ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  comma
3, ultimo capoverso, e 13, commi 1, 2 e 3, della  legge  19  febbraio
2004,  n.  40  (Norme  in  materia   di   procreazione   medicalmente
assistita),  promosso  dal  Tribunale  ordinario   di   Firenze   nel
procedimento civile vertente tra C.S.A.  ed  altro  e  il  Centro  di
fecondazione assistita "Demetra" srl ed altra, con  ordinanza  del  7
dicembre 2012, iscritta al n.  166  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  29,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti l'atto di costituzione di C.S.A. ed altro,  fuori  termine,
nonche' gli atti di intervento della Associazione Vox -  Osservatorio
italiano sui Diritti e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2016 il Giudice relatore
Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato Gianni Baldini  per  C.S.A.  ed  altro,  Massimo
Clara per l'Associazione Vox - Osservatorio italiano  sui  Diritti  e
l'avvocato dello Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza in data 7 dicembre 2012 (r.o. n. 166 del 2013),
il Tribunale  ordinario  di  Firenze,  in  composizione  monocratica,
sottopone a scrutinio di costituzionalita': 
    a) l'art. 13 della legge  19  febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in
materia di procreazione medicalmente assistita), quanto  al  «divieto
assoluto», ivi previsto, «di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale
sull'embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello  stesso»,
per sospetto contrasto con gli artt. 9, 32 e 33, primo  comma,  della
Costituzione; 
    b) l'art. 6, comma  3,  ultimo  capoverso,  della  legge  stessa,
quanto al «divieto assoluto di revoca  del  consenso  alla  PMA  dopo
l'avvenuta fecondazione dell'ovulo», in riferimento agli artt. 2,  13
e 32 Cost.; 
    c) i commi da 1 a 3 dell'art. 13 e  l'art.  6,  comma  3,  ultimo
capoverso, della medesima  legge,  per  denunciata  violazione  degli
artt. 2, 3, 13, 31, 32 e 33, primo comma, Cost. 
    2.-  Le  (formalmente  tre  ma,  come  emerge  da   una   lettura
sistematica della predetta ordinanza di  rimessione,  sostanzialmente
due) questioni di legittimita' costituzionale, portate  all'esame  di
questa Corte, sono state sollevate nell'ambito di un procedimento  di
urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile, esperito in corso
di  causa,  nel  quale  la  ricorrente,  che  si  era  sottoposta   a
trattamento di procreazione medicalmente assistita (di qui in  avanti
«PMA»), chiedeva, unitamente al  proprio  coniuge,  al  Tribunale  di
Firenze, di ordinare, al centro medico al quale si  era  rivolta,  di
riconsegnarle  gli  embrioni  prodotti  (dieci  in   tutto),   avendo
intenzione di destinare i nove embrioni  risultati  non  impiantabili
(quattro perche' non biopsabili e cinque perche' affetti da esostosi)
ad attivita' mediche diagnostiche e di ricerca  scientifica  connesse
alla propria (trasmessa) patologia genetica e  intendendo,  comunque,
revocare il consenso, gia' prestato, al trasferimento in utero  anche
del decimo embrione  residuo,  trattandosi  di  «materiale  di  media
qualita'». 
    3.- Premessane la rilevanza, al fine del decidere  sulla  domanda
cautelare delle parti (strumentalmente connessa a quella formulata in
via di  azione  principale),  il  Tribunale  rimettente  ritiene  non
manifestamente infondata sia la  questione  relativa  al  divieto  di
ricerca scientifica sugli embrioni soprannumerari (ove) non idonei  a
scopi procreativi, di cui all'art. 13, commi da 1 a 3, della legge n.
40 del 2004, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 2,  3,  9,
13, 31, 32 e 33, primo comma, Cost.; sia la questione concernente  il
divieto di revoca del consenso alla PMA dopo l'avvenuta  fecondazione
dell'ovulo, di cui all'art.  6,  comma  3,  ultimo  capoverso,  della
stessa legge, per contrasto con gli artt. 2, 3,  13,  31,  32  e  33,
primo comma, Cost. 
    3.1.-  Quanto  alla  prima  questione,  prospetta,  infatti,   il
rimettente che  il  divieto  censurato,  nella  sua  assolutezza,  si
risolva  «nella  completa  negazione  delle  esigenze  individuali  e
collettive sottese all'attivita' di ricerca scientifica,  proprio  in
quei settori quali  la  terapia  genica  e  l'impiego  delle  cellule
staminali embrionali, che la comunita' medico-scientifica ritiene fra
i piu' promettenti per la cura di numerose e gravi patologie». 
    3.2.- A sua volta, sempre secondo il Tribunale a quo, il divieto,
sub art. 6, comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 40 del 2004, di
revoca del consenso  al  trattamento  di  PMA  dopo  la  fecondazione
dell'ovocita, rappresenterebbe una palese  violazione  del  principio
regolativo del rapporto medico/paziente, poiche' il paziente verrebbe
espropriato della possibilita' di revocare  l'assenso  al  medico  di
eseguire  atti  sicuramente   invasivi   della   propria   integrita'
psico-fisica. 
