ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della  legge  della  Regione
Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge
regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19  del  2011,  alla
legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984,
ed altre norme di carattere urbanistico), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-30 gennaio  2012,
depositato in cancelleria il 2 febbraio 2012 ed iscritto al n. 21 del
registro ricorsi 2012. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Regione  autonoma   della
Sardegna; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  14  giugno  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    uditi l'avvocato Massimo Luciani per la  Regione  autonoma  della
Sardegna e l'avvocato dello Stato Angelo Venturini per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27-30  gennaio  2012  e  depositato
nella cancelleria di  questa  Corte  il  successivo  2  febbraio,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell'art.
127 della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 7, comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e  7,  della
legge della Regione Sardegna 21 novembre 2011,  n.  21  (Modifiche  e
integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale
n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28  del  1998  e  alla  legge
regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico). 
    1.1.- In particolare, con riguardo all'art. 7, comma  1,  lettera
f), il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  denunciato  la
violazione degli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettere  l)  e
s), della Costituzione. Con riferimento all'art. 18,  ha  dedotto  il
contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  In
relazione all'art. 20, ha lamentato la violazione  degli  artt.  9  e
117, secondo comma, lettera s), Cost.  Infine,  quanto  all'art.  23,
commi 6 e 7, ha denunciato il contrasto per eccesso dalle  competenze
di cui all'art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  3
(Statuto speciale per la Sardegna),  nonche'  il  contrasto  con  gli
artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo comma, Cost. 
    2.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  9
marzo 2012 si e' costituita in giudizio  la  Regione  autonoma  della
Sardegna, che ha richiesto di dichiarare  inammissibili  e,  comunque
sia, infondate le questioni di legittimita'  costituzionale  proposte
dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.- Il ricorso statale ha per oggetto, in primo luogo, l'art.  7,
comma 1, lettera f), della citata legge regionale, il quale inserisce
il comma 5-ter all'art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4
(Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il
rilancio del settore edilizio e per la  promozione  di  interventi  e
programmi di valenza strategica per lo sviluppo), legge attuativa del
cosiddetto piano casa. Ai  sensi  della  disposizione  inserita,  gli
interventi edilizi di cui agli artt. 2, 3,  4,  5  e  6  della  legge
regionale n. 4 del 2009 «sono realizzati in  deroga  alle  previsioni
dei  regolamenti  edilizi  e  degli  strumenti  urbanistici  comunali
vigenti ed in deroga alle vigenti disposizioni  normative  regionali;
possono essere superati gli indici massimi di fabbricabilita'. E'  in
ogni caso fatto salvo  il  rispetto  delle  disposizioni  del  Codice
civile e i diritti dei terzi». 
    3.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri riconosce  che  la
Regione  autonoma  della  Sardegna   e'   titolare   della   potesta'
legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi
dell'art. 3, comma  1,  lettera  f),  dello  statuto  speciale  e  ha
competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici» ai
sensi dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480  (Nuove
norme di attuazione dello statuto  speciale  della  regione  autonoma
della Sardegna).  Sottolinea  anche,  pero',  che  queste  competenze
legislative devono essere esercitate in armonia con la Costituzione e
con  i  principi   dell'ordinamento   giuridico   della   Repubblica,
rispettando  altresi'  gli  obblighi  internazionali,  gli  interessi
nazionali,   nonche'   le   norme    fondamentali    delle    riforme
economiche-sociali,  quali   sono   quelle   in   tema   di   «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», adottate  dallo
Stato in base alla competenza di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    Cio' premesso,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  rileva  che
l'impugnato art. 7, comma 1,  lettera  f),  «appare  suscettibile  di
essere interpretat[o] secondo un'accezione ampia», tale da  porsi  in
contrasto con i suddetti limiti. 
    In primo luogo, posto che nella generica locuzione  «disposizioni
normative regionali» puo' ricomprendersi anche la disciplina  di  uso
del  territorio  stabilita  dal  piano  paesaggistico  regionale,  il
Presidente del Consiglio dei ministri  sostiene  che  gli  interventi
edilizi potrebbero essere  compiuti  in  deroga  a  quest'ultimo,  in
contrasto quindi con la norma  di  grande  riforma  economico-sociale
posta dall'art. 5 del decreto-legge  13  maggio  2011,  70  (Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 luglio  2011,  n.
106,  nonche'  con  i  limiti  derivanti  dalla  disciplina   statale
concernente i vincoli paesaggistici e con i principi  di  tutela  dei
beni paesaggistici contenuti negli artt. 131 e seguenti  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). Ne conseguirebbe la violazione degli artt.  9  e  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    In secondo luogo, posto che la disposizione  impugnata  fa  salvo
soltanto il rispetto delle norme del codice civile e dei diritti  dei
terzi, gli interventi edilizi potrebbero essere  compiuti  in  deroga
alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei lavori  pubblici
2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia,  di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei  nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n.  765),  con  conseguente  violazione
della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile»
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Infine, gli interventi  edilizi  potrebbero  essere  compiuti  in
deroga anche alle misure di controllo  dell'urbanizzazione  stabilite
in materia di  rischi  di  incidenti  rilevanti  di  cui  al  decreto
legislativo 17  agosto  1999,  n.  334  (Attuazione  della  direttiva
96/82/CE relativa al controllo dei pericoli  di  incidenti  rilevanti
connessi  con  determinate  sostanze  pericolose),  attuativo   della
cosiddetta direttiva Seveso, e delle collegate previsioni dettate con
decreto ministeriale 9 maggio 2001 (Requisiti minimi di sicurezza  in
materia di pianificazione urbanistica  e  territoriale  per  le  zone
interessate da stabilimenti a rischio  di  incidente  rilevante).  La
disposizione impugnata, percio', sarebbe in contrasto con l'art. 117,
primo comma, Cost., per inosservanza della normativa europea,  e  con
l'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  nella  parte  in  cui
disporrebbe in modo difforme dalla normativa statale in materia. 
    3.2.- Con l'atto  di  costituzione,  la  Regione  autonoma  della
Sardegna eccepisce, innanzitutto, che le censure  concernenti  l'art.
7, comma  1,  lettera  f),  sono  inammissibili  perche'  ipotetiche,
prospettandosi vizi meramente eventuali, connessi ad una  determinata
interpretazione della disposizione censurata. 
    Nel merito, la resistente osserva che la  disposizione  censurata
si limita a fare  riferimento  alla  possibilita'  di  derogare  alla
normativa regionale in materia di urbanistica e di  edilizia,  e  non
gia'  a  quella  statale,  senza  neppure  fare  menzione  del  piano
paesaggistico regionale il quale, comunque sia,  ha  natura  di  atto
amministrativo generale e non di  regolamento.  Dunque,  non  essendo
stato il piano paesaggistico richiamato dalla disposizione  censurata
- che invece contempla altri strumenti urbanistici -  ed  essendo  il
piano un atto amministrativo, e non normativo, ne deriverebbe che gli
interventi edilizi di cui  alla  suddetta  disposizione  non  possono
derogarvi. 
