ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  15,  comma
14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,  promossi  dal  Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del  27  febbraio
(due ordinanze), del 28 febbraio, del 14 marzo, del 28 febbraio,  del
27 febbraio (due ordinanze), del 28 febbraio (cinque ordinanze),  del
14 marzo (quattro ordinanze) e del 27 febbraio 2014 (due  ordinanze),
rispettivamente iscritte ai nn. 160, 161, 162, 212,  213,  214,  215,
262, 263, 264, 265 e 266 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24,
25, 26, 27 e 28  del  registro  ordinanze  2015  e  pubblicate  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  42  e  49,  prima  serie
speciale, dell'anno  2014  e  nn.  5  e  10,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione  della  San  Raffaele  spa  e  San
Raffaele Roma srl (quale gestore  dell'IRCCS  San  Raffaele  Pisana),
dell'Associazione Italiana Ospedalita' Privata per la  Regione  Lazio
ed altri, dell'Istituto di ricovero e cura  a  carattere  scientifico
Fondazione Santa Lucia, della Casa  di  cura  privata  S.  Anna  srl,
dell'Istituto Figlie di  San  Camillo  -  Ospedale  Madre  Giuseppina
Vannini, dell'ARIS, Associazione religiosa istituti-socio sanitari  -
Regione Lazio,  della  Provincia  religiosa  di  San  Pietro,  Ordine
ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli - Ospedale  Villa
San Pietro, della Poligest spa, della Casa di cura  Marco  Polo  srl,
dell'Ospedale  Israelitico  -  Ospedale   Provinciale   Specializzato
Geriatrico, della Casa generalizia  dell'Ordine  Ospedaliero  di  San
Giovanni di Dio Fatebenefratelli - Ospedale  San  Giovanni  Calibita,
della  Casa  di  cura  Citta'  di  Roma  spa,  dell'Aurelia  80  spa,
dell'European Hospital spa, de La Panoramica srl nonche' gli atti  di
intervento della Regione Lazio e del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 31 maggio 2016 e nella camera  di
consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Gianluigi Pellegrino per la San Raffaele spa e
San Raffaele Roma srl (quale gestore dell'IRCCS San Raffaele Pisana),
per l'Associazione Italiana Ospedalita' Privata per la Regione  Lazio
ed altri e per l'Istituto ricovero e  cura  a  carattere  scientifico
Fondazione Santa Lucia, Silvio Bozzi per la Casa di cura  privata  S.
Anna srl, per l'Istituto Figlie  di  San  Camillo  -  Ospedale  Madre
Giuseppina  Vannini,  per  l'ARIS,  Associazione  religiosa  istituti
socio-sanitari - Regione Lazio, per la  Provincia  religiosa  di  San
Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli  -
Ospedale Villa San Pietro e per  l'Ospedale  Israelitico  -  Ospedale
Provinciale Specializzato Geriatrico, Francesco Saverio Marini per la
Poligest spa, Beniamino Caravita di Toritto per la Casa di cura Marco
Polo  srl,  Domenico  Ielo  per  la  Casa   generalizia   dell'Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di  Dio  Fatebenefratelli,  Ospedale  San
Giovanni Calibita, Matteo Di Raimondo per La Panoramica srl,  Massimo
Luciani per la Regione Lazio  e  l'avvocato  dello  Stato  Enrico  De
Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con diciotto ordinanze, sei delle  quali  pronunciate  il  27
febbraio 2014 (iscritte ai nn. 160,  161,  214  e  215  del  registro
ordinanze 2014 e ai nn. 27 e 28 del registro ordinanze  2015),  sette
pronunciate il 28 febbraio 2014 (iscritte ai nn. 162, 213, 262,  263,
264, 265 e 266 del registro ordinanze 2014) e cinque il 14 marzo 2014
(iscritte al n. 212 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24, 25 e
26  del  registro  ordinanze  2015),  il   Tribunale   amministrativo
regionale per il Lazio ha sollevato plurime questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 14,  del  decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  7
agosto 2012, n. 135. 
    1.1.- Le questioni sono sorte nel corso di  giudizi  promossi  da
soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate dalla Regione
Lazio per prestazioni di  assistenza  specialistica  ambulatoriale  e
ospedaliera, al fine di ottenere l'annullamento del  decreto  n.  349
del 22 novembre 2012,  con  il  quale  il  Commissario  ad  acta  per
l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario
della Regione Lazio ha disposto che le previsioni  di  spesa  per  il
2012 delle prestazioni ospedaliere sono rideterminate in  diminuzione
nella misura del 6,8519 per cento. 
    Il provvedimento e' stato emesso in attuazione  del  citato  art.
15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, a norma del quale,  nel  testo
vigente al momento della  proposizione  dei  ricorsi,  «[a]  tutti  i
singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti  nell'esercizio
2012, ai sensi dell'articolo 8-quinquies del decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502, per l'acquisto  di  prestazioni  sanitarie  da
soggetti   privati   accreditati   per   l'assistenza   specialistica
ambulatoriale  e  per  l'assistenza  ospedaliera,  si   applica   una
riduzione dell'importo e  dei  corrispondenti  volumi  d'acquisto  in
misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia
autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua,  rispetto  alla
spesa consuntivata per l'anno 2011, dello 0,5 per  cento  per  l'anno
2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a  decorrere
dall'anno 2014 [...]». 
    In taluni dei giudizi a quibus la richiesta  di  annullamento  e'
estesa: al decreto commissariale n. 348 del 22 novembre 2012, che, in
attuazione della stessa disposizione, ha disposto la riduzione  della
previsione di spesa per il  2012  per  le  prestazioni  ambulatoriali
nella misura dello 0,4245 per cento; al decreto commissariale n.  100
del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione di spesa per il 2013
per le prestazioni ospedaliere operando una riduzione dello  0,5  per
cento  di  quella  gia'  stabilita  per  il  2012,   e   al   decreto
commissariale n. 183 del 2013, con il quale  e'  stato  approvato  lo
schema tipo di contratto-accordo  per  la  definizione  dei  rapporti
giuridici tra le aziende sanitarie del Lazio e i  soggetti  erogatori
di prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale. 
    2.- In tutte le ordinanze - a eccezione di quella iscritta al  n.
28  del  registro  ordinanze  2015  -  sono  sollevate  questioni  di
illegittimita' per violazione degli artt.  117,  terzo  comma,  e  41
della Costituzione. Sono comuni anche le censure per  violazione  del
principio di irretroattivita',  evocato  in  alcune  ordinanze  senza
specifici riferimenti a norme costituzionali (reg. ord. nn. 160, 161,
214 e 215 del 2014 e  nn.  27  e  28  del  2015)  e  nelle  altre  in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
    Sono parzialmente comuni le censure per violazione degli artt. 32
(reg. ord. nn. 162, 212, 213, 262, 263, 264, 265, 266 del 2014 e  nn.
23, 24, 25, 26 e 28 del 2015) e 117, primo comma,  Cost.  (reg.  ord.
nn. 162 e 213 del 2014 e nn. 23, 24, 25 e 26 del 2015),  quest'ultimo
in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Superate - la' dove  sono  state  sollevate  -  le  questioni  di
difetto di giurisdizione del giudice adito  (reg.  ord.  n.  212  del
2014) e di inapplicabilita'  della  norma  denunciata  agli  ospedali
"classificati", in quanto equiparabili a quelli pubblici  (reg.  ord.
nn. 215, 262, 263, 264, 265 e 266 del 2014), il  rimettente  lamenta,
innanzi tutto, la  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
richiamando la competenza concorrente dello Stato e delle regioni  in
materia di sanita'. 
    A suo avviso, l'art.  15,  comma  14,  nel  prevedere  un  taglio
generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni  successivi  che
esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi  precedentemente
stipulati con le singole strutture accreditate,  non  puo'  ritenersi
norma  che  fissa  principi  fondamentali,  e  risulta  pertanto   in
contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost. 
    Il TAR ricorda la giurisprudenza costituzionale secondo la  quale
obiettivi di finanza pubblica complessiva  e  di  contenimento  della
spesa possono comportare limiti all'autonomia legislativa concorrente
delle regioni nel settore della tutela della salute e in  particolare
nell'ambito  della  gestione  del  servizio  sanitario,  per  cui  il
legislatore statale puo' legittimamente imporre  vincoli  alla  spesa
corrente delle regioni. A suo giudizio, tuttavia,  l'art.  15,  comma
14, violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  quanto  individua
specificatamente i settori ove conseguire (con imposizione  di  tagli
«lineari» e senza alternative), i  risparmi  nella  spesa  sanitaria,
senza limitarsi ad una  mera  quantificazione  in  via  generale  dei
suddetti     risparmi,      lasciando      alla      discrezionalita'
dell'amministrazione regionale l'individuazione dei comparti di spesa
dove  ottenerli   e   delle   modalita'   per   conseguirli   (magari
differenziando i  destinatari  dei  tagli  di  spesa  secondo  propri
criteri   apprezzati   discrezionalmente   come   piu'    rispondenti
all'interesse e alle peculiarita' regionali). 
