ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della decisione del Vice Presidente della Commissione
giustizia del Senato della Repubblica del 12  ottobre  2015  e  della
decisione della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari del
Senato della Repubblica del 13 ottobre 2015,  promosso  dal  senatore
Giovanardi Carlo Amedeo e da altri senatori, con  ricorso  depositato
in cancelleria l'11 febbraio 2016 ed iscritto al n.  4  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 18  maggio  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con  ricorso  depositato  nella  cancelleria  della
Corte costituzionale in data 11 febbraio 2016, alcuni senatori  della
Repubblica hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, nei  confronti  del
Presidente  del  Senato  della  Repubblica,  della   Conferenza   dei
Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato e del  Vice  Presidente
della Commissione giustizia del Senato; 
    che i ricorrenti impugnano  il  provvedimento  con  cui  il  Vice
Presidente  della  Commissione  giustizia  del  Senato  ha   disposto
l'abbinamento del disegno di legge n. 2081, recante «Regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze», ad altri disegni di legge (n. 2069 e n. 2084) in materia
di unioni civili gia'  all'esame  dell'Assemblea  (come  risulta  dal
resoconto sommario della seduta della Commissione  giustizia  n.  243
del 12 ottobre 2015); nonche' il provvedimento con cui la  Conferenza
dei Presidenti dei Gruppi parlamentari ha inserito l'esame del d.d.l.
n. 2081 nel calendario dei lavori dell'Assemblea (come risulta  dalla
riunione n. 132 della  Conferenza  relativamente  al  calendario  dei
lavori dal 14 al 22 ottobre 2015), e quello con cui il Presidente del
Senato ha sottoposto il medesimo disegno di legge all'esame e al voto
dell'Assemblea (come risulta dai resoconti stenografici delle  sedute
pubbliche n. 522 e n. 523 dell'Assemblea del  Senato  rispettivamente
del 13 e del 14 ottobre 2015); 
    che, secondo  quanto  affermato  nel  ricorso,  per  effetto  dei
suddetti atti sarebbe stato menomato  l'esercizio  delle  prerogative
spettanti a ciascun parlamentare e sarebbero  stati  conseguentemente
violati gli artt. 1, secondo comma, 67, 71, 72, primo e quarto comma,
Cost.; 
    che, quanto al profilo soggettivo, i ricorrenti affermano la loro
piena  legittimazione,   muovendo   dalla   considerazione   che   la
giurisprudenza costituzionale in materia non  esclude  esplicitamente
che i singoli parlamentari possano essere  qualificati  poteri  dello
Stato ai fini del conflitto di attribuzione ex art. 37 della legge 11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), salvo il caso in  cui  il  rimedio  non  abbia
carattere di residualita'; 
    che  la  legittimazione  del  singolo  parlamentare   deriverebbe
dall'essere titolare di specifici poteri riconosciutigli direttamente
dalla Costituzione,  quale  rappresentante  della  Nazione  (art.  67
Cost.), «prima forma organica  attraverso  la  quale,  a  livello  di
Stato-apparato, si esprime la sovranita' popolare» (art.  1,  secondo
comma, Cost.), e partecipe della funzione  legislativa  delle  Camere
(art.  71  Cost.),  poteri  che  si  estrinsecano  sia   tramite   la
presentazione di progetti di legge  e  di  proposte  emendative,  sia
tramite la partecipazione ai lavori delle commissioni,  anche  se  di
esse non si faccia parte; 
    che corollario di tali prerogative  sarebbe  la  sussistenza,  in
capo  al  singolo  parlamentare,  del  «diritto  di  esigere  che   i
Regolamenti (espressamente richiamati dall'art.  72,  co.  1,  Cost.)