    Non vi sarebbe poi, secondo la difesa regionale, alcuna invasione
della materia  «ordinamento  civile»,  perche'  l'art.  7,  comma  1,
lettera f), non investirebbe affatto le  regole  che  disciplinano  i
rapporti tra privati, ma si riferirebbe esclusivamente  all'attivita'
edificatoria,  da   ricomprendersi   nella   materia   «edilizia   ed
urbanistica» attribuita in via esclusiva alla Regione autonoma  della
Sardegna  dallo  statuto  speciale.   D'altra   parte,   risulterebbe
impossibile anche  soltanto  ipotizzare  che  tale  disciplina  possa
incidere sul regime degli standard urbanistici dettati  dal  d.m.  n.
1444 del 1968, essendo questo un atto normativo  che  certamente  non
rientra nelle «disposizioni normative regionali». 
    Correlativamente infondato, poi, sarebbe il  ricorso  laddove  si
lamenta la violazione dell'art. 117, primo e secondo  comma,  lettera
s), Cost., sul presupposto che la disposizione impugnata metterebbe a
repentaglio l'attuazione della cosiddetta normativa sulla prevenzione
dei grandi rischi. La disciplina oggetto  di  censura,  infatti,  non
consentirebbe affatto di costruire dovunque,  ma  solo  di  ampliare,
dati certi presupposti, fabbricati legittimamente gia'  esistenti,  e
percio' rispettosi degli strumenti urbanistici vigenti. 
    3.3.- Nelle due memorie depositate nella  cancelleria  di  questa
Corte, l'una il 5 maggio 2015 e l'altra il 24 maggio 2016, la Regione
autonoma della Sardegna argomenta ulteriormente, innanzitutto,  circa
l'inammissibilita' delle censure rivolte alla disposizione impugnata.
Il ricorrente, infatti, da un lato non avrebbe motivato sulle ragioni
in base alle  quali  la  disposizione  impugnata,  che  espressamente
consente la deroga alla normativa regionale, consentirebbe la  deroga
anche a un atto normativo statale quale il d.m. n. 1444 del 1968,  e,
dall'altro,  egli   avrebbe   dovuto   indicare   specificamente   le
disposizioni  della  normativa  in  materia  di  rischi  e  incidenti
industriali violate dall'art. 7, comma 1, lettera f). 
    Nel merito, la difesa regionale afferma che questa  Corte  si  e'
gia' pronunciata sulla disciplina relativa al cosiddetto  piano  casa
della Regione autonoma della Sardegna con la sentenza n. 46 del 2014,
con la quale e' stata dichiarata  infondata  «con  considerazioni  di
sistema» una questione di legittimita'  sollevata  nei  confronti  di
altra disposizione - l'art. 2 - della legge regionale n. 4 del  2009,
novellata nell'art. 8 dalla norma impugnata. 
    Osserva, infatti, che con tale  decisione  questa  Corte  avrebbe
ricondotto la normativa impugnata  alla  materia  urbanistica  e  non
invece  alla   tutela   paesaggistica:   conseguentemente,   dovrebbe
escludersi  che  la  disposizione  oggetto   di   censura   autorizzi
interventi edilizi in deroga al piano paesaggistico regionale. 
    La medesima pronuncia  dovrebbe  condurre  a  ritenere  del  pari
infondata la censura con cui si lamenta la possibilita' di effettuare
interventi edilizi in deroga al d.m. n. 1444 del 1968, perche' questa
Corte avrebbe gia' escluso che tale ipotesi sia  riscontrabile  nella
normativa de  qua.  Si  aggiunge,  poi,  che  deroghe  di  tal  fatta
sarebbero ora consentite, peraltro,  dall'art.  2-bis  del  d.P.R.  6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia -  Testo  A),  come  novellato  dal
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98. 
    Infine, proprio perche'  la  sentenza  n.  46  del  2014  avrebbe
precisato che la  legge  regionale  de  qua  opera  sul  piano  della
legislazione urbanistica e non su quello della legislazione a  tutela
dell'ambiente  e  del  paesaggio,  dovrebbe  ritenersi  infondato  il
ricorso anche laddove lamenta la possibilita' che la norma  impugnata
consenta interventi edilizi in deroga alla normativa  in  materia  di
rischi e incidenti industriali. 
    3.4.- Con memoria depositata il 17 maggio 2016, il Presidente del
Consiglio dei ministri, dopo aver precisato che nel giudizio  in  via
principale la questione di costituzionalita'  puo'  esser  posta  «in
relazione ad una ragionevole interpretazione della  norma  censurata,
che si intende scongiurare», chiede  che  sia  respinta  la  relativa
eccezione di inammissibilita' prospettata dalla difesa regionale. 
    Nel merito, il ricorrente insiste nel sostenere che il  contrasto
con i parametri costituzionali evocati si debba alla circostanza  per
cui nella normativa regionale derogabile ai sensi dell'impugnato art.
7, comma 1, lettera f), deve certamente comprendersi, a differenza di
quanto eccepito dalla Regione autonoma della Sardegna, anche il piano
paesaggistico regionale. Osserva infatti, anche merce' un'analisi del
suo  contenuto,  che  quest'ultimo  e'  atto  avente  natura   mista,
presentando  caratteri  sia   di   tipo   normativo   sia   di   tipo
amministrativo,  e  che  il   rilevato   contrasto   con   le   norme
costituzionali sarebbe suffragato da quanto statuito da questa  Corte
nella recentissima sentenza n. 11 del 2016. 
    Infine, l'Avvocatura generale dello Stato ribadisce che,  poiche'
la norma impugnata fa espressamente salvo soltanto il rispetto  delle
disposizioni  del  codice  civile  e  i  diritti  dei   terzi,   essa
consentirebbe interventi edilizi in deroga non  solo  alla  normativa
regionale, ma anche a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del  1968,  in
tema di distanze dai fabbricati. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in  secondo
luogo, l'art. 18 della legge regionale oggetto del presente giudizio,
il quale inserisce l'art. 5-bis  dopo  l'art.  5  della  legge  della
Regione Sardegna 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per  l'esercizio  delle
competenze in materia di tutela paesistica  trasferite  alla  Regione
autonoma della Sardegna con l'art. 6 del D.P.R. 22  maggio  1975,  n.
480, e delegate con l'art. 57 del D.P.R. 19  giugno  1979,  n.  348),
dettando norme in tema di interventi di lieve entita' da  realizzarsi
su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela di cui alla  Parte
III del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    La disposizione censurata sarebbe in contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., perche' - prevedendo che, dopo  una
prima fase di applicazione, la Giunta regionale puo' individuare, per
gli interventi di lieve entita', ulteriori forme  di  semplificazione
del procedimento di autorizzazione paesaggistica  in  conformita'  ai
principi contenuti nel d.P.R. 9  luglio  2010,  n.  139  (Regolamento
recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per
gli interventi di lieve entita', a norma dell'articolo 146, comma  9,
del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  e  successive
modificazioni)  -  violerebbe  la  disciplina   statale   concernente
l'autorizzazione paesaggistica di cui all'art.  146  del  codice  dei
beni  culturali  e  del  paesaggio,  normativa  di   grande   riforma
economico-sociale. 
