ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma
1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia - Testo  A),  introdotto  dall'art.  1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2013), promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Firenze  con
ordinanza del 15 ottobre  2014,  iscritta  al  n.  143  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15  ottobre  2014  la  Corte  d'appello  di
Firenze  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13,  comma  1-quater,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia -  Testo
A), introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24  dicembre  2012,
n. 228  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013),  in  riferimento
agli artt. 3 e 53 della Costituzione. 
    La disposizione censurata  prevede  che  «Quando  l'impugnazione,
anche  incidentale,  e'  respinta  integralmente  o   e'   dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta e' tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari  a
quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a
norma del comma 1-bis. Il giudice da' atto  nel  provvedimento  della
sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e  l'obbligo
di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso». 
    Il  rimettente  evidenzia  che   l'aggravamento   tributario   in
questione - a suo avviso di natura  sostanzialmente  sanzionatoria  -
dovrebbe trovare applicazione anche nel caso  in  cui  l'appello  sia
dichiarato improcedibile ai sensi dell'art. 348, secondo  comma,  del
codice di procedura civile per mancata  comparizione  dell'appellante
alla prima udienza ed a quella successiva di cui gli sia  stata  data
comunicazione. 
    Tale  previsione  realizzerebbe  un'irragionevole  disparita'  di
trattamento -  in  violazione  dell'art.  3  Cost.  -  rispetto  alla
fattispecie della cancellazione della causa dal ruolo  e  conseguente
estinzione del processo ai sensi degli artt. 181  e  309  cod.  proc.
civ., operanti anche nel  giudizio  d'appello  nel  caso  di  mancata
comparizione a due udienze  consecutive,  ipotesi  in  cui  la  norma
censurata  non  troverebbe  applicazione  nonostante  il   potenziale
aggravio di lavoro  ove  la  mancata  comparizione  sopravvenisse  in
un'udienza successiva alla prima, eventualmente dopo  lo  svolgimento
di ulteriore attivita' istruttoria. 
    Inoltre,  poiche'  la  disposizione  censurata   avrebbe   natura
tributaria, ad avviso del rimettente risulterebbe «violato  anche  il
principio  della  proporzione  delle   imposizioni   alla   capacita'
contributiva, ex art. 53 Cost.». 
    Ne conseguirebbe l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 1-quater, del d.P.R. n.  115  del  2002,  nella  parte  in  cui
prevede il versamento di un ulteriore importo a titolo di  contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione  anche  nel
caso di improcedibilita' previsto dall'art. 348, secondo comma,  cod.
proc. civ. 
    La questione sarebbe rilevante in quanto la norma dovrebbe essere
applicata nel giudizio a quo, nel quale la parte  appellante  non  e'
comparsa ne' alla prima udienza ne' a quella fissata successivamente.
Non   sarebbe   possibile   dare   della    disposizione    censurata
un'interpretazione idonea a superare i  dubbi  di  costituzionalita',
stante la sua formulazione letterale. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,
comunque, infondata. 
    Anzitutto, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce
l'inammissibilita' della  questione,  in  quanto  il  rimettente  non
avrebbe riferito la data di  inizio  del  giudizio  di  primo  grado,
circostanza determinante per l'applicazione  della  norma  censurata,
operante solo a partire dal 31 gennaio 2013  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 18, della legge n. 228 del 2012. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la questione
sarebbe comunque infondata nel merito, attesa  l'eterogeneita'  delle
fattispecie messe a confronto. 
    In particolare,  l'art.  348,  secondo  comma,  cod.  proc.  civ.
riguarderebbe la mancata comparizione alla prima udienza ed a  quella
successiva  dell'appellante  costituito,  unico  destinatario   della
norma,  irrilevante  risultando  la   condotta   dell'appellato   che
eventualmente compaia e chieda  che  si  proceda.  L'improcedibilita'
sanzionerebbe il disinteresse per l'impugnazione manifestato  proprio
in un'udienza di particolare  importanza,  in  quanto  occasione  per
l'adozione dei provvedimenti cautelari, ordinatori ed istruttori  che
il giudice intendesse assumere, onde la coerenza della norma  con  il
principio di concentrazione funzionale a  realizzare  la  ragionevole
durata  del  processo.  Il   raddoppio   del   contributo   unificato
costituirebbe il riflesso fiscale di simile impostazione del processo
d'appello. 
