ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.
115 (Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari  in
materia di spese di giustizia -  Testo  A),  nella  parte  modificata
dall'art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2014),  promosso  dalla
Commissione tributaria provinciale  di  Campobasso  nel  procedimento
vertente  tra  la  Ges.A.C.  srl  in  liquidazione  e  il   Ministero
dell'economia  e  delle  finanze,   Ufficio   di   segreteria   della
Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con ordinanza del 7
maggio 2015, iscritta  al  n.  162  del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  35,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio  del  9  marzo  2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione  tributaria  provinciale  di  Campobasso,  con
ordinanza del 7 maggio 2015, ha sollevato questione  di  legittimita'
costituzionale  del  comma  3-bis  dell'art.  14  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia - Testo A), d'ora in avanti TUSG,  nella  parte  modificata
dell'art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2014),  per  violazione
degli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    Riferisce  il  rimettente  che  la  societa'  Ges.A.C.  srl.   in
liquidazione  ha  proposto  ricorso  contro  due  inviti  bonari   di
pagamento notificati dalla direttrice della segreteria della medesima
Commissione  tributaria  con  i   quali,   rilevato   l'insufficiente
versamento dei contributi  unificati  effettuato  dalla  societa'  in
relazione a  due  ricorsi  cumulativi  contro  varie  intimazioni  di
pagamento, ricalcolati gli importi dovuti in  base  ai  singoli  atti
impugnati in relazione a ciascuno di detti ricorsi  cumulativi,  come
disposto dall'art. 14, comma 3-bis, del d.P.R. n. 115 del  2002  (nel
testo modificato dall'art. 1, comma  598,  della  legge  n.  147  del
2013), aveva rideterminato la misura dei contributi unificati in euro
90,00 per il primo ricorso ed in euro 1.280,00 per il secondo. 
    La ricorrente difatti, per il primo ricorso cumulativo avente  ad
oggetto 3 intimazioni di pagamento di tributi per un  importo  totale
di euro 1.524,67, aveva versato il contributo unificato pari ad  euro
30,00 calcolato sulla somma totale predetta, mentre  per  il  secondo
ricorso cumulativo, avente ad oggetto 19 intimazioni di pagamento  di
tributi per un importo complessivo di euro 74.563,21,  aveva  versato
il contributo unificato pari a ad euro  250,00,  calcolato  anch'esso
sull'importo totale dei tributi. 
    La predetta societa' si doleva che il  contributo  unificato,  in
caso di ricorso  avverso  piu'  atti  di  accertamento,  fosse  stato
calcolato dalla segreteria della Commissione  tributaria  provinciale
con riferimento ai valori dei singoli atti  e  non  sulla  somma  dei
detti valori, ed  eccepiva  la  illegittimita'  costituzionale  della
modifica recata all'art. 14, comma 3-bis, del TUSG, disposta  con  la
legge di stabilita' del 2014 a decorrere dal  1°  gennaio  2014,  per
violazione degli artt. 3, 53, 24,  113  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    La Commissione tributaria provinciale di Campobasso, premesso  di
aver ritenuto il ricorso ammissibile in quanto i  due  inviti  bonari
dovevano  ritenersi  atti  autonomamente  impugnabili,  sebbene   non
ricompresi tra quelli previsti dall'art. 19 del  decreto  legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo  30  della
legge 30 dicembre 1991, n 413), evidenzia che la questione  sollevata
sarebbe rilevante in  quanto  l'oggetto  della  controversia  sarebbe
proprio il criterio di determinazione del contributo  unificato  che,
secondo il ricorrente, dovrebbe essere rapportato alla  somma  totale
dei tributi oggetto  dei  vari  provvedimenti  impugnati  con  i  due
ricorsi cumulativi proposti mentre, secondo la resistente  segreteria
della medesima Commissione tributaria  provinciale,  dovrebbe  essere
rapportato alla  somma  dei  contributi  previsti  per  ciascuno  dei
provvedimenti indicati in ciascuno dei due ricorsi cumulativi,  cosi'
come disposto dal vigente comma 3-bis  dell'art.  14  del  TUSG,  con
conseguente maggiore esborso,  come  richiesto  negli  avvisi  bonari
opposti, rispetto a quanto versato dal ricorrente. 
    Relativamente alla non manifesta infondatezza, espone il  giudice
a quo che il  citato  art.  14,  comma  3-bis,  prima  della  vigente
formulazione, disponeva che il contributo  unificato  dovesse  essere
«determinato ai sensi  del  comma  5  dell'articolo  12  del  decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni». 
    Il comma 5 dell'art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992  a  sua  volta
disponeva che «Per valore della lite si intende l'importo del tributo
al netto degli interessi e  delle  eventuali  sanzioni  irrogate  con
l'atto impugnato; in caso  di  controversie  relative  esclusivamente
alle irrogazioni di sanzioni, il valore e' costituito dalla somma  di
queste». A decorrere dal 1° gennaio 2014, con l'art.  1,  comma  598,
lettera a), della legge n. 147 del 2013, e' stato modificato il comma
3-bis  dell'art.  14  del  TUSG,  nel  senso  che  dopo   la   parola
«determinato» sono state aggiunte  le  parole  «,  per  ciascun  atto
impugnato anche in appello». 