    4.- Ha spiegato intervento in questo giudizio il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    La difesa  erariale,  preliminarmente,  eccepisce  (illustrandola
anche con  successiva  memoria)  l'inammissibilita'  della  questione
sollevata in relazione all'art. 6, comma 3, ultimo  capoverso,  della
l. n. 40 del 2004 (gia' dichiarata tale con la sentenza  n.  151  del
2009, in quanto  prospettata  «al  solo  fine  di  dare  coerenza  al
sistema»), deducendone il difetto di rilevanza, in quanto,  nel  caso
di specie,  la  ricorrente,  dopo  aver  dichiarato  di  non  volersi
sottoporre all'impianto nell'utero dell'unico embrione (tra  i  dieci
prodotti) sicuramente non affetto da patologie e aver appreso che non
le era piu' consentito recedere dal  consenso  prestato,  aveva  poi,
comunque accettato il trattamento di PMA. 
    Inammissibili - sempre secondo  la  difesa  statale  -  sarebbero
anche le ulteriori questioni sollevate nell'ordinanza di  rimessione,
perche' formulate in modo incerto ed alternativo,  non  chiarendo  il
giudice a quo se il contrasto con gli artt. 32  e  33,  primo  comma,
Cost. avrebbe dovuto portare alla  caducazione  dell'intero  art.  13
della predetta legge n. 40 del 2004, ovvero unicamente dei soli primi
tre commi. 
    La questione di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  commi
da  1  a  3,  della  legge  impugnata  sarebbe  infine,   ad   avviso
dell'Avvocatura generale dello Stato,  non  fondata  nel  merito,  in
quanto  diretta  a  sindacare  il  bilanciamento   di   valori   (tra
l'interesse alla tutela dell'embrione e quello  allo  sviluppo  della
scienza) non irragionevolmente operato dal legislatore  nazionale  e,
in  ogni  caso,  risulterebbe  volta  ad  introdurre   una   modifica
dell'assetto normativo demandata, in via esclusiva, al legislatore. 
    5.- I coniugi ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato atto
di costituzione  tardiva  e  contestuale  istanza  di  rimessione  in
termini. 
    6.- Ha anche chiesto di intervenire in giudizio, per aderire alla
prospettazione del giudice a quo, l'Associazione Vox  -  Osservatorio
italiano sui Diritti, ritenendosi a cio' legittimata in  ragione  dei
suoi obiettivi statutari, tra i quali quello di «aiutare le persone a
conoscere, difendere e rivendicare i propri diritti». 
    7.- Dopo un rinvio a nuovo ruolo della trattazione delle riferite
questioni, disposto in  attesa  della  pubblicazione  della  sentenza
della Grande Chambre della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  in
causa Parrillo contro Italia (vertente su caso analogo,  relativo  al
medesimo art.  13  della  legge  n.  40  del  2004,  in  quella  sede
denunciato per asserita violazione degli artt.  8  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4  agosto  1955,  n.  848,  e  1  del  Protocollo
addizionale) - pubblicazione intervenuta solo il 27 agosto 2015 -  e'
stata rifissata l'udienza di discussione del 22 marzo 2016. 
    8.- In prossimita' di detta  udienza,  il  15  gennaio  2016,  il
collegio difensivo (nel frattempo ampliato) dei due predetti  coniugi
e la difesa dell'Associazione Vox - Osservatorio italiano sui Diritti
hanno depositato congiunta richiesta di ammissione di prova orale, in
persona di  alcuni  scienziati,  da  essi  indicati  in  merito  alla
potenzialita' della ricerca sugli embrioni. 
    9.- Il successivo 1°  marzo  2016,  hanno  depositato  rispettive
ulteriori memorie il Presidente del Consiglio dei ministri, le  parti
private e l'Associazione Vox - Osservatorio italiano sui Diritti. 
    La difesa dello Stato, oltre a  ribadire  le  precedenti  proprie
conclusioni, ha contestato che nella specie sussistano «i presupposti
per una attivita' istruttoria ne' in generale, ne' in particolare con
riferimento a quella  specificamente  richiesta»,  poiche'  «in  ogni
caso, i nominativi indicati della citata istanza di parte sono quelli
di studiosi che hanno  scritto  sull'argomento  e  i  cui  contributi
scientifici (definiti  dalla  dottrina  "microverita'  scientifiche")
possono essere facilmente acquisiti e considerati  nell'ambito  della
consueta attivita' preparatoria da parte degli Uffici della Corte». 
    La difesa dei coniugi ricorrenti e quella dell'Associazione hanno
(questa  volta  disgiuntamente)  ribadito,  viceversa,  entrambe   la
necessita'  dell'audizione  degli  studiosi  indicati  nella  istanza
istruttoria. 