    Diversamente,  gli  artt.  181  e  309  cod.  proc.   civ.,   che
troverebbero applicazione quando l'impulso processuale  iniziale  sia
gia' stato impresso nella prima udienza, prevederebbero  il  caso  in
cui nessuna delle parti costituite compaia ad  un'udienza  successiva
alla prima, di regola per aver trovato  un  accordo  di  composizione
stragiudiziale  della  contesa.  Il  concorso  paritario   necessario
all'integrazione   della   fattispecie    renderebbe    evidentemente
ingiustificato  gravare  il  solo  appellante   del   raddoppio   del
contributo. Non a caso,  peraltro,  in  simile  ipotesi  non  sarebbe
prevista la sanzione processuale dell'improcedibilita' dell'appello -
secondo  l'intervenuto,  consumativa   del   potere   di   impugnare,
costitutiva  e  sostanzialmente  assimilabile  ad  una  pronuncia  di
rigetto nel merito - bensi' la mera declaratoria  di  estinzione  del
processo, con  conseguente  passaggio  in  giudicato  della  sentenza
gravata per effetto automatico della legge e non della pronuncia,  in
coerenza con i principi di concentrazione e  ragionevole  durata  del
processo.  La  mancata  previsione  di   un   aggravio   fiscale   si
spiegherebbe  alla  luce   dell'interesse   ad   incentivare   simile
definizione delle controversie pervenute in appello, magari a seguito
degli sviluppi della causa,  onde  la  non  inutilita'  del  relativo
dispendio di energie processuali diversamente  dal  caso  contemplato
dall'art. 348, secondo comma, cod. proc. civ. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe la  Corte  d'appello  di
Firenze  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13,  comma  1-quater,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia -  Testo
A), introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24  dicembre  2012,
n. 228  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013),  in  riferimento
agli artt. 3 e 53 della Costituzione. 
    La disposizione censurata prevede che  «[q]uando  l'impugnazione,
anche  incidentale,  e'  respinta  integralmente  o   e'   dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta e' tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari  a
quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a
norma del comma 1-bis. Il giudice da' atto  nel  provvedimento  della
sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e  l'obbligo
di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso». 
    Il rimettente sostiene che tale previsione, applicabile anche nel
caso in cui l'appello sia dichiarato improcedibile ai sensi dell'art.
348, secondo comma,  del  codice  di  procedura  civile  per  mancata
comparizione  dell'appellante  alla  prima  udienza   ed   a   quella
successiva di cui gli sia  stata  data  comunicazione,  realizzerebbe
un'ingiustificata disparita' di trattamento - in violazione dell'art.
3 Cost. - rispetto all'ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo
e conseguente estinzione del processo ai sensi degli artt. 181 e  309
cod. proc. civ. 
    Poiche' la disposizione censurata avrebbe natura  tributaria,  ad
avviso del rimettente risulterebbe violato anche l'art. 53 Cost. 
    2.- Sotto il profilo della rilevanza, il giudice a quo  riferisce
che, a fronte della mancata comparizione della parte appellante  alla
prima udienza ed  a  quella  successiva  di  cui  le  e'  stata  data
comunicazione, dovrebbe dichiarare l'appello improcedibile  ai  sensi
dell'art. 348, secondo comma, cod. proc. civ. e - in ragione di  tale
declaratoria -dovrebbe altresi' rilevare la sussistenza  di  uno  dei
presupposti previsti  per  il  versamento  dell'ulteriore  importo  a
titolo di contributo unificato pari a quello  dovuto  per  la  stessa
impugnazione, cosi' come prescritto dalla norma censurata. 
