ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
609, della legge 23  dicembre  2014,  n.  190  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita'  2015),  promosso  dalla  Regione   Veneto   con   ricorso
notificato il 24-25 febbraio 2015, depositato  in  cancelleria  il  4
marzo 2015 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  17  maggio  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l'avvocato
dello Stato Stefano  Varone  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 24-25 febbraio 2015, depositato  il
4 marzo 2015 e iscritto al n. 31  del  registro  ricorsi  per  l'anno
2015, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della legge
23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di  stabilita'  2015),  tra
cui l'art. 1, comma 609, oggetto del presente giudizio. 
    Questo   comma   modifica   l'art.   3-bis   (rubricato   «Ambiti
territoriali  e  criteri  di  organizzazione  dello  svolgimento  dei
servizi pubblici locali») del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    La ricorrente  concentra  le  censure  sulla  prima  parte  della
lettera a) del comma 609, che modifica il comma 1-bis del citato art.
3-bis. In seguito alla modifica, il primo  periodo  del  comma  1-bis
prevede che «[l]e funzioni di  organizzazione  dei  servizi  pubblici
locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al
settore dei rifiuti urbani, di scelta della  forma  di  gestione,  di
determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza,  di
affidamento della  gestione  e  relativo  controllo  sono  esercitate
unicamente dagli enti di governo degli ambiti o  bacini  territoriali
ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del  comma  1  del
presente articolo cui gli enti locali partecipano  obbligatoriamente,
fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge
7 aprile 2014, n. 56». 
    Il richiamato art. 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unioni e fusioni di  comuni),  prevede  a  sua  volta  che,  «[n]ello
specifico caso in cui disposizioni normative statali o  regionali  di
settore  riguardanti  servizi  di   rilevanza   economica   prevedano
l'attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di
competenza comunale o  provinciale,  ad  enti  o  agenzie  in  ambito
provinciale o sub-provinciale, si applicano le seguenti disposizioni,
che costituiscono principi  fondamentali  della  materia  e  principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  ai   sensi
dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione: a) il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 [sui criteri
di  identificazione  di  beni  e  risorse  connessi   alle   funzioni
trasferite]  ovvero  le  leggi  statali  o  regionali,   secondo   le
rispettive competenze, prevedono  la  soppressione  di  tali  enti  o
agenzie e l'attribuzione  delle  funzioni  alle  province  nel  nuovo
assetto istituzionale, con tempi, modalita' e forme di  coordinamento
con regioni e comuni [...]; b) per le regioni che approvano le  leggi
che riorganizzano le funzioni di cui al presente comma, prevedendo la
soppressione di uno o piu' enti o agenzie,  sono  individuate  misure
premiali [...]». 
    La ricorrente osserva poi che l'art. 3-bis, comma 1-bis, del d.l.
n. 138 del 2011,  convertito  dalla  legge  n.  148  del  2011,  come
modificato dal censurato art. 1, comma 609, della legge  n.  190  del
2014, prosegue stabilendo, al secondo  periodo,  che  «[q]ualora  gli
enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo  entro  il  1°
marzo  2015  oppure  entro   sessanta   giorni   dall'istituzione   o
designazione dell'ente di governo dell'ambito  territoriale  ottimale
ai sensi del comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge  30  dicembre
2013, n. 150, convertito dalla legge 27  febbraio  2014,  n.  15,  il
Presidente della regione esercita, previa diffida all'ente locale  ad
adempiere entro il termine di trenta giorni, i poteri sostitutivi». 
    1.1.- In primo luogo, l'art. 1, comma 609, della legge n. 190 del
2014  e'  censurato  per  violazione  delle  competenze   legislative
regionali di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    La ricorrente osserva che mentre, in  precedenza,  erano  rimesse
alle Regioni la determinazione degli  ambiti  o  bacini  territoriali
ottimali, l'istituzione  o  la  designazione  dei  relativi  enti  di
governo, nonche'  la  scelta  della  forma  organizzativa  di  questi
ultimi, la disposizione censurata, invece, impone un modello che deve
necessariamente includere tutti gli enti locali. 
    Poiche' l'obbligo di aderire agli enti di  governo  degli  ambiti
territoriali ottimali investe non solo i Comuni  e  le  Province,  ma
anche tutti gli altri enti locali,  quali  ad  esempio  le  comunita'
montane e le unioni di comuni, la disposizione  censurata  esulerebbe
dalla competenza legislativa statale di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost., in materia  di  «funzioni  fondamentali  di
Comuni, Province e Citta' metropolitane», e violerebbe la  competenza
legislativa regionale residuale, di cui all'art. 117,  quarto  comma,
Cost., in materia di forme associative degli enti locali. 
