ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  nel  giudizio   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre  2014,  n.  190
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge  di  stabilita'  2015),  promosso  dalla  Regione
Veneto con ricorso notificato il  25  febbraio  2015,  depositato  in
cancelleria il 4 marzo 2015 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi
2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  17  maggio  2016  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto  e  l'avvocato
dello Stato Stefano  Varone  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Veneto ha impugnato, con il ricorso  in  epigrafe,
numerose disposizioni dell'art. 1 della legge 23  dicembre  2014,  n.
190  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015) e, tra queste, le
disposizioni di cui ai commi 611 e 612, le quali disciplinano criteri
e modalita' del processo di razionalizzazione delle societa' e  delle
partecipazioni societarie direttamente  o  indirettamente  possedute,
tra gli altri, dalle Regioni. 
    Secondo la ricorrente, le disposizioni  denunciate,  «sebbene  in
astratto   dirette   all'obiettivo   pienamente   condivisibile    di
razionalizzare il preoccupante e ingiustificato fenomeno  di  abnorme
proliferazione  delle  societa'  partecipate»,  si  porrebbero,   «in
concreto», in contrasto con gli artt. 3,  97,  117,  terzo  e  quarto
comma, 118 e 119, della Costituzione, nonche'  con  il  principio  di
leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost. E cio' per la ragione
che  -  «non  prevedendo  alcuna  differenziata  considerazione   dei
processi gia' avviati  da  alcune  societa'  regionali  (come  invece
richiederebbero i principi di differenziazione e adeguatezza  di  cui
all'art. 118 Cost.)  e  nessun  coinvolgimento  delle  Regioni  nella
definizione del processo di razionalizzazione (in  violazione  quindi
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120  Cost.)»  -
quella disciplina  sarebbe  «lesiv[a]  della  materia  di  competenza
residuale regionale "organizzazione e funzionamento  della  Regione",
riconducibile al quarto comma dell'art. 117  della  Costituzione»  e,
per tale aspetto, in particolare, interferirebbe nel  processo,  gia'
da   tempo   avviato   dal   Veneto,   di   razionalizzazione   delle
partecipazioni regionali sia dirette che indirette. 
    2.- Si e' costituito il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso  per  una  declaratoria  di  infondatezza  delle   sollevate
questioni di legittimita' costituzionale. 
    La difesa dello Stato, richiamando la sentenza di questa Corte n.
159 del 2008, rammenta anzitutto che rispetto alle societa' orbitanti
nell'area degli enti locali,  svolgenti  attivita'  strumentali  alle
finalita'  di  questi  e  strettamente  connesse  con  le  previsioni
contenute nel testo  unico  degli  enti  locali,  assume  rilievo  la
disciplina statale in ordine  ai  profili  organizzativi  concernenti
l'ordinamento degli enti locali, di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera p), Cost. 
    In ogni caso,  soggiunge  l'Avvocatura  generale,  la  disciplina
censurata avrebbe finalita' di contenimento della spesa  pubblica  e,
in quanto normativa di  principio  in  tema  di  coordinamento  della
finanza pubblica (ponendo «obiettivi e criteri generali»,  con  ampio
margine  all'intervento  regionale),  ben  potrebbe  incidere   sulle
competenze delle Regioni anche in  materia  di  organizzazione  delle
stesse e dei relativi enti. 
    3.- Ha replicato la ricorrente, con successiva memoria,  che  non
sarebbe,  comunque,  riconducibile  a  principio   fondamentale,   od
obiettivo  generale,  in  materia  di  coordinamento  della   finanza
pubblica, l'obbligo della «soppressione delle societa' che  risultino
composte da soli amministratori o  da  un  numero  di  amministratori
superiore a quello dei dipendenti», previsto  dalla  lettera  b)  del
comma 611. Poiche' sarebbe, infatti, questo, un  «obbligo  totalmente
puntuale e dettagliato, che prevede un  automatismo  che  non  lascia
alcuno  spazio  all'autonomia  regionale,  che  risulta  costretta  a
sopprimere societa' in cui  il  limitato  numero  di  dipendenti  non
dipende dall'inefficienza, ma dalle caratteristiche intrinseche delle
societa',  dirette  alla  gestione,  per  conto  della  Regione,   di
consistenti patrimoni immobiliari». Cio' che in  concreto  avverrebbe
con riguardo alla Societa' Veneziana Edilizia Canalgrande, totalmente
partecipata da essa Regione Veneto, che  e'  priva  di  dipendenti  e
della quale, quindi, sarebbe imposta la soppressione, senza che alcun
spazio di manovra venga riservato all'autonomia regionale, la'  dove,
inoltre, sarebbe comunque irragionevole la soppressione  di  societa'
di cui «non e' provata l'inefficienza». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma,
118 e 119 della Costituzione,  nonche'  con  il  principio  di  leale
collaborazione, di cui all'art. 120 Cost., la Regione Veneto, con  il
ricorso in  epigrafe,  impugna  varie  disposizioni  della  legge  23
dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015), tra le
quali, per quanto qui rileva, quelle di cui ai commi 611  e  612  del
suo articolo 1. 