    Il rimettente  lamenta,  altresi',  la  violazione  dei  principi
costituzionali in tema di irretroattivita' della  legge  extrapenale,
evocando (anche se non in  tutte  le  ordinanze,  come  ricordato)  i
parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost. 
    A suo avviso,  la  norma  censurata  e  i  decreti  commissariali
impugnati - questi ultimi adottati a fine novembre  2012,  quando  il
limite  della  previsione  di  spesa  annuale  sarebbe  stato   ormai
sostanzialmente  raggiunto   -   avrebbero   inciso   sul   legittimo
affidamento  delle  singole  strutture  sanitarie   ad   erogare   le
prestazioni e a ricevere il  corrispettivo  stabilito  nei  contratti
anteriormente stipulati e per la corretta  esecuzione  dei  quali  le
medesime  strutture  sanitarie  avevano  predisposto  le   necessarie
risorse organizzative ed effettuato i relativi investimenti. 
    Il giudice  rimettente  non  ignora  che  la  giurisprudenza  del
Consiglio di Stato ha ritenuto legittima  l'introduzione  retroattiva
di  tetti  di  spesa  in  materia   sanitaria   (cita   la   sentenza
dell'adunanza plenaria n. 4 del 2012), ma  osserva  che,  secondo  la
stessa giurisprudenza, un intervento di  questo  tipo  e'  rispettoso
della tutela  dell'affidamento  solo  a  condizione  che  i  soggetti
interessati possano avere riguardo ai tetti  di  spesa  previsti  per
l'anno precedente, tenendo contemporaneamente conto  degli  ulteriori
limiti imposti dalle disposizioni finanziarie conoscibili  all'inizio
e nel corso dell'anno. Questa condizione - ad avviso del rimettente -
non si sarebbe realizzata nel caso della norma censurata, che  impone
i tagli delle  previsioni  di  spesa  gia'  approvate  «con  parziale
decorrenza  retroattiva  dall'1.1.2012»,  senza  «alcun  preesistente
parametro  da  cui  i   destinatari   abbiano   potuto   preavvertire
l'intervento della disposta riduzione». 
    In continuita' con la censura appena illustrata, il giudice a quo
prospetta la violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  per  il
tramite dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU quale  norma
interposta, «stante la lesione con effetto  retroattivo  di  un  bene
acquisito in presenza di un affidamento legittimamente ingenerato  da
budget attribuiti e relativi contratti stipulati». 
    La norma in questione contrasterebbe anche con l'art.  41  Cost.,
in quanto, impedendo la remunerazione di  prestazioni  gia'  erogate,
lederebbe la liberta' di iniziativa economica privata. 
    Contrasterebbe, infine, con l'art. 32 Cost., perche' le riduzioni
delle   previsioni   di   spesa,   giustificate   solo   da   ragioni
economico-finanziarie  e  aggiuntive  rispetto  ad  analoghe  misure,
adottate in precedenza, potrebbero determinare una compromissione del
diritto alla salute. 
    La rilevanza delle questioni sembra,  ad  avviso  del  TAR,  «del
tutto evidente» in tutti i giudizi a quibus, in quanto esse investono
la disciplina  normativa  in  applicazione  della  quale  sono  stati
adottati i contestati decreti del Commissario ad acta. 
    3.- Si sono costituite  nei  giudizi  di  costituzionalita'  -  a
eccezione di quelli promossi con le ordinanze iscritte al n. 215  del
registro ordinanze 2014 e ai nn. 26 e 28 del registro ordinanze  2015
- le parti ricorrenti  nei  giudizi  principali,  che  hanno  chiesto
l'accoglimento delle  questioni  sollevate  dal  TAR  nei  rispettivi
processi. 
    Gli atti di costituzione della  San  Raffaele  spa  e  della  San
Raffaele Roma srl (quale gestore  dell'IRCCS  San  Raffaele  Pisana),
dell'Associazione Italiana Ospedalita' Privata per la Regione Lazio e
altri e dell'Istituto di Ricovero  e  Cura  a  carattere  scientifico
Fondazione Santa Lucia hanno analogo contenuto. In essi si sottolinea
la natura  puntuale  della  norma  censurata,  la'  dove  impone  una
riduzione in misura  percentuale  fissa  delle  previsioni  di  spesa
risultanti dai singoli contratti e accordi  stipulati  dalle  regioni
con le case di cura. Si evidenzia, poi, che la norma  inciderebbe  in
modo  retroattivo  sui  rapporti  contrattuali  in  corso  nel  2012,
precludendo ogni possibilita' di  riprogrammare  l'attivita'  per  il
brevissimo periodo residuo dell'anno e  cosi'  ledendo  l'affidamento
legittimamente sorto in capo ai contraenti a erogare le prestazioni e
ricevere il compenso fissato  al  momento  della  sottoscrizione  del
contratto. 
    La norma contrasterebbe anche con  l'art.  41  Cost.,  in  quanto
nemmeno un atto legislativo potrebbe  negare  a  un  imprenditore  la
remunerazione di prestazioni sanitarie gia' eseguite  sulla  base  di
contratti stipulati con il Servizio  sanitario  nazionale,  finendosi
altrimenti con l'addossare a carico delle strutture private una quota
delle spese per l'assistenza sanitaria. 
    Nei loro atti di costituzione, aventi tutti analogo contenuto, la
Casa di cura privata S. Anna srl, l'Ospedale Israelitico  -  Ospedale
Provinciale  Specializzato  Geriatrico,  l'Istituto  Figlie  di   San
Camillo - Ospedale Madre  Giuseppina  Vannini,  l'ARIS,  Associazione
religiosa istituti socio sanitari -  Regione  Lazio  e  la  Provincia
religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San  Giovanni  di  Dio
Fatebenefratelli - Ospedale Villa San Pietro lamentano la  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost. Secondo gli intervenienti la  norma
in  questione  integrerebbe  una  legge  provvedimento  a   contenuto
dettagliato, destinata a produrre i suoi effetti su specifici aspetti
del  sistema  sanitario  regionale.  Richiamando  la   giurisprudenza
costituzionale sul rapporto tra  normativa  statale  di  principio  e
normativa statale di dettaglio nelle materie concorrenti, essi negano
che la riduzione lineare disposta dall'art. 15,  comma  14,  stia  in
rapporto di coessenzialita' e  di  necessaria  integrazione  rispetto
all'obiettivo del contenimento della spesa relativa  all'acquisto  di
prestazioni da  soggetti  privati.  Il  legislatore  statale  avrebbe
sostituito «con una legge provvedimento l'esercizio di  una  funzione
amministrativa regionale [...] finalizzata espressamente ad  allocare
in maniera efficiente - attraverso una comparazione tra  le  qualita'
dei  diversi  soggetti  erogatori  -  la  spesa  per  l'acquisto   di
prestazioni da parte di soggetti privati». La riduzione lineare della
spesa dei  soggetti  erogatori,  disposta  dall'art.  15,  comma  14,
sarebbe quindi irragionevole, perche' in contrasto con quanto dispone
l'art. 8-quinquies, comma 2,  del  decreto  legislativo  30  dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421),  che  prevede  una
valutazione comparativa  della  qualita'  e  dei  costi  prima  della
stipulazione dei contratti con le strutture accreditate. Risulterebbe
cosi' confermato che la norma non e' «coessenziale  al  principio  di
competenza nazionale del contenimento della spesa». 
    L'incidenza retroattiva su un  rapporto  contrattuale  di  durata
renderebbe manifesta, ad  avviso  delle  parti  private,  la  lesione
dell'affidamento  nella  stabilita'  di  una   situazione   giuridica
acquisita, e quindi il contrasto con l'art. 3 Cost.,  in  assenza  di
una causa normativa adeguata. Il legislatore  avrebbe  infatti  anche
omesso di operare un  bilanciamento  tra  le  esigenze  contrapposte,
riducendo, se non eliminando per il periodo dell'anno gia' trascorso,
la diminuzione di spesa per il  2012,  e  aumentando  le  percentuali
previste per gli anni successivi. 
    Un ulteriore profilo di irragionevolezza sarebbe ravvisabile  nel
fatto che la norma, determinando  in  concreto  una  riduzione  della
spesa per il 2012 pari al 6,85  per  cento,  avrebbe  eliminato  ogni
margine residuo di utile per le strutture private accreditate,  cosi'
violando l'art. 41 Cost. 
    Il contrasto con l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla  CEDU,  deriverebbe  dalla
qualificazione  del  diritto  di  credito  maturato  dalle  strutture
accreditate come «bene» tutelato da tale disposizione  convenzionale,
nonche' dalla mancanza di una «base legale interna» idonea a  operare
il giusto equilibrio tra le esigenze  di  interesse  generale  e  gli
imperativi di salvaguardia dei diritti  fondamentali  dell'individuo,
sicche' anche per questa  via  l'efficacia  retroattiva  della  norma
dovrebbe ritenersi lesiva del legittimo affidamento. 
    Infine, le parti private prospettano sotto un diverso profilo  la
violazione degli artt. 3, 41 e 97, in relazione all'art. 32 Cost.  La
norma discriminerebbe gli operatori sanitari privati a  discapito  di
quelli pubblici, benche' si tratti di soggetti assimilabili dal punto
di vista della definizione delle previsioni di spesa per l'erogazione
delle prestazioni, senza alcuna valutazione circa il miglior modo per
garantire l'efficienza della spesa residua, al netto delle  riduzioni
disposte. Ne conseguirebbe il sacrificio del diritto alla salute. 