    Ad avviso della ricorrente, una tale imposizione da  parte  della
legge statale, oltre a difettare  di  ragionevolezza,  contrasterebbe
con i principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione,  di
cui all'art. 118, primo comma, Cost., nonche' con l'art. 3, comma  2,
dello statuto della Regione Veneto  (legge  regionale  statutaria  17
aprile 2012, n. 1), in virtu'  del  quale  «[l]a  Regione  riconosce,
promuove e garantisce l'autonomia degli enti locali nelle sue diverse
manifestazioni», e  quindi  con  l'art.  123  Cost.,  che  garantisce
l'autonomia  statutaria.  Agli  enti  locali  si  dovrebbe,  infatti,
riconoscere ampia discrezionalita' nell'organizzazione degli enti  di
governo degli ambiti territoriali ottimali: come d'altronde, sostiene
la ricorrente, accadeva  in  vigenza  della  precedente  legislazione
della Regione Veneto, che individuava la convenzione quale  strumento
di cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio
di trasporto  pubblico  locale,  del  servizio  idrico,  nonche'  del
servizio di gestione integrata dei rifiuti. Con particolare  riguardo
al   trasporto   pubblico   locale,   la   ricorrente   richiama   la
giurisprudenza costituzionale che ha affermato l'attinenza di  questa
materia alla competenza legislativa regionale di  cui  all'art.  117,
quarto comma,  Cost.  (sentenza  n.  222  del  2005)  e  denuncia  la
conseguente interferenza tra la disposizione impugnata  e  le  scelte
organizzative dell'attuale legislazione regionale di settore. 
    1.2.- In secondo luogo, la ricorrente sottolinea  la  sostanziale
incompatibilita' tra il censurato art. 1, comma 609, della  legge  n.
190 del 2014 e l'art. 1, comma  90,  della  legge  n.  56  del  2014,
nonostante il formale richiamo che la prima disposizione formula  nei
confronti della seconda. 
    Il citato art.  1,  comma  90,  nell'ambito  di  un  processo  di
semplificazione  istituzionale  degli  enti  intermedi,   prende   in
considerazione le funzioni di organizzazione dei servizi di rilevanza
economica, di competenza  comunale  o  provinciale,  le  quali  siano
attribuite a enti o agenzie in ambito provinciale o  sub-provinciale;
prevede che tali enti o agenzie siano soppressi, e  che  le  relative
funzioni siano attribuite alle Province;  prevede,  altresi',  misure
premiali per le Regioni che adottino  leggi  soppressive  dei  citati
enti o agenzie. Il censurato art. 1, comma 609, della  legge  n.  190
del 2014, all'inverso, rafforza l'adesione di tutti gli  enti  locali
agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali:  la
rende obbligatoria e pone a suo presidio una  «sanzione»,  costituita
dal potere sostitutivo  del  Presidente  della  Regione.  Dunque,  in
questa disposizione, si riscontrerebbe un vizio di  irragionevolezza,
anche per la difficolta' di stabilire «la portata normativa derivante
dalla  coesistenza  delle  due  discipline».  Questo  vizio  ridonda,
secondo la ricorrente, nella lesione delle attribuzioni che  le  sono
garantite dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 
    2.- Con atto depositato il 3 aprile 2015,  si  e'  costituito  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del
ricorso della Regione Veneto. Con particolare  riguardo  all'art.  1,
comma 609, della legge n. 190 del 2014,  la  difesa  statale  ritiene
infondate le censure prospettate dalla Regione. 
    Secondo il resistente, la partecipazione obbligatoria  agli  enti
di governo degli ambiti o  bacini  territoriali  ottimali  garantisce
un'effettiva condivisione da parte dell'ente locale delle  scelte  di
organizzazione, come prevedeva, per il servizio di gestione integrata
dei rifiuti urbani, l'art. 201, comma 2, del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale)  -  norma  presa  a
modello dalla disposizione censurata «per  garantire  uniformita'  al
sistema dei servizi pubblici locali». Il  ricorso  alle  convenzioni,
cui fa riferimento la ricorrente,  non  potrebbe  assurgere  a  unica
formula organizzativa valida, potendo anzi risultare inadeguato. 
    L'Avvocatura generale dello Stato richiama,  in  particolare,  la
sentenza della Corte costituzionale n.  22  del  2014  e  quanto  ivi
affermato in merito al «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  ai
sensi dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.:  nell'esercizio  di  tale
competenza, per ragioni connesse agli obiettivi finanziari nazionali,
condizionati anche dagli obblighi  comunitari,  lo  Stato  puo',  con
disciplina di principio, imporre a Regioni  ed  enti  locali  vincoli
alle politiche di bilancio, purche' sia lasciata  ampia  liberta'  di
allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa,
e siano rispettati i canoni di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    Inoltre, il censurato art. 1, comma 609, della legge n.  190  del
2014 potrebbe essere ricondotto alla «tutela della  concorrenza»,  di
competenza esclusiva dello Stato, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., analogamente a quanto ritenuto dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010. 