    La difesa dei coniugi  ha  insistito,  infine,  per  l'ammissione
della memoria di costituzione «presentata oltre i  termini  per  caso
fortuito», rimandando alle ragioni espresse nella memoria stessa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza in  epigrafe,  emessa  nella  fase  cautelare
incidentale del giudizio di cognizione di  cui  si  e'  in  narrativa
detto, il Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica
- con riguardo alla legge (della  quale  e'  chiamato  sotto  duplice
aspetto a fare applicazione)  19  febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in
materia di procreazione medicalmente assistita) - ha sollevato (cosi'
testualmente  in  dispositivo  del   provvedimento   di   rimessione)
«questione di legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 13 [...]  (divieto  assoluto  di  qualsiasi  ricerca
clinica o sperimentale sull'embrione che non risulti finalizzata alla
tutela dello stesso) per contrasto con gli artt. 9, 32, 33  1°  comma
Cost.; 
    b) dell'art. 6, comma 3 u.c. [...] (divieto  assoluto  di  revoca
del consenso alla PMA dopo l'avvenuta  fecondazione  dell'ovulo)  per
contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost. 
    c) dell'art. 13 comma 1, 2, 3 e 6 comma 3 u.c.  [...]  in  quanto
affetto da illogicita' ed irragionevolezza,  per  contrasto  con  gli
artt. 2, 3, 13, 31, 32 e 33 1 comma Cost.». 
    2.- In realta' - come e' dato evincere dalla motivazione  (al  di
la' della non lineare corrispondenza ad essa del  dispositivo)  della
ordinanza in esame - il Tribunale a quo non censura l'intero articolo
13 della legge n. 40 del 2004, ma, inequivocabilmente, per un  verso,
i (soli) commi da 1 a 3 dello stesso art. 13, per contrasto  con  gli
artt. 2, 3 (sotto il profilo della ragionevolezza), 9, 13, 31,  32  e
33, primo comma, della Costituzione e, per altro verso, il precedente
art. 6, comma 3, ultimo capoverso, per violazione degli artt.  2,  3,
13, 31, 32 e 33, primo comma, Cost. 
    2.1.-  La  prima  questione  investe  l'art.  13,  con  esclusivo
riferimento, quindi, ai suoi primi tre commi. 
    Le censure, al riguardo formulate,  specificamente  e  unicamente
risultano, comunque, rivolte alla previsione del «divieto assoluto di
qualsiasi ricerca clinica o sperimentale che non sia finalizzata alla
tutela dell'embrione stesso»,  e  con  le  stesse  si  sollecita  una
pronunzia   additiva,   tale   da    comportare    un    temperamento
all'assolutezza di quel  divieto,  nel  senso  che  ove  rimanga,  in
concreto, accertato che l'embrione non sia piu'  impiegabile  a  fini
procreativi (e, quindi, risulti  destinato  a  rapida  "estinzione"),
esso possa essere utilizzato, previa acquisizione  del  consenso  dei
generanti, per  altri  scopi  «costituzionalmente  rilevanti»,  quale
quello della ricerca scientifica bio-medica in funzione (anche) della
tutela  della  salute  come  diritto  fondamentale  dell'individuo  e
interesse della collettivita'. 
    Sotto il profilo della rilevanza, il rimettente  ritiene  che  la
questione sia strumentale al soddisfacimento degli interessi azionati
nel  caso  di  specie,  dal  momento  che   -   avendo   gli   attori
crioconservato nove embrioni (di cui cinque risultati  affetti  dalla
patologia della esostosi e quattro non sottoponibili a biopsia)  che,
per loro espressa decisione, non sarebbero stati mai  utilizzati  nel
processo  procreativo  -  tali  embrioni  "soprannumerari"  sarebbero
inevitabilmente  destinati  all'autodistruzione,  mentre  esse  parti
vorrebbero che fossero utilizzati per attivita' mediche  diagnostiche
e di ricerca scientifica connesse alla propria patologia genetica. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza  di  detta  questione,  il
Tribunale ordinario di Firenze rileva che la normativa  denunciata  -
nella parte, appunto, in cui pone un divieto  assoluto  di  qualsiasi
ricerca scientifica, sugli  embrioni  residuati  da  procedimenti  di
procreazione medicalmente  assistita  (da  ora  in  poi  «PMA»),  non
finalizzata alla tutela dell'embrione stesso - violerebbe  gli  artt.
2, 3, 9, 13, 31, 32 e 33, primo comma, Cost.  (solo  per  obiter,  in
motivazione, sono richiamati  anche  gli  «artt.  1,  5  e  18  della
Convenzione di Oviedo sulle Biotecnologie»), per irragionevolezza del
bilanciamento, cosi' operato, tra tutela  dell'embrione  e  interesse
alla ricerca scientifica, ove si tratti (come nel caso sub iudice) di
embrioni malati, o dei quali non sia noto lo stato di salute, il  cui
impianto sia stato rifiutato dalla  coppia  generatrice,  che  invece
intenda destinarli alla  ricerca  scientifica,  attesa  l'alternativa
delle loro certa distruzione. 
    2.2.- La seconda questione investe, come gia' rilevato, l'art. 6,
comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 40 del 2004. 
