ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
terzo, della legge della Regione  siciliana  6  luglio  1976,  n.  79
(Provvedimenti  intesi  a  favorire  la   piu'   ampia   informazione
democratica  sull'attivita'  della  Regione),  promosso  dalla  Corte
d'appello di Palermo, sezione lavoro, nel procedimento  vertente  tra
G.F. ed altro e la Presidenza della Regione siciliana ed  altro,  con
ordinanza del  4  maggio  2015,  iscritta  al  n.  188  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di costituzione di G.F. ed altro; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2016 il Giudice relatore
Giuliano Amato; 
    udito l'avvocato Gaetano Armao per G. F. ed altro. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza emessa il 4 maggio 2015, la Corte d'appello  di
Palermo, sezione  lavoro,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma terzo, della legge  della  Regione
Siciliana 6 luglio 1976, n. 79 (Provvedimenti intesi  a  favorire  la
piu' ampia informazione democratica  sull'attivita'  della  Regione),
nella parte in cui  stabilisce  che  la  nomina  e  l'assunzione  dei
giornalisti preposti all'Ufficio stampa e  documentazione  presso  la
Presidenza della  Regione  avvenga  al  di  fuori  di  una  procedura
concorsuale. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata  si  porrebbe
in contrasto con gli artt. 3 e 97, terzo comma,  della  Costituzione.
Essa conterrebbe la previsione dell'instaurazione di un  rapporto  di
lavoro  pubblico   subordinato   alle   dipendenze   della   Regione,
prescindendo  da  qualsiasi  procedura  concorsuale.   Non   sarebbe,
pertanto,   garantito,   attraverso   la   scelta   delle    migliori
professionalita', il buon andamento della pubblica amministrazione  e
verrebbe introdotta un'ingiustificata disparita' di  trattamento  con
la generalita' dei cittadini aspiranti a pubblici impieghi. 
    2.- Riferisce la Corte d'appello che il giudizio  a  quo  ha  per
oggetto il reclamo avverso la sentenza  del  Tribunale  ordinario  di
Palermo  che  ha  rigettato  l'opposizione   delle   medesime   parti
reclamanti   avverso   la   comunicazione   della   loro   cessazione
dall'incarico di giornalisti addetti  all'ufficio  stampa  presso  la
Presidenza della Regione siciliana. In particolare, qualificando tale
atto come un vero e proprio licenziamento, essi hanno chiesto che  ne
sia dichiarata la  nullita',  o  comunque  l'illegittimita',  con  le
conseguenti statuizioni previste dall'art. 18 della legge  20  maggio
1970, n. 300 (Norme  sulla  tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei
lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita'  sindacale  nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento). 
    Il giudice a quo evidenzia, inoltre, che - con ordinanza  n.  146
del 2014 - questa  Corte  ha  dichiarato  inammissibile  la  medesima
questione di legittimita' costituzionale sollevata, nel  primo  grado
dello stesso giudizio, dal Tribunale ordinario di Palermo il quale, a
seguito della riassunzione del processo,  dapprima  ha  rigettato  le
impugnative   di   licenziamento   proposte   dai    ricorrenti    e,
successivamente,  ha  respinto  l'opposizione   avverso   l'ordinanza
conclusiva della fase sommaria. 
    Il rimettente, dopo avere esaminato il contenuto del rapporto tra
i reclamanti e l'amministrazione regionale, ritiene  che  esso  debba
essere  ricondotto  alla  figura  tipica  del  rapporto   di   lavoro
subordinato, ravvisando tutti gli elementi sintomatici che concorrono
a configurare il rapporto di impiego  pubblico;  sussisterebbero,  in
particolare, il vincolo di subordinazione  gerarchica,  l'inserimento
stabile nell'organizzazione dell'ente, l'utilizzazione sulla base  di
ordini di servizio o atti equivalenti, nel quadro  di  un  orario  di
lavoro predeterminato, la stabilita' e continuita' del corrispettivo,
l'esclusivita' nella prestazione dell'attivita' lavorativa. 
    All'epoca delle nomine dei reclamanti, la disposizione censurata,
applicabile ratione temporis, prevedeva la procedura per la nomina di
tali giornalisti, la quale comprendeva - fermo restando il  requisito
dell'iscrizione da almeno tre  anni  all'ordine  professionale  -  il
parere favorevole della Commissione  legislativa  permanente  per  le
questioni  istituzionali   presso   l'Assemblea   regionale,   l'atto
d'assenso della Giunta regionale e l'emissione del  provvedimento  di
nomina da parte del Presidente della Regione. 