    Secondo il rimettente la finalita' della riformulazione del comma
3-bis sarebbe indubbiamente quella  di  conseguire  maggiori  entrate
tributarie, effetto gia' prodotto  dalla  interpretazione  sostenuta,
relativamente alla disciplina previgente, dal Ministero dell'economia
e delle finanze, Dipartimento amministrazione  generale  personale  e
servizi  contributo  unificato  nel  processo  tributario,   con   la
direttiva del 14 dicembre 2012, n. 2/DGT. Diversamente, si  prosegue,
con riguardo a ricorsi concernenti contributi unificati versati prima
del gennaio 2014, la medesima Commissione tributaria  provinciale  di
Campobasso si era gia' pronunciata  affermando  che  per  il  ricorso
cumulativo il contributo unificato doveva  essere  determinato  sulla
base del valore costituito dalla somma dei vari tributi (al netto  di
sanzioni ed interessi) oggetto dei  provvedimenti  impugnati,  oppure
dalla somma delle sole sanzioni in caso di  provvedimenti  contenenti
solo sanzioni. 
    In merito  alla  effettiva  portata  della  novella  legislativa,
secondo il rimettente non sembrerebbe dubitabile che  il  legislatore
abbia  proprio  voluto  disporre  che  nel  ricorso   cumulativo   il
contributo  unificato  sia  calcolato  separatamente  per  ogni  atto
impugnato assumendo come valore i tributi contenuti nei singoli  atti
(escluse sanzioni ed interessi),  e  tanto  troverebbe  conferma  nel
dossier del Servizio studi del Senato (ottobre 2013 n.  74)  dove  si
afferma  che  «con  specifico  riferimento  all'ambito  del  processo
tributario [...]  il  calcolo  del  contributo  per  scaglioni  viene
effettuato con riguardo a ciascun atto impugnato anche  con  riguardo
ai contenziosi in appello». 
    Sicche'  nel  caso  del  presente  ricorso,   che   concerne   la
determinazione del contributo unificato per due  ricorsi  cumulativi,
contributi versati nell'anno 2014, in base alla legge vigente, ovvero
al novellato comma 3-bis dell'art. 14 del TUSG, la determinazione del
contributo unificato dovrebbe essere effettuata (per entrambi i casi)
sommando  i  contributi  previsti  per  ciascuno  dei   provvedimenti
impugnati con il ricorso cumulativo  e  non  gia'  assumendo  l'unico
contributo determinato sulla base della somma dei tributi oggetto dei
vari provvedimenti, come ritenuto dalla ricorrente. 
    Secondo la Commissione tributaria provinciale  di  Campobasso  la
novella   del   2014    violerebbe    i    principi    costituzionali
dell'uguaglianza e ragionevolezza (art.  3  Cost.),  della  capacita'
contributiva (art. 53 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e
della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.), nonche' del diritto ad
un processo equo e ad un ricorso effettivo (art.  117,  primo  comma,
Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU). 
    Secondo il  rimettente  sarebbe  innanzi  tutto  irragionevole  e
discriminatorio, integrando la lesione degli artt. 3 e 53  Cost.,  il
sacrificio imposto al contribuente, in caso di ricorso cumulativo,  a
seconda che  la  determinazione  dei  contributi  unificati  riguardi
provvedimenti  contenenti  tributi,  od  invece  solo  sanzioni:   si
tratterebbe di un trattamento differenziato privo di giustificazione,
a parita' di debito verso l'erario, tra chi debba corrispondere  solo
tributi rispetto a chi debba  corrispondere  solo  sanzioni,  venendo
inoltre maggiormente  incisa  la  capacita'  contributiva  del  primo
rispetto al secondo. 
    A parere del giudice a quo la disposizione di cui al comma  3-bis
del citato art. 14, secondo la quale in caso di ricorso avverso  piu'
atti (ricorso cumulativo o collettivo)  il  valore  della  lite  deve
essere  calcolato  con  riferimento  ai   singoli   atti   impugnati,
comporterebbe assoluta incoerenza ed irrazionalita' poiche' a  fronte
del presupposto impositivo  unitario,  che  consisterebbe  in  quello
dell'iscrizione a ruolo di un solo ricorso per un solo processo (come
sarebbe desumibile dall'art. 9 del TUSG)  farebbe  corrispondere  una
molteplicita'  di  basi  imponibili  (i  valori  dei   singoli   atti
impositivi e non il valore del processo). 