    Secondo la prospettazione del rimettente, la  previsione  che  il
consenso al trattamento di PMA non  possa  essere  revocato  dopo  la
fecondazione dell'ovocita, contenuta in detta norma, rappresenterebbe
una  palese  violazione  del  principio   regolativo   del   rapporto
medico/paziente,  poiche'  il  paziente  verrebbe  espropriato  della
possibilita'  di  revocare  l'assenso  al  medico  di  eseguire  atti
sicuramente invasivi della  propria  integrita'  psico-fisica,  avuto
riguardo anche al  momento  particolarmente  delicato  dell'attivita'
medica, atteso che il trattamento, tutt'altro che concluso,  verrebbe
a trovarsi in una fase intermedia a cui necessariamente seguirebbe il
momento  essenziale  culminante  del  trasferimento  in   utero   del
materiale prodotto. Da cio' discendendo, quindi, la violazione (anche
per tale aspetto) degli artt. 2, 3, 13, 31, 32  e  33,  primo  comma,
Cost. 
    Ad avviso del Tribunale  fiorentino  -  ancorche'  la  ricorrente
(dopo iniziale rifiuto) si fosse poi  determinata  ad  effettuare  il
trattamento di PMA, utilizzando l'ultimo embrione (di media qualita')
dei dieci da essa  complessivamente  prodotti  -  anche  la  riferita
seconda  questione  manterrebbe   la   sua   rilevanza,   per   avere
l'interessata manifestato l'intenzione di ripetere il trattamento  di
PMA (non avendo quello  precedente  ottenuto  l'esito  sperato),  con
riserva,  pero',  di  decidere  (in  quel  successivo  contesto)   se
sottoporsi o meno al trasferimento in utero del  materiale  prodotto,
solo in esito alla indagine genetica pre-impianto, sullo stesso,  che
ne avesse confermato la qualita'. 
    3.- Di entrambe le suddette questioni,  l'intervenuto  Presidente
del Consiglio dei ministri, per il tramite  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, ha eccepito la inammissibilita'. 
    In subordine, ha contestato  la  fondatezza,  nel  merito,  della
impugnativa relativa ai commi da 1 a 3 dell'art. 13 della legge n. 40
del 2004. 
    4.- L'istanza di rimessione in termini dei coniugi ricorrenti nel
processo a quo, costituitisi tardivamente in questo  giudizio,  e  la
richiesta di ammissione di intervento, proveniente  dall'Associazione
Vox -  Osservatorio  italiano  dei  Diritti,  sono  state  dichiarate
entrambe inammissibili - e tale e' stata, di conseguenza,  dichiarata
anche l'istanza di audizione  di  testi  congiuntamente  proposta  da
dette parti - con ordinanza di questo Collegio emessa all'udienza del
22 marzo 2016, che  qui  si  conferma,  e  che  resta  allegata  alla
presente sentenza. 
    5.- Le due questioni sottoposte al vaglio di  questa  Corte  sono
state sollevate, come detto, in un procedimento  d'urgenza,  ma  cio'
non e' di ostacolo alla loro ammissibilita', non avendo il  Tribunale
a quo provveduto  in  via  definitiva  sulla  istanza  cautelare  dei
ricorrenti,  e  non  avendo,  percio',  consumato  la  sua   potestas
iudicandi (per tutte, sentenze n. 96 del 2015, n. 200 e  n.  162  del
2014, n. 172 del 2012, n. 151 del 2009). 
    6.-  Va  esaminata  anzitutto  la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 3, ultimo capoverso, della legge n.
40 del 2004. 
    6.1.- La questione e' inammissibile per  il  carattere  meramente
ipotetico, e non attuale, della sua rilevanza. 
    Lo  stesso  Tribunale  fiorentino  riferisce,  infatti,  che   la
ricorrente, dopo avere,  in  un  primo  momento,  dichiarato  di  non
volersi sottoporre all'impianto in utero dell'unico embrione  (tra  i
dieci prodotti) sicuramente non affetto da patologie, ha poi comunque
accettato di portare a termine - e cio' ha fatto, sia pur  con  esito
non positivo - il trattamento di PMA. 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale del  divieto  di  revoca
del consenso all'impianto dopo  la  fecondazione  dell'ovulo  risulta
cosi' privo, appunto, di rilevanza nel giudizio a quo. Ne' a  diverso
avviso si puo' pervenire, argomentando (come fa il rimettente) che «I
ricorrenti intendono ripetere il ciclo di PMA, onde impellente e'  la
risoluzione di ogni  questione  relativa  alla  manifestazione  della
volonta'», posto che tale intento, pro futuro,  non  vale  a  rendere
"attuale" la questione della  revoca  del  consenso  nell'ambito  del
giudizio principale, una volta che, nel contesto del ciclo di PMA del
quale ivi si  discute,  l'interessata  ha  poi  di  fatto,  comunque,
consentito al trasferimento in utero dell'unico embrione (tra  quelli
prodotti) non affetto da patologia. 