    Rileva la Corte d'appello che tale disciplina e' stata modificata
molto  tempo  dopo  l'assunzione  dei  reclamanti  e  che,  pertanto,
risulterebbe ininfluente, nel giudizio a quo, la normativa introdotta
dalla legge statale 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attivita'
di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni) e
dall'art. 127 della legge della Regione siciliana 26 marzo 2002, n. 2
(Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2002),  con  la
quale e' stata recepita la disciplina nazionale.  D'altra  parte,  ad
avviso del giudice a quo, anche laddove si ritenesse  che  l'art.  11
della legge  regionale  n.  79  del  1976  sia  stato  implicitamente
abrogato dalla successiva disciplina,  cio'  non  potrebbe  incidere,
ratione temporis, sulla vicenda dei reclamanti. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata  deve  essere
interpretata nel senso di prevedere la costituzione tra la Regione  e
i giornalisti addetti al suo ufficio stampa di un rapporto di  lavoro
subordinato, trattandosi di posti di organico  istituiti  con  legge.
Soltanto  cosi'  potrebbe  intendersi   il   testuale   richiamo   al
«trattamento normativo ed economico previsto dal contratto collettivo
nazionale di lavoro per i giornalisti, in relazione  alle  qualifiche
di  equiparazione»,  che  viene  ribadito  dalle   successive   leggi
regionali, precedenti alla nomina dei  ricorrenti,  che  regolano  la
materia. 
    La disposizione dell'art.  11  non  si  limiterebbe,  infatti,  a
stabilire un mero parametro  di  natura  economica  in  relazione  al
compenso dei giornalisti dell'ufficio stampa regionale, ma renderebbe
applicabile a tale rapporto di lavoro l'intero trattamento  normativo
ed economico previsto dal contratto collettivo  nazionale  di  lavoro
dei giornalisti, in relazione alle qualifiche di equiparazione. 
    Ad avviso del giudice a quo, tale ultima previsione dimostrerebbe
che il rapporto di lavoro previsto dalla disposizione censurata e' un
rapporto di lavoro subordinato: il contratto collettivo nazionale  di
lavoro dei giornalisti, infatti,  non  prevede  qualifiche  e  figure
professionali di lavoratori autonomi,  ad  eccezione  di  coloro  che
collaborano solo in modo occasionale con una  testata  giornalistica,
ipotesi ontologicamente  diversa  rispetto  al  rapporto,  di  natura
continuativa, previsto per l'addetto all'ufficio stampa della Regione
siciliana. 
    Tale ricostruzione troverebbe conferma anche nell'interpretazione
che la Regione ha dato dell'art. 11, attraverso l'applicazione  -  ai
giornalisti cosi' nominati - dell'intera disciplina dei  rapporti  di
lavoro subordinato, anche in relazione  all'orario  di  lavoro,  alle
assenze, alla concessione di ferie e permessi  e  al  versamento  dei
contributi previdenziali e assistenziali. 
    2.1.- In punto di rilevanza, la Corte d'appello afferma che dalla
illegittimita'   costituzionale   della   disposizione    in    esame
discenderebbero  la  nullita'  del  rapporto  e   la   qualificazione
dell'attivita' prestata  da  tali  giornalisti  come  prestazione  di
fatto, ai sensi dell'art. 2126 del codice civile Andrebbe,  pertanto,
esclusa l'applicazione della disciplina limitativa dei  licenziamenti
e la tutela reintegratoria di cui all'art. 18 della legge n. 300  del
1970, invocata, in via principale, dai reclamanti. 
    Viceversa, se l'art. 11, comma terzo, della legge regionale n. 79
del 1976 fosse ritenuto costituzionalmente legittimo, il rapporto  di
lavoro  subordinato  costituitosi  fra  i  reclamanti  e  la  Regione
siciliana sarebbe valido ed efficace ed il giudice dovrebbe  valutare
la legittimita' del recesso del Presidente della  Regione  alla  luce
della disciplina in materia di licenziamenti, con le  conseguenze  da
essa previste in caso di  violazione,  tra  le  quali  l'applicazione
dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970. 
    2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  il
rimettente  ravvisa  il  contrasto   della   disposizione   regionale
censurata con gli artt. 3 e 97, comma terzo, Cost. 