    Quest'ultima troverebbe applicazione  nella  fattispecie  ratione
temporis, atteso che: a) l'art. 1, comma 18, della legge n.  228  del
2012 ne prevede l'applicabilita' ai procedimenti iniziati  a  partire
dal 31 gennaio 2013; b) la giurisprudenza di legittimita' e' costante
nel  dare  rilievo   al   momento   della   pendenza   del   giudizio
d'impugnazione per stabilire l'operativita'  della  norma  (Corte  di
cassazione, sesta sezione civile, sentenza 10 luglio 2015, n.  14515,
nonche' Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  civili,  sentenza  18
febbraio 2014,  n.  3774);  c)  dall'intestazione  dell'ordinanza  di
rimessione risulta chiaramente che il giudizio in cui essa  e'  stata
adottata risale al 2014.  Di  qui  l'infondatezza  dell'eccezione  di
difetto di  motivazione  sulla  rilevanza  sollevata  dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    3.-  Preliminarmente  deve  essere  dichiarata  inammissibile  la
questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   13,   comma
1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 in riferimento all'art. 53 Cost. 
    Il rimettente omette di illustrare compiutamente i motivi per cui
la  disposizione  violerebbe  il  parametro  indicato:  «[q]uando  il
provvedimento introduttivo risulta carente in ordine alle ragioni  di
contrasto tra  la  norma  censurata  ed  i  parametri  costituzionali
evocati, la giurisprudenza costituzionale e' costante nel  senso  che
la relativa questione debba considerarsi inammissibile» (ex plurimis,
sentenza n. 223 del 2015). 
    4.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 in riferimento all'art.  3
Cost. non e' fondata. 
    4.1.- Le situazioni messe a confronto  dal  rimettente  non  sono
omogenee. La disposizione censurata correla l'aggravio del contributo
unificato  all'integrale  reiezione  dell'impugnazione  o  alla   sua
declaratoria di inammissibilita' o di improcedibilita'.  L'art.  348,
secondo comma, cod. proc. civ. prevede un'ipotesi di improcedibilita'
dell'appello, comminandola nel caso in  cui  l'appellante  costituito
ometta di comparire  alla  prima  udienza  ed  a  quella  successiva,
ritualmente comunicata. L'art.  181  cod.  proc.  civ.  -  richiamato
dall'art. 309 cod. proc. civ. per le udienze successive alla prima ed
applicabile nei giudizi  di  secondo  grado  in  ragione  del  rinvio
operato dall'art. 359 cod. proc. civ. - stabilisce  che,  se  nessuna
delle parti compare alla prima  udienza,  il  giudice  ne  fissi  una
successiva a seguito della quale, se di  nuovo  nessuna  delle  parti
compare, ordina la cancellazione della causa  dal  ruolo  e  dichiara
l'estinzione del processo. 
    Non puo' essere condiviso l'assunto del rimettente secondo cui la
norma impugnata discriminerebbe ingiustificatamente le due richiamate
fattispecie, sanzionando la prima con  il  raddoppio  del  contributo
unificato e lasciandone esente la seconda. 
    Nonostante   il   dato   comune   rappresentato   dalla   mancata
comparizione, cui si correla sia l'improcedibilita' di  cui  all'art.
348, secondo comma, cod. proc. civ., sia la cancellazione della causa
dal ruolo e l'estinzione del processo ai sensi degli artt. 181 e  309
cod. proc. civ., le due fattispecie  non  sono  infatti  equiparabili
sotto il profilo dedotto dal rimettente. 
    Anzitutto, va sottolineato  come  il  regime  del  raddoppio  del
contributo  unificato  accomuni  tutti  i  casi  di  esito   negativo
dell'appello, essendo previsto per le ipotesi del rigetto integrale o
della  definizione  in  rito  sfavorevole  all'appellante.  In   tale
categoria rientra l'improcedibilita' comminata dall'art. 348, secondo
comma, cod. proc. civ., ma non l'ipotesi di cancellazione della causa
dal ruolo ed estinzione del processo. 