    6.2.- Del resto, il giudice a quo - dopo aver sottolineato che la
prescrizione di cui all'art. 6 in esame, «gia' di per se'  sprovvista
di sanzione per  l'ipotesi  di  violazione,  e'  stata  ulteriormente
sfumata dalla deroga, introdotta  dalla  pronuncia  della  Corte,  al
divieto assoluto di crioconservazione degli embrioni, in tutti i casi
in cui il medico rilevi fondati rischi per la salute della donna  nel
procedere al loro impianto» - ammette che gli  «aspetti  problematici
[che] residuano», in ordine a detta disposizione, prescindono  da  un
concreto collegamento alla vicenda per cui e' causa, essendo,  a  suo
avviso   su   un   piano   generale,   attinenti   ad   un   «profilo
pratico-operativo» (evidentemente, di per  se'  pero'  estraneo  alla
quaestio legitimitatis) e ad un «profilo sistematico», e cioe' a quel
«fine di dare coerenza al sistema» in  relazione  al  quale  gia'  la
sentenza n. 151 del 2009 ha dichiarato manifestamente  inammissibile,
per  difetto  di  rilevanza,  la  pressoche'  identica  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 3, della legge  n.  40
del 2004. 
    7.-  Con  riguardo,  poi,   alla   denuncia   di   illegittimita'
costituzionale del successivo art. 13 della legge  n.  40  del  2004,
viene preliminarmente in esame  l'eccezione  formulata  dalla  difesa
dello  Stato,  per  la   quale   -   avendo   il   rimettente   fatto
alternativamente riferimento, ora a detta norma nella sua  interezza,
ora  ai  soli  primi  tre  suoi  commi,  «senza  che  la  prospettata
alternativita'  sia  risolta»  -  la  correlativa  questione  sarebbe
inammissibile in quanto sollevata «in modo incerto [...] e  in  forma
ancipite». 
    Si  e'  gia'  detto,  pero',  come  da  una  lettura  sistematica
dell'ordinanza di rinvio si evinca  la  riferibilita',  senza  dubbio
alcuno, della  questione  in  esame  ai  soli  primi  tre  commi  del
menzionato art. 13 per quanto specificamente attiene all'ivi previsto
«divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale che non
sia finalizzato alla tutela  dell'embrione  stesso»,  cui  unicamente
sono, del resto, rivolte le censure del Tribunale fiorentino. 
    E cio',  evidentemente,  esclude  la  fondatezza  della  riferita
eccezione. 
    8.- Nel merito, prospetta il Tribunale ordinario di Firenze -  e'
questo propriamente il cuore dell'ordinanza di rimessione  -  che  un
tale  divieto  assoluto  di  ricerca  sperimentale   sugli   embrioni
soprannumerari  (ancorche')  non  impiantabili,  si  risolva   «nella
completa negazione delle esigenze individuali  e  collettive  sottese
all'attivita' di ricerca scientifica, proprio in quei  settori  quali
la terapia genica e l'impiego delle cellule staminali embrionali, che
la comunita' medico-scientifica ritiene fra i piu' promettenti per la
cura di numerose e  gravi  patologie,  nonche',  in  modo  del  tutto
irrazionale, nella negazione di  qualunque  bilanciamento  tra  dette
esigenze, espressione di valori  costituzionalmente  tutelati,  e  lo
statuto dell'embrione, in  assenza  di  qualunque  bilanciamento  che
contemperi la previsione con le ragioni di  inutile  salvaguardia  di
quest'ultimo, in quanto affetto da patologie». 
    E  sostiene  che  cio',  appunto,  inneschi  il   contrasto   del
denunciato art. 13, in parte qua, della legge n. 40 del  2004  con  i
plurimi evocati parametri costituzionali (artt. 2, 3, 9, 13, 31, 32 e
33, primo comma, Cost.). 
    8.1.-  La  questione,  cosi'  sollevata,  rimanda  al  conflitto,
gravido di implicazioni etiche oltreche' giuridiche, tra  il  diritto
della scienza (e i vantaggi della ricerca ad  esso  collegati)  e  il
diritto dell'embrione, per il profilo della tutela (debole  o  forte)
ad esso dovuta in ragione e in misura del (piu' o meno  ampio)  grado
di  soggettivita'  e  di  dignita'  antropologica   che   gli   venga
riconosciuto. 
    Un conflitto, in  ordine  alla  cui  soluzione  i  giuristi,  gli
scienziati e la stessa societa' civile sono profondamente divisi.  Ed
anche le legislazioni, i comitati etici e le commissioni speciali dei
molti Paesi che hanno  affrontato  il  problema,  approfondendone  le
implicazioni, sono ben lungi dell'essere pervenuti a risultati su cui
converga un generale consenso. 
    8.2.- Nel nostro ordinamento, la possibilita' di creare  embrioni
non portati a nascita - embrioni comunemente definiti  soprannumerari
o residuali - e' venuta ad emersione, sul  piano  giuridico,  con  la
sentenza  di  questa  Corte  n.  151  del  2009,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2, della legge n.
40 del 2004, nella parte in cui vietava la produzione di embrioni  in
numero superiore a tre e ne imponeva, comunque, la destinazione ad un
unico e contemporaneo  impianto.  Ed  ha,  in  conseguenza  di  cio',
derogato al divieto di crioconservazione sancito,  in  via  generale,
nel precedente comma 1 della stessa disposizione,  in  ragione  della
necessita' del ricorso alla tecnica di congelamento,  nei  centri  di
PMA, con riguardo, appunto, agli embrioni prodotti ma non impiantati. 