    In  particolare,  la  mancata   previsione   di   una   procedura
concorsuale - ai fini della nomina e della costituzione  di  rapporti
di  lavoro  subordinato  alle  dipendenze   di   un   ente   pubblico
territoriale - determinerebbe la violazione del principio secondo cui
«agli impieghi nelle pubbliche  amministrazioni  si  accede  mediante
concorso». 
    La   disposizione   censurata,   infatti,   non   prevede   alcun
procedimento concorsuale o comunque selettivo, rivolto al pubblico  o
a una determinata categoria di soggetti, bensi'  solo  una  procedura
relativa ad autorizzazioni e  pareri  necessari  per  procedere  alla
nomina. Essa, ad avviso  del  rimettente,  e'  volta  a  regolare  il
consenso dell'amministrazione rispetto alla richiesta di  assunzione,
ma non contempla in alcun modo una selezione tra piu'  candidati  con
valutazione  comparativa  dei  rispettivi  titoli  professionali.  Si
tratterebbe,  in  definitiva,  di  un  meccanismo  di  ingresso   per
cooptazione, in cui la scelta del candidato viene rimessa ad un  atto
potestativo  dell'autorita'  regionale,  in  mancanza  di   qualsiasi
criterio selettivo di natura obiettiva. 
    La  Corte  d'appello  ritiene,  inoltre,  che   la   disposizione
censurata  non  possa  essere  ricondotta  alle  ipotesi  di   deroga
legittima al principio secondo cui  «agli  impieghi  nelle  pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso». Tali deroghe,  infatti,
- seppure previste espressamente dallo stesso art. 97,  terzo  comma,
Cost. - devono essere «delimitat[e] in modo  rigoroso»  (sentenze  n.
215 del 2009 e n.  363  del  2006).  Esse  si  giustificano  solo  in
presenza di «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico»
(sentenza n. 81 del 2006), e a condizione che siano previsti adeguati
accorgimenti per assicurare comunque che il personale  assunto  abbia
la  professionalita'  necessaria   allo   svolgimento   dell'incarico
(sentenze n. 225 del 2010 e n. 215 del 2009). La deroga al  principio
del concorso pubblico, pertanto, deve essere essa  stessa  funzionale
alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (sentenza n. 293
del 2009). 
    Viceversa, ad  avviso  della  Corte  d'appello,  la  disposizione
censurata non indica quali siano le peculiari e straordinarie ragioni
di  interesse  pubblico  che  avrebbero  indotto  il  legislatore   a
discostarsi dalla regola del pubblico concorso. Inoltre, essa  -  nel
prevedere come unico requisito una minima  anzianita'  di  iscrizione
all'albo, senza alcun riferimento ad una valutazione  comparativa  di
titoli professionali - non sarebbe rispettosa dei principi  enunciati
dalla  giurisprudenza   costituzionale   in   ordine   alle   deroghe
consentite. 
    In riferimento alla denunciata violazione dell'art. 3  Cost.,  la
Corte d'appello ritiene che  la  previsione  di  un'assunzione  nella
pubblica amministrazione, al di  fuori  della  regola  del  concorso,
valevole  per   la   generalita'   dei   cittadini,   introduca   una
irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento  con  tutti
coloro che aspirino al pubblico impiego. 
    3.- Sono intervenute in giudizio le parti reclamanti del giudizio
a quo, le quali  hanno  chiesto  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata dal rimettente sia dichiarata non fondata. 
    Le parti intervenienti affermano che il rapporto  intercorso  con
la  Regione   debba   qualificarsi   come   lavoro   subordinato   in
considerazione  della  normativa  che  disciplina  l'ufficio  stampa.
Tuttavia, la mancata previsione dell'accesso  mediante  concorso  non
violerebbe l'art. 97 Cost., in quanto sarebbe pur sempre prevista una
procedura «paraconcorsuale», aperta a qualsiasi interessato  e  volta
ad accertare la sussistenza dei requisiti. 
    D'altra  parte,  nel  caso  in  esame,  la   mancata   previsione
dell'espletamento di una procedura concorsuale  sarebbe  giustificata
dalla peculiarita' delle professionalita' da  reclutare  (giornalisti
professionisti), nonche' dall'esigenza di assicurare  la  continuita'
del  funzionamento  dell'ufficio  stampa,  che   altrimenti   sarebbe
compromessa dai tempi necessari  all'espletamento  del  concorso.  Ad
avviso dei  reclamanti,  ricorrerebbero,  quindi,  i  presupposti  in
presenza  dei  quali   la   giurisprudenza   costituzionale   ritiene
ammissibile la deroga al principio del concorso. 