    L'interveniente Poligest spa sviluppa gli argomenti  offerti  dal
TAR a sostegno  delle  censure  di  violazione  dell'art.  41  Cost.,
osservando che la norma «e' andata ad  incidere  sui  contratti  gia'
sottoscritti, a prestazioni gia' irrogate in forza di una  precedente
e piu' favorevole determinazione del tetto di spesa  da  parte  delle
regioni, quando il budget annuale del 2012 era gia' stato raggiunto».
Ne risulterebbe cosi' lesa la liberta'  imprenditoriale,  costituendo
la determinazione  preventiva  della  previsione  di  spesa  elemento
fondamentale della programmazione economica della casa di cura. 
    Aggiunge che l'affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici
e' gravemente leso allorche' l'intervento  legislativo  incida  sulle
condizioni  essenziali  del  contratto   e   non   potrebbe   trovare
giustificazione, secondo la  giurisprudenza  costituzionale,  in  una
«generalizzata» esigenza di contenimento della finanza pubblica (cita
la sentenza n. 94 del 2009). 
    Quanto alla violazione dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  la
parte  privata  nega  la  natura   di   principio   fondamentale   di
«coordinamento della finanza pubblica» della  norma  censurata.  Essa
non lascia alcun  margine  di  discrezionalita'  alla  regione  nella
riduzione in misura fissa dell'importo e prevede una misura  puntuale
e esaustiva. L'offerta «minimale» dei servizi sanitari, inoltre,  non
potrebbe essere unilateralmente  imposta  dallo  Stato,  ma  dovrebbe
essere  concordata  per  taluni  aspetti  con  le  regioni,  formando
«oggetto di concertazione». 
    Quanto alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost., lamenta che  non
vi sarebbe stato un  ragionevole  bilanciamento  tra  la  tutela  del
diritto alla salute  e  la  limitatezza  delle  risorse  della  spesa
sanitaria.  La  norme  in  esame  non  supererebbe   il   vaglio   di
ragionevolezza  e  non  arbitrarieta',  poiche'  le  misure  da  essa
disposte si aggiungerebbero retroattivamente ad altre gia' in  essere
e contrasterebbero con i principi stabiliti dalla sentenza n. 309 del
1999, secondo la quale le esigenze della finanza pubblica non possono
assumere,  nel  bilanciamento,  un  peso  talmente  preponderante  da
comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute. La misura,
inoltre,  pregiudicherebbe  la  funzionalita'  e  l'efficienza  delle
strutture  private  essenziali  nell'ambito  del  Servizio  sanitario
nazionale, cosi' violando l'art. 32 Cost. 
    Analogo contenuto  presentano  gli  atti  di  costituzione  delle
intervenienti Casa di cura Citta' di  Roma  spa,  Aurelia  80  spa  e
European Hospital spa. Vi si lamenta che il decreto  del  Commissario
ad acta  e'  intervenuto  quando  le  prestazioni  erano  gia'  state
erogate,  negandone  il  pagamento,  e  che  la  riduzione  e'  stata
determinata in misura fissa per tutte le strutture, mentre  la  norma
si riferirebbe ai  singoli  contratti  o  alle  singole  convenzioni.
Inoltre i dati messi a confronto nel decreto impugnato non  sarebbero
omogenei. 
    Con riferimento  alla  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., si sostiene che l'art. 15, comma 14, del d.l. n. 95  del  2012
e' una norma di dettaglio, produttiva degli  effetti  di  una  «legge
provvedimento». 
    Con riferimento alla violazione degli artt.  3  e  97  Cost.,  la
norma avrebbe carattere retroattivo, incidendo su diritti acquisiti e
modificando la disciplina dei contratti in  corso,  e  determinerebbe
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento   fra   le   strutture
interessate dal provvedimento, penalizzando  quelle  che  -  come  le
strutture gestite dalle intervenute - conseguono volumi di produzione
piu' elevati ed esauriscono o superano i  livelli  massimi  di  spesa
gia' assegnati. 
    Quanto alla violazione dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  le
parti richiamano quale norma interposta anche l'art. 6 del Protocollo
addizionale  alla  CEDU  (recte:  art.  6   della   CEDU).   Inoltre,
prospettano il  contrasto  con  l'art.  11  Cost.,  in  relazione  ai
principi comunitari di cui agli artt. 49, 56, 63 e  10  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma  il
25 marzo 1957. 
    Infine, con riferimento agli artt. 41 e 32 Cost., deducono che la
norma realizzerebbe l'esproprio dei loro crediti, mediante una  sorta
di prelievo forzoso sproporzionato e irragionevole, e ribadiscono che
essa priva  le  strutture  accreditate  delle  risorse  necessarie  a
garantire i livelli essenziali di assistenza. 
    Le intervenienti Casa di Cura Marco Polo  srl,  Casa  Generalizia
dell'Ordine ospedaliero di San Giovanni  di  Dio  Fatebenefratelli  -
Ospedale San Giovanni Calibita e La Panoramica srl,  nel  costituirsi
in giudizio, hanno chiesto l'accoglimento delle  questioni  sollevate
dal  rimettente,  senza  esporre  argomenti  a  sostegno  delle  loro
conclusioni. 
    4.- Nei giudizi di costituzionalita' promossi  con  le  ordinanze
iscritte ai nn. 160, 161 e 162 del  registro  ordinanze  2014  si  e'
costituita anche la Regione Lazio (parte  resistente  nei  rispettivi
giudizi a quibus), con atti depositati il 28 ottobre 2014 di  analogo
tenore. 
    In via preliminare, la Regione eccepisce l'inammissibilita' delle
questioni per carenza assoluta di motivazione della rilevanza. A  suo
avviso, il giudice a quo avrebbe dovuto dimostrare l'infondatezza dei
motivi  di  impugnazione  con  i  quali  i  ricorrenti  nei  processi
principali hanno lamentato i vizi di violazione di legge e di eccesso
di potere dei provvedimenti impugnati, giacche', qualora tali censure
fossero  fondate,  il  TAR  dovrebbe  accogliere  le  domande,  senza
necessita' di sollevare le questioni di legittimita' costituzionale. 
    Altro profilo di inammissibilita' deriverebbe  dalla  lacunosa  e
insufficiente individuazione dell'oggetto delle questioni, in  quanto
il rimettente non avrebbe indicato quali, tra le plurime disposizioni
contenute nell'art. 15, comma 14 - diverse per ambito  di  efficacia,
validita' nel tempo, strumenti  amministrativi  predisposti  -  siano
investite dai dubbi di legittimita' sollevati. 
    L'inadeguata   identificazione   dell'oggetto   delle   questioni
determinerebbe,   altresi',   l'inammissibilita'   per   difetto   di
motivazione,  sia  della   rilevanza,   che   della   non   manifesta
infondatezza, non avendo il  giudice  a  quo  motivato  «partitamente
circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di legittimita'  di  ogni
singola norma risultante dal vasto complesso di disposizioni  di  cui
al comma in oggetto». 
    Infine,  le  questioni   sarebbero   inammissibili   per   omesso
esperimento  del  tentativo  di  interpretazione   costituzionalmente
orientata. 
    Nel merito, la Regione sostiene la possibilita'  di  interpretare
l'art. 15, comma 14, in senso conforme a Costituzione, sulla scia  di
quanto fatto dalla Corte costituzionale con le sentenze  n.  182  del
2011 e n. 139 del 2012, in relazione all'art. 6 del decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122. Dunque, l'art. 15,  comma  14,  garantirebbe  alle  regioni  «un
adeguato margine di  apprezzamento  quanto  al  governo  della  spesa
sanitaria, ben potendo esse articolare, per ciascun anno finanziario,
le opportune poste di bilancio, fermo restando il  "taglio"  disposto
dal legislatore statale». La Regione, poi, rileva  che  la  norma  in
questione ricadrebbe nell'ambito  del  «coordinamento  della  finanza
pubblica» prima ancora che in quello della «tutela della salute».  La
sua legittimita' risulterebbe anche «dalla  limitazione  temporale  e
dalla eccezionalita' delle restrizioni previste». 
    5.- Nei giudizi di costituzionalita'  -  a  eccezione  di  quelli
promossi con le ordinanze iscritte  ai  nn.  27  e  28  del  registro
ordinanze 2015 - e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, rappresentato e difeso l'Avvocatura generale  dello  Stato,
con atti di analogo tenore depositati il 28 ottobre 2014. 
    In   primo   luogo,   la    difesa    dello    Stato    eccepisce
l'inammissibilita'  della  questione  fondata  sull'art.  117,  terzo
comma, Cost. I giudizi a quibus hanno ad oggetto  atti  adottati  dal
Presidente della Regione in qualita' di Commissario ad acta, per  cui
non sarebbe «rilevante la  questione  della  lesione  di  prerogative
regionali  (...),  vertendosi  in  un  contenzioso  in  cui   vengono
impugnati provvedimenti riferibili sostanzialmente allo Stato». 