    Il numero degli embrioni residuali  privi  di  trasferimento,  in
particolare perche' malati,  risulta  poi  virtualmente  ampliato  in
conseguenza e per effetto della successiva sentenza n. 96  del  2015.
La quale - nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt.
1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, nella parte
in cui non consentivano il ricorso alle tecniche di PMA  alle  coppie
fertili, portatrici di malattie genetiche trasmissibili,  rispondenti
ai medesimi criteri di gravita' di cui all'art. 6, comma  1,  lettera
b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la  tutela  sociale
della maternita' e sull'interruzione volontaria della  gravidanza)  -
ha con cio' reso possibile la diagnosi preimpianto, al  fine  appunto
di evitare il trasferimento, in utero  della  donna,  degli  embrioni
affetti da siffatte patologie genetiche. Per i quali  anche  risulta,
di conseguenza, derogato il divieto di crioconservazione. 
    Infine,  con  la  sentenza  n.  229  del  2015,   questa   Corte,
intervenendo in ambito penale - oltre a  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n.
40 del 2004 (sul reato di selezione degli embrioni),  in  (esclusiva)
correlazione al contenuto della precedente sentenza n. 96 del 2015  -
ha, invece, escluso la fondatezza della questione (contestualmente in
quel giudizio sollevata) di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
commi 1 e 6, della stessa legge, che vieta penalmente  sanzionandola,
la condotta di soppressione degli  embrioni,  anche  ove  affetti  da
malattia genetica. E cio', sulla premessa che l'embrione, «quale  che
ne sia il, piu' o meno ampio, riconoscibile  grado  di  soggettivita'
correlato alla genesi della vita, non e' certamente riducibile a mero
materiale biologico»; e sulla base della considerazione per  cui  «il
vulnus alla tutela della dignita' dell'embrione  (ancorche')  malato,
quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova [...]
giustificazione, in termini di contrappeso,  nella  tutela  di  altro
interesse antagonista». 
    8.2.1.- Conclusivamente  emerge  dalla  ricordata  giurisprudenza
che: 
    la dignita'  dell'embrione,  quale  entita'  che  ha  in  se'  il
principio della  vita  (ancorche'  in  uno  stadio  di  sviluppo  non
predefinito dal legislatore e tuttora  non  univocamente  individuato
dalla  scienza),  costituisce,  comunque,  un   valore   di   rilievo
costituzionale «riconducibile al precetto generale dell'art. 2 Cost.»
(sentenza n. 229 del 2015); 
    la tutela dell'embrione non  e'  suscettibile  di  affievolimento
(ove e) per il solo fatto  che  si  tratti  di  embrioni  affetti  da
malformazione genetica, e nella stessa e' stata individuata la  ratio
della norma penale (art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 del 2004)
incriminatrice della  condotta  di  soppressione  anche  di  embrioni
ammalati non impiantabili (sentenza n. 229 del 2015); 
    come  ogni  altro  valore   costituzionale,   anche   la   tutela
dell'embrione e' stata ritenuta soggetta a bilanciamento,  specie  al
fine della «tutela delle esigenze della  procreazione»  ed  a  quella
della salute della donna (sentenze n. 151 del 2009 e n. 96 del 2015). 
    Correttamente premette, dunque, il rimettente come sia "nuova"  a
questa Corte (e neppure implicitamente coinvolta dalle precedenti sue
pronunzie)  la  questione,  che  ora  egli  solleva,   «inerente   il
bilanciamento costituzionalmente ragionevole tra tutela dell'embrione
e interesse alla ricerca scientifica finalizzata  alla  tutela  della
salute (individuale e collettiva)». 
    9.- Il  divieto  di  sperimentazione  sugli  embrioni,  contenuto
nell'art. 13 della legge n. 40 del 2004, era stato - come e'  noto  -
parallelamente,  per  altro,  censurato   innanzi   alla   Corte   di
Strasburgo, per contrasto con gli artt. 8 della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), e 1 del  Protocollo
addizionale. 
    La correlativa causa  (Parrillo  contro  Italia)  e'  stata,  nel
frattempo, decisa dalla Grande Chambre con  sentenza  del  27  agosto
2015. 
    La  Corte  europea  ha  dichiarato,  con  detta   sentenza,   non
ricevibile il ricorso della parte per  il  profilo  della  denunciata
violazione dell'art. 1 del  Protocollo  addizionale  (che  tutela  il
diritto della persona al rispetto dei suoi beni). E  cio'  ha  fatto,
lasciando deliberatamente in  disparte  la  «delicata  e  controversa
questione del momento  in  cui  inizia  la  vita  umana»,  ritenendo,
viceversa, decisiva ed assorbente la considerazione che gli  embrioni
non possono essere ricondotti al rango di "beni"(«human  embryos  can
not  be  reduced  to  "possessions"  within  the  meaning   of   that
provvision»). 