    Le parti private  chiedono,  comunque,  che  tale  principio  sia
bilanciato con quello del legittimo affidamento, quale corollario del
principio di certezza del diritto, in considerazione del lungo  tempo
per il quale il rapporto in esame si e', in concreto, protratto. 
    Viene, infine, evidenziato che ai giornalisti addetti all'ufficio
stampa si applica non  gia'  il  contratto  collettivo  regionale  di
lavoro dei dipendenti della Regione, bensi' il  contratto  collettivo
nazionale di lavoro dei  giornalisti,  espressamente  richiamato  dal
decreto di assunzione. Pertanto, in base  alla  giurisprudenza  della
Corte di cassazione, non troverebbe applicazione la disciplina  della
necessaria assunzione tramite concorso pubblico, in quanto i rapporti
di lavoro in esame  sono  disciplinati  da  contratti  collettivi  di
natura privatistica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza emessa il 4 maggio 2015, la Corte d'appello  di
Palermo, sezione  lavoro,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma terzo, della legge  della  Regione
siciliana 6 luglio 1976, n. 79 (Provvedimenti intesi  a  favorire  la
piu' ampia informazione democratica  sull'attivita'  della  Regione),
nella parte in cui  stabilisce  che  la  nomina  e  l'assunzione  dei
giornalisti preposti all'Ufficio stampa e  documentazione  presso  la
Presidenza della  Regione  avvenga  al  di  fuori  di  una  procedura
concorsuale. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata  si  porrebbe
in contrasto con gli artt. 3 e 97, terzo comma,  della  Costituzione.
Essa conterrebbe la previsione dell'instaurazione di un  rapporto  di
lavoro  pubblico   subordinato   alle   dipendenze   della   Regione,
prescindendo  da  qualsiasi  procedura  concorsuale.   Non   sarebbe,
pertanto,   garantito,   attraverso   la   scelta   delle    migliori
professionalita', il buon andamento della pubblica amministrazione  e
verrebbe introdotta una ingiustificata disparita' di trattamento  con
la generalita' dei cittadini aspiranti a pubblici impieghi. 
    2.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  11,
comma terzo, della legge della Regione siciliana n. 79  del  1976  e'
inammissibile. 
    2.1- In via preliminare, va rilevato che il giudice a  quo,  dopo
avere esaminato il contenuto del rapporto intercorso tra i reclamanti
e l'amministrazione regionale, ritiene che in  esso  ricorrano  tutti
gli elementi sintomatici che concorrono a configurare il rapporto  di
lavoro subordinato alle dipendenze dell'amministrazione. 
    Va tuttavia rilevato che il  tenore  letterale  del  terzo  comma
dell'art.  11  della  legge  n.  79  del  1976  non  contiene  alcuna
indicazione dalla quale inferire, come  conseguenza  necessitata  dal
contenuto precettivo della norma, il connotato  della  subordinazione
ne', a fortiori, la costituzione di un rapporto di impiego pubblico. 
    La motivazione dell'ordinanza di rimessione  non  offre  elementi
che consentano di ritenere che la stessa qualificazione in termini di
subordinazione, oltre che positivamente verificata nella  fattispecie
concreta sottoposta all'esame del giudice  a  quo,  sia  imposta  dal
contenuto precettivo della norma censurata. 
    Non  viene  infatti  considerata,  neppure  per  confutarla,  una
diversa interpretazione della disposizione - gia' sperimentata  dalla
Corte dei conti in sede giurisdizionale - secondo la quale le  stesse
modalita' di nomina ivi previste, che prescindono  da  una  procedura
selettiva, nonche' la  circostanza  che  l'ufficio  stampa  sia  alle
dirette dipendenze del Presidente della  Regione,  attesterebbero  la
volonta' del legislatore regionale  di  configurare  un  rapporto  di
collaborazione professionale autonoma e di tipo fiduciario. 
    Secondo questa interpretazione, la disciplina in esame  qualifica
il rapporto tra l'amministrazione regionale siciliana ed  giornalisti
del suo ufficio stampa in termini di collaborazione  autonoma,  sulla
base  di  determinanti  elementi  di  fiduciarieta',  trattandosi  di
incarichi inerenti  all'organizzazione  ed  al  funzionamento  di  un
ufficio posto alle dirette dipendenze della Presidenza della Regione. 
