ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  17,  comma
1, lettera g), del decreto- legge 12 settembre 2014, n.  133  (Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,  n.  164,  promosso  dalla
Regione  Veneto  con  ricorso  notificato  il  9-14   gennaio   2015,
depositato in cancelleria il 16 gennaio 2015 ed iscritto al n. 10 del
registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  2016  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 16 gennaio 2015, la Regione  Veneto
promuove  questione  di  legittimita'  costituzionale   di   numerose
disposizioni del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133  (Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,  n.  164  e,  tra  queste,
dell'art. 17, comma 1, lettera g), in riferimento agli artt.  3,  23,
117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione. 
    Secondo  la  ricorrente,  l'intervento  normativo   in   discorso
mirerebbe a regolare «la c.d. perequazione  inerente  all'urbanistica
contrattata,  ovvero  quella  forma  di  perequazione  diretta   alla
riappropriazione di quota  parte  del  valore  che  l'amministrazione
determina con le  decisioni  in  materia  urbanistica».  Detta  quota
verrebbe «ritenuta vuoi una sorta  di  prelievo  fiscale  addizionale
diretto al  parziale  recupero  del  plusvalore  fondiario,  vuoi  un
contributo  per  il  miglioramento  delle  citta'  in   corrispettivo
dell'attribuzione di una maggiore edificabilita' o di un mutamento di
destinazione urbanistica piu' favorevole». 
    La    disposizione    impugnata    risulterebbe    «viziata    di
incostituzionalita'   sotto   molteplici   profili   e    palesemente
irragionevole». 
    Anzitutto,  il  previsto  «contributo   straordinario»   verrebbe
determinato autoritativamente, senza  contrattazione  alcuna  con  la
parte privata,  anche  se  in  base  a  tabelle  regionali,  peraltro
ampiamente discrezionali. 
    Inoltre, una volta determinato il maggior valore e stabilito  che
una quota di esso  non  inferiore  al  50  per  cento  dovra'  essere
suddivisa tra Comune  e  parte  privata,  resterebbe  imprecisata  la
percentuale del riparto. Con la  conseguenza  «che  la  stessa  norma
potra'  giustificare  sia  previsioni  perequative  che   sequestrino
pressoche' interamente il plusvalore, sia previsioni che  lo  lascino
pressoche' interamente al privato». Sarebbe, cosi', violato l'art. 23
Cost., tenuto conto dell'«amplissima discrezionalita'  amministrativa
assegnata alle amministrazioni comunali». 
    Dal momento, poi, che «sono fatte salve le  diverse  disposizioni
delle legislazioni regionali e degli strumenti  urbanistici  generali
comunali», la  disposizione  in  esame  risulterebbe  contraddittoria
rispetto allo scopo di dettare una norma di principio - tesa, di  per
se', a garantire l'uniformita' di disciplina su tutto  il  territorio
nazionale -, rendendo il principio cedevole non solo di  fronte  alle
legislazioni regionali, ma anche ad  atti  amministrativi,  come  gli
strumenti urbanistici generali comunali. 
    La  norma  risulterebbe,  peraltro,  irragionevole,   in   quanto
sovrapporrebbe «l'interesse  pubblico  al  pagamento  del  contributo
straordinario allo specifico interesse pubblico urbanistico che  deve
sostenere la variante o la deroga», con possibili  compromissioni  di
interessi ambientali, paesaggistici o idrogeologici. 
    La disciplina censurata sarebbe,  peraltro,  irragionevole  anche
nella parte - di non agevole lettura - in cui tratta  dell'erogazione
del contributo straordinario, dal momento che  -  come  chiarito  dal
Consiglio di Stato - la perequazione dovrebbe servire per  realizzare
opere "in prossimita'" dell'area in cui si e' realizzato l'intervento
cui il contributo si riferisce. 
    Le «disposizioni impugnate» si  porrebbero,  in  conclusione,  in
contrasto con la competenza  regionale  concorrente  «in  materia  di
governo   del   territorio   e   urbanistica»:   «data   l'amplissima
discrezionalita' amministrativa che  assegnano  alle  amministrazioni
comunali», risulterebbero «altresi' in contrasto con il principio  di
ragionevolezza e con quello della riserva relativa di legge», la  cui
violazione ridonderebbe in «una  lesione  delle  suddette  competenze
regionali». 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata  manifestamente
inammissibile in quanto estranea all'ambito del riparto di competenze
fra Stato e Regioni. 