    4.1.- Con l'atto  di  costituzione,  la  Regione  autonoma  della
Sardegna ritiene, innanzitutto,  che  la  censura  sia  inammissibile
perche' eventuale e  meramente  ipotetica,  rilevando  che  lo  Stato
potra' eventualmente dolersi della delibera  della  Giunta  regionale
solo nel caso in cui essa violi la  disciplina  statale  dettata  dal
codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Nel merito, la questione sarebbe,  comunque  sia,  infondata.  La
difesa regionale osserva che  secondo  la  giurisprudenza  di  questa
Corte e' inibito alle Regioni introdurre disposizioni che determinino
un minor rigore di protezione ambientale, per cui la presunta lesione
di competenza statale si potra'  eventualmente  verificare  solo  una
volta  che  la  Giunta  regionale   abbia   adottato   la   delibera.
Quest'ultima, infatti, deve intervenire nella  materia  «edilizia  ed
urbanistica» di competenza esclusiva regionale, ai sensi dell'art. 3,
comma 1, lettera f), dello statuto speciale,  ma  in  conformita'  ai
principi contenuti nel d.P.R. n. 139 del 2010, di modo che solo  dopo
la sua adozione si potra' verificare se e' stato o no  introdotto  un
livello maggiore o minore di tutela ambientale o paesaggistica. 
    4.2.- Nelle memorie  successivamente  depositate,  la  resistente
eccepisce ulteriormente l'inammissibilita' della questione  «per  non
aver il ricorrente articolato le censure tenendo in debito  conto  le
norme  di  attuazione  statutaria  che  conferiscono   alla   Regione
competenza  legislativa  primaria   in   materia   di   "tutela   del
paesaggio"», richiamando a tal proposito la sentenza n. 288 del  2013
di questa Corte. 
    Nel  merito,  rileva  che  proprio  lo  Stato,  dando  attuazione
all'art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42  del  2004,  ha  riconosciuto
alle Regioni autonome, con l'art. 6 del d.P.R. n. 139  del  2010,  la
competenza a regolare i  profili  procedimentali  dell'autorizzazione
paesaggistica semplificata e che, pertanto, la disposizione censurata
«si  inserisce  armonicamente  [...]   in   un   ambito   d'autonomia
specificamente disegnato» dalla normativa statale. 
    4.3. - Con la memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,
l'Avvocatura generale dello Stato  chiede,  innanzitutto,  che  siano
respinte le eccezioni di inammissibilita':  sia  perche'  l'interesse
sarebbe «attuale perche'  attuale  e'  l'invasione  della  competenza
statale da parte della Regione, che non  ha  rispettato  il  disposto
dell'art. 117 per la parte applicabile in materia», sia  perche'  nel
ricorso si sarebbe invero fatto  riferimento  anche  alla  disciplina
statutaria regionale  ed  a  quella  attuativa,  rilevando  pero'  la
prevalenza delle competenze statali ex art. 117 Cost. 
    Nel merito, la difesa statale osserva che  il  contrasto  con  la
disciplina statale  sull'autorizzazione  paesaggistica  e'  dato  dal
fatto che,  sebbene  quest'ultima  autorizzi  le  Regioni  a  statuto
speciale  ad  adottare  le  norme  necessarie   a   disciplinare   il
procedimento  semplificato,  non   consente   loro   di   individuare
«ulteriori forme di semplificazione del  procedimento»,  come  invece
dispone la norma censurata. 
    5.- Il ricorso statale ha, in terzo luogo, per oggetto l'art.  20
della legge regionale impugnata, il quale sostituisce il comma  4-bis
dell'art. 6 della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la
classificazione delle aziende ricettive). Tale  disposizione  prevede
che,  al  ricorrere  di  requisiti  specificamente  indicati,  taluni
allestimenti  mobili  di  pernottamento   collocati   nelle   aziende
ricettive all'area aperta non  costituiscono  attivita'  rilevante  a
fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  censura  la  richiamata
disposizione in quanto  non  spetterebbe  «alla  normativa  regionale
qualificare alcuni interventi  come  paesaggisticamente  irrilevanti,
ampliando  la  previsione  dell'articolo  149  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio». Cosi' facendo,  invece,  la  legge  sarda
consentirebbe attivita' prive  dell'autorizzazione  paesaggistica  di
cui all'art. 146 del medesimo codice - che e' norma di grande riforma
economico-sociale, in quanto tale vincolante per la Regione  autonoma
della Sardegna - in contrasto con gli artt. 9 e 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    5.1.- Con  l'atto  di  costituzione  la  Regione  autonoma  della
Sardegna eccepisce, in primo luogo, l'inammissibilita' del ricorso in
parte qua, in quanto si limiterebbe a prospettare dubbi connessi alla
portata interpretativa e applicativa della normativa in questione. 
    Nel merito,  la  questione  di  legittimita'  sarebbe  infondata.
Sarebbe  destituito  di  fondamento  l'assunto  da   cui   muove   il
ricorrente, secondo il quale la disposizione impugnata avrebbe esteso
gli interventi  qualificati  come  paesaggisticamente  irrilevanti  e
avrebbe  ecceduto,  dunque,  dai   limiti   spettanti   all'autonomia
regionale: la normativa censurata, infatti, espressamente  disciplina
solo gli allestimenti mobili di pernottamento -  i  quali,  per  loro
natura, non possono determinare un mutamento definitivo  nell'assetto
del territorio - ed anzi richiede che gli accessori e  le  pertinenze
siano rimovibili in ogni momento. 
    5.2.-  Nelle  memorie  successivamente  depositate,  la   Regione
autonoma   della   Sardegna   avanza   un'ulteriore   eccezione    di
inammissibilita',   analoga   a   quella   gia'   proposta    avverso
l'impugnazione dell'art. 18: il ricorrente non avrebbe articolato  le
censure «tenendo in conto  le  norme  di  attuazione  statutaria  che
conferiscono alla Regione  una  competenza  legislativa  primaria  in
materia di tutela del paesaggio». 
    Quanto al merito, la difesa regionale ribadisce che la  questione
sarebbe   infondata,   ricordando   che   tanto   la   giurisprudenza
amministrativa quanto  quella  penale  -  quest'ultima  pronunciatasi
anche con riferimento alla disposizione oggetto del presente  ricorso
(si richiama,  in  proposito,  Corte  di  cassazione,  sezione  terza
penale, sentenza 14 maggio-13  settembre  2013,  n.  37572)  -  hanno
riconosciuto   che   cio'   che    contraddistingue    l'edificazione
urbanisticamente  e  paesaggisticamente  rilevante  e'  il  carattere
permanente della struttura, espressamente escluso dalla  disposizione
impugnata. 
    Rileva, poi,  a  dimostrazione  che  la  Regione  autonoma  della
Sardegna ben poteva adottare la disposizione censurata,  che  con  la
sentenza n. 278 del 2010 questa Corte ha dichiarato  incostituzionale
una disposizione statale analoga  a  quella  impugnata  nel  presente
giudizio, perche' impingeva nella competenza regionale in materia  di
«governo  del  territorio».  Infine,  osserva  che  recentemente   il
legislatore statale (il riferimento e' al novellato art. 3, comma  1,
lettera e, del d.P.R. n. 380 del 2001) e'  andato  ben  oltre  quanto
stabilito nella disposizione censurata con riguardo  agli  interventi
che non debbono qualificarsi di nuova costruzione: cio' che non  solo
dimostrerebbe l'infondatezza del  ricorso,  ma  l'improcedibilita'  o
inammissibilita' dello stesso per sopravvenuta carenza d'interesse. 
