ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma
21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  promosso   dal   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento  vertente  tra
A.F. ed altri e il  Ministero  dell'interno,  con  ordinanza  del  28
maggio 2014, iscritta  al  n.  220  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  51,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti l'atto di costituzione di A.F. ed altri, nonche' l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2016 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    udito l'avvocato Luigi Strano per  A.F.  ed  altri  e  l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Grasso  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 maggio 2014, il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36,
53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 21,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella  parte  in  cui
stabilisce,  al  terzo  periodo,  che  «Per  il  personale   di   cui
all'articolo 3 del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e
successive  modificazioni  le  progressioni  di   carriera   comunque
denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013  hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». 
    1.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto,  di
essere  investito  del   ricorso   proposto   contro   il   Ministero
dell'interno da  alcuni  appartenenti  al  personale  della  carriera
prefettizia,  i  quali,  gia'  viceprefetti  aggiunti,  erano   stati
promossi  viceprefetti  con  decorrenza  dal  1°  gennaio  2012,  per
l'accertamento del diritto a percepire, a decorrere da tale data,  il
trattamento economico corrispondente alla  superiore  qualifica  loro
conferita, in difetto dell'adozione, da  parte  dell'amministrazione,
di provvedimenti al riguardo. 
    Il Tribunale amministrativo regionale precisa  che  i  ricorrenti
fondano  l'azionata  pretesa  sull'art.  7,  comma  4,  del   decreto
legislativo 19 maggio  2000,  n.  139  (Disposizioni  in  materia  di
rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma
dell'articolo 10 della L. 28 luglio 1999, n. 266),  secondo  cui  «Le
promozioni alla qualifica  di  viceprefetto  decorrono  agli  effetti
giuridici ed economici dal 1° gennaio dell'anno successivo  a  quello
nel quale si sono verificate le vacanze»,  sostenendo,  al  contempo,
l'inapplicabilita' ai viceprefetti delle misure di contenimento della
spesa in materia di pubblico impiego previste dal censurato  art.  9,
comma 21,  del  d.l.,  n.  78  del  2010.  Tale  inapplicabilita'  si
fonderebbe, riferisce ancora il  rimettente,  su  due  argomenti.  In
primo luogo, il rapporto di  impiego  del  personale  della  carriera
prefettizia e' retto dallo specifico ordinamento dettato dal d.lgs n.
139 del 2000, il cui art. 29 prevede una  procedura  di  negoziazione
per la definizione degli  aspetti  giuridici  ed  economici,  che  si
conclude con l'approvazione, da parte  del  Consiglio  dei  ministri,
dell'ipotesi di accordo sottoscritta dalle  delegazioni  della  parte
pubblica e delle organizzazioni sindacali,  successivamente  trasfusa
in un decreto del Presidente della Repubblica. Quest'ultimo  atto  e'
identificabile, nella specie, nel  d.P.R.  23  maggio  2011,  n.  105
(Recepimento dell'accordo sindacale  relativo  al  biennio  economico
2008-2009, riguardante  il  personale  della  carriera  prefettizia),
successivo al d.l. n. 78 del  2010.  Risulterebbe  «evidente  che  la
disciplina  contrattuale»  contenuta  in  tale  d.P.R.,   «letta   in
combinato disposto con l'art. 7» del d.lgs. n. 139 del 2000, «si pone
quale fonte regolamentare speciale,  che  stabilisce  una  disciplina
derogatoria rispetto a quella prevista dall'art.  9,  comma  21,  del
D.L. 78/2010».  In  secondo  luogo,  la  reclamata  retribuzione  non
potrebbe   essere   negata   dal   Ministero    dell'interno,    pena
l'incostituzionalita' dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010,
per violazione degli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost. 
    1.2.-  In  punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  Tribunale
rimettente afferma  anzitutto  che  l'assunto  dei  ricorrenti  circa
l'inapplicabilita' della disposizione censurata  al  personale  della
carriera prefettizia non e' condivisibile. 
    A tale  proposito,  il  giudice  a  quo  asserisce  che  «non  si
ravvisano ragioni per ritenere inapplicabile  l'art.  9,  comma  21»,
terzo periodo, al detto personale - che e'  espressamente  menzionato
dall'art. 3 del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche), al quale  la  disposizione  impugnata  fa
rinvio - e, in particolare, alle promozioni a  viceprefetto,  ove  si
consideri che gli artt. 7, comma 4, e 8, comma 4, del d.lgs.  n.  139
del 2000, definiscono espressamente i  passaggi  dalla  qualifica  di
viceprefetto aggiunto  a  quella  di  viceprefetto  «promozioni»,  in
termini di progressioni di carriera. 
    Ne' potrebbe condurre ad una diversa soluzione -  sempre  secondo
il rimettente - il d.P.R. n. 105 del 2011, atteso che  questo  ha  ad
oggetto il recepimento di un accordo sindacale relativo ad un periodo
(il biennio economico 2008-2009) precedente  e,  quindi,  diverso  da
quello cui fa riferimento l'art. 9, comma 21,  del  d.l.  n.  78  del
2010. 