    Le  questioni  proposte  dalle   Regioni   potrebbero,   infatti,
riguardare «solo  l'invasione  della  propria  sfera  di  competenza,
intesa come menomazione della  sfera  regionale  di  attribuzioni  da
parte  della  legge  statale»;  e,  dunque,  come   affermato   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  «il  contrasto  con  le  sole  norme
costituzionali contenute negli articoli  117,  118  e  119»,  potendo
essere proposte in riferimento ad altri parametri soltanto quando  il
contrasto «si risolva in un'esclusione o limitazione delle competenze
legislative regionali». 
    I meri «inconvenienti di fatto» derivanti dall'applicazione delle
norme denunciate non sarebbero, del resto, sufficienti a  determinare
lesioni di competenze. 
    3.- In prossimita' dell'udienza, la  Regione  ha  depositato  una
memoria con  la  quale,  insistendo  nelle  richieste  formulate,  ha
contestato  la  fondatezza  delle  deduzioni  svolte  dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    Con riferimento all'assunto secondo il quale i ricorsi  regionali
in via principale sono ammessi solo per contestare vizi relativi alla
lesione di competenze regionali stabilite  dalla  Costituzione  nelle
norme sul riparto delle competenze, si  sottolinea,  in  particolare,
che la censura relativa all'irragionevolezza della norma si riferisce
alla circostanza che essa, pur dettando principi fondamentali,  renda
poi cedevole tale previsione rispetto alla legislazione  regionale  e
agli strumenti urbanistici comunali, con riverberi  anche  sul  piano
delle competenze regionali. 
    Ora - si afferma - «delle due l'una: o si tratta di un  principio
fondamentale e quindi non puo' essere cedevole o  si  tratta  di  una
norma statale di dettaglio, ma la cedevolezza  non  puo',  in  questo
caso, essere disposta anche a favore di atti amministrativi  comunali
senza  invadere  la  competenza  legislativa  regionale  in   materia
urbanistica». Ne' una disciplina  statale  transitoria  (o  cedevole)
varrebbe  «di  per  se'  a  sanare  l'illegittima   invasione   della
competenza regionale». 
    D'altra parte, nel caso di specie, il  contributo  straordinario,
raccordato al maggior valore generato dagli  interventi  in  variante
urbanistica, sarebbe sicuramente applicabile  agli  accordi  previsti
dall'art. 6 della legge regionale del Veneto 23 aprile  2004,  n.  11
(Norme per il governo del  territorio  e  in  materia  di  paesaggio)
comportanti  variante  urbanistica,  dal  momento  che  tali  accordi
possono riguardare «qualsiasi previsione, con l'unico limite che  non
si  tratti   di   una   revisione   generalizzata   dello   strumento
urbanistico».   Il   che   evidenzierebbe   un'ulteriore    «evidente
interferenza» con la legislazione regionale. 
    4.- Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha  depositato
un'ulteriore  memoria,  con   la   quale   ha   chiesto   dichiararsi
manifestamente inammissibile e infondata la questione promossa  dalla
Regione Veneto. 
    Si ribadisce, anzitutto, che le questioni dedotte  dalla  Regione
ricorrente in riferimento alla violazione degli artt. 3  e  23  Cost.
devono ritenersi inammissibili, in  quanto  estranee  all'ambito  del
riparto di competenze tra Stato e Regioni,  che  costituisce  l'unico
tema che puo' formare oggetto di ricorso in via principale  da  parte
delle stesse. 
    Quanto alle restanti censure, si osserva che la norma impugnata -
nel modificare l'art. 16, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia - Testo  A)  e  «operando  a  livello  di  principio
fondamentale»   (allo   scopo   di   «favorire   il   recupero,    la
ristrutturazione e il riuso del  patrimonio  edilizio  esistente»)  -
prevede  di  considerare,  nella  determinazione  del  contributo  di
costruzione, la minore incidenza degli oneri di urbanizzazione  negli
interventi di ristrutturazione edilizia di edifici gia'  esistenti  e
per i quali i predetti oneri sono stati gia' corrisposti  al  momento
della costruzione. 
    D'altra parte, tale disposizione andrebbe  riguardata  alla  luce
della previsione, introdotta  dalla  stessa  norma  censurata  (sotto
l'art. 16, comma 4-bis, del  richiamato  d.P.R.  n.  380  del  2001),
secondo la quale «sono fatte  salve  le  diverse  disposizioni  delle
legislazioni  regionali  e  degli  strumenti   urbanistici   generali
comunali», lasciando cosi' alle Regioni la possibilita'  di  incidere
in senso modificativo rispetto alla disciplina censurata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Regione  Veneto  promuove  questione   di   legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni   del   decreto-legge   12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,
la realizzazione  delle  opere  pubbliche,  la  digitalizzazione  del
Paese,  la  semplificazione  burocratica,  l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  11
novembre 2014, n. 164 e, tra queste, in riferimento agli artt. 3, 23,
117, terzo e  quarto  comma,  118,  119  e  120  della  Costituzione,
dell'art. 17, comma 1, lettera g). 