    Quanto al merito, l'Avvocatura generale osserva che, in base alla
giurisprudenza costituzionale, l'autonomia regionale  in  materia  di
tutela  della  salute  potrebbe  essere  limitata  per  esigenze   di
contenimento della spesa. La norma  censurata  sarebbe  legittima  in
quanto emanata per garantire  «l'efficienza  nell'uso  delle  risorse
destinate al settore  sanitario  e  l'appropriatezza  nell'erogazione
delle prestazioni sanitarie». 
    Inoltre, l'art. 15, comma 14, lascerebbe alle regioni «un margine
di autonomia e di manovra», riservando loro «il potere  di  stabilire
quali sono  le  prestazioni  sanitarie  di  assistenza  specialistica
ambulatoriale  ed  assistenza  ospedaliera  sulle   quali   incidere,
riducendole».  Le  regioni  potrebbero  dunque  prevedere  «riduzioni
maggiori  o  minori  in  relazione  a  particolari  prestazioni  o  a
determinate strutture o in base alle peculiarita' dei propri  servizi
sanitari». 
    Con riferimento alle questioni fondate sugli artt. 3 e 97  Cost.,
l'intervenuto contesta che la norma abbia efficacia  retroattiva,  in
quanto essa e' inserita in un provvedimento che, nella  sua  versione
definitiva a seguito della conversione in legge del d.l.  n.  95  del
2012, risale al mese di agosto del 2012. Cio' avrebbe reso  possibile
per le strutture  accreditate  la  «rimodulazione  dei  volumi  delle
prestazioni per la restante  parte  del  2012»,  sicche'  sarebbe  da
escludere la lesione dell'affidamento e dei crediti gia' maturati. 
    L'intervenuto  eccepisce,  altresi',   l'inammissibilita'   delle
questioni fondate sugli artt. 32, 41 e 97 Cost.,  in  quanto  non  si
comprenderebbe «quali siano esattamente  i  parametri  e  i  precetti
costituzionali (tra quelli richiamabili dai richiamati articoli della
Carta costituzionale) oggetto di violazione,  ne'  quale  sia  l'iter
motivazionale che induca a ritenere che l'art. 15, comma 14, del D.L.
95/2012  vada  interpretato  esclusivamente  nel  senso   della   sua
efficacia retroattiva ovvero della non remunerabilita' di prestazioni
gia' erogate [...]  o  come  possa  seriamente  incidere  sul  nucleo
essenziale del diritto alla salute dei cittadini». 
    Nel merito, sostiene che la  modesta  riduzione  della  spesa  in
misura percentuale fissa non  sarebbe  manifestamente  irragionevole,
considerata l'eccezionalita' del  dissesto  finanziario  nel  settore
sanitario. Inoltre, l'intervento legislativo non sembrerebbe idoneo a
compromettere il diritto alla salute dei cittadini. 
    Infine,  la  difesa  statale  richiama  le   competenze   statali
esclusive nelle materie «ordinamento civile»  e  «livelli  essenziali
delle prestazioni», previste all'art. 117, secondo comma, lettere  l)
ed m), Cost., che legittimerebbero lo Stato a incidere  sui  rapporti
giuridici  sorti  da  contratti  o  accordi  tra  enti  del  Servizio
sanitario nazionale e soggetti privati. 
    6.-  Nell'imminenza   dell'udienza   hanno   depositato   memorie
illustrative, aventi analogo contenuto, la Casa di  cura  privata  S.
Anna srl, l'Ospedale Israelitico - Ospedale Provinciale Specializzato
Geriatrico,  l'Istituto  Figlie  di  San  Camillo  -  Ospedale  Madre
Giuseppina   Vannini,   l'ARIS,   Associazione   religiosa   istituti
socio-sanitari - Regione  Lazio  e  la  Provincia  Religiosa  di  San
Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli  -
Ospedale Villa San Pietro. 
    Le intervenienti contestano la tesi, sostenuta dal Presidente del
Consiglio dei ministri, che nega l'efficacia retroattiva della norma,
in quanto essa  consentirebbe  ai  soggetti  privati  accreditati  di
rimodulare le prestazioni per  la  restante  parte  del  2012,  senza
lesione dell'affidamento  e  dei  crediti  gia'  maturati.  A  questo
proposito, deducono che la riduzione di spesa incide su un assetto di
interessi regolato in rapporto all'intera durata annuale dell'accordo
e vale anche per le strutture private che al momento dell'entrata  in
vigore della disposizione avessero  gia'  superato  il  volume  delle
prestazioni  corrispondente  alla  previsione  di  spesa   del   2011
decurtata dello 0,5 per cento,  cosicche'  le  prestazioni  eccedenti
questo limite non sarebbero remunerate. 
    Inoltre, osservano che la norma prevede un taglio complessivo  in
ragione d'anno e non su base semestrale. Pertanto  la  riduzione  non
puo' che gravare su tutte le  prestazioni  eseguite  nel  2012,  alle
quali la misura sarebbe stata irrazionalmente estesa. 
    Le intervenienti ribadiscono che il taglio in  questione  avrebbe
natura "lineare", non  consentendo  alle  regioni  alcun  margine  di
apprezzamento nella scelta dei soggetti, privati o pubblici ai  quali
applicare le  misure  di  contenimento  della  spesa,  e  negano  che
l'adozione dei provvedimenti da parte del Commissario ad acta,  quale
organo statale, costituisca una circostanza  rilevante  ai  fini  del
giudizio sulla costituzionalita' della norma in questione. 
    Anche la Casa di cura  Marco  Polo  srl  e  la  Casa  generalizia
dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni  di  Dio  Fatebenefratelli  -
Ospedale San Giovanni Calibita hanno depositato memorie  illustrative
nell'imminenza dell'udienza. 
    La  Casa  di  cura  Marco  Polo  srl  contesta  innanzitutto  che
l'autonomia legislativa delle regioni subisca deroghe  per  il  fatto
che i provvedimenti  impugnati  nei  giudizi  a  quibus  siano  stati
emanati dal Commissario ad acta quale organo dello Stato. 
    Nel merito, osserva che la  norma  in  questione,  non  lasciando
margini  di  intervento  alternativo  alle  regioni,  avrebbe  natura
dettagliata, incompatibile con la natura di previsione che  fissa  un
principio fondamentale della materia. 
    Ad avviso dell'interveniente, anche a  volere  ammettere  che  le
regioni possano scegliere le prestazioni da ridurre nei vari settori,
come sostiene  l'Avvocatura  dello  Stato,  la  disposizione  sarebbe
lesiva dell'art.  3  Cost.  per  disparita'  di  trattamento  fra  le
strutture  private.  Esse  sarebbero  infatti  esposte  a  un  potere
discrezionale illimitato delle regioni, in totale assenza di  criteri
per  la  rimodulazione  delle  riduzioni  di  spesa,  successivamente
introdotti dall'art. 1, comma 574, lettere a) e b),  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2016), solo a
decorrere dal 2016. 
    Neppure si potrebbe invocare la competenza esclusiva dello  Stato
in materia di «ordinamento civile» e di «determinazione  dei  livelli
essenziali» di assistenza, dal momento che  in  questo  caso  non  si
tratterebbe della regolazione contrattuale dei rapporti privati, «ne'
l'intervento statale potrebbe investire singoli e  specifici  profili
organizzativi senza ledere l'autonomia legislativa delle Regioni». 
    La norma in questione contrasterebbe, altresi',  con  i  principi
costituzionali  e  convenzionali  sull'efficacia  retroattiva   delle
leggi, modificando retroattivamente i rapporti contrattuali in essere
e incidendo cosi' sul legittimo affidamento delle  strutture  private
nella  sicurezza  giuridica.  Sotto  tale  profilo,   l'interveniente
osserva che le riduzioni  devono  essere  attuate  con  provvedimenti
amministrativi, e che nel 2012  le  strutture  private  hanno  potuto
conoscere l'effettiva decurtazione subita solo a fine anno, quando la
previsione di spesa era gia' completamente esaurita, senza che  fosse
stato previsto un meccanismo di riequilibrio per la perdita dei  loro
diritti di credito. Osserva inoltre che anche i crediti devono essere
qualificati  come  «beni»  ai  sensi  dell'art.  1   del   Protocollo
addizionale  alla  CEDU,  con  la  conseguenza   che   l'applicazione
retroattiva delle riduzioni di spesa a tutti gli accordi vigenti  nel
2012 pregiudicherebbe un bene acquisito in  virtu'  di  un  legittimo
affidamento, senza  trovare  idonea  giustificazione  nelle  esigenze
finanziarie dello Stato. 
    L'incisione retroattiva sui rapporti contrattuali  in  corso  nel
2012, e quindi sui crediti  sorti  dalle  prestazioni  gia'  erogate,
comporterebbe anche la lesione dell'art. 41 Cost. - che il rimettente
avrebbe  adeguatamente  illustrato   -,   in   assenza   di   ragioni
giustificatrici della limitazione dell'iniziativa economica privata. 
    Infine, la norma contrasterebbe con l'art. 32  Cost.,  prevedendo
tagli generalizzati e indifferenziati per tutte le strutture private,
senza distinguere in base al fabbisogno sul territorio e al  tipo  di
prestazioni. Sarebbero  cosi'  penalizzate  le  strutture  che,  come
quella   gestita   dall'interveniente,   erogano    cure    altamente
specialistiche, con rischi di  diminuzione  delle  garanzie  di  cure
adeguate e efficienti ai cittadini, non sufficientemente  soddisfatte
dalle strutture pubbliche, caratterizzate da lunghe liste d'attesa. 