    3.- In data 26 aprile  2016,  la  ricorrente  Regione  Veneto  ha
presentato una memoria illustrativa, nella quale conferma le  censure
esposte nel ricorso nei confronti dell'art. 1, comma 609, della legge
n. 190  del  2014,  replicando  alle  tesi  della  difesa  statale  e
svolgendo alcuni approfondimenti. 
    La Regione ribadisce che la norma censurata innova  l'art.  3-bis
del d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge  n.  148  del  2011,
obbligando gli enti locali a partecipare all'ente  di  governo  degli
ambiti o bacini territoriali  ottimali  -  che  la  difesa  regionale
descrive come «consorzio ex lege» -  e,  quindi,  escludendo  modelli
alternativi, come quello basato sull'istituzione volontaria dell'ente
di governo da parte  degli  enti  locali.  Cosi'  facendo,  essa  non
permetterebbe di costituire  «i  Consigli  di  Bacino  o  di  Ambito»
attraverso le convenzioni di cui all'art. 30 del decreto  legislativo
18 agosto 2000, n. 267  (Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali), di cui sarebbero tratti caratterizzanti la durata
determinata  e  la  possibilita'  di  recesso.  Pertanto,  la   norma
censurata  non  lascerebbe   alcuno   spazio   aperto   all'esercizio
dell'autonomia regionale e non potrebbe qualificarsi  come  principio
fondamentale di coordinamento della finanza  pubblica.  Peraltro,  le
convenzioni si sarebbero dimostrate  piu'  efficienti  dei  consorzi:
questi  ultimi  sarebbero  piu'  strutturati  in  termini  di  organi
istituzionali e personale,  cosicche'  inevitabilmente  negli  ambiti
governati mediante consorzi la spesa  corrente  media  sarebbe  molto
superiore a quella degli ambiti governati mediante convenzioni,  come
risulta dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi
idrici per il 2009 (presentata il 22 luglio  2010  dalla  Commissione
nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche). 
    La Regione contesta  che  la  normativa  in  esame  possa  essere
ricondotta  alla   «tutela   della   concorrenza»,   come   sostenuto
dall'Avvocatura generale dello Stato, dato  che  i  servizi  pubblici
locali possono essere erogati dagli enti locali  anche  direttamente,
attraverso  la  gestione  in  economia  o   tramite   il   cosiddetto
affidamento  in  house.  La  norma  in  questione  sarebbe  piuttosto
finalizzata a conseguire economie di scala, mediante  la  dilatazione
dell'ambito territoriale di erogazione dei servizi, e quindi persegue
essenzialmente obiettivi  di  efficienza,  i  quali  sarebbero  pero'
meglio realizzati tramite le convenzioni, per i motivi gia' detti. 
    Nemmeno sarebbe pertinente il riferimento alla sentenza n. 22 del
2014: la norma oggi in  questione  estenderebbe  l'obbligo  censurato
anche alle comunita' montane, estranee  alla  competenza  statale  in
materia di  «funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane» prevista dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  p),
Cost.; d'altro canto, la sentenza n. 22 del 2014  fa  riferimento  al
coordinamento della finanza pubblica, ma la  norma  in  giudizio  non
sarebbe formulata come principio e, dal punto di  vista  sostanziale,
non sarebbe in grado di conseguire obiettivi  di  contenimento  della
spesa pubblica, dato che aumenterebbe  ingiustificatamente  i  costi,
interdicendo il ricorso alle piu' economiche convenzioni.  Pertinente
sarebbe invece  la  sentenza  n.  51  del  2016,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  di  un  obbligo,  simile  a  quello
previsto dalla norma oggi in  questione,  con  riguardo  al  servizio
idrico,  ritenendolo  incompatibile  con  la  competenza  legislativa
(primaria) di una Provincia  autonoma,  ad  avviso  della  ricorrente
analoga a quella (residuale) che  la  ricorrente  stessa  ritiene  di
avere, in particolare, in materia di trasporto pubblico locale. 
    Le convenzioni sarebbero anche il modello piu' compatibile con le
esigenze dei Comuni e con l'evoluzione  della  legislazione  statale.
L'art. 201, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, al  quale  ha  fatto
riferimento la difesa statale, sarebbe  stato  abrogato  -  ad  opera
dall'art. 2, comma 186-bis, della legge  23  dicembre  2009,  n.  191
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2010), comma  aggiunto  dall'art.  1,
comma  1-quinquies,  del  decreto-legge  25  gennaio   2010,   n.   2
(Interventi urgenti concernenti enti locali e  regioni),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 26  marzo  2010,
n. 42 -  proprio  a  causa  della  ritrosia  dei  Comuni  di  piccole
dimensioni  (quali  sono  la  maggior  parte  dei  Comuni  veneti)  a
partecipare ai consorzi, nei quali la regola del  voto  ponderato  li
priva di un effettivo potere di rappresentanza. Anche  alcuni  Comuni
di  dimensioni  maggiori  sarebbero  restii  a  perdere,   attraverso
l'adesione ai consorzi, funzioni decisionali e  poteri  di  controllo
sui  servizi  erogati  alle  rispettive  comunita'.  La   convenzione
consentirebbe di superare questi problemi. 
