ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato
sorti in relazione: a) all'art. 1, comma 240, lettera b), della legge
28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2016), che ha
disposto l'abrogazione dell'art. 38, comma 1-bis,  del  decreto-legge
12  settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per  l'apertura  dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  11
novembre  2014,  n.  164,  gia'  oggetto  di  richiesta  referendaria
(secondo  quesito  referendario);   b)   all'ordinanza   dell'Ufficio
centrale per il referendum costituito presso la Corte  di  cassazione
del 7 gennaio 2016, che ha dichiarato, ai sensi  dell'art.  39  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa  legislativa  del  popolo),  che  non
abbiano piu' corso le operazioni relative alle richieste referendarie
relative al secondo ed al terzo  quesito  referendario,  quest'ultimo
concernente l'art. 38, comma 5,  del  d.l.  n.  133  del  2014,  come
convertito, promossi con due ricorsi  dei  Consigli  regionali  della
Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna e Veneto, depositati in
cancelleria il 25 febbraio 2016 ed iscritti rispettivamente ai nn.  1
e 2 del registro conflitti tra  poteri  dello  Stato  2016,  fase  di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio  del  9  marzo  2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
    Ritenuto che con un primo ricorso (iscritto al Reg. confl. poteri
n. 1  del  2016)  i  Consigli  regionali  delle  Regioni  Basilicata,
Liguria,  Marche,  Puglia,  Sardegna  e  Veneto  -  in  persona   dei
rispettivi delegati - hanno sollevato conflitto di  attribuzione  tra
poteri dello Stato nei  confronti  della  Camera  dei  deputati,  del
Senato della Repubblica e del Presidente del Consiglio  dei  ministri
in relazione all'art. 1,  comma  240,  lettera  b),  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2016)  -  con
cui e' stato abrogato l'art. 38, comma 1-bis,  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,
la realizzazione  delle  opere  pubbliche,  la  digitalizzazione  del
Paese,  la  semplificazione  burocratica,  l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito con modificazioni dall'art. 1, comma  1,  della  legge  11
novembre 2014, n. 164 - nonche' nei confronti  dell'Ufficio  centrale
per il  referendum  costituito  presso  la  Corte  di  cassazione  in
relazione all'ordinanza del 7 gennaio 2016, con cui e' stato statuito
che non avessero piu' corso le operazioni  referendarie  relative  al
quesito avente ad oggetto il citato comma 1-bis; 
    che i ricorrenti assumono sussistere i requisiti  occorrenti  per
la rituale instaurazione della prospettata controversia; 
    che, sotto il profilo soggettivo attivo, i Consigli  regionali  -
asseritamente contitolari, ciascuno uti singulus,  delle  prerogative
costituzionali  di  cui  all'art.  75  della  Costituzione  e  dunque
ciascuno potere dello Stato per essere competente ad esprimere in via
definitiva la volonta'  del  potere  legislativo-referendario  a  cui
appartiene - assumono di essere legittimati a promuovere il conflitto
(specificamente deliberato solo dal Consiglio regionale della Regione
Veneto) una volta  decisa  l'iniziativa  referendaria  e  nominati  i
propri delegati, chiamati ad agire in nome e per conto dei rispettivi
Consigli «a difesa» dell'iniziativa stessa ed  a  rilasciare  mandato
alle liti per la difesa tecnica; 
    che, sotto il profilo oggettivo,  i  ricorrenti  si  dolgono  del
fatto che le Camere, nell'esercizio della funzione  legislativa,  con
l'art. 1, comma 240, lettera b), della l. n.  208  del  2015  abbiano
abrogato  l'art.  38,  comma  1-bis,  del  d.l.  n.  133  del   2014,
disposizione oggetto di una  delle  richieste  referendarie  da  essi
avanzata ed in relazione alla quale, con l'ordinanza  del  7  gennaio
2016, l'Ufficio centrale per il  referendum,  in  ragione  dello  ius
superveniens, ha disposto che non avessero  piu'  corso  le  relative
operazioni referendarie, ai sensi dell'art. 39 della legge 25  maggio
1970, n. 352 (Norme sui  referendum  previsti  dalla  Costituzione  e
sulla iniziativa legislativa del popolo); 
    che  l'abrogazione  ad  opera  del  legislatore   -   in   quanto
asseritamente  non  satisfattiva  dell'intento  perseguito   con   la
richiesta referendaria e tesa ad eluderlo - e la mancata rimessione a
questa Corte della questione  di  legittimita'  costituzionale  delle
norma abrogativa da parte dell'Ufficio  centrale  per  il  referendum
avrebbero  menomato  le  prerogative  dei  Consigli   regionali,   in
violazione degli artt. 75 e  3  (sotto  il  profilo  dell'eccesso  di
potere legislativo) Cost.; 
    che  conseguentemente  i   ricorrenti   chiedono   l'annullamento
dell'art. 1, comma 240, lettera b),  della  l.  n.  208  del  2015  e
dell'ordinanza del  7  gennaio  2016  dell'Ufficio  centrale  per  il
referendum costituito presso la Corte di cassazione  nella  parte  in
cui dispone che non abbiano piu'  corso  le  operazioni  referendarie
relative al quesito afferente all'art. 38, comma 1-bis, del  d.l.  n.