siano formulati e, comunque, interpretati ed applicati  conformemente
a Costituzione [...], a tutela proprio delle attribuzioni che  a  lui
competono in virtu' del potere di cui e' uti singulus portatore»; 
    che, quanto al profilo oggettivo, e' lamentata la  violazione  di
una serie di norme  regolamentari  relative  all'iter  di  formazione
della legge (particolarmente,  degli  artt.  31,  43,  44  e  51  del
Regolamento del Senato della Repubblica)  e,  per  il  loro  tramite,
dell'art. 72, primo e quarto comma, Cost.; 
    che i ricorrenti ricostruiscono  analiticamente  le  vicende  dei
lavori  parlamentari  dalle  quali   discenderebbero   le   lamentate
violazioni, esponendo che il disegno di legge n. 2081, presentato  il
6 ottobre 2015 e assegnato il successivo 7  ottobre  all'esame  della
Commissione giustizia del Senato, e' stato illustrato da parte  della
relatrice della Commissione, unitamente ad altri due disegni di legge
in materia (n. 2069 e n. 2084), nella seduta notturna del 12  ottobre
2015, mentre la sua trattazione rinviata alla seduta del  13  ottobre
2015; 
    che tale trattazione e' stata  poi  ulteriormente  rinviata  alla
seduta pomeridiana del giorno successivo,  ma  non  ha  avuto  luogo,
essendo stato nel frattempo disposto, da parte  del  Vice  Presidente
della Commissione giustizia, l'abbinamento  del  d.d.l.  n.  2081  ad
altri disegni di legge in materia di  unioni  civili  gia'  all'esame
dell'Assemblea, senza che, ad avviso dei ricorrenti,  la  Commissione
si sia espressa sul punto, come  invece  previsto  dall'art.  51  del
Regolamento del Senato della Repubblica; 
    che la Conferenza  dei  Presidenti  dei  Gruppi  parlamentari  ha
inserito l'esame del d.d.l. n. 2081  nel  calendario  dell'Assemblea,
senza il previo esame in Commissione e  senza  rispettare  i  termini
indicati dalle norme regolamentari (art. 44); 
    che, ad avviso  dei  ricorrenti,  il  Presidente  del  Senato  ha
sottoposto il disegno di legge all'esame e al voto dell'Assemblea, in
contrasto con le norme regolamentari sulla programmazione dei  lavori
(artt. 53 e 55); 
    che il mancato esame in Commissione del testo normativo,  ridotti
i lavori alla sua mera illustrazione, avrebbe determinato «un caso di
grave menomazione delle funzioni e  delle  prerogative  dei  Senatori
facenti parte della Commissione, della minoranza parlamentare e, piu'
ampiamente, di tutti i membri della Camera Alta». 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata a deliberare, ai sensi dell'art. 37, terzo e  quarto  comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  l'ammissibilita'   del
ricorso, valutando, senza contraddittorio, se sussistano i  requisiti
soggettivo e oggettivo di un conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato; 
    che la Corte costituzionale e' chiamata a verificare,  in  camera
di consiglio, l'esistenza o meno della «materia di  un  conflitto  la
cui risoluzione spetti alla sua competenza»; 
    che il conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  e'
risolto dalla Corte costituzionale «per la delimitazione della  sfera
di  attribuzioni   determinata   per   i   vari   poteri   da   norme
costituzionali» (art. 37, primo comma, della l. n. 87 del 1953); 
    che occorre, quindi, affinche' vi sia materia del conflitto,  che
si lamenti la  violazione  di  norme  costituzionali  attributive  di
potere al soggetto ricorrente; 
    che, a questo  proposito,  vero  e'  che  i  senatori  ricorrenti
invocano gli artt. 1, secondo comma, 67, 71  e  72,  primo  e  quarto
comma,  della  Costituzione,  ritenendo  che  da  tali   disposizioni
costituzionali derivi la titolarita', in capo a ciascun parlamentare,
del potere di iniziativa legislativa, che si estrinseca non solo  con
la  presentazione  di  proposte  di  legge,  ma   altresi'   con   la
formalizzazione di emendamenti ai progetti di legge in discussione  e
con la partecipazione ai lavori delle Commissioni parlamentari, anche
se di esse non si faccia parte; 
    che, tuttavia, e' altresi'  vero  che  i  ricorrenti,  dopo  aver
invocato  le  suddette  disposizioni  costituzionali,  sviluppano  le
censure lamentando una serie di violazioni dei  regolamenti  e  della
prassi parlamentare dovute  a  uno  scorretto  andamento  dei  lavori
parlamentari relativi al disegno di legge n. 2081; 
    che, in particolare, i ricorrenti si dolgono  del  fatto  che  il
Vice  Presidente   della   Commissione   giustizia   abbia   disposto
l'abbinamento del d.d.l. n. 2081  agli  altri  disegni  di  legge  in
materia  di  unioni  civili  gia'  all'esame  dell'Assemblea,   senza
richiedere sul punto una deliberazione  dell'intera  Commissione,  in
violazione dell'art. 51 del Regolamento del Senato della Repubblica; 
    che, inoltre, i ricorrenti lamentano il  mancato  rispetto  delle
varie fasi della programmazione dei lavori come descritte dagli artt.