    In  secondo  luogo,  come  evidenziato  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' (Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza  2
luglio 2015, n. 13636, e sentenza 15 settembre 2014,  n.  19464),  la
norma censurata risponde alla ratio, evidente nei casi  di  reiezione
in rito, di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose. Tale
ratio non e' ravvisabile nella fattispecie di cui all'art.  181  cod.
proc.  civ.,  la  quale  prescinde  dalla  unilaterale  utilizzazione
impropria  del  gravame,  ma  riguarda  soltanto  l'omologa  condotta
omissiva delle parti  -  alla  luce  dell'orientamento  assolutamente
prevalente nella giurisprudenza di legittimita' (ex multis, Corte  di
cassazione, sesta sezione  civile,  sentenza  12  febbraio  2015,  n.
2816), secondo cui la mancata presenza alla  prima  udienza  ed  alla
successiva dell'appellante e dell'appellato costituito  determina  la
cancellazione della causa  dal  ruolo  e  l'estinzione  del  processo
(anziche' l'improcedibilita' dell'appello) - con la  conseguenza  che
la funzione deterrente riconosciuta alla norma censurata non  avrebbe
modo di esprimersi. 
    Considerato infine che il raddoppio del contributo  unificato  e'
previsto  a  parziale  ristoro  dei  costi  del  vano   funzionamento
dell'apparato giudiziario o  della  vana  erogazione  delle  limitate
risorse a  sua  disposizione  (Corte  di  cassazione,  sesta  sezione
civile, sentenza 27 marzo 2015, n. 6280, e ordinanza 13 maggio  2014,
n. 10306, nonche' Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza
14 marzo  2014,  n.  5955),  deve  sottolinearsi  come  tale  inutile
dispendio  di  energie  processuali  e   di   correlati   costi   non
caratterizzi la fattispecie di cui agli artt. 181 e  309  cod.  proc.
civ.  La  loro  applicazione  e  la  conseguente  emissione   di   un
provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo e di  estinzione
del processo richiedono, infatti, la mancata comparizione di tutte le
parti alla prima udienza ed a quella successiva alla quale  la  causa
sia stata rinviata, nell'assunto che tale  comportamento  costituisca
una tipica  manifestazione  di  disinteresse  alla  prosecuzione  del
processo. Detto disinteresse, emergendo dopo  la  costituzione  delle
parti in secondo grado - quando le stesse  hanno  gia'  disvelato  le
rispettive  tesi  difensive   e   dopo   l'eventuale   adozione   dei
provvedimenti sull'esecuzione provvisoria della sentenza impugnata  -
ed  accomunandole   nella   condotta   processuale,   e'   verosimile
espressione della comune decisione di non comparire e, non  di  rado,
di coordinamento o accordo tra le  parti  stesse.  Tali  peculiarita'
rispetto  alla  fattispecie  della  mancata  comparizione  del   solo
appellante alla prima udienza impediscono di considerare alla  stessa
stregua la contemporanea mancata comparizione di tutte le  parti  del
giudizio di appello, epilogo presumibile indice di  una  composizione
stragiudiziale   della   controversia   potenzialmente   frutto   del
precedente dispendio di energie processuali. In tal caso non  avrebbe
quindi senso -  a  riprova  della  differenza  intercorrente  con  la
fattispecie dell'improcedibilita'  -  sanzionare  la  condotta  della
(sola) parte appellante, peraltro omologa  a  quella  dell'appellato,
scoraggiando un esito  auspicabile  sotto  il  profilo  dell'economia
processuale oltre che dell'assetto  sostanziale  degli  interessi  in
conflitto. 
    Le ragioni che precedono  dimostrano  la  disomogeneita'  tra  le
fattispecie  a  confronto,  comportando  la  non   fondatezza   della
questione in riferimento all'art. 3 Cost.