    La  stessa  legislazione  statale,  nel   superare   gli   ambiti
territoriali ottimali per i servizi idrici  e  per  la  gestione  dei
rifiuti, mirava a snellire gli apparati organizzativi preposti a tali
servizi, inducendo gli enti locali  ad  associarsi  per  la  gestione
delle  proprie  funzioni  fondamentali:  questa  sarebbe   stata   la
finalita' perseguita, prima, dall'art. 2, comma 38,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008); poi, dal
citato art. 1, comma 1-quinquies, del d.l. n. 2 del 2010,  convertito
dalla legge n. 42 del 2010  (sia  pure  con  proroghe  che  ne  hanno
differito l'efficacia). La medesima prospettiva sarebbe stata ripresa
dall'art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014. 
    La norma censurata si porrebbe in contrasto con questa  tendenza,
imponendo come obbligatoria la partecipazione agli enti  di  governo,
di cui in precedenza era  prevista  e  incentivata  la  soppressione,
facendo bensi' formalmente salvo quanto previsto  all'art.  1,  comma
90, della legge n. 56 del 2014,  «ma  in  modo  del  tutto  privo  di
senso». Considerato il panorama degli enti intermedi (tra Regione  ed
enti locali) preposti alla gestione di  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica, ed escluso di potere sopprimere quelli  previsti
da disposizioni statali, l'attuazione dell'art. 1,  comma  90,  della
legge n. 56 del 2014 richiederebbe la soppressione dei  consorzi  per
la gestione degli ambiti  o  bacini  territoriali  ottimali,  la  cui
necessaria persistenza sarebbe invece confermata dall'art.  1,  comma
609,  della  legge  n.  190  del  2014.  Dunque,  sussisterebbe   una
contraddizione insanabile tra questa  disposizione  e  quella,  sopra
citata, della legge  n.  56  del  2014,  la  quale  risulterebbe  ora
«sorprendentemente priva  di  oggetto  rispetto  al  compito  rimesso
all'autonomia regionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe,  la  Regione  Veneto  ha
impugnato diverse disposizioni della legge 23 dicembre 2014,  n.  190
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2015), tra cui l'art. 1, comma 609,
oggetto del presente giudizio. 
    1.1.- Questa disposizione, «[a]l fine di promuovere  processi  di
aggregazione e di rafforzare  la  gestione  industriale  dei  servizi
pubblici  locali  a  rete  di  rilevanza  economica»,  apporta  varie
modifiche all'art. 3-bis del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale a sua volta disciplina  gli
ambiti territoriali e i criteri di organizzazione  dello  svolgimento
dei predetti servizi pubblici locali. 
    Il comma 1 del citato art. 3-bis (non  modificato  dal  censurato
art. 1, comma 609 della legge n. 190 del 2014) prevede che, a  tutela
della concorrenza e dell'ambiente, le Regioni e le Province  autonome
organizzino lo svolgimento di  questi  servizi  pubblici  locali,  in
particolare definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei e istituendo o designando  gli  enti  di  governo
degli  stessi.  La  dimensione  di  ciascun  ambito  o  bacino   deve
consentire  economie  di  scala  e  di  differenziazione,  idonee   a
massimizzare l'efficienza dei servizi, e normalmente non deve  essere
inferiore a quella del territorio provinciale.  Peraltro,  lo  stesso
comma 1 consente di  stabilire  una  «dimensione  diversa  da  quella
provinciale,   motivando   la   scelta   in   base   a   criteri   di
differenziazione territoriale e socio-economica e in base a  principi
di  proporzionalita',  adeguatezza  ed   efficienza   rispetto   alle
caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata
entro il 31 maggio  2012  previa  lettera  di  adesione  dei  sindaci
interessati o delibera di un organismo associato e gia' costituito ai
sensi dell'articolo 30 del testo unico di cui al decreto  legislativo
18 agosto 2000, n. 267». 
    Il successivo comma 1-bis dell'art. 3-bis, prima delle  modifiche
in questione, disponeva: «[l]e funzioni di organizzazione dei servizi
pubblici locali  a  rete  di  rilevanza  economica,  compresi  quelli
appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma  di
gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza  per  quanto  di
competenza, di affidamento della gestione e relativo  controllo  sono
esercitate unicamente dagli enti di governo  degli  ambiti  o  bacini
territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai  sensi  del
comma 1 del presente articolo». 