    Il rimettente  aggiunge  che  lo  stesso  TAR  Lazio  aveva  gia'
affrontato, con l'ordinanza n. 6161 del 2012, una  questione  simile,
ovvero se l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, potesse  o  no
derogare  alla  speciale  disciplina  del  rapporto  di  impiego  del
personale della carriera diplomatica, affermando come lo stesso  «per
il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e  per  la  finalita'
che esso persegue [...] si prefigga lo scopo di intervenire su  tutti
i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale  sia  la
loro struttura e la fonte principale che li disciplina». 
    Ritenuta l'applicabilita' al personale della carriera prefettizia
dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del  2010,  il  giudice  a  quo
sostiene che  «acquista  rilevanza  -  ai  fini  del  decidere  -  la
questione prospettata  dai  ricorrenti  sulla  costituzionalita'  del
ripetuto art. 9, comma 21, nella parte di interesse [...], risultando
chiaro come tale previsione non abbia  consentito  ai  ricorrenti  di
ottenere, a seguito dell'intervenuta promozione a vice  prefetto,  la
retribuzione corrispondente alla nuova qualifica». 
    1.3.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente  ritiene  che  la  disposizione  censurata  si  ponga   in
contrasto  con  la  Costituzione   per   vari   motivi,   «tra   loro
subordinati». 
    1.3.1.- Secondo il giudice a quo, l'impugnato art. 9,  comma  21,
terzo  periodo,  violerebbe  anzitutto  l'art.  36  Cost.,  la'  dove
prevede, al primo  comma,  che  «Il  lavoratore  ha  diritto  ad  una
retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro». 
    A tale proposito, il TAR Lazio, dopo avere premesso che, ai sensi
dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 139 del 2000, alle tre qualifiche
di prefetto, viceprefetto e viceprefetto aggiunto in cui si  articola
la carriera prefettizia corrispondono compiti e funzioni  differenti,
caratterizzati dai diversi livelli  di  responsabilita'  correlati  a
ciascuna  qualifica,  «ai  quali  non   possono   non   corrispondere
retribuzioni differenti», afferma che il  mantenimento  al  personale
promosso viceprefetto della retribuzione da esso gia' percepita nella
qualita' di viceprefetto aggiunto  lede  l'invocato  principio  della
necessaria  corrispondenza  tra  la  retribuzione  spettante   e   la
quantita' e qualita' del lavoro prestato. 
    Sempre ad avviso del  rimettente,  la  previsione  di  differenti
livelli di retribuzione in relazione alla qualifica del dipendente e,
quindi, alla qualita' del servizio da lui prestato,  salvaguarderebbe
non solo la professionalita' del lavoratore ma anche, in  ossequio  a
criteri  di  ragionevolezza,  l'equilibrio  del  sinallagma  tra   le
prestazioni. 
    Il giudice a quo afferma ancora che la violazione  del  principio
di proporzionalita' della retribuzione non e' esclusa dal  fatto  che
il trattamento economico del  personale  della  carriera  prefettizia
prevede - come risulta anche dal d.P.R. n. 105 del  2011  -  oltre  a
quella  stipendiale,  anche  ulteriori  voci  retributive  quali   le
retribuzioni  di  posizione  e  di  risultato,  atteso  che  la  voce
stipendiale corrisposta ai ricorrenti  risulta,  in  ogni  caso,  non
conforme al detto principio,  perche'  inferiore  a  quella  che  gli
stessi avrebbero conseguito in mancanza della disposizione impugnata. 
    Infine, l'esistenza nell'ordinamento di deroghe al  principio  di
proporzionalita' della retribuzione previsto dall'art. 36  Cost.  non
varrebbe  -  sempre   secondo   il   rimettente   -   a   legittimare
l'introduzione di ulteriori previsioni derogatorie,  «specie  se  non
ispirate e supportate dal principio della ragionevolezza». 
    1.3.2.- La disposizione impugnata violerebbe poi l'art.  3  Cost.
sotto due profili. 
    In primo luogo, per il trattamento irragionevolmente deteriore da
essa  riservato  agli  appartenenti  al  personale   della   carriera
prefettizia che conseguono la promozione a  viceprefetto  negli  anni
2011, 2012 e 2013 rispetto agli appartenenti  allo  stesso  personale
che la conseguono in un periodo diverso. 
    Tale irragionevole disparita' di  trattamento  insorgerebbe  «non
solo in relazione alla data  in  cui  e'  disposta  la  promozione  -
creando un regime differenziato tra i promossi in tale periodo  ed  i
promossi in un periodo diverso - ma anche  all'interno  stesso  della
qualifica, nel senso che quest'ultima risulta cosi' caratterizzata da
personale  che  -  pur  espletando  il  medesimo  servizio  -   viene
retribuito in modo differente e cio'  esclusivamente  sulla  base  di
circostanze del tutto casuali, ossia pienamente svincolate dal lavoro
prestato». 
    La menzionata  disparita'  di  trattamento  sarebbe  ancora  piu'
grave, ove si considerasse la condizione del personale che,  oltre  a
essere  promosso  nel  triennio  indicato,  fosse  anche   posto   in
quiescenza nel corso dello stesso per il raggiungimento del limite di
eta', atteso che, in tale caso, «il pregiudizio economico  subito  si
riflette anche sul regime pensionistico». 