    Resta riservata a separate  pronunce  la  decisione  sulle  altre
questioni promosse con il medesimo ricorso. 
    Deduce  la  ricorrente  che  l'intervento  normativo  oggetto  di
censura si inquadrerebbe nell'ambito  della  disciplina  della  «c.d.
perequazione inerente alla urbanistica  contrattata»,  «diretta  alla
riappropriazione di quota  parte  del  valore  che  l'amministrazione
determina con le decisioni in materia urbanistica». 
    La disciplina  impugnata  si  esporrebbe  a  diverse  censure  di
irragionevolezza, in particolare laddove, nello stabilire i parametri
sulla cui base determinare gli oneri di  urbanizzazione,  prevede  un
meccanismo di ripartizione tra il Comune  e  la  parte  privata,  del
maggior valore «generato da interventi su aree o immobili in variante
urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso». 
    Si deduce, al riguardo, la  violazione  dell'art.  23  Cost.,  in
quanto la disposizione impugnata, nel  determinare  autoritativamente
il  contributo  straordinario  senza  contrattazione  con  la   parte
privata, assegnerebbe alle amministrazioni comunali  una  «amplissima
discrezionalita'» nell'individuazione della percentuale da ripartire. 
    Facendosi,  inoltre,  «salve  le   diverse   disposizioni   delle
legislazioni  regionali  e  degli  strumenti   urbanistici   generali
comunali», si determinerebbe  un'insanabile  contraddizione  rispetto
allo scopo di dettare una norma  di  principio  (come  tale,  tesa  a
garantire  uniformita'  di  disciplina   su   tutto   il   territorio
nazionale), rendendo, peraltro, cedevole il principio  non  solo  nei
confronti delle differenti legislazioni regionali, ma anche  di  atti
amministrativi come gli strumenti urbanistici generali comunali. 
    Sarebbe,   poi,   irragionevole   la   scelta   di    sovrapporre
«automaticamente» l'interesse pubblico al  pagamento  del  contributo
straordinario allo specifico «interesse  pubblico  urbanistico»,  con
possibili  compromissioni  sul  piano  ambientale,  paesaggistico   o
idrogeologico, trascurando anche la circostanza che  la  perequazione
dovrebbe tendere a finanziare opere "in prossimita'" dell'area in cui
si e' realizzato l'intervento. 
    In conclusione, la normativa denunciata si porrebbe in  contrasto
con la competenza regionale concorrente «in materia  di  governo  del
territorio e urbanistica», risultando «altresi' in contrasto  con  il
principio di ragionevolezza e con quello della  riserva  relativa  di
legge», la cui violazione ridonderebbe in «una lesione delle suddette
competenze regionali». 
    2.- La questione e' inammissibile. 
    2.1.- A proposito della pretesa violazione degli  artt.  3  e  23
Cost., la giurisprudenza costituzionale  e'  costante  nell'affermare
che le Regioni possono far valere nei giudizi in  via  principale  il
contrasto con norme costituzionali diverse da quelle contenute  negli
artt. 117, 118 e 119 soltanto se esso si risolva in  un'esclusione  o
una limitazione dei poteri regionali, senza che possano avere rilievo
denunce di illegittimita' o di violazione di principi  costituzionali
che non ridondino in lesioni di sfere  di  competenza  regionale  (ex
plurimis, sentenza n. 251 del 2015). 
    Ebbene, alla luce delle deduzioni  svolte  dalla  ricorrente,  la
pretesa  violazione  degli  indicati  parametri  non  presenta  alcun
profilo di ridondanza rispetto alla sfera di competenza attribuita al
legislatore regionale. 
    Il ricorso lamenta, infatti, la lesione dell'art. 23 Cost.  sotto
il  profilo  dell'ampiezza   di   discrezionalita'   assegnata   alle
amministrazioni locali nel determinare la  quota  di  plusvalenza  da
suddividere tra amministrazione  comunale  e  parte  privata.  Ma  un
simile aspetto non incide  sulle  competenze  legislative  regionali,
anche  perche'  nulla  impedirebbe  alle   Regioni   di   introdurre,
eventualmente, specifiche regole che  modulino  l'attribuzione  delle
plusvalenze in termini percentuali ritenuti coerenti con  le  realta'
locali. 
