ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 545,  quarto
comma,  del  codice  di  procedura  civile,  promossi  dal  Tribunale
ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell'esecuzione, con due
ordinanze del 18 febbraio 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 108 e
151 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 24 e n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Viterbo,  in  funzione  di
giudice dell'esecuzione, con due ordinanze di analogo  contenuto,  ha
sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
quarto comma, del codice di procedura civile,  per  violazione  degli
artt. 1, 2, 3, 4 e 36 della Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevede   l'impignorabilita'   assoluta   di   quella   parte   della
retribuzione  necessaria  a   garantire   al   lavoratore   i   mezzi
indispensabili alle sue esigenze di  vita,  e,  in  via  subordinata,
nella parte in cui non prevede le medesime limitazioni in materia  di
pignoramento di crediti tributari disposte dall'art.  72-ter  (Limiti
di pignorabilita') del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni
sulla  riscossione  delle  imposte  sul  reddito),  come   introdotto
dall'art. 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012,  n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  26
aprile 2012, n. 44; 
    che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni sono
sorte nell'ambito di due procedure esecutive, la  prima  promossa  da
Banca Suasa Credito  Cooperativo  spa,  ai  danni  del  signor  P.G.,
debitore della somma complessiva di euro 7.720,61, oltre  alle  spese
della procedura esecutiva, e la seconda promossa  da  R.E.  ai  danni
della  signora  M.E.,  debitrice  della  somma  complessiva  di  euro
2.044,72, oltre alle spese della procedura esecutiva; 
    che i terzi  pignorati  hanno  reso  dichiarazioni  positive  dei
rispettivi obblighi  di  corrispondere  ai  rispettivi  debitori  uno
stipendio mensile rispettivamente di euro 299,00 ed euro  450,00  (al
netto delle ritenute previste dalla legge) e quindi, poiche' a  mente
dell'art. 545, quarto comma, cod.  proc.  civ.  «Tali  somme  possono
essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti  allo
Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro
credito»,  secondo  il  Tribunale  rimettente  gli   stipendi   degli
esecutati sarebbero pignorabili fino ad  un  quinto,  ammontante  nei
casi di specie rispettivamente ad euro 59,50 ed euro 90,00,  per  cui
resterebbero nella disponibilita' dei medesimi euro  239,50  ed  euro
360,00, non risultando agli atti che essi dispongano di  altre  fonti
di sostentamento. Al riguardo,  osserva  il  Tribunale  ordinario  di
Viterbo che se, invece, fosse applicabile  alle  fattispecie  oggetto
dei giudizi il limite indicato dall'art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del
1973, essendo le somme dovute a titolo di stipendio inferiori ad euro
2.500,00 mensili, le stesse sarebbero pignorabili nel  limite  di  un
decimo e non di un quinto; 
    che il rimettente dubita quindi della legittimita' costituzionale
dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui  non
prevede   l'impignorabilita'   assoluta   di   quella   parte   della
retribuzione  necessaria  a   garantire   al   lavoratore   i   mezzi
indispensabili alle sue esigenze di vita; 
    che lo stesso giudice deduce anche la violazione del principio di
eguaglianza per disparita' di trattamento sia in relazione al diverso
regime afferente al pensionato, quale consolidatosi a  seguito  della
sentenza di questa Corte n. 506 del 2002, sia, in via subordinata, in
relazione al regime della riscossione dei  crediti  erariali  fissato
dall'art.  72-ter  del  d.P.R.  n.  602  del  1973,  come  introdotto
dall'art.  3,  comma  5,  lettera  b),  del  d.l.  n.  16  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l.  n.  44
del 2012; 
    che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri  per
eccepire la non fondatezza della questione. 
    Considerato che deve essere disposta  la  riunione  dei  giudizi,
attesa la coincidenza dei parametri  e  dell'oggetto  degli  atti  di
rimessione; 
    che le questioni sollevate risultano analoghe a quelle di cui  e'
stata dichiarata la non fondatezza in riferimento agli artt. 3  e  36
della Costituzione, con sentenza di questa Corte n. 248 del 2015; 
    che tale sentenza precisava, tra l'altro  che  «la  tutela  della
certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata  agli  strumenti
di protezione del credito personale, non consente di negare in radice
la pignorabilita' degli emolumenti ma di attenuarla  per  particolari
situazioni la cui individuazione e' riservata  alla  discrezionalita'
del legislatore», mentre, con riguardo alla  questione  sollevata  in
riferimento  all'art.  3  Cost.,  sia  in  relazione  al  regime   di
impignorabilita' delle pensioni, sia - in via subordinata -  all'art.
72-ter del d.P.R. n. 602 del  1973,  le  argomentazioni  del  giudice
rimettente non sono state condivise in  ragione  della  eterogeneita'
dei tertia comparationis rispetto alla disposizione impugnata,  tanto
piu' verificata  alla  luce  di  «un  esame  obiettivo  del  contesto
normativo complessivo e dalla sua evoluzione differenziata»; 
    che invece, relativamente alla norma  impugnata  con  riferimento
agli artt. 1,  2  e  4  Cost.,  la  predetta  decisione  ha  ritenuto
l'inammissibilita' delle censure per la loro apoditticita' in  quanto
prive  di  un'argomentazione  esaustiva  sulle  ragioni  del  preteso
contrasto con le norme invocate; 
    che  -  stante  l'identita'  di  contenuto  tra  l'ordinanza   di
rimessione oggetto della  richiamata  pronuncia  del  2015  e  quelle
odierne   -   la   questione   da   queste   ultime   reiterata   va,
conseguentemente, a sua volta,  dichiarata  manifestamente  infondata
con  riferimento  agli  artt.  3  e  36   Cost.,   e   manifestamente
inammissibile con riguardo agli artt. artt. 1, 2 e 4  Cost.,  per  le
stesse ragioni. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.