    1.1.- Il comma 611 dell'art. 1 della predetta legge  testualmente
prevede che «le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano,
gli enti locali, le camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura,  le   universita'   e   gli   istituti   di   istruzione
universitaria pubblici e le autorita' portuali, a  decorrere  dal  1°
gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle societa'
e  delle  partecipazioni  societarie  direttamente  o  indirettamente
possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse  entro  il
31 dicembre 2015». 
    Tale processo, per espressa  previsione  normativa,  deve  tenere
conto «anche» dei seguenti criteri: 
    «a) eliminazione delle societa' e delle partecipazioni societarie
non  indispensabili  al   perseguimento   delle   proprie   finalita'
istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione; 
    b) soppressione delle societa' che  risultino  composte  da  soli
amministratori o da un numero di amministratori  superiore  a  quello
dei dipendenti; 
    c) eliminazione delle partecipazioni  detenute  in  societa'  che
svolgono attivita' analoghe o  similari  a  quelle  svolte  da  altre
societa' partecipate o da enti pubblici strumentali,  anche  mediante
operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; 
    d)  aggregazione  di  societa'  di  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica; 
    e)  contenimento  dei  costi  di  funzionamento,  anche  mediante
riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo  e  delle
strutture aziendali, nonche' attraverso la riduzione  delle  relative
remunerazioni». 
    Cio' al fine  espresso  di  «assicurare  il  coordinamento  della
finanza pubblica, il contenimento  della  spesa,  il  buon  andamento
dell'azione amministrativa  e  la  tutela  della  concorrenza  e  del
mercato». 
    Per raggiungere l'obiettivo di razionalizzazione,  il  successivo
comma 612 dispone che «i presidenti delle regioni  e  delle  province
autonome di Trento e Bolzano, i presidenti delle province, i  sindaci
e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui  al  comma
611, in relazione ai rispettivi ambiti di competenza,  definiscono  e
approvano,  entro  il  31  marzo  2015,   un   piano   operativo   di
razionalizzazione delle societa' e  delle  partecipazioni  societarie
direttamente o indirettamente possedute, le modalita' e  i  tempi  di
attuazione,  nonche'  l'esposizione  in  dettaglio  dei  risparmi  da
conseguire». 
    La norma prevede,  altresi',  l'intervento  di  un  organo  terzo
individuato nella competente sezione  regionale  di  controllo  della
Corte dei conti, stabilendo che  il  suindicato  piano  operativo  di
razionalizzazione delle societa' e  delle  partecipazioni  societarie
«corredato  di  un'apposita  relazione  tecnica,  e'  trasmesso  alla
competente sezione regionale di controllo della  Corte  dei  conti  e
pubblicato  nel  sito  internet  istituzionale   dell'amministrazione
interessata. Entro il 31 marzo 2016,  gli  organi  di  cui  al  primo
periodo predispongono una relazione sui risultati conseguiti, che  e'
trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della  Corte
dei   conti   e   pubblicata   nel   sito   internet    istituzionale
dell'amministrazione interessata. La pubblicazione del piano e  della
relazione costituisce obbligo di pubblicita'  ai  sensi  del  decreto
legislativo 14 marzo 2013, n. 33». 
    1.2.- Il vulnus ai plurimi evocati  parametri  costituzionali  e'
motivato dalla  ricorrente  in  ragione  del  carattere  «puntuale  e
dettagliato [...] ma indifferenziato» dei criteri, modalita' e  tempi
del  processo   di   razionalizzazione   delle   societa'   e   delle
partecipazioni societarie possedute da Regioni ed enti locali, recato
dalla disciplina statale impugnata e tale da «vincola[re]  totalmente
le  amministrazioni  regionali,  senza  lasciare  alcun  margine   di
adeguamento». 