    Il giudice a quo richiama opinioni di dottrina secondo  le  quali
la discrezionalita' del legislatore nella determinazione  della  base
imponibile incontrerebbe il limite della necessaria coerenza  tra  il
profilo assunto come rilevante e il presupposto  impositivo,  poiche'
l'incoerenza tra il parametro prescelto e il presupposto del  tributo
introdurrebbe un grave elemento di  irrazionalita'  della  disciplina
dell'istituto tributario che dovrebbe necessariamente  condurre  alla
dichiarazione di incostituzionalita'. 
    Tale incoerenza, secondo il rimettente,  sussisterebbe  solo  nel
processo tributario poiche' in quello civile - sul quale e' modellato
il primo -, in caso di cumulo oggettivo delle domande, il  contributo
unificato sarebbe quantificato su una base imponibile unitaria (somma
delle domande) in tal modo rispettandosi pienamente il  canone  della
coerenza tra presupposto e base imponibile del tributo. 
    Secondo la Commissione tributaria provinciale  di  Campobasso  il
principio di uguaglianza e ragionevolezza sarebbe, altresi',  violato
considerando le diverse modalita' di accertamento che per legge o per
volonta' dell'ente impositore siano adottate per  recuperare  tributi
di pari valore: in tal  caso  diversa  sara'  la  determinazione  del
contributo unificato nell'ipotesi di un unico  atto  contenente  piu'
tributi (unico contributo unificato determinato in  base  alla  somma
dei tributi) od in quella invece di piu' atti contenenti  gli  stessi
tributi relativi ad annualita' diverse (somma dei  contributi  dovuti
per ciascuno degli atti), come si  e'  verificato  nelle  fattispecie
oggetto del giudizio a quo. 
    In via esemplificativa, il  rimettente  espone  il  caso  di  due
distinti processi azionati da due contribuenti aventi identico debito
tributario di euro 150.000,00, debito contestato al primo con un solo
provvedimento e al secondo con tre distinti  provvedimenti,  ciascuno
di euro 50.000,00.  Con  l'applicazione  del  novellato  comma  3-bis
dell'art. 14 del TUSG, in presenza di debito tributario di  ammontare
complessivamente identico, il primo contribuente dovra' corrispondere
un contributo (euro 500,00) di ammontare  inferiore  a  quello  (euro
750,00) che dovra' corrispondere il  secondo.  E  tanto,  secondo  il
rimettente,  sebbene  chi  presenti  un  unico   ricorso   cumulativo
agevolerebbe le esigenze di snellezza e  celerita'  della  giustizia,
eliminando, altresi', il pericolo di contrasto di giudicati. 
    Ancora piu' evidente sarebbe il caso in  cui  sia  appellata  una
sola sentenza emessa in  esito  ad  un  processo  in  cui  sia  stata
disposta la riunione di due ricorsi ciascuno di importo superiore  ad
euro 200.000,00. In tal caso l'applicazione del novellato comma 3-bis
comporterebbe l'applicazione di un contributo pari ad  euro  3.000,00
(euro 1.500,00 piu' euro 1.500,00) mentre, applicando il criterio del
valore del processo, secondo la previgente formulazione  legislativa,
il contributo sarebbe stato pari al valore massimo,  ovvero  ad  euro
1.500,00. 
    Il principio di uguaglianza e ragionevolezza  sarebbe,  altresi',
violato in considerazione della diversa  disciplina  dettata  per  le
domande azionate cumulativamente nel processo civile, ex artt.  10  e
104 del codice di procedura civile, non essendo ravvisabile,  secondo
il rimettente, alcuna valida ragione per la differenziazione, essendo
identico il presupposto della imposizione («iscrizione a ruolo di  un
processo  civile  [...]  amministrativo  o  tributario»)  ed  essendo
identico l'indice di capacita'  contributiva  (potere  di  adire  gli
organi della giustizia). Si rivelerebbe, pertanto, del tutto evidente
la illogicita' di una normativa che,  solo  per  esigenze  di  cassa,
impone un diverso e molto  piu'  oneroso  sistema  di  calcolo  degli
obblighi tributari, per il processo tributario rispetto  al  processo
civile,  dovendosi,  peraltro,  escludere  la  ravvisabilita'  di  un
particolare interesse fiscale nel processo tributario. 
    Ne', prosegue il giudice a quo, potrebbe in  contrario  rilevarsi
che il processo tributario ha natura impugnatoria  a  differenza  del
processo civile, poiche' la  predetta  natura  impugnatoria  potrebbe
sussistere anche nel processo civile, sia in primo grado (opposizione
a decreto ingiuntivo) che in secondo grado, dove  e'  connaturata  la
natura impugnatoria. 
    Secondo il giudice  a  quo  la  novella  recata  al  comma  3-bis
dell'art. 14 citato violerebbe anche l'art. 53 Cost. 
    Poiche' il contributo unificato costituisce un prelievo coattivo,
ovvero un tributo, volto al finanziamento delle spese  giudiziarie  e
commisurato al valore  del  processo,  la  base  imponibile  dovrebbe
ritenersi costituita dal valore della singola controversia  anche  se
esso abbia per oggetto piu' atti  tributari,  poiche'  esso  dovrebbe
ritenersi finalizzato  a  sostenere  il  costo  forfettario  di  quel
processo e non degli atti che ne sono oggetto. 