    Ha escluso poi (con un unico voto  dissenziente)  la  prospettata
violazione dell'art. 8  della  CEDU,  sul  rilievo  che  il  diritto,
invocato dalla ricorrente, di donare gli embrioni (da  lei  prodotti)
alla ricerca scientifica non trova copertura in quella  disposizione,
in  quanto  non  riguarda  un  aspetto   particolarmente   importante
dell'esistenza e della identita' della ricorrente medesima («it  does
not concern  a  particularly  important  aspect  of  the  applicant's
existence and identity»). 
    Nella stessa sentenza,  la  Corte  di  Strasburgo,  ha,  comunque
osservato, in  premessa,  che  la  questione  della  donazione  degli
embrioni  non  destinati  a  impianto  solleva  chiaramente  delicate
questioni morali ed etiche e che i documenti di diritto comparato  di
cui dispone dimostrano che, contrariamente a quanto  affermato  dalla
ricorrente,  non  esiste  un  vasto  consenso  europeo   in   materia
(paragrafo 176). Infatti,  mentre  diciassette,  dei  quaranta  Stati
membri dei quali la Corte possiede  informazione  hanno  adottato  un
approccio permissivo in questo campo  (paragrafo  177),  altri  Paesi
hanno leggi che vietano espressamente qualunque ricerca sulle cellule
embrionali, ed altri ancora consentono la ricerca  in  discussione  a
condizioni rigorose  (paragrafo  178).  L'Italia  non  e',  pertanto,
l'unico Stato membro del Consiglio d'Europa che vieta la donazione di
embrioni umani alla ricerca scientifica (paragrafo 179).  Ed  e'  per
tali motivi che la Corte ritiene che il Governo  non  abbia  ecceduto
l'ampio margine di discrezionalita' di cui godeva nel caso di  specie
(paragrafo 197). 
    10.- Senza, dunque, entrare in collisione con i parametri europei
(non  direttamente,  per  altro,  in  questo  giudizio  evocati)   il
legislatore italiano del 2004 ha correlato  la  tutela  dell'embrione
alla ricerca scientifica, disponendo (cosi' testualmente sub comma  2
del denunciato art. 13 della legge n. 40) che «La ricerca  clinica  e
sperimentale su ciascun embrione umano e' consentita a condizione che
si perseguano finalita' esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad
essa collegate  volte  alla  tutela  della  salute  e  allo  sviluppo
dell'embrione stesso, e qualora  non  siano  disponibili  metodologie
alternative». 
    Ancorche' il  referendum  popolare  abrogativo  di  detta  norma,
dichiarato ammissibile con sentenza di questa Corte n. 46  del  2005,
non abbia poi avuto esito positivo  per  la  mancata  partecipazione,
alla relativa votazione, della maggioranza degli aventi  diritto,  e'
proseguito, in termini di sempre piu'  accentuata  divaricazione,  il
dibattito - in ambito scientifico e  giuridico,  oltreche'  nel  piu'
ampio contesto della societa' civile - sulla stessa ragionevolezza  o
meno della correlazione, come  sopra  operata,  dalla  normativa  ora
oggetto di scrutinio in relazione ai plurimi precetti  costituzionali
di cui e' ricognizione nell'ordinanza di rimessione. 
    10.1.- Nella prospettiva critica alla quale aderisce il Tribunale
a quo -  e  che  detto  giudice  risolve,  appunto  nel  sospetto  di
illegittimita' costituzionale (dei primi tre commi) del  citato  art.
13 della legge n. 40 del 2004 - si  e',  tra  l'altro,  sostenuto  in
varie sedi, dottrinarie e scientifiche: 
    che, a fronte dell'inevitabile estinzione cui vanno incontro  gli
embrioni   non   impiantabili   (esistenze   "in   nuce"    destinate
all'ibernazione indefinita, prive di una reale possibilita' di venire
al mondo), il bilanciamento dovrebbe piu' ragionevolmente operarsi  a
favore della destinazione di tali embrioni agli scopi di una  ricerca
scientifica suscettibile di salvare la  vita  di  milioni  di  esseri
umani; 
    che una  tale  destinazione  manifesti,  nella  situazione  sopra
descritta, un rispetto per  la  vita  umana  ben  superiore  al  mero
"lasciar perire", dando un senso  socialmente  utile  alla  futura  e
inevitabile distruzione dell' embrione; 
    che l'auspicata cedevolezza dei  diritti  dell'embrione  rispetto
alle esigenze della scienza inquadrerebbe la vicenda  degli  embrioni
soprannumerari,  non  destinati  all'impianto,  in  una   prospettiva
umanitaria e solidaristica, riconducibile  all'area  di  operativita'
del precetto dell'art. 2 Cost.; 
    che, del resto, anche alle persone viventi non  sarebbe  precluso
di sottoporsi a sperimentazione. 