    5.3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  nella  memoria
depositata in prossimita' dell'udienza, dopo aver chiesto  che  siano
respinte  le  eccezioni  di  inammissibilita',  ha  rilevato  che  la
disposizione regionale si riferisce senza dubbio  anche  a  strutture
che, pure se non rilevanti a fini urbanistici ed edilizi, ben possono
essere    paesaggisticamente    significative,    incidendo     sulla
conformazione del paesaggio per cio' stesso necessitando di controllo
e   autorizzazione:   non   rilevanti,   pertanto,    sarebbero    la
giurisprudenza  amministrativa  e  penale  richiamate  dalla   difesa
regionale.  Allo  stesso  modo,  non  sarebbe  pertinente   l'evocata
sentenza di questa  Corte  n.  278  del  2010,  dal  momento  che  la
circostanza per cui il  legislatore  statale  non  puo'  dettare  una
normativa  di  dettaglio  circa  le   strutture   turistico-ricettive
all'aperto - trattandosi della materia «governo del territorio» - non
consentirebbe in ogni caso al legislatore regionale di  adottare  una
disciplina in deroga a  norme  di  grandi  riforme  economico-sociali
quali l'art. 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  in  quarto  luogo,
impugna anche l'art. 23,  commi  6  e  7,  della  legge  oggetto  del
presente giudizio, il quale, apportando modifiche  all'art.  5  della
legge regionale 21 settembre 2011, n. 19 (Provvidenze per lo sviluppo
del turismo golfistico), ha previsto, in particolare, che  la  Giunta
regionale proponga gli adeguamenti al piano  paesaggistico  regionale
necessari per consentire, anche in ambito costiero, la  realizzazione
di nuove strutture residenziali ricettive connesse ai campi da golf. 
    Il  ricorrente  ritiene  che  la  normativa  impugnata   sia   in
violazione  del  principio   della   pianificazione   necessariamente
congiunta (Stato-Regione)  sui  beni  paesaggistici,  previsto  negli
artt. 135 e 143 del  codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,
indubbiamente  qualificabile  come  normativa   di   grande   riforma
economico-sociale, ponendosi cosi' in contrasto con  l'art.  3  dello
statuto speciale, oltre che con gli artt. 117, secondo comma, lettera
s), e 118, terzo comma, Cost. 
    6.1.- La Regione autonoma  della  Sardegna,  dopo  avere  chiesto
nell'atto  di  costituzione  che   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale relative  alla  suddetta  normativa  siano  dichiarate
inammissibili o infondate, nella memoria depositata il 5 maggio  2015
ha chiesto sia dichiarata  la  cessata  materia  del  contendere,  in
considerazione,  per  un  verso,  della  abrogazione   -   pienamente
satisfattiva  delle  pretese  del  ricorrente  -  dell'intiera  legge
regionale n. 19 del 2011 e delle successive modifiche e  integrazioni
ad opera dell'art. 44, comma 5, della legge regionale 23 aprile 2015,
n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di  disposizioni  in
materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio
edilizio) e, per  un  altro,  della  circostanza  per  cui  la  legge
abrogata non e' mai stata applicata nelle more del presente giudizio. 
    6.2.- L'8  giugno  2015  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
depositato, previa delibera  del  Consiglio  dei  ministri,  atto  di
rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alle  suddette  questioni
di legittimita' costituzionale. 
    6.3.- Con atto depositato il 12 maggio 2016, la Regione  autonoma
della Sardegna, previa delibera della Giunta regionale, ha  accettato
la rinuncia parziale al ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale  degli  artt.  7,  comma  1,
lettera f); 18; 20 e 23, commi 6  e  7,  della  legge  della  Regione
Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge
regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19  del  2011,  alla
legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984,
ed altre norme di carattere urbanistico), per violazione degli  artt.
9; 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), e 118,  terzo  comma,
della Costituzione, oltre che per eccesso  dalle  competenze  di  cui
all'art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto
speciale per la Sardegna). 
    Le  disposizioni  censurate,  che  novellano   precedenti   leggi
regionali,  dettano  norme  in  tema  di  interventi  sul  patrimonio
edilizio   esistente,   di   semplificazione   delle   procedure   di
autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entita',  di
allestimenti nelle aziende ricettive all'area aperta  e  di  sviluppo
del turismo golfistico. 
    2.- Nelle more del giudizio,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, con atto depositato  l'8  giugno  2015,  ha  rinunciato  al
ricorso, limitatamente all'impugnazione dell'art. 23, commi  6  e  7,
della  legge  regionale  censurata,  in   ragione   dell'abrogazione,
disposta dall'art. 44, comma 5, della legge della Regione Sardegna 23
aprile 2015, n. 8 (Norme per la  semplificazione  e  il  riordino  di
disposizioni  in  materia  urbanistica   ed   edilizia   e   per   il
miglioramento del patrimonio edilizio), dell'intiera legge  regionale
n. 19 del 2011,  e  successive  modifiche  e  integrazioni,  fra  cui
proprio quella operata con l'impugnato art. 23. 
    La rinuncia parziale e' stata formalmente accettata dalla Regione
autonoma della Sardegna, con atto depositato il 12 maggio 2016. 
    Pertanto, ai sensi dell'art. 23 delle  norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, va dichiarata l'estinzione
del processo relativamente alle questioni di  legittimita'  dell'art.
23, commi 6 e 7, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2011. 
    3.- Restano, quindi, da esaminare  i  tre  insiemi  di  questioni
relative alle disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1, lettera  f),
18 e 20 della legge regionale impugnata. 
    4.- L'art. 7, comma 1,  lettera  f),  inserisce  il  comma  5-ter
nell'art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni
straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio  del
settore edilizio e per la promozione di  interventi  e  programmi  di
valenza strategica per lo sviluppo), legge attuativa  del  cosiddetto
piano casa, prevedendo che gli interventi edilizi di cui  agli  artt.
2, 3, 4, 5 e 6 della legge novellata «sono realizzati in deroga  alle
previsioni dei regolamenti  edilizi  e  degli  strumenti  urbanistici
comunali vigenti ed in deroga  alle  vigenti  disposizioni  normative
regionali;  possono   essere   superati   gli   indici   massimi   di
fabbricabilita'. E' in  ogni  caso  fatto  salvo  il  rispetto  delle
disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi». 
    Secondo  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,   tale
disposizione violerebbe gli artt. 9 e 117,  primo  e  secondo  comma,
lettere l) e s), Cost., perche' si porrebbe in contrasto con i limiti
che la Regione autonoma della Sardegna incontra nell'esercizio  delle
proprie competenze, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera f),  dello
statuto speciale, in materia di  «edilizia  ed  urbanistica»,  e,  ai
sensi dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480  (Nuove
norme di attuazione dello statuto  speciale  della  regione  autonoma
della Sardegna), in materia di «piani  territoriali  paesistici».  La
norma impugnata, infatti, consentirebbe che  gli  interventi  edilizi
cui essa fa riferimento siano realizzati in deroga alla disciplina di
uso del territorio stabilita dal piano  paesaggistico  regionale,  al
decreto  del  Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile   1968,   n.