    Il comma 3-bis dell'art. 14 violerebbe anche il diritto di difesa
sancito dall'art. 24 Cost., in quanto scoraggerebbe  l'iniziativa  di
coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per
la difesa delle proprie ragioni. 
    Inoltre,  l'imposizione,  per  il  ricorso  cumulativo,   di   un
contributo unificato non rapportato al  costo  del  processo,  ma  ai
singoli atti impugnati, secondo il rimettente si rivelerebbe come  un
eccessivo peso tributario e, in quanto tale, violerebbe anche  l'art.
113  Cost.  che  assicura  che  contro  gli   atti   della   pubblica
amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale. 
    Infine  sostiene  il  giudice  a  quo  che  l'imposizione  di  un
contributo  gravoso  per   il   ricorso   cumulativo   o   collettivo
comprometterebbe seriamente il diritto ad un processo equo  e  ad  un
ricorso effettivo, diritto  garantito  dall'art.  117,  primo  comma,
Cost. e dagli artt. 6 e 13 della CEDU. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  deducendo  l'inammissibilita'  o  comunque  l'infondatezza
della questione. 
    Premette l'interveniente che il presupposto interpretativo da cui
muove il giudice rimettente sarebbe errato in quanto anche nel regime
precedente all'introduzione della novella del  2013  il  criterio  di
calcolo del contributo unificato per i ricorsi  tributari  cumulativi
era dato dal numero di atti impugnati, e non dalla somma dei  tributi
con essi pretesi. Nondimeno, si prosegue, poiche'  l'art.  14,  comma
3-bis, nella parte relativa agli atti impositivi  di  tributi,  aveva
tuttavia dato luogo a dubbi interpretativi, il legislatore  del  2013
sarebbe intervenuto per chiarire che il  contributo  si  calcola  per
ciascun atto impugnato anche in appello. Non si tratterebbe quindi di
una disposizione  innovativa,  essendo  comunque  pacifico  che  alla
questione discussa nella causa principale si applica il nuovo  testo.
La   questione   complessivamente   considerata    sarebbe    inoltre
inammissibile  perche'  il  rimettente,   pur   ponendo   formalmente
questioni   di   legittimita'   della   disposizione,   in   sostanza
censurerebbe la  discrezionalita'  legislativa  nella  determinazione
delle  modalita'  di  applicazione  del  contributo   al   caso   del
presupposto impositivo "complesso", quale e' il  ricorso  cumulativo,
specie con riferimento alle censure tratte dall'art. 53  e  dall'art.
24 Cost., ove il rimettente non specificherebbe perche' la  descritta
modalita' di applicazione sarebbe manifestamente  incongrua  rispetto
alla natura del presupposto impositivo, o sarebbe  cosi'  gravosa  da
tradursi   in   un    ostacolo    all'effettivita'    della    tutela
giurisdizionale. Tanto varrebbe anche con  riferimento  alle  censure
basate sull'art. 3 Cost., in quanto il rimettente si sarebbe limitato
ad osservare che vi e' un  trattamento  diverso  tra  situazioni  che
nella  loro  natura   intrinseca   sono,   pero',   palesemente   non
assimilabili. 
    La questione tratta dall'art. 3 Cost.  sarebbe  quindi  anch'essa
inammissibile, in quanto il giudice  non  avrebbe  spiegato  perche',
nonostante l'oggettiva diversita' delle situazioni poste a raffronto,
tuttavia il diverso trattamento ad esse riservato relativamente  alla
determinazione del contributo unificato sarebbe eccessivo e incongruo
rispetto a tali differenze. 
    Nel merito, osserva la Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
tutte le questioni sollevate sarebbero comunque infondate. 
    Quanto  al  presunto  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,   osserva
l'interveniente che il ricorso contro un singolo atto  impositivo  e'
iniziativa  processuale  necessitata  dalla  struttura  del  processo
tributario come processo di impugnazione dell'atto  impositivo  entro
un termine perentorio e per motivi da dedurre esclusivamente  con  il
ricorso  introduttivo  (salvo  il  caso  eccezionale  in  cui   siano
consentiti i motivi aggiunti). Laddove il ricorso  cumulativo  contro
piu' atti e' iniziativa  del  tutto  facoltativa  del  ricorrente  e,
secondo l'interveniente, iniziativa non  affatto  consentita  in  via
normale dalla giurisprudenza (come, invece, sembrerebbe  ritenere  il
giudice a quo):  sarebbe,  infatti,  fermo  nella  giurisprudenza  di
legittimita' che il ricorso cumulativo  e'  ammissibile  solo  se  in
concreto tra i diversi atti impositivi vi sia  oggettiva  connessione
di fatto e di questioni giuridiche, e non vi sia possibile  contrasto
logico; sicche'  e'  inammissibile  il  ricorso  cumulativo  proposto
contro piu' atti che  siano  accomunati  dalla  sola  circostanza  di
essere diretti contro il medesimo  contribuente,  senza  alcun  altro
nesso oggettivo tra loro, o il ricorso contro piu' atti che  comporti
tesi  contraddittorie.  La  mera  identita'  di  importo   che   puo'
sussistere tra un singolo atto impositivo e la  somma  di  piu'  atti
ciascuno di importo  minore  sarebbe  quindi  circostanza  del  tutto
irrilevante ai fini che qui interessano (si richiamano  in  proposito
le decisioni della Corte di cassazione,  sezione  quinta  civile,  30
aprile 2010, n 10578 e 22 febbraio 2013, n. 4490). 
    Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   sarebbe,
altresi',  evidente  che  la  scelta  per   il   ricorso   cumulativo
esprimerebbe una capacita' contributiva maggiore della scelta per  il
ricorso  singolo,  poiche'  indubbiamente   introduce   un   processo
caratterizzato da maggiore complessita' di  oggetto  e  di  struttura
logica  delle  questioni  da  decidere:  laddove  sia  introdotto  un
processo piu' complesso, e quindi sia richiesto un servizio  pubblico
di maggiore "pregio"  tecnico,  non  sarebbe  irragionevole  che  sia
richiesto un contributo maggiore. Non vi  sarebbe  dunque  disarmonia
tra  il  presupposto  del  contributo  unificato  e  la   particolare
modalita' di  applicazione  di  esso  in  esame  (numero  degli  atti
impugnati, anziche' somma dei loro valori). 
    Evidenti sarebbero, poi, secondo l'interveniente,  le  differenze
ontologiche tra processo tributario e processo  civile:  il  processo
civile puo', infatti, assumere struttura impugnatoria necessaria solo
in casi particolari (e non certo la assumerebbe nel  caso  ipotizzato
dal rimettente  dell'opposizione  a  decreto  ingiuntivo),  quali  le
impugnative societarie e simili; laddove il  processo  tributario  e'
necessariamente impugnatorio di atti, sicche' si giustificherebbe che
il riferimento fondamentale per il calcolo del  contributo  unificato
sia ogni singolo atto  impugnato  e  non  la  somma  complessivamente
controversa  in  ciascun  processo.  Cosi'  come  lo   sarebbero   le
differenze tra il processo  su  atti  impositivi  di  tributi  ed  il
processo su sanzioni tributarie: le sanzioni attengono, si  sostiene,
all'esercizio di  una  potesta'  connessa  a  quella  di  imposizione
tributaria, ma distinta da essa; esse esprimono la generale  potesta'
punitiva dello Stato  nei  confronti  di  comportamenti  contrari  ai
doveri fondamentali di solidarieta' sociale, tanto  che  le  medesime
fattispecie illecite possono essere spesso oggetto anche di  sanzioni
penali. La finalita' di prevenzione speciale e generale propria delle
sanzioni mirerebbe quindi a  rafforzare  l'effettivita'  delle  norme
impositive sostanziali, mentre non  mirerebbe  di  per  se',  in  via
primaria, ad assicurare il prelievo  di  un  gettito  pecuniario.  Il
prelievo  pecuniario  della  sanzione  sarebbe  soltanto   il   mezzo
attraverso cui la sanzione si esplica in concreto; non  la  finalita'
essenziale della norma sanzionatoria. 
    Infine, eccepisce la difesa erariale  che  anche  la  censura  di
illegittimita' in  relazione  all'art.  24  Cost.  sarebbe  priva  di
fondamento,  poiche'  comunque  la  modalita'  di  applicazione   del
contributo, essendo limitata  dai  massimi  impositivi  previsti  per
ciascun atto  impugnato,  non  si  tradurrebbe  mai  in  importi  che
appaiano manifestamente sproporzionati rispetto al  bene  della  vita
perseguito dal ricorrente, e che lo scoraggino, quindi, dal  proporre
ricorsi cumulativi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,   la   Commissione
tributaria  provinciale  di  Campobasso  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma  3-bis,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia - Testo A) - nella parte modificata dall'art. 1, comma 598,
lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2014) - in riferimento agli artt. 3, 24, 53,  113  e  117,
primo  comma,  Cost.  ed  in  relazione  agli  artt.  6  e  13  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Il giudice rimettente riferisce che una societa'  (Ges.A.C.  srl,
in liquidazione) ha proposto ricorso  contro  due  inviti  bonari  di
pagamento notificati dalla segreteria  della  Commissione  tributaria
provinciale di Campobasso, in  relazione  ad  altrettanti  precedenti
ricorsi cumulativi (contro  piu'  atti  impositivi),  proposti  dalla
predetta societa', con cui quest'ultima veniva invitata ad  integrare
il versamento del contributo unificato,  ritenuto  insufficiente.  La
ricorrente si doleva del fatto che con riguardo ai ricorsi cumulativi
il contributo unificato fosse stato calcolato  applicando  la  regola
generale  prevista  per  il  ricorso  contro  l'atto  singolo,  cioe'
considerando l'importo dei diversi atti impugnati, piuttosto  che  la
somma finale ottenuta cumulando tali importi, come avverrebbe per  il
processo civile. Tale modalita' di calcolo deriverebbe, a  suo  dire,
dall'applicazione della disposizione censurata, come modificata dalla
legge di stabilita' per il 2014, con la quale e' stato  disposto  che
il contributo unificato debba essere «determinato  per  ciascun  atto
impugnato, anche in appello»,  chiarendo  che  il  suddetto  criterio
trovi applicazione anche nel caso del ricorso cumulativo. 