    In secondo luogo, l'art. 3 Cost. sarebbe violato anche in ragione
del deteriore trattamento riservato dalla disposizione impugnata agli
appartenenti al personale della carriera prefettizia  che  conseguono
la promozione a viceprefetto negli anni 2011, 2012 e 2013 rispetto ai
dipendenti del settore  privato,  per  i  quali  le  progressioni  di
carriera disposte nello stesso periodo hanno effetto, per i  predetti
anni, anche ai fini economici. 
    Il giudice rimettente sottolinea ancora che l'art.  1,  comma  1,
lettera a), del d.P.R. 4  settembre  2013,  n.  122  (Regolamento  in
materia  di  proroga  del  blocco  della   contrattazione   e   degli
automatismi  stipendiali  per  i   pubblici   dipendenti,   a   norma
dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del d.l.  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111),
ha prorogato le disposizioni dell'impugnato art. 9, comma 21, fino al
31  dicembre  2014.  Per  effetto  di  tale  proroga,  le  misure  di
«sacrificio economico» previste dall'art. 9, comma 21,  tenuto  conto
della loro durata di quattro anni e del fatto che «seri dubbi possono
nutrirsi  sul  periodo   in   cui   [avranno]   termine»,   avrebbero
«praticamente perso il carattere di  contingibilita'»,  in  contrasto
con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte  costituzionale
secondo cui le normative  che  hanno  lo  scopo  di  «realizzare  con
immediatezza, un contenimento della spesa pubblica» possono ritenersi
legittime solo «in quanto eccezionali e temporalmente limitate, ossia
a condizione che i sacrifici siano transeunti e non arbitrari»  (sono
citate la sentenza n. 245 del 1997 e l'ordinanza n. 299 del 1999). Il
giudice a quo rammenta  al  riguardo  che,  nel  corso  dell'iter  di
approvazione della normativa censurata, le  Commissioni  parlamentari
riunite I e IX avevano espresso il parere che, in base agli artt.  3,
36, 39 e 97 Cost., «non [e'] ipotizzabile un  ulteriore  allungamento
temporale»  delle   previste   misure,   come,   invece,   e'   stato
successivamente disposto. 
    1.3.3.- L'impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, si  porrebbe
in contrasto anche con l'art. 53 Cost., la' dove stabilisce, al primo
comma,  il  principio  della  capacita'   contributiva,   in   quanto
imporrebbe  una  prestazione  patrimoniale   -   identificabile   con
«l'aumento retributivo connesso al  conseguimento  di  una  qualifica
piu' alta»  -  soltanto  ad  alcuni  contribuenti,  «prescindendo  da
criteri di ragionevolezza». 
    Al  riguardo,  il  Tribunale  rimettente  asserisce  che  «alcuni
dipendenti - per il  solo  fatto  di  essere  stati  promossi  in  un
determinato periodo - [...] risultano privati di somme che altrimenti
avrebbero percepito, ai sensi di legge [...], subendo cosi' un vero e
proprio prelievo, in netto  spregio  dei  criteri  di  progressivita'
fissati a livello costituzionale». 
    Lo stesso Tribunale  afferma  che,  ancorche'  sia  a  conoscenza
dell'orientamento contrario espresso dalla Corte  costituzionale  con
riguardo ad una previsione simile (e' citata la sentenza n.  304  del
2013), reputa che la disposizione censurata abbia natura  tributaria,
in quanto «comporta un'inequivoca decurtazione o  prelievo  a  carico
del dipendente pubblico». 
    1.3.4.- L'art. 9, comma 21, terzo periodo, del  d.l.  n.  78  del
2010, violerebbe,  infine  il  principio  del  buon  andamento  della
pubblica  amministrazione,  di  cui  all'art.  97  Cost.,  in  quanto
«determina scontento nel personale, a scapito del corretto e proficuo
espletamento  delle  proprie  mansioni  e,   dunque,   a   detrimento
dell'efficienza nell'Amministrazione». 
    2.- Con atto depositato il 30 dicembre 2014, e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 
    La difesa dello Stato rappresenta che l'art.  9,  comma  21,  del
d.l. n. 78 del 2010 e' gia' stato piu' volte sottoposto  al  giudizio
della Corte costituzionale che, con  le  sentenze  n.  304  del  2013
(relativa, in particolare, al personale della carriera diplomatica) e
n. 154 del 2014 (resa in  un  giudizio  promosso  nell'ambito  di  un
procedimento  originato  dal  ricorso  di  alcuni  appartenenti  alla
Guardia  di  finanza),  ha  dichiarato  non  fondate   questioni   di
legittimita' costituzionale  sollevate,  nei  confronti  della  detta
impugnata disposizione, proprio in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e
97 Cost. (oltre che all'art. 2 Cost.). 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  dopo  avere   diffusamente
esposto il contenuto della motivazione delle citate sentenze, afferma
che «Analoghe considerazioni sembrano [...] poter  interessare  anche
la presente questione  di  legittimita'  costituzionale  riferita  al
medesimo art. 9, comma 21, del richiamato d.l. n. 78/2010». 