133 del 2014; 
    che con un secondo ricorso (iscritto al reg. confl. poteri  n.  2
del 2016) i medesimi Consigli  regionali  delle  Regioni  Basilicata,
Liguria,  Marche,  Puglia,  Sardegna  e  Veneto  -  in  persona   dei
rispettivi delegati - hanno sollevato conflitto di  attribuzione  tra
poteri  dello  Stato  nei  confronti  dell'Ufficio  centrale  per  il
referendum costituito presso la Corte  di  cassazione,  in  relazione
all'ordinanza del 7 gennaio 2016, con cui e' stato statuito  che  non
avessero piu' corso le operazioni referendarie  relative  al  quesito
avente ad oggetto il comma 5 dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014; 
    che, anche in questo caso, sotto il profilo soggettivo i Consigli
regionali - asseritamente contitolari, ciascuno uti  singulus,  delle
prerogative costituzionali di cui all'art. 75 Cost. e dunque ciascuno
potere  dello  Stato  per  essere  competente  ad  esprimere  in  via
definitiva la volonta'  del  potere  legislativo-referendario  a  cui
appartiene  -  assumono  di  essere  dotati  della  legittimazione  a
promuovere il conflitto (specificamente deliberato solo dal Consiglio
della Regione Veneto) una volta decisa  l'iniziativa  referendaria  e
nominati i propri delegati, chiamati ad agire in nome e per conto dei
rispettivi Consigli «a difesa» dell'iniziativa stessa ed a rilasciare
mandato alle liti per la difesa tecnica; 
    che, sotto il  profilo  oggettivo,  i  ricorrenti  lamentano  che
l'Ufficio centrale per il referendum,  nonostante  avesse  comunicato
inaspettatamente e con scarsissimo preavviso la seduta  straordinaria
volta a valutare l'impatto sul citato comma 5 dell'art. 38  del  d.l.
n. 133 del 2014 - oggetto di specifica richiesta referendaria  -  del
sopravvenuto art. 1, comma 240, lettera c), della l. n. 208 del 2015,
non abbia  preso  in  considerazione  le  argomentazioni  svolte  dai
Consigli  regionali  richiedenti  i  referendum  -   finalizzate   al
trasferimento del quesito sulla normativa previgente - per difetto di
procura  speciale  in   capo   al   difensore,   prescindendo   dalla
possibilita' normativamente prevista di  ovviare  al  vizio  e  cosi'
menomando le prerogative loro riconosciute  dall'art.  75  Cost.,  in
sostanziale violazione del contraddittorio; 
    che  conseguentemente  i   ricorrenti   chiedono   l'annullamento
dell'ordinanza del  7  gennaio  2016  dell'Ufficio  centrale  per  il
referendum nella parte in cui dispone che non abbiano piu'  corso  le
operazioni referendarie relative al quesito  afferente  all'art.  38,
comma 5, del d.l. n. 133 del 2014. 
    Considerato che, in ragione della  connessione  tra  i  conflitti
proposti, i giudizi debbono essere riuniti per  essere  definiti  con
unica decisione; 
    che la Corte e' chiamata in questa fase a stabilire in camera  di
consiglio, senza contraddittorio,  se  sussistano  i  presupposti  di
ammissibilita' dei conflitti, sintetizzati dall'art. 37  della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della Corte costituzionale), nell'espressione "materia di  conflitto"
(ex plurimis, ordinanza n. 172 del 1997); 
    che, in particolare, occorre al riguardo esaminare se  concorrano
i requisiti di ordine soggettivo ed  oggettivo  prescritti  dall'art.