    Ad avviso della Commissione tributaria provinciale di  Campobasso
la novella recata dalla legge di stabilita' per il 2014 violerebbe  i
principi costituzionali  di  uguaglianza  e  ragionevolezza  (art.  3
Cost.), di capacita' contributiva (art. 53  Cost.),  del  diritto  di
difesa (art. 24 Cost.)  e  della  tutela  giurisdizionale  (art.  113
Cost.), nonche' del diritto ad un  processo  equo  e  ad  un  rimedio
giudiziale effettivo (art. 117, primo comma, Cost. in relazione  agli
artt. 6 e 13 della CEDU). 
    In particolare, il rimettente sottolinea che l'applicazione della
norma censurata imporrebbe di chiedere un identico esborso  a  titolo
di contributo unificato a chi attivi un solo processo  proponendo  un
unico ricorso per piu' atti ed a chi, proponendone  uno  per  ciascun
atto  impugnato,  provochi  l'attivazione  di  molteplici   processi.
Risulterebbe cosi' notevolmente pregiudicata l'esigenza di snellire e
rendere celeri i procedimenti giudiziari, che meglio potrebbe  essere
soddisfatta con la presentazione di un unico ricorso cumulativo. 
    La Commissione tributaria assume il contrasto  del  citato  comma
3-bis dell'art. 14 con i principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost.  ed,
in particolare,  l'irragionevolezza  della  nuova  disposizione,  che
opererebbe una discriminazione in ordine all'entita'  del  sacrificio
imposto al  contribuente  nel  ricorso  cumulativo,  nonche'  laddove
prevede una diversa  quantificazione  dell'ammontare  del  contributo
unificato in caso di provvedimenti  concernenti  tributi  rispetto  a
quelli che concernano solo sanzioni (per i quali si applicherebbe  il
principio del cumulo), pur a parita' di debito verso l'erario. 
    La  disposizione  impugnata,  secondo  il  rimettente,   sarebbe,
inoltre, incoerente ed irrazionale poiche' al presupposto  impositivo
unitario (iscrizione  a  ruolo  di  un  solo  ricorso,  per  un  solo
processo) farebbe corrispondere una molteplicita' di basi  imponibili
(i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo). 
    I principi di uguaglianza e ragionevolezza risulterebbero violati
anche in comparazione alla disciplina dettata nel processo civile per
le domande azionate cumulativamente, alle  quali  si  applicherebbero
gli artt. 10 e 104 del codice di procedura civile,  essendo  identico
il presupposto dell'imposizione («iscrizione a ruolo di  un  processo
civile  [...]  amministrativo  o  tributario»)  ed  essendo  identico
l'indice di capacita' contributiva, ritenendo illogica una  normativa
che, per esigenze di cassa, impone  un  diverso  sistema  di  calcolo
degli obblighi tributari per i due gradi di merito, piu' oneroso  nel
processo tributario rispetto a quello civile. 
    La  norma,  inoltre,  contrasterebbe  con  l'art.  53  Cost.   in
relazione alla capacita' contributiva, in quanto il contribuente  che
proponga un ricorso cumulativo si troverebbe a  pagare  a  titolo  di
contributo unificato un importo maggiore di quello corrispondente  al
valore del processo determinato sulla sommatoria  dell'ammontare  dei
soli tributi (oggetto degli atti impugnati), trattandosi di un  onere
volto al finanziamento  delle  spese  giudiziarie  e  commisurato  al
valore del processo,  con  la  conseguenza  che  la  base  imponibile
dovrebbe ritenersi costituita dal valore  della  controversia,  anche
ove riguardi piu' atti tributari, in quanto finalizzato  a  sostenere
il costo forfettario di quel processo e non dei singoli atti  che  ne
sono oggetto. 
    La norma impugnata violerebbe anche il diritto di difesa  sancito
dall'art. 24 Cost., in quanto risulterebbe scoraggiata, per i  motivi
in  precedenza  evidenziati,  l'iniziativa  di  coloro  che  vogliano
avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo  per  la  difesa  delle
proprie ragioni. 