    Nelle  ricordate  pronunce  della  Corte  dei   conti   in   sede
giurisdizionale, e' stato evidenziato, tra l'altro, che i giornalisti
addetti all'ufficio stampa regionale non figurano iscritti in  alcuno
dei ruoli  organici  del  personale  dipendente  dall'amministrazione
regionale e che nei medesimi ruoli organici non  e'  compresa  alcuna
"area" relativa a "dipendenti" in servizio presso la Regione  assunti
con la qualifica funzionale di "giornalista" o ad essa assimilata. 
    D'altra parte, il riferimento - contenuto  nel  primo  comma  del
medesimo art. 11 - al trattamento giuridico e normativo previsto  dal
contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro   dei   giornalisti   e'
ricorrente per le  prestazioni  rese  da  giornalisti  in  favore  di
pubbliche amministrazioni. Esso, lungi dal costituire un indice della
natura subordinata del rapporto, appare  destinato  a  stabilire  uno
specifico parametro oggettivo al quale  commisurare  il  compenso  da
corrispondere ai giornalisti addetti  a  tali  uffici,  tenuto  conto
della loro possibile composizione «eterogenea», in quanto comprensiva
di rapporti di collaborazione autonoma. 
    Tali  caratteri  degli  uffici   stampa   delle   amministrazioni
pubbliche saranno esplicitamente riconosciuti dalla  legge  7  giugno
2000, n.  150  (Disciplina  delle  attivita'  di  informazione  e  di
comunicazione delle pubbliche amministrazioni)  la  quale  detta,  in
materia, una disciplina sistematica. Viene espressamente previsto che
tali uffici - che la legge della Regione siciliana 29 dicembre  1980,
n. 145 (Norme  sull'organizzazione  amministrativa  e  sul  riassetto
dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione
regionale)  aveva   gia'   configurato   come   uffici   di   diretta
collaborazione - siano composti, sia da personale di  ruolo,  sia  da
personale esterno. 
    Va,  infine,  rilevato  che,  ai  fini  della  valutazione  della
legittimita' della disposizione censurata, non rileva la connotazione
in concreto assunta dal rapporto  intercorso  tra  le  parti,  ed  in
particolare l'eventuale scostamento del rapporto di  fatto,  nel  suo
concreto  atteggiarsi,  dal  modello  prefigurato   dal   legislatore
regionale. L'effettivo svolgimento del rapporto di  lavoro  in  esame
nelle  forme  della  subordinazione,  positivamente  riscontrate  dal
giudice a quo, non costituisce, infatti, una conseguenza  necessitata
dall'applicazione della norma censurata. 
    Al   contrario,   cio'   potrebbe   determinare,   in    ipotesi,
l'invalidita' del rapporto di lavoro per violazione di  quelle  norme
imperative, le quali pongono la condizione del pubblico concorso  per
le assunzioni a tempo indeterminato, nonche' il divieto di  procedere
ad assunzioni di personale non di ruolo o fuori organico. 
    Da tale invalidita' discenderebbe,  come  rilevato  dallo  stesso
giudice a quo, l'applicabilita' della disciplina di  cui  agli  artt.
2126 e 2129 del codice civile In tal caso, pero', sarebbe esclusa  la
necessita'  di  fare  applicazione  della  disposizione  censurata  e
verrebbe  meno  la  rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    2.2.- Va inoltre rilevato, sotto un diverso ed ulteriore profilo,
che  l'ordinanza  di  rimessione,  pur   riconoscendo   l'intervenuta
abrogazione  implicita  della  disposizione  censurata  per   effetto
dell'art. 9 della legge statale n. 150  del  2000,  e  dell'art.  127
della legge  regionale  n.  2  del  2002,  non  fornisce  un'adeguata
motivazione della rilevanza della questione ai fini  della  decisione
in ordine alla domanda di ricostituzione  de  iure  del  rapporto  di
lavoro. Tale domanda  e'  volta,  infatti,  all'integrale  ripristino
dell'originario  contenuto  contrattuale,  in  tutte  le   condizioni
preesistenti alla sua risoluzione. Questo risultato potrebbe  essere,
tuttavia, precluso dalla sopravvenuta modifica del  quadro  normativo
in base al quale il rapporto era stato concluso e,  conseguentemente,
difetterebbe anche per questa ragione la rilevanza della questione di
legittimita'.