    3.- Con atto depositato lo  stesso  30  dicembre  2014,  si  sono
costituiti i ricorrenti nel giudizio  a  quo,  chiedendo  alla  Corte
costituzionale di dichiarare, in via preliminare, l'irrilevanza delle
questioni sollevate e, nel merito,  «ove  occorra»,  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l.  n.  78  del  2010,  e
dell'art. 1 del d.P.R. n. 122 del 2013 per contrasto con gli artt. 2,
3, 36, 53 e 97 Cost. 
    3.1.- Quanto all'irrilevanza delle questioni,  gli  intervenienti
deducono che l'impugnato art. 9, comma 21, non e' - contrariamente  a
quanto ritenuto dal Tribunale rimettente - ad essi applicabile. 
    Tale conclusione troverebbe fondamento,  in  primo  luogo,  nella
specialita'  dell'ordinamento  della  carriera  prefettizia   e,   in
particolare, dell'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 139 del 2000 -  che,
tenendo conto della necessaria corrispondenza, nel detto ordinamento,
tra qualifica conferita e funzioni proprie della stessa, prevede  che
le promozioni alla qualifica di viceprefetto hanno effetto  anche  ai
fini economici - rispetto alla, pur successiva,  previsione  generale
dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. 
    Alla stessa conclusione si potrebbe inoltre pervenire, in secondo
luogo, in ragione dell'applicabilita' ai ricorrenti - tutti  chiamati
a ricoprire, come risulta dalla documentazione presente nel fascicolo
di  parte  del  giudizio  davanti  al  Tribunale  rimettente,   ruoli
dirigenziali  rimasti  vacanti,  corrispondenti  alla  qualifica   di
viceprefetti - della previsione dell'art. 9, comma 2, ultimo periodo,
del d.l. n. 78 del 2010 (secondo  cui  «A  decorrere  dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto e sino al  31  dicembre  2013,
nell'ambito delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e  successive  modifiche  e
integrazioni,  i  trattamenti  economici  complessivi  spettanti   ai
titolari degli incarichi dirigenziali, anche di livello generale, non
possono essere stabiliti in misura superiore a  quella  indicata  nel
contratto stipulato  dal  precedente  titolare  ovvero,  in  caso  di
rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando la riduzione  prevista
nel presente comma»), la quale, derogando  al  blocco  degli  effetti
economici delle progressioni di carriera previsto dall'impugnato art.
9, comma 21, terzo periodo, prevede, come  unico  limite  stipendiale
applicabile ai ricorrenti, l'importo gia' corrisposto  al  precedente
titolare  del  ruolo  dirigenziale.  La  difesa  degli  intervenienti
aggiunge che tale impostazione era stata fatta  propria  anche  dalla
circolare del Ministero dell'economia e delle finanze 15 aprile 2011,
n. 12  (Applicazione  dell'art.  9,  D.L.  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, nella  L.  30  luglio  2010,  n.  122,
recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria  e
di competitivita' economica"). La stessa  interpretazione  era  stata
condivisa anche  dal  Ministero  dell'interno,  Dipartimento  per  le
politiche del personale dell'amministrazione civile, con  il  decreto
del  14  giugno  2012  (concernente  i  viceprefetti   promossi   con
decorrenza  1°  gennaio  2011),  ma  era  stata  poi  abbandonata  in
conseguenza  del  diverso  avviso  espresso  dal  suddetto  Ministero
dell'economia e delle finanze, che aveva successivamente  ritenuto  -
sempre secondo la difesa degli  intervenienti  -  che  la  disciplina
dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, si riferisce «soltanto
alle ipotesi di modifica nella titolarita' degli uffici  dirigenziali
dovute   ad   "esigenze   funzionali    ed    organizzative"    delle
amministrazioni, ma non al conferimento di nuovi e diversi  incarichi
dirigenziali per effetto di promozioni  e  progressioni  di  carriera
comunque denominate». 
    3.2.- Quanto al merito delle sollevate questioni di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  9,  comma  21,  terzo  periodo  -  qualora
ritenuto applicabile nel giudizio a quo - gli intervenienti affermano
di fare  proprie  le  argomentazioni  prospettate  nell'ordinanza  di
rimessione,  con  particolare  riferimento  a  quelle  relative  alla
violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 
    Con  riguardo  alla  lesione  del   primo   di   tali   parametri
costituzionali, gli intervenienti sottolineano che  il  blocco  degli
effetti  economici  delle  progressioni  di  carriera  imposto  dalla
disposizione impugnata  e  successivamente  prorogato,  dall'art.  1,
comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, sino al 31  dicembre
2014,  «appare  del  tutto  sproporzionato  rispetto  alle   invocate
esigenze  di  carattere  eccezionale  poste  a  fondamento  del  D.L.
78/2010». 
    A sostegno della violazione dell'art. 36 Cost., la  difesa  degli
intervenienti rimarca ancora una volta la «rigida corrispondenza  tra
grado  e  funzioni  proprie   della   qualifica,   che   caratterizza
l'ordinamento della carriera prefettizia». 