    La Casa generalizia dell'Ordine Ospedaliero di  San  Giovanni  di
Dio Fatebenefratelli - Ospedale  San  Giovanni  Calibita  deduce  che
l'art. 3 Cost. e' violato dall'art. 15, comma 14,  sotto  il  duplice
profilo  della  disparita'  di  trattamento,  incidendo  solo   sulle
strutture sanitarie private  e  non  su  quelle  pubbliche,  e  della
lesione del legittimo affidamento, per avere introdotto una  modifica
in peius degli accordi contrattuali vigenti nel 2012,  con  efficacia
retroattiva. 
    Dall'indicata disparita' di trattamento  conseguirebbe  anche  la
violazione dell'art. 41 Cost.,  per  l'illegittimo  limite  apportato
dalla  riduzione  della  previsione  di  spesa  all'esercizio   della
liberta' di iniziativa economica privata, e dell'art. 32  Cost.,  per
la riduzione dell'offerta sanitaria che la norma comporta. 
    La parte privata sostiene, altresi', che il contrasto con  l'art.
117, terzo  comma,  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'invasione  della
competenza concorrente delle regioni  in  materia  di  «tutela  della
salute» e di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  deriverebbe
dall'impossibilita'  di  qualificare  la  norma  censurata  come   un
principio fondamentale nelle materie indicate, considerata la  durata
non transitoria della misura di contenimento  della  spesa  pubblica,
essendone prevista l'applicazione anche a decorrere dal  2014,  e  la
sua natura dettagliata, che non lascerebbe margini di intervento alle
regioni. 
    La San Raffaele spa, l'Associazione Italiana Ospedalita'  Privata
per la Regione Lazio e altri  e  l'Istituto  di  ricovero  e  cura  a
carattere scientifico Fondazione Santa Lucia hanno depositato memorie
fuori termine. 
    6.1.- Hanno depositato  memorie  illustrative  anche  la  Regione
Lazio e il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    La   prima   insiste   nelle   eccezioni   gia'   formulate    di
inammissibilita' delle questioni per insufficiente individuazione del
loro oggetto, per difetto di motivazione sulla rilevanza e per omesso
esperimento del tentativo di interpretazione conforme. 
    Nel merito, ribadisce che la natura puntuale  della  disposizione
non elimina il margine di manovra  delle  regioni  nella  scelta  dei
singoli settori di intervento  e  contesta  che  la  riduzione  degli
importi e dei volumi di acquisto si debba necessariamente eseguire in
percentuale fissa. Essa potrebbe invece essere modulata dalle singole
regioni.  L'intervenuta  rileva,  altresi',   che   l'entita'   della
riduzione per il 2012 e' oggettivamente modesta e  non  si  riferisce
alle prestazioni gia' erogate, sicche' non  vi  sarebbe  lesione  del
legittimo affidamento dei soggetti accreditati, come avrebbe ritenuto
anche  la  giurisprudenza  amministrativa,  in   linea   con   quella
costituzionale (e' citata TAR  Molise,  sezione  prima,  sentenza  27
giugno 2013, n. 436). 
    Infine, sarebbe da escludere anche  la  violazione  dell'art.  41
Cost., in  quanto  i  privati  interessati  dalla  misura  avevano  a
disposizione un arco di tempo idoneo ad assorbirne gli effetti.  Tali
effetti sarebbero comunque percentualmente molto limitati. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce, a sua  volta,
le eccezioni di inammissibilita' gia'  formulate  e  sottolinea,  nel
merito, che la legittimita' della norma deriva, sotto tutti i profili
evocati, dal corretto bilanciamento degli interessi in gioco eseguito
dal  legislatore,  diretto  ad  assicurare  la  realizzazione   degli
obiettivi di finanza pubblica riservando al contempo alle regioni  il
potere di selezionare le prestazioni sanitarie da ridurre. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  diciotto   ordinanze   di   rimessione   il   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha sottoposto a questa Corte le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 14,  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    1.1.- I giudizi vanno riuniti per essere  definiti  con  un'unica
pronuncia, avendo ad oggetto la medesima disposizione,  censurata  in
riferimento a parametri e per motivi in gran parte coincidenti. 
    1.2.- L'art. 15, comma 14, del d.l. n. 95  del  2012,  nel  testo
vigente all'epoca della  pronuncia  delle  ordinanze  di  rimessione,
cosi' recitava: «A tutti i singoli contratti  e  a  tutti  i  singoli
accordi  vigenti  nell'esercizio   2012,   ai   sensi   dell'articolo
8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502,  per
l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti  privati  accreditati
per  l'assistenza  specialistica  ambulatoriale  e  per  l'assistenza
ospedaliera,  si   applica   una   riduzione   dell'importo   e   dei
corrispondenti  volumi  d'acquisto  in  misura   percentuale   fissa,
determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre
la spesa complessiva annua,  rispetto  alla  spesa  consuntivata  per
l'anno 2011, dello 0,5 per cento per l'anno 2012,  dell'1  per  cento
per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014. Qualora
nell'anno 2011 talune strutture  private  accreditate  siano  rimaste
inoperative a causa di eventi sismici o per effetto di situazioni  di
insolvenza, le indicate percentuali di riduzione della spesa  possono
tenere conto degli atti di  programmazione  regionale  riferiti  alle
predette strutture rimaste inoperative, purche' la regione  assicuri,
adottando misure di contenimento dei costi su altre aree della  spesa
sanitaria,  il  rispetto  dell'obiettivo  finanziario  previsto   dal
presente comma. La misura di  contenimento  della  spesa  di  cui  al
presente comma e' aggiuntiva rispetto alle misure eventualmente  gia'
adottate dalle singole  regioni  e  province  autonome  di  Trento  e
Bolzano e trova applicazione anche in caso di mancata  sottoscrizione
dei contratti e degli accordi, facendo riferimento,  in  tale  ultimo
caso, agli atti di programmazione regionale o delle province autonome
di Trento e Bolzano  della  spesa  sanitaria.  Il  livello  di  spesa
determinatosi per il 2012 a seguito dell'applicazione della misura di
contenimento di cui al presente comma costituisce il livello  su  cui
si applicano le misure che le regioni devono  adottare,  a  decorrere
dal 2013, ai sensi dell'articolo  17,  comma  1,  lettera  a),  terzo
periodo del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». 
    1.3.- Le questioni sono sorte nel corso di  giudizi  promossi  da
soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate dalla Regione
Lazio per prestazioni di  assistenza  specialistica  ambulatoriale  e
ospedaliera, al fine di ottenere l'annullamento del  decreto  n.  349
del 22 novembre 2012. Con tale decreto il  Commissario  ad  acta  per
l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario
della Regione Lazio ha disposto che, in attuazione  del  citato  art.
15, comma 14, le previsioni di spesa per il  2012  delle  prestazioni
ospedaliere sono rideterminate in diminuzione nella misura del 6,8519
per cento. In taluni dei giudizi a quo la richiesta  di  annullamento
e' estesa: al decreto commissariale n. 348 del 22 novembre 2012, che,
in attuazione della stessa disposizione,  ha  disposto  la  riduzione
della  previsione  di  spesa  per  il   2012   per   le   prestazioni
ambulatoriali  nella  misura  dello  0,4245  per  cento;  al  decreto
commissariale n. 100 del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione
di spesa per il 2013 per  le  prestazioni  ospedaliere  operando  una
riduzione dello 0,5 per cento di quello gia' stabilito per  il  2012;
al decreto commissariale n. 183 del  2013,  con  il  quale  e'  stato
approvato lo schema tipo di contratto-accordo per la definizione  dei
rapporti giuridici tra le Aziende sanitarie del Lazio  e  i  soggetti
erogatori di prestazioni sanitarie a carico  del  Servizio  sanitario
nazionale (SSN). 
    1.4.- Il rimettente lamenta innanzitutto la violazione  dell'art.
117, terzo  comma,  della  Costituzione,  richiamando  la  competenza
concorrente dello Stato e delle regioni in materia di sanita'. 
    A suo avviso l'art. 15,  comma  14,  laddove  prevede  un  taglio
generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni  successivi  che
esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi  precedentemente
stipulati con le singole strutture accreditate,  non  puo'  ritenersi
norma che fissa principi fondamentali. La previsione risulta pertanto
in contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost. 
    Il rimettente  lamenta,  altresi',  la  violazione  dei  principi
costituzionali in tema di irretroattivita' della  legge  extrapenale,
evocando (anche se non in tutte le ordinanze) gli artt. 3 e 97 Cost. 
    A suo  avviso  la  norma  censurata  e  i  decreti  commissariali
impugnati - questi ultimi adottati a fine novembre  2012,  quando  il
limite  della  previsione  di  spesa  annuale  sarebbe  stato   ormai
sostanzialmente  raggiunto  -  avrebbero  inciso  negativamente   sul
legittimo affidamento delle singole strutture sanitarie a erogare  le
prestazioni e a ricevere il  corrispettivo  stabilito  nei  contratti
anteriormente stipulati e per la corretta  esecuzione  dei  quali  le
medesime  strutture  sanitarie  avevano  predisposto  le   necessarie
risorse organizzative ed effettuato i relativi investimenti. 