1444 (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti,  ai  sensi  dell'art.  17  della
legge 6 agosto 1967,  n.  765),  nonche'  alle  misure  di  controllo
dell'urbanizzazione stabilite  in  materia  di  rischi  di  incidenti
rilevanti di cui al  decreto  legislativo  17  agosto  1999,  n.  334
(Attuazione  della  direttiva  96/82/CE  relativa  al  controllo  dei
pericoli di incidenti rilevanti  connessi  con  determinate  sostanze
pericolose), attuativo della  cosiddetta  direttiva  Seveso,  e  alle
collegate previsioni dettate con decreto ministeriale 9  maggio  2001
(Requisiti  minimi  di  sicurezza  in   materia   di   pianificazione
urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti  a
rischio di incidente rilevante). 
    4.1.- In relazione alle questioni di legittimita'  costituzionale
ora in esame vanno preliminarmente respinte le tre diverse  eccezioni
di inammissibilita' formulate dalla Regione autonoma della Sardegna. 
    La difesa regionale lamenta, in primo luogo, che le censure  sono
ipotetiche e che prospettano vizi meramente eventuali, connessi a una
determinata interpretazione della disposizione  censurata.  Tuttavia,
come peraltro  riconosce  anche  la  stessa  Regione  autonoma  della
Sardegna, «costituisce affermazione costante nella giurisprudenza  di
questa Corte l'ammissibilita', nei giudizi in via  principale,  delle
questioni prospettate in termini dubitativi  o  alternativi  (tra  le
ultime,  sentenze  n.  269  e  n.   207   del   2014),   purche'   le
interpretazioni   "non   siano   implausibili   e   irragionevolmente
scollegate dalle disposizioni impugnate, cosi'  da  far  ritenere  le
questioni del tutto astratte e pretestuose"»  (sentenza  n.  245  del
2015; nello stesso senso, piu' di recente, sentenza n. 3  del  2016).
E' quanto precisamente accade nell'occasione in  esame,  dal  momento
che l'interpretazione «secondo un'accezione ampia»  posta  in  essere
dal ricorrente non e' affatto implausibile ne' pretestuosa e, dunque,
non e' preclusiva di un esame nel merito. 
    Del   pari   da   respingere   e'   la   seconda   eccezione   di
inammissibilita'. Contrariamente a  quanto  sostenuto  dalla  Regione
autonoma della Sardegna, il Presidente del Consiglio dei ministri  ha
sufficientemente motivato sulle ragioni per le quali la  disposizione
impugnata, che espressamente consente interventi  edilizi  in  deroga
alla normativa regionale, li autorizzerebbe  anche  in  deroga  a  un
regolamento  statale  quale  il  d.m.  n.  1444  del  1968:  cio'  si
evincerebbe, a detta del ricorrente, dalla  circostanza  per  cui  la
norma censurata fa espressamente salvo il rispetto  del  solo  codice
civile e dei diritti dei terzi, ma non impone anche quello del citato
d.m. 
    Anche la terza eccezione di inammissibilita' non e' meritevole di
accoglimento. E' vero che lo Stato non ha indicato specificamente  le
disposizioni della normativa statale in materia di rischi e incidenti
industriali che sarebbero violate dall'art. 7, comma 1,  lettera  f),
ma cio' proprio perche' il ricorrente  non  ha  inteso  lamentare  il
contrasto con puntuali norme previste dalla  richiamata  legislazione
statale, bensi' il fatto che gli interventi edilizi autorizzati dalla
legge regionale possano di volta in volta essere compiuti in deroga a
detta legislazione. 
    4.2.- Nel merito, le questioni di legittimita' ora in  esame  non
sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono. 
    4.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art.  7,
comma  1,  lettera  f),  rilevando   che   detto   articolo   «appare
suscettibile di essere interpretat[o]  secondo  un'accezione  ampia»,
tale da porsi in contrasto con i limiti che la Regione autonoma della
Sardegna incontra  nell'esercizio  delle  competenze  legislative  in
materia  di  «edilizia  ed  urbanistica»  e  di  «piani  territoriali
paesistici». 
    Questa  Corte  ha  gia'  precisato  che  il  legislatore  statale
conserva «il potere di vincolare  la  potesta'  legislativa  primaria
della Regione speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili
come "riforme economico-sociali": e  cio'  anche  sulla  base  -  per
quanto qui viene in rilievo - del titolo  di  competenza  legislativa
nella materia  "tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali", di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera s),  della
Costituzione, comprensiva tanto della  tutela  del  paesaggio  quanto
della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza  che
le  norme  fondamentali  contenute  negli  atti  legislativi  statali
emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al  necessario
rispetto del legislatore  della  Regione  Sardegna  che  eserciti  la
propria   competenza   statutaria   nella   materia   "edilizia    ed
urbanistica"» (sentenza n. 51 del 2006; nello stesso senso, anche  la
sentenza n. 536 del 2002). 
    Il legislatore  regionale  e'  poi  tenuto  a  rispettare  quanto
previsto dal d.m. n. 1444 del 1968 che, come questa Corte ha in  piu'
occasioni  affermato,  «integra  la  disciplina  privatistica   delle
distanze» (sentenza n. 114 del 2012), la quale puo'  essere  derogata
dalla normativa regionale solo in quanto questa persegua «chiaramente
finalita' di carattere  urbanistico,  rimettendo  l'operativita'  dei
suoi precetti a  "strumenti  urbanistici  funzionali  ad  un  assetto
complessivo ed unitario di determinate zone del territorio" (sentenza
n. 232 del 2005)» (sentenza n. 6 del 2013), secondo un principio  che
e' stato sostanzialmente recepito dal  legislatore  statale  all'art.
2-bis  del  d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380  (Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia -  Testo
A), inserito dall'art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21  giugno
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per  il  rilancio  dell'economia),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  9
agosto 2013, n. 98 (sentenza n. 134 del 2014). 
    Infine, la legislazione regionale non puo' porsi in contrasto con
la normativa statale in materia di rischi di incidenti rilevanti, che
questa Corte ha gia' ricondotto alla materia  «tutela  dell'ambiente»
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  (sentenze  n.
135 del 2005 e n. 407 del 2002). 
    4.4.- Tuttavia, l'interpretazione  della  disposizione  impugnata
ipotizzata  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  tale  da
ricavarne norme in contrasto con  detti  limiti  -  sebbene  non  sia
implausibile e, come detto, non precluda pertanto l'esame del  merito
delle questioni di legittimita' costituzionale - non e' certamente la
sola possibile. 
    La disposizione impugnata, infatti, puo' essere  interpretata  in
modo da prevenire l'insorgere della denunciata  antinomia  normativa,
come d'altro canto esattamente prospettato anche dalla stessa Regione
autonoma della Sardegna nei diversi atti difensivi. 