    Quanto ai profili di irragionevolezza, prospettati in riferimento
al duplice rilievo  della  mancanza  di  valutazione  dell'«interesse
pubblico urbanistico» e del riferimento alla contiguita' territoriale
tra l'area cui il contributo si riferisce e  quella  delle  opere  da
finanziare con quel  contributo,  va  osservato  che  ne'  l'uno  ne'
l'altro  degli  accennati   rilievi,   al   di   la'   di   qualsiasi
considerazione sul merito degli stessi, presenta profili  in  qualche
modo incidenti sul piano delle competenze legislative regionali. 
    Gli  interessi  urbanistici  non  restano,  infatti,  per   nulla
compromessi dalle vicende relative alla corresponsione del contributo
- la cui destinazione risulta vincolata  nello  scopo  ma  non  negli
impieghi e nella determinazione delle aree di intervento - ne'  dalla
circostanza che dai previsti meccanismi compensativi possano derivare
vantaggi per altre aree comunali; posto che, sul punto, la norma  non
fornisce prescrizioni cogenti ne' indicative del rischio paventato e,
sotto altro e dirimente profilo, la Regione appare comunque libera di
assumere proprie determinazioni "di dettaglio". 
    2.2.- In merito, poi, alla violazione dei restanti parametri, non
puo' non rilevarsi - in via, in certo senso, quasi "pregiudiziale"  -
come, nella fase di conversione del richiamato d.l. n. 133 del  2014,
l'ampia "clausola di salvaguardia" delle «diverse disposizioni  delle
legislazioni  regionali  e  degli  strumenti   urbanistici   generali
comunali» sia stata inserita (quale  comma  4-bis  dell'art.  16  del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  edilizia  -   Testo   A»)
parallelamente  alla  disposizione  impugnata  (anch'essa,  peraltro,
aggiunta al testo dello stesso art. 16) e sia  stata  a  quest'ultima
espressamente riferita; venendo poi ribadita, al comma 5, ancora  del
medesimo art. 16 modificato, in relazione all'ipotesi  della  mancata
definizione delle tabelle parametriche da parte delle Regioni. 
    Su questa base, la Regione  Veneto  -  tra  le  non  molte,  come
osservato  dalla  stessa  ricorrente,  a  disporre  di  una   propria
legislazione sulla specifica materia - appare evidentemente priva  di
un concreto  e  attuale  interesse  a  ricorrere:  in  ragione  della
predetta   salvezza    delle    «diverse»    discipline    regionali,
inequivocamente   disposta   -   e   con   una   enunciazione    che,
indipendentemente dalla astratta questione della "natura" della norma
impugnata,  non  puo'  apparire  meramente  pleonastica  -,   nessuna
turbativa   alle   proprie   competenze   legislative    essa    puo'
ragionevolmente lamentare, tanto piu' trattandosi di competenze  gia'
esercitate. 
    Va, in proposito, rammentato che la giurisprudenza costituzionale
ha, in piu' occasioni, affermato come, nei  giudizi  di  legittimita'
costituzionale proposti in via principale - che  abbiano  ad  oggetto
questioni relative a disposizioni contenute nel Titolo V della  Parte
seconda della Costituzione - deve necessariamente  sussistere,  nella
parte  ricorrente,  un  interesse  attuale  e  concreto  a   proporre
l'impugnazione,   per   conseguire,   attraverso   il   provvedimento
richiesto, un'utilita' diretta e immediata,  in  mancanza  del  quale
interesse  il  ricorso  risulta  inammissibile;  e  poiche'   l'unico
interesse che le Regioni sono legittimate a far valere e' quello alla
tutela del  riparto  delle  competenze  legislative  delineato  dalla
Costituzione, esse hanno titolo a denunciare soltanto  le  violazioni
che siano in grado di ripercuotere i  loro  effetti,  direttamente  e
immediatamente,    sulle    prerogative    costituzionalmente    loro
riconosciute (ex plurimis, sentenza n. 216 del 2008). 
    Ora, per quel che si e' detto,  questo  interesse  appare,  nella
specie, palesemente insussistente, senza che, comunque, sul punto  il
ricorso abbia adeguatamente motivato. 
    La  stessa  Regione,  del  resto,  nella  memoria  depositata  in
prossimita' dell'udienza,  ammette  che,  «per  evitare  gli  effetti
descritti nel  ricorso»,  le  Regioni  «vengono  quindi  costrette  a
legiferare  all'interno  del  groviglio  normativo   generato   dalla
disposizione impugnata». Il che, evidentemente, vale -  oltre  che  a
segnalare un inconveniente di mero fatto, inidoneo a  configurare  un
contrasto con il parametro  costituzionale  evocato  (tra  le  tante,
sentenza n. 249 del 2009) - soprattutto a confermare che  la  vicenda
non potrebbe in alcun modo riguardare la Regione  ricorrente,  che  -
come si e' detto - ha gia' legiferato.