    Gli intervenienti deducono poi che  le  motivazioni  poste  dalla
Corte costituzionale a fondamento delle sentenze n. 310 e n. 304  del
2013 - con le quali e' stata dichiarata, tra l'altro,  l'infondatezza
delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21,
terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, relativamente al blocco degli
effetti economici  delle  progressioni  di  carriera  del  personale,
rispettivamente, dell'universita'  "non  contrattualizzato"  e  della
carriera diplomatica - non sono estensibili  alle  questioni  qui  in
considerazione. 
    A tale proposito, essi precisano che, per i docenti universitari,
il «sistema di adeguamento stipendiale» si fonda su un meccanismo  di
classi e scatti legati  esclusivamente  all'anzianita'  di  servizio,
mentre per il personale della carriera diplomatica  la  stessa  Corte
costituzionale ha fondato il rigetto delle questioni  scrutinate  sul
fatto  che  «nell'ordinamento  di  tale  personale  non  e'  prevista
l'obbligatoria   corrispondenza   tra    grado    e    funzioni    e,
conseguentemente,  tra  grado  e  trattamento   economico   collegato
all'esercizio delle funzioni». 
    La difesa degli intervenienti precisa che, nell'ordinamento della
carriera  prefettizia,  «la  posizione  funzionale  e'   strettamente
vincolata alla qualifica  ricoperta,  senza  possibilita'  di  deroga
alcuna» (ai sensi degli artt. 2, 10 e 12 del d.lgs. n. 139 del 2000),
neppure eccezionale o provvisoria. Pertanto, diversamente  da  quanto
puo'   avvenire   nell'ambito   della   carriera   diplomatica,   gli
appartenenti al personale della carriera prefettizia che  sono  stati
nominati a  una  qualifica  superiore  (nella  specie,  a  quella  di
viceprefetti) non possono essere adibiti  a  funzioni  proprie  della
qualifica di provenienza. 
    La stessa difesa rappresenta ancora la differenza esistente tra i
due ordinamenti  delle  carriere  prefettizia  e  diplomatica  quanto
all'accesso   ad   una   qualifica   superiore.    Infatti,    mentre
nell'ordinamento della carriera prefettizia l'accesso alla  qualifica
di viceprefetto ha luogo a seguito  del  corso-concorso  disciplinato
dall'art. 7 del d.lgs. n. 139  del  2000,  per  gli  appartenenti  al
personale della carriera diplomatica «e' previsto [...] un sistema di
formazione periodica permanente, cosicche' per essi la selezione alle
qualifiche   superiori   avviene   nell'ambito   di   soggetti   gia'
precedentemente formati ed  accertati  idonei,  dei  quali,  dopo  la
nomina,  e'  legittimo,  come  rilevato   dalla   Corte,   l'utilizzo
provvisorio in funzioni della qualifica di provenienza, a  differenza
che per i viceprefetti». 
    Gli intervenienti  affermano,  inoltre,  che  la  disparita'  del
trattamento economico degli appartenenti  alla  carriera  prefettizia
promossi alla qualifica di viceprefetto negli anni 2011, 2012 e  2013
rispetto ai colleghi che hanno conseguito l'identica qualifica  prima
del  2011  non  puo'  trovare  giustificazione  neppure  in   ragione
dell'ulteriore elemento valorizzato dalla Corte costituzionale  nelle
menzionate sentenze n.  310  e  n.  304  del  2013  costituito  dalla
maggiore anzianita' di servizio di questi ultimi. Al  riguardo,  essi
osservano che «nell'ordinamento della carriera prefettizia di cui  al
D.Lgs. 139/2000 l'anzianita' di servizio non ha alcuna rilevanza, ne'
ai fini della  progressione  in  carriera  ne'  per  la  progressione
economica», che e' collegata alle diverse posizioni  funzionali,  non
potendosi «escludere il caso di funzionari che, pur  in  possesso  di
un'anzianita'  relativa   (nella   qualifica)   minore,   godano   di
trattamenti  superiori  rispetto  a  funzionari   piu'   anziani   ma
ricoprenti  posizioni  funzionali  meno  retribuite».   In   realta',
«l'anzianita' di servizio potrebbe  giustificare  una  disparita'  di
trattamento economico soltanto in  un  sistema  di  progressione  per
classi e scatti, che e' del  tutto  estraneo  alla  disciplina  della
carriera prefettizia». 
    Non  sarebbe  riferibile  alla   carriera   prefettizia   neppure
l'argomentazione,  utilizzata  dalla   Corte   costituzionale   nella
sentenza n. 304 del 2013, che fa leva sul fatto  che  il  trattamento
economico e funzionale del personale della carriera  diplomatica  non
sarebbe uguale per tutti i dipendenti del  medesimo  grado.  Infatti,
escluso che al personale della carriera prefettizia siano applicabili
speciali indennita' e misure di favore quali quelle previste  per  il
personale  della  carriera  diplomatica  in  relazione  al   servizio
prestato all'estero (ai sensi degli artt. 170 e seguenti del  decreto
del Presidente della  Repubblica  5  gennaio  1967,  n.  18,  recante
«Ordinamento  dell'Amministrazione  degli  affari   esteri»),   «deve
peraltro escludersi che la disparita' di  trattamento  tra  personale
della carriera prefettizia che riveste la  medesima  qualifica  possa
fondatamente  trovare  legittimazione  nelle  differenze  retributive
concernenti le voci stipendiali di retribuzione  di  posizione  e  di
risultato, considerato che si tratta  di  importi  irrisori  che  non
possono in alcun  modo  compensare  il  minor  trattamento  economico
corrisposto per la  voce  relativa  allo  stipendio  tabellare  della
qualifica inferiore». 