    Il ricorso si concentra sull'art. 1, comma 609, lettera a), della
legge n. 190 del 2014, nella parte in cui  aggiunge,  alla  fine  del
comma 1-bis, teste' riportato, le  seguenti  parole:  «cui  gli  enti
locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto  previsto
dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56.  Qualora
gli enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo  entro  il
1°  marzo  2015  oppure  entro  sessanta  giorni  dall'istituzione  o
designazione dell'ente di governo dell'ambito  territoriale  ottimale
ai sensi del comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge  30  dicembre
2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27  febbraio
2014, n. 15, il Presidente della  regione  esercita,  previa  diffida
all'ente locale ad adempiere entro il termine  di  trenta  giorni,  i
poteri sostitutivi». 
    1.2.- La Regione Veneto lamenta  due  profili  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 609, lettera a), della legge n. 190
del 2014, in relazione al periodo appena richiamato. 
    1.2.1.- In primo  luogo,  osserva  la  ricorrente,  l'obbligo  di
aderire agli enti di  governo  degli  ambiti  o  bacini  territoriali
ottimali e omogenei riguarderebbe tutti  gli  enti  locali,  compresi
quelli non elencati nell'art. 117, secondo comma, lettera  p),  della
Costituzione, che si riferisce solo  a  «Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane», cosicche'  la  disposizione  impugnata  non  potrebbe
fondarsi sulla competenza  legislativa  statale  prevista  in  questa
disposizione    costituzionale.    Si    verificherebbe,     percio',
un'ingiustificata invasione delle competenze legislative regionali, e
segnatamente  delle  competenze  residuali  in  materia  di   servizi
pubblici locali, nell'esercizio delle quali la Regione ricorrente  ha
individuato, come strumento organizzativo per la cooperazione tra gli
enti locali, la convenzione. La  Regione  argomenta  a  difesa  dello
strumento convenzionale, evidenziando che esso  e'  piu'  flessibile,
economico e rispettoso dell'autonomia degli enti locali rispetto alla
partecipazione  obbligatoria  agli  enti  di  governo  degli   ambiti
territoriali ottimali e omogenei, disposta dalla norma impugnata. Per
questo, il ricorso denuncia, altresi', la violazione dei principi  di
ragionevolezza, sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui
all'art. 118, primo comma, Cost., nonche' dell'art. 3, comma 2, della
legge statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) - a  norma
del quale «[l]a Regione riconosce, promuove e garantisce  l'autonomia
degli enti locali nelle sue diverse manifestazioni» - in  riferimento
all'art. 123 Cost. 
    Alla luce delle considerazioni  svolte  nel  ricorso  a  sostegno
della maggiore economicita' della convenzione,  la  Regione  contesta
che l'obbligo previsto dalla disposizione  impugnata  costituisca  un
principio di coordinamento finanziario; mentre reputa, altresi',  che
la competenza statale per la tutela  della  concorrenza  non  sarebbe
pertinente, ben potendo i  servizi  pubblici  locali  essere  gestiti
senza ricorrere al mercato. 
    1.2.2.- In secondo  luogo,  la  Regione  Veneto  osserva  che  il
principio di ragionevolezza sarebbe  violato  anche  sotto  un  altro
profilo,  con  conseguente   lesione   della   sfera   di   autonomia
costituzionalmente garantita alla Regione dagli artt.  117,  terzo  e
quarto  comma,  e  118  Cost.:  ad  avviso   della   ricorrente,   la
disposizione censurata fa espressamente salvo  l'art.  1,  comma  90,
della  legge  7  aprile  2014,  n.  56  (Disposizioni  sulle   citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)  ma,
nella sostanza, lo contraddice,  risultando  percio'  intrinsecamente
incongruente, oscura e irragionevole. 
    Infatti, il citato art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014 -
con disposizioni presentate come «principi fondamentali della materia
e principi fondamentali di coordinamento della  finanza  pubblica  ai
sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione» - si occupa
dello  «specifico  caso  in  cui  disposizioni  normative  statali  o
regionali di  settore  riguardanti  servizi  di  rilevanza  economica
prevedano l'attribuzione di funzioni di organizzazione  dei  predetti
servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o  agenzie  in
ambito provinciale o sub-provinciale». Con riguardo a questo caso, la
disposizione legislativa in esame prescrive (lettera a) che le  fonti
competenti, statali o regionali, prevedano «la soppressione  di  tali
enti o agenzie e l'attribuzione  delle  funzioni  alle  province  nel
nuovo  assetto  istituzionale»,  con  tempi,  modalita'  e  forme  di
coordinamento da determinare nell'ambito  del  processo  di  riordino
delle funzioni delle Province e delle  relative  dotazioni  di  beni,
risorse  e  personale,  «secondo  i   principi   di   adeguatezza   e
sussidiarieta',  anche  valorizzando,  ove  possibile,  le  autonomie
funzionali». Per le Regioni che, in ossequio  alle  previsioni  sopra
richiamate, stabiliscano  la  soppressione  di  uno  o  piu'  enti  o
agenzie, lo stesso comma 90 (lettera b) prevede poi misure  premiali,
da definire con un decreto ministeriale. 