    In continuita' con la censura appena illustrata, il giudice a quo
prospetta la violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  per  il
tramite,  quale  norma  interposta,  dell'art.   1   del   Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, «stante  la  lesione  con  effetto  retroattivo  di  un  bene
acquisito in presenza di un affidamento legittimamente ingenerato  da
budget attribuiti e relativi contratti stipulati». 
    La norma contestata contrasterebbe anche con l'art. 41 Cost.,  in
quanto, impedendo  la  remunerazione  di  prestazioni  gia'  erogate,
lederebbe la liberta' di iniziativa economica privata. 
    Si porrebbe infine in contrasto con l'art. 32 Cost.,  perche'  le
riduzioni delle previsioni di spesa,  giustificate  solo  da  ragioni
economico-finanziarie  e  aggiuntive  rispetto  ad  analoghe   misure
adottate in precedenza,  potrebbero  compromettere  il  diritto  alla
salute. 
    2.-  Al  fine   di   delimitare   l'oggetto   del   giudizio   di
costituzionalita', va esaminata in limine l'ammissibilita' di  alcune
deduzioni  svolte  dalle  parti  private  costituitesi  nel  giudizio
costituzionale, le quali tendono ad ampliare il thema decidendum. 
    La Casa di cura privata S. Anna  srl,  l'Ospedale  Israelitico  -
Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, l'Istituto  Figlie  di
San Camillo - Ospedale Madre Giuseppina Vannini, l'ARIS, Associazione
religiosa istituti socio-sanitari -  Regione  Lazio  e  la  Provincia
Religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San  Giovanni  di  Dio
Fatebenefratelli - Ospedale Villa San Pietro lamentano la  violazione
degli artt. 3, 41 e 97, in relazione  all'art.  32  Cost.,  sotto  un
profilo dichiaratamente diverso da quello prospettato nelle ordinanze
di rimessione. A loro avviso la norma discriminerebbe  gli  operatori
sanitari privati a discapito di  quelli  pubblici,  non  colpiti  dai
tagli,  senza  operare  alcuna  comparazione  diretta   a   garantire
l'efficienza della spesa residua al netto delle  riduzioni  disposte.
Ne risulterebbe sacrificato il diritto alla salute dei cittadini. 
    Analoghe censure, con riferimento agli artt. 3, 41  e  32  Cost.,
sono illustrate dalla Casa generalizia dell'Ordine Ospedaliero di San
Giovanni di Dio Fatebenefratelli -  Ospedale  San  Giovanni  Calibita
nella memoria depositata  nell'imminenza  dell'udienza.  In  essa  si
prospetta anche la violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
sotto il profilo - non prospettato dal giudice  a  quo  -  della  non
transitorieta' della misura di contenimento  della  spesa  sanitaria,
che ne impedirebbe la qualificazione come norma  di  principio  nelle
materie di «tutela della salute» e di  «coordinamento  della  finanza
pubblica». 
    Un'autonoma  violazione  dell'art.  3  Cost.  per  disparita'  di
trattamento fra le strutture private e' sollevata anche dalla Casa di
cura Marco Polo srl. A suo giudizio, se la norma  contestata  dovesse
essere interpretata nel senso di consentire alle regioni di scegliere
quali  specifiche  prestazioni  sanitarie   ridurre,   le   strutture
accreditate sarebbero esposte a  un  eccessivo  potere  discrezionale
delle regioni. 
    La Poligest spa sostiene, tra l'altro, che  l'offerta  «minimale»
dei servizi sanitari  non  potrebbe  essere  unilateralmente  imposta
dallo Stato, come avviene con la norma denunciata, ma dovrebbe essere
concordata per taluni aspetti con le regioni mediante «concertazione»
(sono citate le sentenze n. 203 del 2008, n. 98 del 2007 e n. 168 del
2004). L'interveniente sembra lamentare la violazione  del  principio
di leale collaborazione tra  Stato  e  regioni  nella  determinazione
mediante  procedure  non  legislative  dei  cosiddetti  LEA  (livelli
essenziali di assistenza nel settore sanitario), come si  desume  dai
richiamati precedenti giurisprudenziali.  La  censura  attiene  a  un
profilo non sollevato dal giudice rimettente. Peraltro  essa  sarebbe
inconferente nel caso di specie nel quale  non  si  fa  questione  di
determinazione dei LEA mediante procedure non legislative. 
    La Casa di  cura  Citta'  di  Roma  spa  sostiene  che  la  norma
determinerebbe un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  fra  le
strutture  sanitarie  interessate  dal  provvedimento,   penalizzando
quelle che conseguono volumi di produzione piu'  elevati  e  pertanto
esauriscono - e anzi superano, come la interveniente avrebbe superato
- i livelli massimi di spesa gia' assegnati. Nemmeno  questa  censura
e' prospettata dal rimettente, che ha  denunciato  il  contrasto  con
l'art.   3   Cost.   sotto   il   diverso   profilo   della   lesione
dell'affidamento. 
    A proposito della violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,
la stessa interveniente  invoca  quale  parametro  interposto,  oltre
all'art. 1 gia' indicato dal  TAR,  anche  l'art.  6  del  Protocollo
addizionale alla CEDU, che  riguarda  la  firma  e  la  ratifica  del
trattato internazionale. E'  probabile  che  la  parte  intenda  piu'
correttamente  riferirsi  all'art.  6  della  CEDU,  sia  perche'  la
deduzione  si  affianca  ad  argomenti  difensivi  che  trattano  del
principio  di  irretroattivita',  sia  perche'  a  suo  sostegno   e'
richiamata la giurisprudenza della Corte EDU  formatasi  sull'art.  6
della  Convenzione.  Anche  questa  censura  e'  estranea  a   quelle
sollevate dal giudice a quo. 
    L'interveniente lamenta, infine, la violazione dell'art. 11 Cost.
in  relazione  agli  artt.  10,  49,  56  e  63  del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma  il  25
marzo 1957, da considerare  quali  parametri  interposti.  Stando  al
tenore letterale delle  deduzioni,  sembrano  richiamati  i  principi
comunitari di liberta' di stabilimento e  di  certezza  del  diritto,
ancorche' i  riferimenti  normativi  non  siano  del  tutto  corretti
(l'art.  10  del  TFUE,  ad   esempio,   concerne   il   divieto   di
discriminazione  per  ragioni  di  sesso,  razza,   origine   etnica,
religione, convinzioni personali, disabilita',  eta'  o  orientamento
sessuale,  che  nel  caso  concreto  non  rileva).   Nemmeno   queste
violazioni sono state prospettate dal giudice a quo. 
    Tutte le censure indicate si traducono in questioni non sollevate
dal rimettente e in quanto tali inammissibili. In relazione al  thema
decidendum,  l'oggetto  del  giudizio  di  costituzionalita'  in  via
incidentale e' limitato alle norme  e  ai  parametri  indicati  nelle
ordinanze di rimessione. Secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti  in
queste fissate, ulteriori questioni o  profili  di  costituzionalita'
dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri
dal giudice a quo, sia che siano diretti  ad  ampliare  o  modificare
successivamente il contenuto delle  stesse  ordinanze  (ex  plurimis,
sentenze n. 271 del 2011, n. 236 del 2009, n. 56 del 2009, n. 86  del
2008). 
    3.- L'interveniente Regione Lazio solleva  plurime  eccezioni  di
inammissibilita'  delle  questioni  che  vanno   esaminate   in   via
preliminare. 
    In primo luogo deduce la carenza assoluta  di  motivazione  sulla
rilevanza. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe  dovuto  dimostrare
l'infondatezza dei motivi con  i  quali  i  ricorrenti  nei  processi
principali lamentano i vizi di violazione di legge e  di  eccesso  di
potere,  poiche',  qualora  tali  censure  fossero  fondate,  il  TAR
dovrebbe accogliere le impugnazioni e non vi  sarebbe  necessita'  di
sollevare le questioni di legittimita' costituzionale. 
    L'eccezione e' infondata. 
    E'  vero  che  i  provvedimenti  del  Commissario  ad  acta  sono
impugnati anche per vizi diversi dall'illegittimita' derivata che  li
colpirebbe   nel   caso   di   accoglimento   delle   questioni    di
costituzionalita'.  Alcune  ordinanze  di   rimessione   che   meglio
descrivono le fattispecie concrete  precisano  che  tali  vizi  -  di
violazione di legge e di eccesso di  potere  -  conseguirebbero  alla
scorretta applicazione dell'art. 15, comma 14, in  quanto  i  decreti
commissariali sarebbero stati emanati sulla base di dati incongrui  e
non definitivi e tratterebbero tutte le strutture  accreditate  senza
distinzioni. 
    Secondo il costante orientamento di questa Corte,  tuttavia,  nel
giudizio di costituzionalita'  non  e'  sindacabile  l'ordine  logico
secondo il quale il rimettente reputa, in modo non  implausibile,  di
affrontare le varie questioni o motivi  di  ricorso  portati  al  suo
esame (ex plurimis, sentenze n. 132 del 2015, n. 272 del 2007, n. 409
e n. 226 del 1998). 