    4.- Il 26 gennaio 2016, il Presidente del Consiglio dei  ministri
ha depositato una  memoria  con  la  quale,  anche  alla  luce  delle
motivazioni della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n.
178 del 2015, concernente anch'essa la «tematica  in  questione»,  ha
ribadito la richiesta di dichiarare l'inammissibilita'  o,  comunque,
l'infondatezza delle questioni sollevate. 
    5.- Il 15 marzo 2016, anche i ricorrenti nel giudizio a quo hanno
depositato una memoria con la quale, nel replicare a  quanto  dedotto
nell'atto di intervento e nella memoria del Presidente del  Consiglio
dei  ministri,  ribadiscono  le  deduzioni  e  le  conclusioni   gia'
rassegnate nel proprio atto di costituzione in giudizio, con riguardo
sia all'inapplicabilita'  dell'impugnato  art.  9,  comma  21,  terzo
periodo, sia alla fondatezza, nel merito, delle questioni  sollevate.
A  tale  ultimo  proposito,  gli  intervenienti  riaffermano  che  le
motivazioni  poste  a   fondamento   delle   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304  del  2013  non  sono
riferibili alle progressioni di carriera del personale della carriera
prefettizia, stante le peculiarita' di questa, ed asseriscono che «le
medesime ragioni di specificita' indicate nella [...] sentenza [della
stessa Corte n. 178 del 2015] con riferimento a taluni  settori  [del
pubblico impiego] sono  certamente  riferibili  anche  alla  carriera
prefettizia  e  non  consentono  in  nessun  modo  accostamenti  alla
indistinta categoria  del  pubblico  impiego  contrattualizzato».  La
difesa degli  intervenienti  sottolinea  infine  che  «in  un  regime
pensionistico di carattere contributivo, i minori contributi  versati
durante il periodo di blocco, comporteranno  una  perdita  definitiva
sulle somme percepite a titolo di pensione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 maggio 2014, il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36,
53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui stabilisce, al
terzo periodo, che «Per  il  personale  di  cui  all'articolo  3  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive  modificazioni
le  progressioni  di  carriera  comunque   denominate   eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici». Ne consegue che le questioni
sollevate hanno a oggetto in via esclusiva il terzo periodo del comma
21 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che tale disposizione  detta,
non gli altri periodi dello stesso comma 21. 
    2.- In via preliminare,  sono  da  considerare  inammissibili  le
deduzioni svolte dalle parti private costituite dirette  a  estendere
il thema decidendum - quale definito nell'ordinanza di  rimessione  -
anche alla disposizione dell'art. 1 del d.P.R. 4 settembre  2013,  n.
122  (Regolamento  in   materia   di   proroga   del   blocco   della
contrattazione  e  degli  automatismi  stipendiali  per  i   pubblici
dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2  e  3,  del  d.l.  6
luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111), nonche' alla violazione dell'art.  2  Cost.  In
base alla costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  l'oggetto  del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale   e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione (ex plurimis, sentenze n. 231 e n. 83 del 2015). 
    3.-  Quanto  alla   rilevanza   delle   questioni   sollevate   e
all'ammissibilita' delle stesse,  si  devono  ritenere  infondate  le
eccezioni presentate dagli intervenienti circa la non  applicabilita'
dell'impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l.  n.  78  del
2010, alle  promozioni  a  viceprefetti,  in  quanto  derogato  dalla
speciale  disciplina  che  regola  la  carriera  prefettizia  e,   in
particolare, dall'art. 7, comma 4, del decreto legislativo 19  maggio
2000, n. 139 (Disposizioni in materia  di  rapporto  di  impiego  del
personale della carriera prefettizia, a norma dell'articolo 10  della
L. 28 luglio 1999, n. 266). Quest'ultimo, piuttosto che  un'eccezione
alla regola sancita dalla disposizione impugnata  -  che,  come  gia'
ritenuto da questa Corte, trova applicazione «in tutti i rapporti  di
impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura
e la fonte che li disciplina» (sentenza n. 304 del 2013) - indica una
delle situazioni in cui si  producono  gli  effetti  economici  delle
progressioni di carriera e prevede la decorrenza degli stessi «dal 1°
gennaio dell'anno successivo a quello nel quale si sono verificate le
vacanze». 