    Innanzitutto, si deve escludere, proprio in ragione del principio
della  prevalenza  dei  piani  paesaggistici  sugli  altri  strumenti
urbanistici (sentenza n. 11 del 2016),  che  il  piano  paesaggistico
regionale  sia  derogabile:  cio'  perche'  l'intervento  legislativo
regionale - da ricondurre, come questa Corte ha gia' rilevato con  la
sentenza n. 46 del 2014, alla  materia  «edilizia  e  urbanistica»  -
espressamente dispone la possibilita' di compiere  alcuni  interventi
in deroga ai «regolamenti  edilizi  e  [agli]  strumenti  urbanistici
comunali vigenti», senza comprendere, dunque,  alcun  riferimento  al
piano paesaggistico regionale. D'altra parte, l'art.  1  della  legge
regionale  n.  4  del  2009,  nel  cui  art.  8  e'  inserito   dalla
disposizione impugnata il  comma  5-ter,  espressamente  afferma  che
l'intervento legislativo  intende  favorire  interventi  nel  settore
edilizio diretti alla  riqualificazione  ed  al  miglioramento  anche
«della compatibilita' paesaggistica», cio' che costituisce  ulteriore
argomento  ermeneutico  idoneo  ad  escludere  che  detti  interventi
edilizi possano essere realizzati in deroga  al  piano  paesaggistico
regionale. 
    Quanto, poi, alla possibilita' che questi ultimi  possano  essere
effettuati in deroga al d.m.  n.  1444  del  1968  e  alla  normativa
statale in materia di rischi di incidenti rilevanti, va  innanzitutto
rilevato che il disposto  normativo  impugnato  consente  bensi'  che
taluni interventi edilizi siano realizzati in deroga  ai  regolamenti
edilizi, agli strumenti urbanistici comunali vigenti e alle  «vigenti
disposizioni normative regionali», al cui ambito, con tutta evidenza,
non puo' pero' certamente  ricondursi  la  legislazione  statale.  E'
anche alla luce di questo primo  periodo  del  comma  inserito  dalla
disposizione censurata, poi, che deve  essere  interpretato  l'ultimo
periodo del medesimo comma: con la clausola di salvezza ivi prevista,
il legislatore regionale ha voluto espressamente  escludere  che  gli
interventi edilizi possano  essere  realizzati  in  violazione  delle
disposizioni del codice civile -  il  cui  richiamo,  peraltro,  deve
intendersi come riferito all'intiera disciplina civilistica di cui il
d.m. n. 1444 del 1968 e' parte integrante e fondamentale (sentenza n.
134 del 2014) - e dei diritti dei terzi,  senza  percio'  consentire,
tuttavia, che essi siano effettuati  in  deroga  ad  altra  normativa
statale, la quale pertanto deve in ogni caso essere osservata. 
    L'art. 7, comma 1, lettera f), della  legge  regionale  impugnata
deve pertanto  essere  interpretato  nel  senso  che  gli  interventi
edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga  ne'  al
piano paesaggistico regionale ne' alla legislazione statale. 
    5.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha,  in  secondo
luogo, impugnato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., l'art.  18  della  censurata  legge  regionale,  il  quale
inserisce l'art. 5-bis dopo l'art. 5 della legge regionale 12  agosto
1998, n. 28 (Norme per l'esercizio delle  competenze  in  materia  di
tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma della Sardegna con
l'art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con l'art.  57
del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348). La disposizione inserita  prevede
che: «1. In sede di  prima  applicazione,  gli  interventi  di  lieve
entita' da realizzarsi su aree o immobili sottoposti  alle  norme  di
tutela di cui alla parte III del decreto legislativo n. 42 del  2004,
e successive modifiche, ed indicati nell'elenco allegato  al  decreto
del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010,  n.  139  (Regolamento
recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per
gli interventi di lieve entita', a norma dell'articolo 146, comma  9,
del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42  e   successive
modifiche),  sempre  che  comportino  un'alterazione  dei  luoghi   e
dell'aspetto  esteriore   degli   edifici,   sono   assoggettati   al
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica cosi'  come
disciplinato  nel  regolamento  emanato   con   il   citato   decreto
presidenziale. 2. La Giunta regionale, con direttiva adottata  previa
deliberazione, puo' individuare ulteriori  forme  di  semplificazione
del procedimento di autorizzazione paesaggistica  in  conformita'  ai
principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139
del 2010». 
    Le censure del ricorrente hanno per oggetto, in verita', il  solo
secondo comma della disposizione  de  qua,  il  quale  violerebbe  la
disciplina statale concernente l'autorizzazione paesaggistica di  cui
all'art.  146  del  codice  dei  beni  culturali  e  del   paesaggio.
Quest'ultima, infatti, e' norma di grande riforma  economico-sociale,
funzionale ad assicurare  uniformita'  di  trattamento  su  tutto  il
territorio nazionale nella delicata fase  di  tutela  preventiva  del
bene protetto. 
    5.1.- Anche in  relazione  a  questa  questione  di  legittimita'
costituzionale  vanno  preliminarmente  respinte  le   eccezioni   di
inammissibilita' avanzate dalla Regione autonoma della Sardegna. 
    La  difesa  regionale  lamenta,  innanzitutto,  la   carenza   di
attualita' della censura, rilevando che lo Stato potra' eventualmente
dolersi soltanto della delibera della Giunta regionale che  violi  la
disciplina statale dettata  dal  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. In senso contrario e'  tuttavia  dirimente  l'osservazione
per  cui,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «non   e'
ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti di
atti che siano la diretta applicazione di  preesistenti  disposizioni
legislative  non  impugnate»  (sentenza  n.  30  del   2012),   quale
evidentemente sarebbe la delibera di Giunta di cui al censurato  art.
18. 
    In  secondo  luogo,  la  Regione  resistente  eccepisce  che   il
ricorrente ha articolato le censure senza tenere in conto  «le  norme
di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza
legislativa primaria in materia di tutela del  paesaggio».  Tuttavia,
va osservato, innanzitutto, che su tale competenza e sui  limiti  che
essa incontra, il Presidente del Consiglio dei ministri  si  diffonde
nella parte  iniziale  del  ricorso,  svolgendo  considerazioni  che,
sebbene compiute in premessa delle questioni di legittimita' promosse
nei confronti dell'art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale
impugnata, hanno carattere generale e risultano riferite a  tutte  le
censure proposte  con  l'atto  introduttivo  del  presente  giudizio.
Inoltre, nell'articolazione della censura avente per  oggetto  l'art.
18, espressamente il ricorrente lamenta il contrasto con  l'art.  146
del codice dei beni culturali e del paesaggio  che  «costituisce  una
norma di grande riforma economico-sociale»:  qualificazione,  questa,
che evidentemente presuppone il riconoscimento in capo  alla  Regione
autonoma della Sardegna di una competenza da tale norma limitata. 
    5.2.- Nel merito, la questione di legittimita' ora in  esame  non
e' fondata, nei limiti e nei termini che seguono. 
    5.3.- L'art. 146, comma 9, quarto periodo, del  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio dispone che «[c]on regolamento da  emanarsi
ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23  agosto  1988,  n.
400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d'intesa con
la Conferenza unificata, salvo quanto previsto  dall'articolo  3  del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite  procedure
semplificate per il  rilascio  dell'autorizzazione  in  relazione  ad
interventi di lieve entita'  in  base  a  criteri  di  snellimento  e
concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque,  le  esclusioni  di
cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma  4  della  legge  7  agosto
1990, n. 241 e successive modificazioni». 
    Il previsto regolamento e' stato adottato con il d.P.R. 9  luglio
2010,  n.  139  (Regolamento  recante  procedimento  semplificato  di
autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve  entita',  a
norma dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22  gennaio
2004, n. 42, e successive modificazioni), il cui  art.  6,  rubricato
come   «Efficacia   immediata   delle   disposizioni   in   tema   di
autorizzazioni semplificate» dispone che «1. Ai  sensi  dell'articolo
131, comma 3,  del  Codice,  le  disposizioni  del  presente  decreto
trovano immediata applicazione nelle regioni a statuto ordinario.  2.