53 e 55 del Regolamento del Senato  della  Repubblica  da  parte  del
Presidente del Senato e della Conferenza dei  Presidenti  dei  Gruppi
parlamentari, che avrebbero  disposto  l'inserimento  dell'esame  del
d.d.l. n. 2081  direttamente  nel  calendario  dell'Assemblea,  senza
preventivamente ricomprenderlo nel programma; 
    che, infine, i  ricorrenti  ritengono  che  tali  violazioni  dei
procedimenti parlamentari abbiano indebitamente ridotto  l'esame  del
d.d.l. n. 2081 in Commissione giustizia, dove il suddetto disegno  di
legge e' pervenuto  poco  piu'  di  una  settimana  prima  della  sua
"calendarizzazione" all'esame in Assemblea, in virtu' di una  erronea
applicazione  dell'art.  44  del   Regolamento   del   Senato   della
Repubblica; 
    che, dunque, alla luce  della  ricostruzione  della  vicenda,  la
menomazione lamentata dai ricorrenti inerisce tutta alle modalita' di
svolgimento dei lavori parlamentari  come  disciplinati  da  norme  e
prassi regolamentari, che scandiscono  e  regolano  i  "momenti"  del
procedimento di formazione delle leggi, quali sono sia  l'abbinamento
dei disegni di legge attinenti a  materie  identiche  o  strettamente
connesse, sia la "calendarizzazione" dei  lavori  in  Assemblea,  con
conseguente discussione, esame, modifica e votazione dei  disegni  di
legge in tale sede; 
    che, come questa Corte ha gia' avuto modo di chiarire, a ciascuna
Camera e' riconosciuta  e  riservata  la  potesta'  di  disciplinare,
tramite il proprio Regolamento, il procedimento legislativo «in tutto
cio' che non sia  direttamente  ed  espressamente  gia'  disciplinato
dalla Costituzione» (sentenza n. 78 del 1984); 
    che, entro questi limiti, le vicende e i rapporti attinenti  alla
disciplina del procedimento  legislativo  «ineriscono  alle  funzioni
primarie delle Camere» (sentenza n. 120 del 2014) e  sono,  per  cio'
stesso,  coperte  dall'autonomia  che  a  queste  compete  e  che  si
estrinseca non solo nella determinazione di cosa approvare, ma  anche
nella determinazione di quando approvare; 
    che, dunque, il presente conflitto, nei termini in cui  e'  stato
articolato, «non attinge al livello del conflitto  tra  poteri  dello
Stato,  la  cui  risoluzione  spetta   alla   Corte   costituzionale»
(ordinanze  n.  366  del  2008  e  n.  90  del  1996),  inerendo   le
argomentazioni addotte nel ricorso  esclusivamente  alla  lesione  di
norme del Regolamento del Senato e della prassi  parlamentare,  senza
che  sia  validamente  dimostrata  l'idoneita'  di  queste  ultime  a
integrare i parametri costituzionali invocati; 
    che le eventuali violazioni di mere norme regolamentari  e  della
prassi  parlamentare  lamentate  dai   ricorrenti   debbono   trovare
all'interno delle stesse Camere gli strumenti intesi a  garantire  il
corretto svolgimento dei lavori,  nonche'  il  rispetto  del  diritto
parlamentare, dei diritti delle minoranze e  dei  singoli  componenti
(sentenza n. 379 del 1996); 
    che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile,  restando
assorbito  l'esame  di  ogni  altro  profilo   e   requisito,   anche
soggettivo.