    Non e' condivisibile la posizione dei ricorrenti che  individuano
un'altra deroga, rispetto alla disposizione censurata,  nell'art.  9,
comma 2, (quarto periodo), dello stesso d.l. n. 78 del 2010.  Per  le
ipotesi  di  conferimento  -  come  nella  specie  -   di   incarichi
dirigenziali vacanti, esso prevede come unico limite del  trattamento
economico l'importo indicato nel contratto stipulato  dal  precedente
titolare dell'incarico. Il  Dipartimento  della  Ragioneria  generale
dello Stato, Segretariato generale per gli ordinamenti del  personale
e l'analisi dei costi del lavoro pubblico, Ufficio IX,  con  la  nota
prot. n. 0068772 del 7 agosto 2012, ha valutato che l'essere preposto
a un diverso ufficio dirigenziale nel triennio che intercorre fra  il
2011 e il 2013 - situazione da cui puo' dipendere  il  riconoscimento
di un trattamento economico superiore a quello spettante nel  2010  -
«va riferita a quelle ipotesi di  modifica  nella  titolarita'  degli
uffici dirigenziali dovute ad esigenze  funzionali  ed  organizzative
delle amministrazioni, ma non al  conferimento  di  nuovi  e  diversi
incarichi dirigenziali per effetto di promozioni  o  progressioni  di
carriera comunque denominate, per le quali vige il  divieto  previsto
dal citato comma 21, terzo e quarto periodo». 
    Si puo' dunque affermare che il Tribunale rimettente  ha  fornito
una valutazione non  implausibile  sulla  rilevanza  delle  questioni
sollevate e sull'applicabilita' nel  giudizio  a  quo  dell'impugnato
art. 9, comma 21, terzo periodo. 
    4.- Il TAR Lazio ha denunciato la violazione dell'art. 36,  primo
comma, Cost., nella parte  in  cui  prevede  che  «Il  lavoratore  ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
del suo  lavoro».  L'impugnato  art.  9,  comma  21,  terzo  periodo,
prevede, per i funzionari della carriera prefettizia che siano  stati
promossi, negli anni 2011, 2012 e 2013, alla qualifica  superiore  di
viceprefetto, un trattamento economico pari, per tali anni, a  quello
gia' percepito nella qualifica inferiore  di  viceprefetto  aggiunto,
nonostante  alla  qualifica  superiore  corrisponda  l'esercizio   di
funzioni e compiti diversi,  connotati  da  un  maggiore  livello  di
responsabilita', e, quindi, una maggiore  quantita'  e  qualita'  del
lavoro prestato. 
    La questione non e' fondata. 
    Questa Corte si e'  ripetutamente  pronunciata  sul  punto  della
necessita' di una valutazione complessiva della retribuzione, ai fini
del giudizio sulla sufficienza e la proporzionalita' della stessa  al
lavoro prestato. A  proposito  di  questioni  analoghe,  relative  al
personale delle carriere della Guardia di  finanza,  dell'universita'
(professori e ricercatori universitari) e della carriera  diplomatica
(sentenze, rispettivamente, n. 154 del 2014, n.  310  e  n.  304  del
2013),  tale  orientamento  e'  stato  confermato  e  rappresenta  un
imprescindibile riferimento nella valutazione del caso in esame. Esso
induce  a  escludere  che  lo  svolgimento,  in   conseguenza   della
promozione a viceprefetti, di funzioni superiori,  in  assenza  della
corresponsione dell'aumento di stipendio previsto in relazione a tale
qualifica, renda di per se' -  come  mostra  invece  di  ritenere  il
rimettente -  il  trattamento  economico  dei  detti  funzionari  non
conforme  al  principio  costituzionale  di  proporzionalita'   della
retribuzione, atteso che il temporaneo blocco degli effetti economici
della promozione, previsto dalla disposizione impugnata,  non  incide
sulla struttura della retribuzione dei viceprefetti  considerata  nel
suo complesso. 
    Nel  valutare  la  conformita'  del  trattamento  economico   dei
viceprefetti promossi nell'arco temporale cha va  dal  2011  al  2013
all'anzidetto requisito, oltre che a  quello  della  sufficienza,  si
deve inoltre tenere  conto  dell'esistenza  di  due  componenti  che,
aggiungendosi a quella stipendiale di base, sono volte  a  compensare
l'una le funzioni esercitate e l'altra i risultati conseguiti  (artt.
19, 20 e 21 del d.lgs. n. 139 del 2000 e artt. 3, 5 e 6 del d.P.R. 23
maggio 2011, n.  105,  recante  «Recepimento  dell'accordo  sindacale
relativo al biennio economico  2008-2009,  riguardante  il  personale
della  carriera  prefettizia»).  Una  valutazione  complessiva  della
retribuzione dei viceprefetti promossi negli anni 2011, 2012 e  2013,
anche sotto quest'ultimo aspetto, conduce, percio', alla  conclusione
che e' rispettato il criterio di corrispettivita', poiche' i compensi
previsti sono specularmente commisurati al contenuto effettivo  delle
mansioni svolte e degli esiti raggiunti nell'esercitarle. 
    5.- Con la seconda questione sollevata, il  Tribunale  rimettente
prospetta  la  violazione  dell'art.  3  Cost.   sotto   il   profilo
dell'irragionevole deteriore  trattamento  che  l'impugnato  art.  9,
comma 21, terzo periodo, riserva ai viceprefetti promossi negli  anni
2011, 2012 e 2013. Questi, poiche' la  promozione  e'  inefficace  ai
fini economici, continuano a percepire il trattamento  relativo  alla
precedente qualifica di viceprefetto aggiunto, mentre i  viceprefetti
promossi prima del 2011, a parita' di qualifica e  nell'esercizio  di
funzioni  analoghe,  percepiscono   un   piu'   elevato   trattamento
economico. 