    In sintesi, l'art. 1, comma 90, della legge n.  56  del  2014  ha
avviato un processo di semplificazione orientato a sopprimere enti  e
agenzie di ambito provinciale o  sub-provinciale,  ai  quali  fossero
attribuite  funzioni  di  organizzazione  dei  servizi  di  rilevanza
economica  di   competenza   comunale   o   provinciale,   in   vista
dell'attribuzione di tali funzioni alle Province,  prevedendo  misure
premiali per le Regioni che operino in  tal  senso.  Per  contro,  il
censurato art. 1, comma 609, lettera a), della legge n. 190 del 2014,
nella parte richiamata, ad avviso della ricorrente,  prevede  che  le
funzioni di organizzazione dei servizi  pubblici  locali  a  rete  di
rilevanza  economica  siano  esercitate  (non  dalle  Province,   ma)
unicamente dagli enti di governo degli ambiti o  bacini  territoriali
ottimali e omogenei, che la  ricorrente  qualifica  alla  stregua  di
consorzi obbligatori ex lege. Sotto questo profilo,  dunque,  le  due
disposizioni sarebbero incompatibili. 
    2.- Riservata a separate pronunce  la  decisione  sui  motivi  di
ricorso riguardanti altri commi dell'art. 1 della legge  n.  190  del
2014, occorre anzitutto precisare che  il  comma  609  viene  qui  in
rilievo nei limiti dei motivi  di  ricorso  formulati  dalla  Regione
Veneto. Oggetto del presente giudizio e' dunque  il  citato  art.  1,
comma 609, nella parte in cui, alla lettera a), afferma l'obbligo per
gli enti locali di partecipare agli enti istituiti o designati per il
governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei e,  al
contempo, conferma quanto previsto all'art. 1, comma 90, della  legge
n. 56 del 2014. 
    3.- Prima di esaminare i motivi di ricorso, occorre  sottolineare
che le finalita' della disposizione censurata risultano -  oltre  che
dal suo stesso tenore testuale («[a]l fine di promuovere processi  di
aggregazione e di rafforzare  la  gestione  industriale  dei  servizi
pubblici locali a rete di rilevanza  economica»)  -  dalla  relazione
illustrativa dell'originario disegno di legge  governativo  (A.C.  n.
2679, XVII Legislatura),  dove  si  spiega  che  la  disposizione  si
inserisce  nel  quadro  delle  previsioni  di  cui  all'art.  23  del
decreto-legge n. 24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89. 
    Il citato art. 23 prevedeva che «il Commissario straordinario  di
cui all'articolo 49-bis del decreto-legge  21  giugno  2013,  n.  69,
convertito, con modificazioni, dalla legge  9  agosto  2013,  n.  98,
entro il 31 luglio 2014 [predisponesse], anche ai fini  di  una  loro
valorizzazione industriale, un programma di  razionalizzazione  delle
aziende speciali, delle istituzioni e delle societa'  direttamente  o
indirettamente  controllate  dalle  amministrazioni  locali   incluse
nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 3, della legge  31  dicembre
2009,  n.  196»,  individuando  tra  l'altro  misure  per   la   loro
liquidazione, trasformazione o fusione, «in funzione delle dimensioni
e  degli  ambiti  ottimali  per  lo  svolgimento   delle   rispettive
attivita'», nonche' «per l'efficientamento della loro gestione»; era,
altresi',  previsto  che  il  programma  fosse  «reso   operativo   e
vincolante per gli enti locali, anche ai fini di una  sua  traduzione
nel patto di stabilita' e crescita interno, nel disegno di  legge  di
stabilita' per il 2015». 
    Il Commissario straordinario per  la  revisione  della  spesa  ha
presentato  il  «Programma  di  razionalizzazione  delle  partecipate
locali» il 7 agosto 2014. Oltre a considerazioni generali sul numero,
ritenuto  molto   elevato,   degli   organismi   partecipativi,   con
particolare riferimento al settore dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica il  Commissario  straordinario  ha  valutato  che
l'assetto degli  organismi,  che  operano  nei  comparti  energetico,
idrico, dei rifiuti e del trasporto pubblico locale,  risulta  troppo
frammentato e non permette la realizzazione di adeguati programmi  di
investimento. 
    Sulla scorta di questa analisi, la  disposizione  approvata  come
art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014,  e'  stata  concepita
per promuovere processi di aggregazione e rafforzare la gestione  dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, attraverso una
pluralita' di misure coordinate  in  un  tessuto  normativo  in  cui,
accanto all'obbligo, per gli enti locali, di partecipare agli enti di
governo degli ambiti  o  bacini  territoriali  ottimali  e  omogenei,
attribuisce anche, ad esempio, agli enti di  governo  il  compito  di
predisporre  la  relazione  sull'affidamento  del  servizio  (di  cui
all'art. 34, comma 20, del decreto-legge 18  ottobre  2012,  n.  179,
recante  «Ulteriori  misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese»,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  17
dicembre 2012, n. 221), e prevede che le deliberazioni assunte  dagli
enti  di  governo  sono  valide   senza   necessita'   di   ulteriori
deliberazioni da parte degli organi dei singoli enti locali. 