In ragione dell'attinenza delle disposizioni del presente decreto  ai
livelli  essenziali  delle   prestazioni   amministrative,   di   cui
all'articolo 117, secondo comma, lettera m),  della  Costituzione,  e
della natura di grande riforma economico sociale del Codice  e  delle
norme di semplificazione procedimentale in esso previste, le  regioni
a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano,  in
conformita' agli  statuti  ed  alle  relative  norme  di  attuazione,
adottano,  entro  centottanta   giorni,   le   norme   necessarie   a
disciplinare  il   procedimento   di   autorizzazione   paesaggistica
semplificata in conformita' ai criteri del presente decreto.». 
    5.4.- La disposizione censurata  costituisce  dunque  attuazione,
come rileva anche la  difesa  regionale,  di  quanto  previsto  dalla
normativa  statale.  Il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,
tuttavia,  ritiene  che   l'aggettivo   «ulteriori»   di   cui   alla
disposizione  impugnata  consentirebbe  alla  Giunta   regionale   di
individuare forme di "maggiore  semplificazione"  rispetto  a  quanto
previsto dalla normativa statale, ponendosi cosi'  in  contrasto  con
l'evocato parametro costituzionale. 
    A  tale  interpretazione   -   che   determinerebbe   l'insorgere
dell'antinomia normativa paventata nel ricorso, dal momento che, come
si  e'  gia'  detto,  le  norme  fondamentali  contenute  negli  atti
legislativi statali adottati  nella  materia  «tutela  dell'ambiente»
continuano a imporsi al necessario  rispetto  del  legislatore  della
Regione autonoma della Sardegna - deve tuttavia  preferirsene  altra,
tale da rendere la disposizione impugnata conforme a Costituzione. Il
comma 2 della disposizione inserita dal censurato art.  18,  infatti,
deve essere inteso nel senso che la Giunta puo'  prevedere  forme  di
semplificazione "diverse" da quelle previste dalla normativa statale,
nel frattempo applicabile anche nella Regione autonoma della Sardegna
ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, ma non  per  questo
di  "maggiore  semplificazione",  tanto  piu'  che   e'   la   stessa
disposizione regionale a prevedere che esse debbono  essere  conformi
ai principi contenuti nel citato d.P.R. n. 139 del 2010. 
    6.- In terzo e ultimo luogo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri impugna, in riferimento agli artt. 9 e 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost.,  l'art.  20  della  legge  regionale  oggetto  del
presente giudizio, il quale sostituisce il comma  4-bis  dell'art.  6
della  legge  regionale  14  maggio  1984,  n.  22  (Norme   per   la
classificazione delle  aziende  ricettive),  introdotto  dalla  legge
regionale 7 agosto 2009,  n.  3  (Disposizioni  urgenti  nei  settori
economico e sociale). Il citato comma 4-bis ora prevede  che:  «Fatto
salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende  ricettive
all'area  aperta  regolarmente  autorizzate  e   nei   limiti   della
ricettivita' autorizzata, gli allestimenti mobili  di  pernottamento,
quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili
e pertinenze ed accessori  funzionali  all'esercizio  dell'attivita',
sono diretti a soddisfare esigenze di carattere  turistico  meramente
temporanee  e,  anche  se  collocati   in   via   continuativa,   non
costituiscono attivita'  rilevante  a  fini  urbanistici,  edilizi  e
paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono: a)  conservare  i
meccanismi  di  rotazione  in  funzione;  b)  non   possedere   alcun
collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle
reti tecnologiche,  gli  accessori  e  le  pertinenze  devono  essere
rimovibili in ogni momento.». 
    Il ricorrente censura detta disposizione perche' non  spetterebbe
«alla  normativa  regionale  qualificare   alcuni   interventi   come
paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell'articolo
149  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio»  e   cosi'
consentendo attivita' prive dell'autorizzazione paesaggistica di  cui
all'art.  146  del  medesimo  codice,   norma   di   grande   riforma
economico-sociale. 
    6.1.- Anche in relazione a quest'ultima questione di legittimita'
costituzionale, devono  preliminarmente  essere  prese  in  esame  le
eccezioni di inammissibilita' proposte dalla Regione  autonoma  della
Sardegna. 
    Queste, peraltro,  sono  analoghe  a  quelle  gia'  avanzate  con
riferimento  alle  altre  questioni  di  legittimita'  costituzionale
proposte con il ricorso statale e debbono pertanto  essere  parimente
rigettate. 
    La Regione resistente lamenta, in primo luogo, che il  Presidente
del Consiglio dei ministri prospetta generici  dubbi,  connessi  alla
portata interpretativa e applicativa  della  disposizione  censurata:
tuttavia, cio' che conta e' che l'interpretazione di quest'ultima non
e'  ne'  implausibile  ne'  pretestuosa,  di  modo  che  non   appare
preclusiva di un esame nel merito. 
    In secondo luogo, la difesa regionale eccepisce che il ricorrente
ha  articolato  le  censure  senza  tenere  in  conto  «le  norme  di
attuazione statutaria che conferiscono alla  Regione  una  competenza
legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio». Al riguardo
vale  quanto  gia'  osservato  in   relazione   alla   questione   di
legittimita'  costituzionale  concernente  l'art.  18   della   legge
regionale impugnata, ovvero che, non solo su tale  competenza  e  sui
limiti che essa incontra il Presidente del Consiglio dei ministri  si
diffonde nella prima parte del  ricorso  -  svolgendo  considerazioni
che, sebbene compiute in premessa  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale promosse nei confronti dell'art. 7, comma  1,  lettera
f), della legge regionale impugnata, hanno carattere generale e  sono
riferite a tutte le censure  proposte  con  l'atto  introduttivo  del
presente giudizio - ma che, inoltre, espressamente lo  Stato  lamenta
il contrasto dell'art. 20 della  legge  regionale  impugnata  con  la
«norma di grande riforma economico-sociale» posta dall'art.  146  del
codice dei beni culturali e del paesaggio,  cosi'  chiaramente  dando
per presupposta una competenza della Regione autonoma della  Sardegna
da tale norma limitata. 
    6.2.- Nel merito, la questione di legittimita' costituzionale  e'
fondata, nei termini che seguono. 
    6.3.- E'  innanzitutto  necessario  precisare  che  l'impugnativa
statale non concerne, in verita', l'intiera  disposizione  regionale,
ma la parte di essa che qualifica gli interventi  ivi  previsti  come
paesaggisticamente irrilevanti. Difatti, lo Stato non censura affatto
la qualificazione  di  detti  interventi  come  irrilevanti  ai  fini
urbanistici ed edilizi,  essendo  tale  qualificazione  riconducibile
alla potesta' primaria in materia «edilizia e urbanistica»  conferita
alla Regione autonoma della Sardegna dall'art. 3,  comma  1,  lettera
f), dello statuto  speciale.  Da  cio'  consegue,  peraltro,  che  la
giurisprudenza  amministrativa  e  penale  in  tema  di  edilizia   e
urbanistica, richiamata dalla difesa regionale, non e' pertinente. 