    Il rimettente ritiene, inoltre, che la norma impugnata  confligga
con l'art. 113  Cost.,  in  quanto  l'imposizione  di  un  contributo
unificato  nel  ricorso  cumulativo  non  rapportato  al  costo   del
processo, ma ai singoli atti impugnati,  costituirebbe  un  eccessivo
peso tributario dal quale scaturirebbe  una  riduzione  della  tutela
giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione. 
    Infine,  la  Commissione  tributaria  provinciale  di  Campobasso
ravviserebbe  l'illegittimita'  della   disposizione   impugnata   in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.  ed  in  relazione  agli
artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto  l'imposizione  di  un  contributo
cosi' gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo comprometterebbe
seriamente il diritto ad un processo equo. 
    2.- Prima di passare all'esame delle questioni cosi'  specificate
e'  utile  una  sintetica  ricostruzione,  ai  soli  fini   che   qui
interessano, del quadro normativo  e  giurisprudenziale  inerente  al
regime di tassazione degli atti giudiziari,  dalla  quale  emerge  un
contesto  eterogeneo  dei  criteri  applicabili,  influenzato   dalle
diverse situazioni sostanziali e processuali che ne sono alla base. 
    L'art. 13, comma l, del d.P.R. n. 115 del 2002 ha  introdotto  un
nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari,  costituito  da  un
«contributo unificato» fissato secondo i due criteri,  alternativi  o
concorrenti, della  materia  e  della  proporzione  al  valore  della
controversia,  che  sostituisce  il  sistema  previgente  basato  sul
pagamento di una marca da bollo da versare anticipatamente al momento
dell'iscrizione a ruolo e sul versamento di diritti di segreteria (ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
642, recante «Disciplina dell'imposta di bollo»). 
    L'applicazione  del  contributo  unificato  e'  stata  estesa  al
processo tributario dall'art. 37, comma 6, del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria)
- convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15
luglio 2011, n. 111 - che ha modificato l'art. 9 del  d.P.R.  n.  115
del 2002. 
    Quest'ultima disposizione stabilisce,  al  primo  comma,  che  il
contributo unificato di iscrizione a  ruolo  e'  dovuto  per  ciascun
grado  di  giudizio  nel  processo  civile,  compresa  la   procedura
concorsuale   e   di   volontaria   giurisdizione,    nel    processo
amministrativo e nel processo tributario. 
    Quanto alla determinazione del contributo, l'art. 13  del  d.P.R.
n. 115 del 2002 stabilisce criteri diversi per  il  processo  civile,
amministrativo e tributario. Nel primo, per  la  quantificazione  del
contributo - come determinato dai primi sei commi del  predetto  art.
13  -  vengono  in  rilievo  sia  la  materia  che  il  valore  della
controversia; nel secondo - disciplinato dal comma 6-bis del medesimo
articolo - e' stato adottato il criterio della  differenziazione  per
materia; nel  processo  tributario  -  per  i  ricorsi  davanti  alle
commissioni tributarie -  il  successivo  comma  6-quater  stabilisce
importi crescenti per scaglioni di valore delle liti. 
    L'art. 14 del  d.P.R.  n.  115  del  2002  fissa  i  criteri  per
l'individuazione degli obbligati al pagamento e per la determinazione
del valore dei processi.  Nel  processo  civile  il  valore,  fissato
mediante rinvio alle disposizioni del  codice  di  procedura  civile,
deve risultare da  apposita  dichiarazione  resa  dalla  parte  nelle
conclusioni dell'atto introduttivo. Per quanto riguarda  il  processo
amministrativo e' prevista una disciplina specifica per i ricorsi  in
materia di affidamento di lavori  pubblici,  servizi  e  forniture  e
contro i provvedimenti delle autorita'  amministrative  indipendenti.
Nel processo tributario  il  comma  3-bis  dell'art.  14,  nel  testo
precedente le modifiche  apportate  dalla  legge  n.  147  del  2013,
prevedeva che: «[...] il valore della lite, determinato ai sensi  del
comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546,  e  successive  modificazioni,  deve   risultare   da   apposita
dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del  ricorso,  anche
nell'ipotesi di prenotazione a debito». 
    L'art. 12, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992,  n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413)  -  precedentemente  alle  modifiche   apportate   dal   decreto
legislativo 24  settembre  2015,  n.  156,  recante  «Misure  per  la
revisione  della  disciplina  degli  interpelli  e  del   contenzioso
tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10,  comma  1,
lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23»  -  stabiliva  che
«Per valore della lite si intende  l'importo  del  tributo  al  netto
degli interessi  e  delle  eventuali  sanzioni  irrogate  con  l'atto
impugnato; in  caso  di  controversie  relative  esclusivamente  alle
irrogazioni di sanzioni, il  valore  e'  costituito  dalla  somma  di
queste». 
    L'art. 1, comma 598, della legge n. 147 del 2013 ha modificato il
menzionato comma 3-bis dell'art. 14, specificando che il valore della
lite e' determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello». 