    La questione non e' fondata. 
    Nell'affrontare questioni analoghe, questa Corte  ha  valorizzato
il criterio oggettivo che si  ricava  dalla  maggiore  anzianita'  di
servizio dei soggetti destinatari di un miglior trattamento economico
corrispondente all'ottenuta promozione (sentenza n.  304  del  2013),
criterio cui si affianca quello della maggiore anzianita'  nel  grado
(sentenza n. 154 del 2014). In entrambi i casi, l'elemento  temporale
si pone quale discrimine fra due diverse fasi  nell'evoluzione  della
carriera,  cui  possono   corrispondere   due   diversi   trattamenti
economici. 
    Ne' si puo'  omettere  di  ricordare  che  esigenze  di  politica
economica  giustificano  interventi  che,  come  quello   in   esame,
comprimono  solo  temporaneamente  gli  effetti   retributivi   della
progressione in carriera. 
    6.- Con la terza questione sollevata, il TAR Lazio  prospetta  la
violazione dell'art. 3 Cost.,  sotto  il  profilo  dell'irragionevole
deteriore  trattamento  che  l'impugnato  art.  9,  comma  21,  terzo
periodo, riserva ai funzionari della  carriera  prefettizia  promossi
viceprefetti negli anni dal 2011 al 2013, rispetto ai dipendenti  del
settore privato, per i quali le progressioni di carriera disposte nel
medesimo triennio hanno effetto, per lo stesso periodo, anche ai fini
economici. 
    La questione non e' fondata. 
    Il confronto fra lavoratori  del  settore  privato  e  dipendenti
pubblici, destinatari, questi ultimi, di misure di contenimento della
spesa, e' gia' stato oggetto di valutazione da parte di questa Corte,
che si e' espressa per l'incomparabilita' sotto questo profilo  delle
due categorie, segnate dalla  profonda  diversita'  delle  discipline
rispettivamente applicabili (sentenze n. 154 del 2014 e  n.  304  del
2013). 
    La Corte ha inoltre gia'  affermato  la  legittimita'  di  misure
temporanee e contingenti, che, ispirate a un principio  solidaristico
che riguarda la totalita' dei pubblici dipendenti  (sentenza  n.  310
del  2013),  hanno  visto  le  amministrazioni  di  volta  in   volta
interessate   fronteggiare   scelte   organizzative    immediate    e
necessitate. Anche i viceprefetti sono stati attirati nell'orbita  di
tali misure. 
    7.- Con la quarta questione sollevata, il giudice a  quo  lamenta
la violazione del principio della capacita' contributiva che si legge
nell'art. 53, primo comma, Cost.. L'impugnato art. 9, comma 21, terzo
periodo,  imporrebbe  una  prestazione  patrimoniale   tributaria   -
consistente  nel  (non  corrisposto)  aumento  retributivo   che   il
dipendente pubblico avrebbe avuto il diritto di percepire, a norma di
legge, in conseguenza della  progressione  di  carriera  -  a  carico
soltanto di alcuni contribuenti, per il  solo  fatto  di  essere  gli
stessi appartenenti al personale di cui all'art. 3 del d.lgs. n.  165
del 2001 promossi negli anni 2011, 2012 e  2013.  Cio'  comporterebbe
l'introduzione di criteri irragionevoli di imposizione. 
    La questione non e' fondata. 
    Anche in relazione a quest'ultimo parametro invocato dal  giudice
rimettente, e' opportuno richiamare i precedenti, piu' volte  citati,
di questa Corte, che hanno rigettato identiche questioni,  in  quanto
la norma censurata non prevede  una  decurtazione  o  un  prelievo  a
carico del dipendente pubblico, ne'  un'acquisizione  di  risorse  al
bilancio dello Stato. Essa  e'  priva  pertanto  degli  elementi  che
connotano indefettibilmente la prestazione tributaria (sentenze n. 70
del 2015; n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013). 
    Esclusa  quindi  la  natura  di  prelievo  fiscale  della  misura
prevista dalla disposizione impugnata, cade la censura  che  riguarda
l'art. 53 Cost. 
    8.- Con la quinta questione  sollevata  il  Tribunale  rimettente
deduce che l'impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, del  d.l.  n.
78 del 2010, violi l'art. 97 Cost. perche' «determina  scontento  nel
personale, a scapito  del  corretto  e  proficuo  espletamento  delle
proprie   mansioni   e,   dunque,   a   detrimento    dell'efficienza
nell'amministrazione». 
    La questione non e' fondata. 
    Con univoca e costante giurisprudenza questa Corte  ha  affermato
che il principio del buon andamento  della  pubblica  amministrazione
non puo' essere associato alle politiche  di  incrementi  retributivi
(sentenza n. 273 del 1997; ordinanze n. 263 del 2002, n. 368 del 1999
e  n.  205  del  1998).  Gli  incrementi  retributivi  del  personale
dipendente non sono legati da un  vincolo  funzionale  all'efficiente
organizzazione dell'amministrazione, poiche' si collocano in altra  e
diversa dimensione evolutiva dei rapporti di lavoro.