    In particolare, la «soppressione  delle  societa'  che  risultino
composte da soli amministratori [...]», sub lettera b) del comma 611,
impedirebbe, irragionevolmente, di «considerare quelle situazioni  in
cui le societa' presentano si' tali caratteristiche, ma solo  perche'
dirette alla  gestione,  per  conto  della  Regione,  di  consistenti
patrimoni  (e  non  necessitando   quindi   di   numeroso   personale
dipendente), generando utile e non presentando,  quindi,  alcuno  dei
profili   di   inefficienza   che   potrebbero    giustificarne    la
soppressione». 
    La ricorrente sottolinea ancora come abbia autonomamente «gia' da
tempo avviato  processi  di  razionalizzazione  delle  partecipazioni
regionali, sia dirette che indirette». 
    E, per tal profilo, lamenta che le  disposizioni  denunciate  non
abbiano di cio'  tenuto  alcun  conto  (in  palese  contrasto  con  i
principi di differenziazione e di adeguatezza  di  cui  all'art.  118
Cost.), imponendo, anche  ad  essa  Regione  Veneto  (in  violazione,
altresi', del principio di leale collaborazione, di cui all'art.  120
Cost., e della sua competenza residuale nella materia "organizzazione
e  funzionamento  della  Regione"),  un  «ulteriore  e  generalizzato
percorso, dove sono stabiliti [...] oneri aggiuntivi (come  l'obbligo
di  trasmissione  della  relazione  tecnica  e  della  relazione  sui
risultati conseguiti alla competente sezione regionale  di  controllo
della Corte dei conti) e [...] termini perentori  per  l'adozione  di
piani  da  parte  delle  Regioni   e   per   la   dismissione   delle
partecipazioni detenute». 
    E  proprio  il  carattere  dettagliato  e  puntuale   di   queste
prescrizioni - ribadisce, infine, la ricorrente - impedirebbe che  le
stesse possano considerarsi come norme di principio nella materia del
«coordinamento della finanza pubblica». 
    1.3.- Sostiene, viceversa, la difesa erariale che le disposizioni
in esame rientrino pianamente nella competenza esclusiva dello  Stato
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  p),  Cost.,  in  quanto,
attinenti a «profili organizzativi  concernenti  l'ordinamento  degli
enti locali» (come chiarito dalla sentenza di questa Corte n. 159 del
2008);  e  siano,  comunque,  anche  ascrivibili,  quali   norme   di
"principio", alla  competenza  statuale  concorrente  in  materia  di
«coordinamento della finanza pubblica». 
    2.- Nessuna delle questioni sollevate e' fondata. 
    2.1.- Rileva, in primo luogo, infatti, che  -  nel  formulare  le
proprie (come sopra riassunte) censure - la ricorrente muove  da  una
inesatta premessa interpretativa delle disposizioni  impugnate.  Essa
trascura di considerare che l'obiettivo,  che  tali  disposizioni  si
prefiggono, di «riduzione» delle  societa',  e  delle  partecipazioni
societarie, direttamente o  indirettamente  possedute  (tra  l'altro)
dalle Regioni, si basa su un "piano di  razionalizzazione",  che  non
emargina, ma coinvolge le stesse Regioni (e che, ove  gia'  iniziata,
come  sostenuto  dalla  ricorrente,  puo'  trovare  nella   normativa
censurata ulteriore implementazione e  completamento),  un  piano  da
realizzare, infatti, «anche» - e, cioe', "non  solo"  -  in  base  ai
criteri direttivi statali. 
    La disposizione del comma 611  e  quella  (ad  essa  collegata  e
strumentale) del successivo comma 612 dell'art. 1 risultano, nel loro
complesso e su  un  piano  generale,  senz'altro  riconducibili  alle
prevalenti finalita', che  con  esse  si  intende  conseguire,  ossia
quelle di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica -  di
cui alla materia del «coordinamento della finanza pubblica»  ex  art.
117, terzo comma, Cost. - recando una disciplina  di  principio,  che
lascia ampio margine di manovra all'autonomia regionale. 
    2.2.- I singoli "criteri" elencati  nel  comma  611  dell'art.  1
della legge n. 190 del 2014 sono pertinenti ed  intersecano,  per  di
piu', anche ulteriori ambiti di competenza esclusiva dello Stato. 