    A seguito delle modifiche alla disciplina della  difesa  tecnica,
introdotte dal citato d.lgs. n.  156  del  2015,  il  riferimento  al
"valore della lite" e' stato spostato dal comma 5 (che ha assunto  un
contenuto  diverso)  del  citato  art.  12  al  precedente  comma  2.
Parallelamente, il richiamo al «comma 5», contenuto nell'art. 14  del
d.P.R. n. 115 del 2002 e' stato sostituito (dall'art.  10,  comma  2,
del citato d.lgs. n. 156 del 2015) con quello al comma 2 del medesimo
art. 12. 
    La modifica  recata  dal  d.lgs.  n.  156  del  2015,  successiva
all'ordinanza di rimessione, non incide, peraltro, sulle questioni di
legittimita'    costituzionale     sollevate,     essendo     rimasto
sostanzialmente immutato il quadro normativo considerato dal  giudice
a quo. 
    In definitiva, dalla esposta premessa si ricava implicitamente la
difficolta'  ad  individuare   un   principio   o   una   fattispecie
suscettibile di analogia, utilizzabile nel  presente  giudizio  quale
tertium comparationis. Peraltro, il gia' variegato contesto normativo
non e' stato tenuto in minima considerazione dal rimettente, il quale
sembra, al contrario, ipotizzare un'omogeneita' di fondo dei criteri,
dai quali si discosterebbe soltanto la fattispecie censurata. 
    3.-  Anche  alla  luce  di  quanto  premesso,  le  questioni   di
legittimita' costituzionale sollevate sono inammissibili sotto  tutti
i profili dedotti. 
    3.1.- Quanto alla pretesa violazione degli artt. 3  e  53  Cost.,
laddove viene lamentata l'irragionevole diversita' di trattamento tra
tributi e sanzioni, il rimettente non argomenta minimamente in ordine
alle ragioni per le quali, a fronte della diversita'  delle  suddette
pretese erariali, debba sussistere un identico trattamento, stante la
diversa natura e funzione e la distinta disciplina (per  le  sanzioni
la regolamentazione fondamentale si rinviene nel decreto  legislativo
18 dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali  in  materia
di sanzioni amministrative per le violazioni di norme  tributarie,  a
norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23  dicembre  1996,  n.
662»). 
    Quanto  alla  lamentata  diseguaglianza,  contraddittorieta'   ed
irragionevolezza nella determinazione del "valore della lite",  quale
"base imponibile", rispetto al  presupposto  del  tributo  -  che  il
giudice a quo vorrebbe strettamente ancorato al valore  unitario  del
processo come previsto  per  il  rito  civile  -  questi  non  spiega
compiutamente perche', a fronte di  una  disomogeneita'  dei  criteri
fissati per determinare il  valore  della  lite  nei  singoli  ambiti
processuali,  calati  sulle  particolarita'   delle   questioni   ivi
deducibili  e  sulle  peculiarita'  dei  diversi  processi,  solo  il
criterio del  rito  civile  dovrebbe  essere  assunto  quale  tertium
comparationis. 
    3.2.-  Inoltre,  con  riferimento  alle  censure   sollevate   in
riferimento all'art. 53 Cost., per  violazione  del  principio  della
capacita' contributiva, esse  non  appaiono  comunque  congruenti  in
relazione alla fattispecie normativa in esame.  Secondo  il  costante
orientamento  di  questa  Corte,   il   principio   della   capacita'
contributiva come limite alla potesta' di imposizione di cui all'art.
53 Cost.  non  riguarda  «ne'  una  singola  imposizione  ispirata  a
principi diversi da quello della progressivita', ne' [...]  la  spesa
per i servizi generali  [...]  coperta  da  imposte  indirette  o  da
entrate  che  siano  dovute  esclusivamente  da   chi   richiede   la
prestazione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi
ne provoca l'attivita'» (sentenza n. 30 del 1964; in  senso  conforme
sentenze n. 167 del 1973, n. 149 del 1972  e  n.  23  del  1968,)  e,
pertanto, non e' invocabile e non  puo'  operare  con  riguardo  alle
spese di giustizia. 
    3.3.-  Sono,  altresi',  inammissibili  le  censure  proposte  in
riferimento agli artt. 24 e 113, primo comma, Cost. 
    Il rimettente non chiarisce in alcun modo  per  quale  motivo  il
diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione
del contributo unificato nel ricorso cumulativo oggettivo mentre  non
lo sarebbe con riguardo a quello  previsto  per  ogni  singolo  atto,
quasi che la possibilita' di difendersi fosse legata alla prerogativa
di scegliere le modalita' cumulative anziche' quelle individuali. 
    3.4.- Parimenti inammissibili sono infine le censure formulate in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.
6 e 13 della CEDU. Il contrasto con le  norme  della  Convenzione  si
configura come oggetto di mera asserzione, priva di  alcun  riscontro
argomentativo in grado di giustificare la pretesa lesione del diritto
ad un processo equo e ad una tutela giurisdizionale effettiva.