    6.4.- Questa Corte si e' gia'  pronunciata  su  disposizioni  dal
contenuto  sostanzialmente  analogo  a  quello   della   disposizione
impugnata, adottate pero' dal legislatore statale e  censurate  dalle
Regioni per lesione delle proprie competenze, impugnate sotto profili
diversi da quelli in considerazione nel presente giudizio. 
    Con  la  sentenza  n.  278  del   2010,   e'   stata   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 9, della legge  23
luglio   2009,   n.   99   (Disposizioni   per    lo    sviluppo    e
l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in   materia   di
energia). In detta pronuncia, questa Corte rilevo',  preliminarmente,
che  «l'oggetto  principale,  il  suo  "nucleo   essenziale"»   della
disposizione    impugnata    era    costituito    dalla    disciplina
urbanistico-edilizia relativa all'installazione di  mezzi  mobili  di
pernottamento e che, pertanto, essa  doveva  essere  ricondotta  alla
materia «governo del territorio» di cui all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. Cio' posto, accogliendo i ricorsi regionali che lamentavano una
invasione  di  competenza  in  ambito  di  potesta'  concorrente,  la
disposizione allora censurata fu ritenuta illegittima  perche'  norma
di dettaglio avente a oggetto «una disciplina limitata  a  specifiche
tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e
circoscritti», che non  lasciava,  in  tal  modo,  alcuno  spazio  al
legislatore regionale. 
    Con la recente sentenza n. 189 del 2015 e' stata  poi  dichiarata
l'incostituzionalita' dell'art. 41, comma  4,  del  decreto-legge  21
giugno  2013,  n.  69   (Disposizioni   urgenti   per   il   rilancio
dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge 9 agosto 2013, n.  98,  che  era  intervenuto  sul  testo
dell'art. 3, comma 1, lettera e.5),  del  d.P.R.  n.  380  del  2001,
modificandolo in modo che  fossero  da  considerarsi,  comunque  sia,
interventi di nuova costruzione l'installazione di manufatti leggeri,
anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere  che  fossero
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, e che non fossero diretti a  soddisfare  esigenze
meramente temporanee «ancorche' [fossero] installati, con  temporaneo
ancoraggio al suolo, all'interno di strutture  ricettive  all'aperto,
in conformita' alla normativa regionale di settore, per la  sosta  ed
il  soggiorno  di  turisti».  Questa  Corte  osservo'  che  la  norma
impugnata  presentava  vizi  di  legittimita'   analoghi   a   quelli
riscontrati nella disposizione annullata con la sentenza n.  278  del
2010, perche'  anch'essa  sottraeva  al  legislatore  regionale  ogni
spazio  di  intervento,  «determinando  la  compressione  della   sua
competenza concorrente in materia di governo del territorio,  nonche'
la lesione della competenza residuale  del  medesimo  in  materia  di
turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla prima». 
    6.5.- Nel presente giudizio, come si e' gia'  precisato,  vengono
tuttavia in considerazione, pur a fronte di  disposizione  analoga  a
quelle gia' scrutinate da questa Corte, contenute in  leggi  statali,
profili inerenti non al «governo del  territorio»  ma,  diversamente,
alla «tutela del paesaggio». 
    Osserva a tal proposito il ricorrente che anche un intervento non
rilevante a fini urbanistici ed  edilizi,  perche'  a  carattere  non
permanente, «ben puo'  essere  paesaggisticamente  significativo,  in
quanto,  andando  ad  incidere  sulla  conformazione  del  paesaggio,
necessita di un apposito controllo e successiva  autorizzazione».  E'
del tutto evidente che non ogni intervento  qualificato  dalla  norma
impugnata come paesaggisticamente irrilevante ha  sempre  un  impatto
paesaggisticamente significativo, perche' cio' dipendera',  di  volta
in volta, dalle modalita' di realizzazione del singolo intervento: ma
proprio in cio' risiede l'esigenza che i richiamati interventi,  come
previsto    dalla    legislazione     statale,     siano     soggetti
all'autorizzazione paesaggistica. 
    Questa Corte ha gia' affermato che la legislazione regionale  non
puo'  prevedere  una  procedura  per  l'autorizzazione  paesaggistica
diversa da quella dettata dalla legislazione  statale,  perche'  alle
Regioni  non  e'  consentito  introdurre  deroghe  agli  istituti  di
protezione ambientale che dettano una disciplina  uniforme,  valevole
su  tutto  il  territorio  nazionale,  nel  cui  ambito  deve  essere
annoverata l'autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 232 del  2008,
successivamente richiamata dalle sentenze n. 101 del 2010  e  n.  235
del 2011). 
    La  disposizione  impugnata,   invece,   nel   qualificare   come
paesaggisticamente  irrilevanti  taluni  interventi   nelle   aziende
ricettive all'area aperta, consente che essi vengano posti in  essere
a prescindere dall'autorizzazione paesaggistica di cui  all'art.  146
del codice dei beni culturali e del paesaggio, la quale e'  norma  di
grande  riforma  economico-sociale  che  la  Regione  autonoma  della
Sardegna deve rispettare  (sentenza  n.  238  del  2013),  in  quanto
adottata nell'ambito della competenza esclusiva statale nella materia
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La norma censurata  si
pone dunque in contrasto con il richiamato art. 146,  oltre  che  con
l'art. 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del  paesaggio  -
che individua tassativamente  le  tipologie  di  interventi  in  aree
vincolate   realizzabili   anche   in   assenza   di   autorizzazione
paesaggistica - e con l'Allegato 1 del d.P.R n. 139 del  2010  -  che
reca  un  elenco  tassativo  degli  interventi  di  «lieve  entita'»,
assoggettati   a   procedimento   semplificato   di    autorizzazione
paesaggistica (sentenza n. 235 del 2011). 
    6.6.- Ne' puo' condurre a una diversa risoluzione della  presente
questione di legittimita' costituzionale l'affermazione della  difesa
regionale  secondo  cui  la  piu'  recente  normativa  statale  -  il
riferimento e' all'art. 10-ter, comma 1, del decreto-legge  28  marzo
2014, n. 47 (Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato
delle costruzioni e per Expo 2015),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23  maggio  2014,  n.  80,  che  ha
novellato l'art. 3, comma 1, lettera e.5) del testo unico in  materia
edilizia - «ha "liberalizzato" la materia ben piu' di quanto  avrebbe
(ad avviso del ricorrente) fatto la legge  regionale  in  esame»,  al
punto  che  la  questione  dovrebbe  considerarsi  improcedibile  per
sopravvenuto difetto di interesse all'impugnazione. A prescindere  da
ogni  considerazione  sulla  proposta  interpretazione   dell'evocata
normativa statale, peraltro oggetto di  ulteriore  novella  ad  opera
dell'art.  52,  comma  2,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  221
(Disposizioni in materia ambientale per promuovere  misure  di  green
economy  e  per  il  contenimento  dell'uso  eccessivo   di   risorse
naturali), la disposizione impugnata e' intervenuta in parte  qua  in
un  ambito  materiale   -   quello   della   «tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali» di cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. - di esclusiva competenza statale. 
    6.7.-   L'impugnato   art.    20    va,    percio',    dichiarato
costituzionalmente   illegittimo   limitatamente   alle   parole   «e
paesaggistici».