    In particolare, il criterio sub a) si raccorda,  completandole  e
rafforzandole, alle disposizioni di cui ai commi 27 e 29 dell'art.  3
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2008), e risponde alla stessa finalita' di evitare abusi  del  "tipo"
societario e/o delle partecipazioni societarie: finalita' che secondo
la sentenza n. 148 del  2009  (con  la  quale  e'  stata  esclusa  la
fondatezza di censure analoghe rivolte, sempre dalla Regione  Veneto,
ai predetti due commi dell'art. 3 della legge n. 244  del  2007)  «va
ricondotta alla materia "tutela della concorrenza",  attribuita  alla
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  (art.  117,  secondo
comma,   lettera   e   Cost.),   anziche'    [...]    alla    materia
dell'organizzazione e  del  funzionamento  della  Regione,  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 159 del 2008)». 
    Lo stesso  e'  a  dirsi  per  il  criterio  sub  c),  poiche'  la
"parcellizzazione" dello strumento (la  partecipazione  in  societa')
per il perseguimento delle  medesime  finalita'  istituzionali  della
Regione  e'  suscettibile  di  produrre  effetti   distorsivi   sulla
concorrenza. 
    E,  comunque,  l'auspicata  «eliminazione  delle   partecipazioni
detenute in societa' che svolgono attivita'  analoghe  o  similari  a
quelle svolte da altre societa' partecipate  [...]»  -  funzionale  a
scopi di risparmio di spesa - non  prescinde,  a  sua  volta,  da  un
coinvolgimento delle Regioni, alle quali e' lasciato un significativo
margine di manovra, per le opzioni, ad  esse  rimesse,  relativamente
«anche» ad eventuali «operazioni di fusione  o  di  internalizzazione
delle funzioni». 
    Identiche considerazioni valgono per il criterio sub d),  che  ha
un   corrispondente   obiettivo   di   aggregazione,   riferito,   in
particolare, a societa'  di  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica. E che, nella sua portata ulteriore, e' volto a  conseguire
anche un evidente risparmio di spesa, tramite  l'indicazione  di  una
misura (aggregazione)  che,  in  assenza  di  specificazioni  modali,
consente di ascriverla al  novero  dei  principi  fondamentali  della
materia «coordinamento della finanza pubblica». 
    A sua volta, il criterio sub b) -  sulla  cui  illegittimita'  la
Regione insiste particolarmente, anche con la  memoria,  ravvisandovi
una «disposizione di dettaglio»  -delinea  un  "modello  di  societa'
pubblica", prefigurando (sia pure indirettamente con il disegnarne la
configurazione  non  consentita)  la  struttura  della   stessa,   in
correlazione al principio per cui  la  relativa  compagine  non  puo'
essere  composta  «da  soli  amministratori  o  da   un   numero   di
amministratori superiore a quello dei dipendenti». 
    In tal senso, la disciplina incide, dunque, a monte,  sul  modulo
organizzativo, e sul relativo statuto, in forza  del  quale  svolgere
l'attivita' "produttiva", e non gia' sulla  scelta,  a  valle,  della
Regione  su  "come"  organizzarsi  per  lo  svolgimento  dei  servizi
strumentali al perseguimento delle proprie  finalita'  istituzionali.
Pertanto  essa  e'  riconducibile  alla   materia   dell'«ordinamento
civile», oltre ad  esibire,  pure  essa,  uno  scopo  (ulteriore)  di
risparmio finanziario. 
    Da ultimo, il criterio sub e) evoca chiaramente  la  materia  del
«coordinamento della finanza pubblica», nell'ambito  della  quale  si
pone come "principio fondamentale",  in  quanto  lascia  spazio  alle
Regioni in  ordine  alla  scelta  delle  modalita'  di  conseguimento
dell'obiettivo, che si propone, di un risparmio tramite la  riduzione
dei costi di funzionamento degli organi sociali e delle remunerazioni
dei componenti. 
    2.3.- Quanto,  infine,  alla  censura  che  attiene  agli  «oneri
aggiuntivi» (predisposizione di «piano  operativo»  e  di  «relazione
tecnica»,  da  comunicare  alla  Corte  dei  conti),  che  imporrebbe
(illegittimamente per la Regione Veneto) il censurato comma  612,  e'
sufficiente ribadire che un puntuale obbligo di  comunicazione,  alla
Corte dei conti, di dati a carico degli enti  locali  (nella  specie,
oltretutto, senza conseguenze sanzionatorie) e'  da  ricondurre  alla
realizzazione  in   concreto   delle   finalita'   di   coordinamento
finanziario  e,  dunque,  ascrivibile  ai  principi  della   relativa
materia, di competenza concorrente (ex plurimis, sentenze n.  44  del
2014 e n. 417 del 2005).