    4.- Alla luce di  queste  premesse,  e'  possibile  esaminare  le
questioni sollevate dalla Regione Veneto. 
    4.1.- La disposizione censurata, nella  parte  considerata  dalla
ricorrente, trova un duplice fondamento nelle competenze  che  l'art.
117 Cost. attribuisce allo Stato, nell'ambito del coordinamento della
finanza pubblica e della tutela della concorrenza. 
    La competenza statale a  dettare  principi  fondamentali  per  il
«coordinamento della finanza pubblica», di cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost., viene in rilievo con precipuo riguardo all'eventualita'
che i servizi in questione siano gestiti senza ricorrere al mercato. 
    Infatti, l'art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014 mira al
conseguimento di risultati  economici  migliori  nella  gestione  dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica e, quindi, a un
contenimento della spesa pubblica attraverso sistemi  tendenzialmente
virtuosi di esercizio delle relative funzioni. I dati prodotti  dalla
ricorrente a sostegno della tesi che la  partecipazione  obbligatoria
degli  enti  locali  agli  ambiti  territoriali  ottimali  sia   piu'
dispendiosa della soluzione basata sulla convenzione, sono  risalenti
nel tempo e riguardano un singolo settore, nonche' un diverso assetto
normativo. D'altra parte il rischio, paventato dalla Regione  Veneto,
che alcuni Comuni vogliano sottrarsi alla partecipazione agli enti di
governo  degli  ambiti  territoriali  ottimali,   e'   specificamente
affrontato dalla disposizione censurata, mediante  la  previsione  di
poteri sostitutivi del Presidente  della  Regione,  a  proposito  dei
quali non sono formulate specifiche considerazioni critiche. 
    Dunque, la  norma  censurata  puo'  qualificarsi  come  principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, analogamente  a
quanto ritenuto da questa Corte  in  relazione  ad  altri,  sia  pure
differenti, istituti di cooperazione tra enti locali (sentenze n.  44
e n. 22 del 2014). 
    4.2.- Dall'altro lato, viene, altresi', in rilievo la  competenza
statale sulla «tutela della concorrenza» (art.  117,  secondo  comma,
lettera e, Cost.), nella misura  in  cui  i  servizi  pubblici  siano
esercitati tramite il ricorso al mercato. Infatti, come questa  Corte
ha gia' ripetutamente affermato, deve essere riconosciuta allo  Stato
la competenza a disciplinare il regime dei servizi  pubblici  locali,
per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul  mercato  e  sono
strettamente funzionali alla gestione unitaria (sentenza  n.  46  del
2013), ivi compresa la disciplina degli ambiti territoriali  ottimali
e delle relative autorita' di governo (sentenze n. 134 del 2013 e  n.
128 del 2011), soprattutto quando essa  sia  finalizzata  a  superare
situazioni di  frammentazione  e  a  garantire  la  competitivita'  e
l'efficienza dei relativi mercati (sentenza  n.  325  del  2010).  La
ricerca della dimensione ottimale dell'ambito territoriale  entro  il
quale  erogare  il  servizio  consente  di  individuare  l'estensione
geografica che meglio permette di contenere i costi della gestione  e
favorire,  cosi',  l'apertura   del   mercato   a   nuovi   soggetti,
incentivando una piu' ampia partecipazione delle  imprese  alle  gare
per l'affidamento del servizio stesso. 
    Ben  vero  che,  quando  viene  in  rilievo   la   tutela   della
concorrenza,  i  criteri  di  proporzionalita'  e  adeguatezza   sono
essenziali per definire il legittimo  ambito  di  operativita'  della
competenza statale (ex plurimis, sentenza n. 443 del 2007). Tuttavia,
la ricorrente non offre  argomenti  che  inducano  a  concludere  che
manchi una relazione ragionevole e proporzionata tra  gli  interventi
attuati e gli obiettivi perseguiti (sentenza  n.  14  del  2004).  Le
norme in questione rispondono  all'obiettivo,  chiaramente  enucleato
nei lavori preparatori, di promuovere processi  di  aggregazione  dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica e si limitano a
potenziare   e   integrare   i   preesistenti    obblighi    connessi
all'organizzazione di questi servizi in ambiti territoriali ottimali.
In proposito e' opportuno ribadire che, gia'  prima  delle  modifiche
introdotte dalla disposizione impugnata, l'art. 3-bis,  comma  1-bis,
del d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge  n.  148  del  2011,
imponeva che le funzioni di organizzazione di questi servizi pubblici
fossero esercitate «unicamente» dagli enti  di  governo  istituiti  o
designati allo  scopo.  Sotto  questo  profilo,  la  disposizione  in
giudizio interviene a esplicitare, piuttosto che introdurre, un  vero
e proprio obbligo di partecipazione degli  enti  locali  agli  ambiti
territoriali ottimali. 
