  388  del  1992),
«prelude a una razionalizzazione della regolazione, che  elimini,  da
un lato, gli ostacoli al libero  esercizio  dell'attivita'  economica
che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall'altro,  mantenga  le
normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche  non  si
svolgano  in  contrasto  con  l'utilita'  sociale».  La  liberta'  di
apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, infatti,  deve
avvenire senza limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra
natura,  esclusi  quelli  connessi  alla  tutela  della  salute,  dei
lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso, l'ambiente urbano, e dei beni
culturali (art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011). 
    Alla luce del quadro normativo comunitario e  nazionale,  quindi,
e' precluso al legislatore regionale  prevedere  requisiti  ulteriori
rispetto a quelli ammessi dalle  discipline  comunitaria  e  statale,
trattandosi di regolamentazione normativa riconducibile alla  materia
«tutela della concorrenza» (ex plurimis, sentenze n. 165 e n. 104 del
2014, n. 98 del 2013),  di  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato. 
    5.2.- Nel caso di specie, tuttavia, la legge della Regione Marche
non  ha   inteso   introdurre   requisiti   ulteriori   al   rilascio
dell'autorizzazione, ma piuttosto stabilire  la  necessita',  per  la
determinazione della procedura di autorizzazione,  di  un  preventivo
confronto con le organizzazioni rappresentative. 
    L'avvicendarsi, nella legislazione regionale, di formule  diverse
(da «previa concertazione» nella legge regionale del 2009, a  «previo
parere» nella  legge  regionale  del  2014,  fino  a  «a  seguito  di
confronto con» nella legge regionale del  2015)  si  innesta  su  una
costante volonta'  del  legislatore  regionale  di  circoscrivere  la
partecipazione  delle  organizzazioni  collettive  alla   sola   fase
istruttoria dei procedimenti generali volti alla  determinazione  dei
criteri per la pianificazione della rete degli esercizi  commerciali.
Cio' al fine di consentire che siano raccolte tutte  le  informazioni
che potranno poi essere utili nella successiva fase di  deliberazione
delle  singole  autorizzazioni,  cosi'  contribuendo  in  termini  di
qualita' del risultato, in ossequio ai principi-cardine del  processo
amministrativo, quali la trasparenza e la partecipazione dei soggetti
interessati. 
    Non v'e' dubbio che la previsione del coinvolgimento delle  parti
sociali  riguardi  i  soli  procedimenti  generali,   dato   che   le
disposizioni impugnate si riferiscono all'attivita' dei Comuni  volte
a definire «le condizioni, le procedure e i criteri per  il  rilascio
delle autorizzazioni» (art. 11) ovvero «i criteri e le modalita'  per
l'apertura,  il  trasferimento  e  l'ampliamento  dell'esercizio   di
vendita della stampa quotidiana e periodica» (art. 17, comma  1).  In
nessun modo la  legge  regionale  prefigura  la  possibilita'  che  i
soggetti indicati possano interferire, invece, con le  determinazioni
spettanti alle autorita' competenti in ordine alle singole domande di
autorizzazione; cio' che sarebbe vietato  dall'art.  14,  numero  6),
della direttiva comunitaria n. 2006/123/CE. 
    Cosi'  interpretata,  la  previsione  regionale  non   introduce,
dunque,  alcuna  ulteriore  limitazione   all'accesso   all'esercizio
dell'attivita' commerciale, ne' si pone in contrasto con  il  divieto
disposto dalla citata direttiva comunitaria. Non si ravvisa,  dunque,
alcuna violazione dei vincoli comunitari che, ai sensi dell'art. 117,
primo comma, Cost., il  legislatore  regionale,  al  pari  di  quello
statale, e' tenuto ad osservare.