    Le questioni di costituzionalita' sollevate rivestono natura ictu
oculi pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto hanno ad oggetto la
norma che, fungendo da presupposto dei provvedimenti impugnati,  deve
essere  necessariamente  applicata  per  decidere  la   controversia.
Occupandosi della  rilevanza,  il  rimettente  sottolinea  come  tale
natura pregiudiziale sia «del tutto evidente» in tutti  i  giudizi  a
quibus, poiche' le questioni investono la norma in applicazione della
quale sono stati adottati i decreti impugnati, e fornisce  cosi'  una
motivazione non implausibile della ritenuta rilevanza, che non impone
ulteriori illustrazioni della scelta operata nell'affrontare  i  vari
motivi di ricorso. 
    Un  altro  profilo  di  inammissibilita'   deriverebbe,   secondo
l'interveniente,  dalla  individuazione  lacunosa   e   insufficiente
dell'oggetto delle questioni.  Il  rimettente  non  avrebbe  indicato
quali, tra le plurime disposizioni contenute nell'art. 15, comma 14 -
diverse per ambito  di  efficacia,  validita'  nel  tempo,  strumenti
amministrativi  predisposti  -   siano   investite   dai   dubbi   di
legittimita' costituzionale sollevati.  L'inadeguata  identificazione
dell'oggetto    delle     questioni     determinerebbe,     altresi',
l'inammissibilita' per difetto di motivazione sia della rilevanza che
della non  manifesta  infondatezza,  non  avendo  il  giudice  a  quo
motivato «partitamente circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di
legittimita' di ogni singola norma risultante dal vasto complesso  di
disposizioni di cui al comma in oggetto». 
    Anche questa eccezione e', nel suo complesso, infondata. 
    L'oggetto del giudizio  costituzionale  deve  essere  individuato
interpretando il dispositivo dell'ordinanza di rimessione con la  sua
motivazione. 
    Nonostante il TAR sollevi le questioni con  generico  riferimento
al comma 14 nella sua  interezza,  senza  distinguere  tra  le  varie
disposizioni in esso contenute, dalla motivazione delle ordinanze  di
rimessione si evince con chiarezza che e' intenzione  del  rimettente
circoscrivere  le  censure  al  solo  primo  periodo,  id  est   alla
disposizione  che  prevede  il  contenimento  della  spesa  sanitaria
mediante la riduzione  degli  importi  e  dei  corrispondenti  volumi
d'acquisto  stabiliti  nei  contratti   e   negli   accordi   vigenti
nell'esercizio 2012  per  l'acquisto  di  prestazioni  sanitarie  dai
soggetti privati accreditati. 
    Infine  le   questioni   sarebbero   inammissibili   per   omesso
esperimento  del  tentativo  di  interpretazione   costituzionalmente
orientata. 
    Per il suo stretto collegamento  con  il  tema  della  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., questa eccezione verra'  esaminata
nel prosieguo. 
    4.- Sempre in via preliminare occorre verificare quale  influenza
esplica nel presente giudizio lo ius  superveniens.  Infatti,  l'art.
15, comma 14, del d.l. n. 95  del  2012  e'  stato  modificato  (dopo
l'adozione di tutte le ordinanze di rimessione)  dall'art.  1,  comma
574,  lettere  a)  e  b),  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2016). 
    Per effetto della lettera a) del comma 574,  «[a]ll'articolo  15,
comma 14, [...] al primo periodo,  le  parole:  "A  tutti  i  singoli
contratti  e  a  tutti  i  singoli  accordi"  sono  sostituite  dalle
seguenti: "Ai contratti e agli accordi"  e  le  parole:  "percentuale
fissa," sono soppresse».  Dunque,  a  differenza  della  disposizione
contenuta alla lettera b) del comma 574 (che, pur aggiungendo diversi
periodi all'interno dell'art. 15, comma 14, non ha intaccato  ne'  il
testo ne' il significato  della  disposizione  oggetto  del  presente
giudizio), le modifiche introdotte  dalla  lettera  a)  hanno  inciso
sulla disposizione censurata dal giudice a quo,  abrogando  due  suoi
incisi. 
    Tale abrogazione non impone la restituzione degli atti al giudice
a quo, essendo essa palesemente ininfluente nei giudizi a quibus, che
hanno ad oggetto atti amministrativi da valutare in base al principio
tempus regit actum (sentenze n. 49, n. 44 e n. 30 del 2016).  D'altro
canto,  la  novella  presenta  un'incidenza   solo   parziale   sulla
disposizione  della  cui  costituzionalita'  si  dubita,  riguardando
frammenti normativi che rilevano esclusivamente ai fini  della  prima
questione sollevata dal giudice a quo (quella fondata sull'art.  117,
terzo comma, Cost.), e, a questi fini,  come  si  vedra'  meglio  nel
prosieguo, non e' comunque idonea a mutare i termini della  questione
cosi' come e' stata posta dal giudice a quo. 
    5.- Venendo  all'esame  della  prima  delle  questioni  proposte,
riguardante la  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  e
segnatamente della competenza concorrente della Regione in materia di
«tutela della salute», occorre  verificare  in  primo  luogo  la  sua
ammissibilita' alla luce dell'argomentazione utilizzata  dal  giudice
rimettente. 
    Come visto, il TAR invoca esclusivamente la competenza  regionale
in materia di «tutela della salute»,  lamentando  in  particolare  il
superamento dei limiti di intervento statale in  questa  materia,  ma
poi argomenta richiamando i limiti del potere statale in  materia  di
«coordinamento della finanza pubblica», materia questa  peraltro  mai
nominata nelle ordinanze di rimessione. 
    L'ambiguita'  -  sotto  questo  profilo  -  delle  ordinanze   di
rimessione non si traduce tuttavia in una ragione di inammissibilita'
delle  questioni.  In  diverse  pronunce,  questa  Corte   ha   fatto
riferimento sia alla materia della «tutela  della  salute»  sia  alla
materia del  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  al  fine  di
collocare "materialmente" norme statali aventi l'obiettivo di ridurre
la spesa sanitaria (sentenze n. 125 del 2015, n. 278 del 2014, n.  91
del 2012, n. 330 del 2011, n. 240 e n. 162 del 2007).  Cio'  conferma
che norme di questo tipo creano un intreccio inscindibile fra le  due
materie, nessuna delle quali puo' ritenersi prevalente. Dunque, da un
lato il  riferimento  operato  dal  giudice  a  quo  alla  competenza
regionale  in  materia  di  «tutela  della  salute»  e'   plausibile,
dall'altro  la  mancata  considerazione  espressa  della   competenza
concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica»  non
determina incertezza sulla portata della  questione,  i  cui  termini
risultano  con  sufficiente  chiarezza  nelle  singole  ordinanze  di
rimessione: il giudice a quo lamenta un'eccessiva  limitazione  della
competenza regionale in materia di «tutela della salute», che e'  si'
comprimibile tramite l'esercizio del potere statale di  coordinamento
finanziario in funzione di riduzione della spesa, ma a condizione che
questa funzione non si esprima in norme dettagliate. 
    5.1.- Sempre  con  riferimento  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale fondata sull'art. 117, terzo comma, Cost., la  Regione
Lazio ne ha eccepito l'inammissibilita' - come  detto  -  per  omesso
esperimento  del  tentativo  di  interpretazione   costituzionalmente
orientata. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Il giudice a quo non ha argomentato per nulla sull'impossibilita'
di un'interpretazione alternativa dell'art. 15, comma 14, del d.l. n.
95  del  2012,  idonea  a  rendere  tale  disposizione   conforme   a
Costituzione. In particolare, ha  omesso  completamente  di  motivare
l'impossibilita' di intendere la previsione nel senso  che  essa  non
costringa le regioni ad applicare la medesima riduzione (dell'importo
e del volume di acquisto) a tutti i contratti e a tutte le  strutture
private accreditate. La possibilita',  invece,  per  le  regioni,  di
modulare le riduzioni e' stata  sostenuta,  non  solo  dalla  Regione
Lazio, ma anche dall'Avvocatura generale dello  Stato  e  non  sembra
esclusa dalla lettera della disposizione. Da un lato, questa  precisa
che la percentuale della riduzione  deve  essere  «determinata  dalla
regione», con cio' affidando alla regione stessa un evidente  margine
di scelta nelle sue determinazioni. Dall'altro,  l'aggettivo  «fissa»
non esclude necessariamente l'interpretazione "adeguatrice",  potendo
esso essere inteso nel senso che la percentuale della riduzione  puo'
variare fra contratto e  contratto,  sebbene  non  nell'ambito  delle
prestazioni oggetto di un singolo  contratto  (tale  vincolo  e'  poi
venuto meno, come visto, con il citato art. 1, comma 574, lettera  a,
della legge n. 208 del 2015). 