    5.- La ricorrente lamenta, altresi', la violazione  dei  principi
di  cui  all'art.  118  Cost.  e,  in   particolare,   dell'autonomia
amministrativa degli enti locali, affermata pure dall'art.  3,  comma
2, dello statuto del Veneto, adottato ai sensi dell'art. 123 Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    A  prescindere  da  ogni  altra  considerazione,  da   tempo   la
giurisprudenza costituzionale ha chiarito, con riguardo all'autonomia
dei Comuni, che essa non implica una riserva intangibile di funzioni,
ne' esclude che il legislatore competente possa  modulare  gli  spazi
dell'autonomia  municipale  a  fronte  di   esigenze   generali   che
giustifichino  ragionevolmente  la  limitazione  di   funzioni   gia'
assegnate agli enti locali (sentenza n. 286 del 1997).  Inoltre,  con
specifico riguardo a norme che prevedono la partecipazione degli enti
locali ad autorita' d'ambito alle quali sia trasferito l'esercizio di
competenze in materia di servizi pubblici, la Corte ha  ritenuto  che
norme siffatte  non  ledano  l'autonomia  amministrativa  degli  enti
locali, in quanto si  limitano  a  razionalizzarne  le  modalita'  di
esercizio, al fine  di  superare  la  frammentazione  nella  gestione
(sentenza n. 246 del 2009). 
    Naturalmente, ove si opti per l'esercizio delle funzioni mediante
organismi associativi, deve essere  preservato  uno  specifico  ruolo
agli enti locali titolari di autonomia costituzionalmente  garantita,
nella forma della partecipazione agli organismi titolari  dei  poteri
decisionali, o  ai  relativi  processi  deliberativi,  in  vista  del
raggiungimento di fini unitari  nello  spazio  territoriale  reputato
ottimale (sentenza n. 50 del 2013). Le modalita' di partecipazione  e
cooperazione possono essere molteplici, cosicche' e' da escludere che
l'unica compatibile con il rispetto dell'autonomia  dell'ente  locale
sia - come sostiene la ricorrente - la  convenzione  stipulata  senza
vincoli di adesione, con durata temporanea e facolta' di recesso. 
    6.- Non fondata e'  pure  la  questione,  con  cui  si  lamentano
l'irragionevolezza e l'oscurita'  della  disposizione  censurata,  la
quale richiamerebbe quanto previsto  dall'art.  1,  comma  90,  della
legge  n.  56  del  2014,  ma  allo  stesso  tempo,  nella  sostanza,
illogicamente lo contraddirebbe. 
    In  linea  di  principio,  possono  risultare  costituzionalmente
illegittime -  per  irragionevolezza  ridondante  sulle  attribuzioni
regionali - norme statali dal significato ambiguo, tali da  porre  le
Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorche' a  norme
siffatte  esse  debbano  attenersi   nell'esercizio   delle   proprie
prerogative  di  autonomia  (si  vedano,  sia  pure  in   fattispecie
eterogenee, le sentenze n. 200 del 2012 e n. 326 del 2010). 
    Tuttavia, nel caso  odierno,  benche'  il  coordinamento  tra  la
disposizione censurata e quella da essa richiamata non sia  enunciato
in termini del tutto univoci, e' pur sempre possibile  conciliare  le
due disposizioni,  attraverso  una  lettura  sistematica,  rispettosa
della ratio di entrambe. Infatti, nulla impedisce alle  Regioni,  nei
casi in cui optino per ambiti o bacini di dimensioni provinciali  (o,
eccezionalmente, sub-provinciali), di conformarsi a  quanto  previsto
dall'art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014,  vale  a  dire  di
designare come enti di governo, titolari delle relative  funzioni  di
organizzazione, le Province «nel  nuovo  assetto  istituzionale,  con
tempi, modalita' e forme di coordinamento con regioni  e  comuni,  da
determinare nell'ambito del processo di riordino di cui ai  commi  da
85 a 97 [dello stesso art. 1 della legge n. 56 del 2014],  secondo  i
principi di adeguatezza e  sussidiarieta',  anche  valorizzando,  ove
possibile, le autonomie funzionali». Una tale  scelta  non  impedisce
alle Regioni di sopprimere, nel contempo, enti e agenzie  alle  quali
sia  stato  demandato,  in  precedenza,  l'esercizio   delle   stesse
funzioni. In questi casi, naturalmente, non si porra' alcun  problema
di  adesione  dei  Comuni  agli  enti  di  governo  designati:   piu'
semplicemente, si verifichera' un trasferimento delle  funzioni,  per
ragioni  di  esercizio  unitario,  presso  le  Province,  attualmente
caratterizzate come enti di secondo grado (sentenza n. 50 del 2015).