37, primo comma, della l. n. 87 del 1953,  e  cioe'  se  i  conflitti
sorgano  tra  organi  competenti  a  dichiarare  definitivamente   la
volonta' del potere a cui appartengono e siano diretti  a  delimitare
la sfera di attribuzioni dei poteri interessati determinata da  norme
costituzionali; 
    che entrambi i conflitti appaiono carenti sotto  il  profilo  del
requisito soggettivo, dal momento che solo il Consiglio della Regione
Veneto ha deliberato di sollevarli mentre avrebbero  dovuto  proporli
almeno   cinque   Consigli   regionali   tra   quelli   che   avevano
originariamente richiesto, ai sensi dell'art. 75 della  Costituzione,
i referendum  per  i  quali  l'Ufficio  centrale  per  il  referendum
costituito presso  la  Corte  di  cassazione  aveva  statuito  -  con
l'impugnata ordinanza del 7 gennaio 2016  -  che  non  avessero  piu'
corso le operazioni referendarie; 
    che la richiesta di cui all'art. 75 Cost. configura, infatti,  un
atto complesso, risultante da una pluralita' di distinte ma, quanto a
contenuto, coincidenti deliberazioni dei singoli Consigli regionali; 
    che cio' comporta che,  per  sollevare  conflitto  nei  confronti
degli altri  poteri  dello  Stato,  e'  necessario  un  omologo  atto
complesso, frutto di deliberazioni consiliari  diverse  ed  ulteriori
rispetto  a  quelle   intervenute   per   la   precedente   richiesta
referendaria; 
    che non puo' dunque essere  condivisa  la  tesi  dei  ricorrenti,
secondo cui «i singoli Consigli regionali sarebbero co-titolari,  uti
singuli, della prerogativa costituzionale ex art. 75 Cost., [per cui]
essi  costituiscono  ciascuno  di  per  se'  un  potere  dello  Stato
legittimato a proporre conflitto  e  [...]  che  ognuno  di  essi  e'
competente a esprimere in via definitiva la volonta' del  potere  cui
appartiene (quello legislativo-referendario), peraltro a  prescindere
dalla produzione  dell'effetto  del  perfezionamento  dell'iniziativa
referendaria»; 
    che la proposizione del  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello  Stato  non  puo'  essere  considerata  conseguenza  automatica
dell'iniziativa   referendaria,   finalizzata   a    consentire    la
prosecuzione del procedimento nel  caso  in  cui  l'Ufficio  centrale
statuisca che non abbiano piu' corso le operazioni referendarie. Cio'
dal momento che, a seguito di tale pronuncia, puo'  accadere  che  in
seno al potere dello Stato  costituito  dal  complesso  dei  Consigli
regionali richiedenti insorga unanime condivisione della  statuizione
dell'Ufficio centrale per il referendum (come e' avvenuto per tre dei
cinque quesiti esaminati dall'Ufficio centrale) ovvero  contrasto  in
ordine alla valutazione da quest'ultimo compiuta; 
    che l'astratta prospettazione di simile alternativa  dimostra  di
per se'  la  necessita'  di  una  nuova  manifestazione  di  volonta'
espressa secundum legem dal potere interessato; 
    che,  essendo  conferita  dall'art.  75  Cost.  la  facolta'   di
richiedere i referendum  ad  almeno  cinque  Consigli  regionali,  la
legittimazione al conflitto tra poteri deve  ritenersi  attribuita  a
non meno di cinque Consigli tra quelli che si sono attivati; 
    che,  infatti,  se  la  titolarita'  del  potere  di   iniziativa
referendaria spetta  ai  Consigli  regionali  nel  numero  minimo  di
cinque, in quanto configurati come  autonomo  centro  di  imputazione
dell'attribuzione costituzionale di cui  all'art.  75,  solo  a  tali
Consigli puo' essere  riconosciuta  la  legittimazione  ad  agire  in
conflitto, non essendo possibile scindere la titolarita'  del  potere
dalla legittimazione al ricorso; 
    che per questo  motivo  non  puo'  essere  accolta  la  tesi  dei
ricorrenti secondo cui «una volta che i  Consigli  regionali  abbiano
deliberato l'iniziativa referendaria e nominato i propri delegati, ex
art. 29 della l. n. 352 del 1970, costoro sono [comunque] deputati ad
agire in nome e per conto dei  relativi  Consigli  "a  difesa"  (lato
sensu) dell'iniziativa stessa, in virtu' del mandato ricevuto con  la
deliberazione consiliare»; 
    che i  delegati  sono  privi  di  legittimazione  a  proporre  il
conflitto, in quanto l'iniziativa spetta esclusivamente ai Presidenti
dei Consigli regionali, previa delibera dei Consigli stessi; 
    che, in considerazione dell'interesse eminentemente politico  che
sorregge il procedimento, non puo'  essere,  infatti,  consentito  ai
delegati  di  dare  attuazione  ad  un'ipotetica,   ed   allo   stato
inesistente, deliberazione del Consiglio, che e' interamente  rimessa
alla discrezionalita' di quest'ultimo, al quale  spetta  valutare  se
l'ordinanza dell'Ufficio centrale (con la quale e' stato statuito che
non abbiano piu' corso le operazioni referendarie) sia stata adottata
correttamente e corrisponda agli interessi dei consigli regionali; 
    che, dunque, in nessun caso la scelta operata  dai  sei  delegati
regionali, tradottasi nel rilascio di  specifica  procura  alle  liti
senza previa delibera dei relativi  Consigli,  legittima  gli  stessi
delegati  a  surrogarsi  all'organo  competente   a   promuovere   il
conflitto; 
    che  quanto  detto  comporta  l'inammissibilita'  di  entrambi  i
ricorsi in quanto carenti sotto il profilo soggettivo.