    10.2.-  Sul  fronte  opposto  si  e',  viceversa,   tra   l'altro
sottolineato: 
    che l'utilizzo  e  la  manipolazione  dell'embrione  umano,  come
oggetto di ricerca, implicherebbe  la  sua  distruzione  in  evidente
contrasto con l'idea  che  esso  possa  essere  considerato  come  un
soggetto che ha fin dall'inizio la dignita' di persona; 
    che, gia' solo in ossequio ad un "principio  di  precauzione",  a
fronte della possibilita'  che  l'embrione  sia  ben  piu'  che  mero
materiale biologico, lo scienziato dovrebbe decidere non gia' di "non
fare", ma di "fare altro"; 
    che esisterebbero infatti, percorsi alternativi, come quelli,  ad
esempio, che orientano la ricerca in  direzione  di  una  tecnica  di
regressione  delle  cellule  somatiche  adulte  fino  ad  uno  stadio
prossimo a quello embrionale, o  comunque  dell'utilizzo  di  cellule
staminali umane; 
    che sarebbe, comunque, giuridicamente  inaccettabile  la  pretesa
dei genitori di considerarsi "proprietari" degli embrioni che abbiano
generato come se questi fossero mero materiale biologico e  non  loro
figli, e che si dona (a fini di ricerca scientifica)  "qualcosa",  ma
non si dona "qualcuno", sia pure allo stato embrionale; 
    che, inoltre, la  sperimentazione  si  basa  necessariamente  sul
consenso informato  del  paziente  e,  quindi,  quella  sull'embrione
sarebbe illecita, dato che questi, qualora sia  considerato  persona,
non puo' prendere una decisione su cio' che lo concerne,  tanto  meno
quando questa implichi la sua estinzione; 
    che,  comunque,  seppur  la  crioconservazione  non   e'   misura
sufficiente a preservare gli embrioni dalla loro naturale estinzione,
il rispetto dovuto alla vita (ancorche' solo "in nuce") non  dovrebbe
consentire di equiparare l'"uccidere" al "lasciar morire". 
    11.- A fronte, dunque, di quella che qualcuno  ha  definito  "una
scelta tragica", tra il rispetto del principio  della  vita  (che  si
racchiude nell'embrione ove pur affetto da patologia) e  le  esigenze
della ricerca scientifica - una  scelta,  come  si  e'  detto,  cosi'
ampiamente divisiva sul piano etico e scientifico, e  che  non  trova
soluzioni  significativamente  uniformi  neppure  nella  legislazione
europea - la linea di composizione tra gli opposti interessi, che  si
rinviene  nelle  disposizioni  censurate,  attiene   all'area   degli
interventi, con cui il legislatore, quale interprete  della  volonta'
della collettivita', e' chiamato a tradurre, sul piano normativo,  il
bilanciamento tra valori fondamentali  in  conflitto,  tenendo  conto
degli orientamenti e delle istanze  che  apprezzi  come  maggiormente
radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale. 
    Cio' che, del resto, e' avvenuto in tutti  quegli  Stati  europei
che, come ricordato dalla Corte di  Strasburgo,  «hanno  adottato  un
approccio permissivo»  nei  confronti  della  ricerca  sulle  cellule
embrionali, nei quali ad una siffatta opzione si e' addivenuti sempre
e soltanto per via legislativa. 
    E' quella, dunque, recata dalla normativa impugnata una scelta di
cosi' elevata discrezionalita', per  i  profili  assiologici  che  la
connotano, da sottrarsi, per cio'  stesso,  al  sindacato  di  questa
Corte. 
    Per di piu', una diversa ponderazione dei  valori  in  conflitto,
nella direzione, auspicata dal rimettente, di una  maggiore  apertura
alle esigenze della collettivita' correlate  alle  prospettive  della
ricerca scientifica, non potrebbe  comunque  introdursi  nel  tessuto
normativo per via di un intervento additivo da parte di questa  Corte
(come quello  che  si  richiede  dal  Tribunale  a  quo),  stante  il
carattere non "a rima obbligata" di un tale intervento. 
    Il  differente  bilanciamento  dei  valori  in   conflitto,   che
attraverso l'incidente di costituzionalita' si vorrebbe sovrapporre a
quello presidiato dalla normativa scrutinata, non potrebbe,  infatti,
non attraversare (e misurarsi con) una serie  di  molteplici  opzioni
intermedie, che resterebbero, anch'esse, inevitabilmente riservate al
legislatore. 
    Unicamente al legislatore, infatti,  compete  la  valutazione  di
opportunita' (sulla base anche delle "evidenze  scientifiche"  e  del
loro raggiunto grado di condivisione  a  livello  sovranazionale)  in
ordine, tra l'altro, alla utilizzazione, a fini di ricerca, dei  soli
embrioni affetti da malattia - e da quali malattie - ovvero anche  di
quelli  scientificamente  "non  biopsabili";  alla  selezione   degli
obiettivi e delle specifiche finalita' della ricerca suscettibili  di
giustificare il "sacrificio"  dell'embrione;  alla  eventualita',  ed
alla  determinazione  della  durata,  di   un   previo   periodo   di
crioconservazione; alla opportunita' o meno (dopo tali periodi) di un
successivo interpello della coppia, o della donna, che  ne  verifichi
la  confermata  volonta'  di  abbandono  dell'embrione   e   di   sua
destinazione  alla  sperimentazione;  alle  cautele  piu'  idonee  ad
evitare la "commercializzazione" degli embrioni residui. 
    12.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
commi da 1 a 3, della legge n. 40 del 2004 e' pertanto, a sua  volta,
sotto entrambi i delineati profili, inammissibile.