    La giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  costante  nel  ritenere
necessario che il giudice a  quo  motivi  sulla  impraticabilita'  di
un'interpretazione adeguatrice, salvo il  caso  in  cui  sussista  un
diritto vivente (sentenze n. 85 del 2016 e n. 262 del 2015, ordinanza
n. 15 del 2016) o il caso in cui l'interpretazione  conforme  risulti
«incompatibile  con  il  disposto  letterale  della  disposizione»  o
«eccentrica e bizzarra» (sentenza  n.  36  del  2016).  Nel  caso  di
specie, il giudice non attesta l'esistenza di un diritto vivente  (in
effetti assente), ne' fornisce altri  elementi  (ad  esempio,  tratti
dalla prassi applicativa della disposizione nelle diverse regioni,  o
dalla giurisprudenza che si e' formata  su  tale  prassi)  idonei  ad
escludere la plausibilita'  di  un'interpretazione  alternativa,  che
invece, per le ragioni esposte, non pare incompatibile con la lettera
dell'art. 15, comma 14. 
    Dunque, la totale assenza di motivazione sulla impossibilita'  di
un'interpretazione     conforme     a     Costituzione      determina
l'inammissibilita'  della  questione  fondata  sull'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    5.2.- L'accoglimento dell'eccezione sollevata dalla Regione Lazio
conduce a dichiarare assorbita l'eccezione  sollevata  -  sempre  con
riferimento alla prima questione - dalla difesa  dello  Stato,  sulla
base della considerazione che i giudizi a  quibus  hanno  ad  oggetto
atti adottati dal Presidente della Regione in qualita' di Commissario
ad acta, cioe' come  organo  statale,  per  cui  la  questione  della
lesione di prerogative regionali non sarebbe rilevante. 
    6.- Il TAR censura l'art. 15, comma 14, del d.l. n. 95  del  2012
anche per violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
lesione del principio di irretroattivita' della legge.  Il  principio
e'  evocato  in  qualche  ordinanza  di  rimessione  senza   espressi
riferimenti a parametri costituzionali. Ad avviso del  rimettente  la
norma censurata sarebbe intervenuta quando i limiti delle  previsioni
di spesa per l'anno 2012 erano stati ormai sostanzialmente  raggiunti
dalle strutture sanitarie accreditate  e  avrebbe  cosi'  inciso  sul
legittimo  affidamento  delle  singole   strutture   a   erogare   le
prestazioni e a ricevere il corrispettivo  concordato  nei  contratti
anteriormente  stipulati.  La  questione  e'   sollevata   anche   in
riferimento  all'art.  97  Cost.,  ma  senza  che   vengano   esposte
specifiche ragioni di contrasto con tale parametro, che  e'  pertanto
da considerare evocato in stretta connessione con l'art. 3 Cost. 
    Il TAR ritiene inoltre che  la  riduzione  degli  importi  e  dei
volumi di acquisto contrattualmente stabiliti violi, altresi', l'art.
117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU, perche' la  norma  contestata  produrrebbe  la
lesione con  effetto  retroattivo  di  un  «bene»  che  le  strutture
sanitarie private avrebbero acquisito  sulla  base  di  un  legittimo
affidamento ingenerato dalle previsioni di spesa ad  esse  attribuite
per il 2012. 
    Il giudice a quo muove dal presupposto, comune a tutte le censure
appena esposte, che l'art.  15,  comma  14,  abbia  prodotto  effetti
retroattivi,  la'  dove  prescrive  una  riduzione  delle  spese  per
l'acquisto  delle   prestazioni   sanitarie   da   soggetti   privati
accreditati anche in relazione ai contratti vigenti nel 2012. 
    Tale presupposto tuttavia non e' condivisibile. 
    La norma si presta infatti a essere interpretata  nel  senso  che
essa incide si' sui  contratti  gia'  stipulati,  ma  con  decorrenza
successiva alla sua entrata in vigore, ovvero con esclusivo  riguardo
alle  prestazioni  sanitarie  non  ancora   eseguite   dai   soggetti
accreditati. Secondo questo significato essa produce effetti solo  ex
nunc (il credito nei confronti del Servizio sanitario nazionale sorge
in capo all'operatore privato solo dopo che la prestazione  sanitaria
e' stata concretamente erogata), anche se con riferimento a contratti
stipulati in precedenza e operanti nel 2012. 
    Nel senso dell'interpretazione proposta  depone  innanzitutto  il
tenore letterale della disposizione, la  quale  parla  di  «riduzione
dell'importo e dei corrispondenti volumi d'acquisto».  La  previsione
della «riduzione» dei volumi di «acquisto»  consente  di  considerare
riferito  l'ambito  di  operativita'  della  riduzione  stessa   alle
prestazioni ancora da erogare, che saranno conseguentemente  ridotte,
e non alle  prestazioni  gia'  erogate,  per  le  quali  soltanto  si
potrebbe parlare propriamente di retroattivita'.  Una  volta  erogata
nei limiti dei tetti di spesa determinati nel contratto, infatti,  la
prestazione fa sorgere l'obbligazione del SSN  di  corrisponderne  il
prezzo concordato. E un intervento retroattivo  sull'obbligazione  e'
escluso dal fatto che la  previsione  parla  appunto  di  «riduzione»
(riferendola  ai  volumi  di  acquisto)  e  non  di  «estinzione»   -
eventualmente parziale - ex lege, come sarebbe stato  necessario,  se
essa avesse inteso incidere anche sulle obbligazioni gia' sorte. 
    In questo stesso contesto  assumono  ancora  rilievo  l'epoca  di
entrata in vigore della norma (6 luglio  2012)  e  l'esiguita'  della
riduzione percentuale disposta  (0,5  per  cento).  Sulla  scorta  di
quanto sostengono i ricorrenti nei processi principali, il rimettente
lamenta che  i  tagli  sarebbero  sopravvenuti  quando  le  strutture
accreditate avevano ormai esaurito o stavano esaurendo le  previsioni
di spesa assegnate nel 2012 e ne trae la conclusione che  l'art.  15,
comma 14, non potrebbe non avere  inciso  con  efficacia  retroattiva
anche  sulla  remunerazione  dovuta  dagli  enti  del  SSN   per   le
prestazioni gia'  eseguite.  Tuttavia,  non  solo  le  ordinanze  non
offrono elementi a sostegno del fatto che cio' sia accaduto,  ma,  se
anche  effettivamente  cosi'   fosse   stato,   l'effetto   paventato
nell'ordinanza di rimessione non sarebbe  da  attribuire  alla  norma
contestata, come visto intervenuta a meta' dell'anno di  riferimento,
e quindi in un momento nel quale la prevista esigua  riduzione  delle
previsioni di spesa (dello  0,5  per  cento)  avrebbe  potuto  essere
facilmente   assorbita   nella   restante   parte   dell'anno.   Solo
successivamente all'entrata in vigore della norma le  amministrazioni
sono vincolate a non remunerare le prestazioni  erogate  dopo  quella
data, in superamento degli importi di spesa rideterminati. 
    In questo primo senso, dunque, le censure riguardanti la  lesione
dell'affidamento   non   sono    fondate,    in    quanto,    secondo
l'interpretazione prospettata, va escluso che la norma incida  -  con
effetti retroattivi in senso proprio - sui  crediti  per  prestazioni
sanitarie gia' erogate al momento della sua entrata in vigore. 
    6.1.- La lesione dell'affidamento e' riferita dal TAR anche  alla
incisione  dell'aspettativa  delle  strutture  sanitarie  a   erogare
effettivamente tutte le prestazioni rientranti  nella  previsione  di
spesa concordata e a  percepire  il  relativo  corrispettivo.  Sempre
presupponendo la retroattivita' dell'art. 15, comma 14, il rimettente
fa leva sull'aspettativa delle singole strutture sanitarie  di  poter
«erogare le prestazioni e [...] ricevere  il  relativo  corrispettivo
stabilito nei contratti  anteriormente  stipulati,  per  la  corretta
esecuzione dei quali le medesime strutture sanitarie hanno  allestito
le  relative  risorse  organizzative  ed   effettuato   i   correlati
investimenti in materiali, personale e attrezzature». La  lesione  si
concreterebbe dunque nella  sopravvenuta  impossibilita'  di  erogare
quanto  convenuto  -  e  percepirne  il  corrispettivo  -  una  volta
raggiunto il minore volume di  acquisto  risultante  dalla  riduzione
imposta dalla previsione. Con riferimento a  questo  secondo  profilo
occorre  dunque  verificare  se  la  norma  contestata  rispetti   il
principio del legittimo affidamento. 
    Gli indici sintomatici della lesione di tale principio  elaborati
da questa Corte e dalla Corte EDU in gran  parte  convergono  e  cio'
consente di esaminare congiuntamente la  lamentata  violazione  degli
artt. 3 e 117, primo comma, Cost. 
    6.2.-  Secondo   la   costante   giurisprudenza   costituzionale,
l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e' un «elemento
fondamentale e indispensabile dello Stato di  diritto»  (sentenze  n.
822  del  1988  e  n.  349  del  1985).  Il  principio  della  tutela
dell'affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale,
sia assolutamente interdetto al legislatore di  emanare  disposizioni
le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina  dei  rapporti  di
durata, e cio' «anche se il loro oggetto sia  costituito  da  diritti
soggettivi  perfetti,  salvo,  qualora  si  tratti  di   disposizioni
retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art.  25,
secondo comma, Cost.)», ma esige tuttavia che  «[d]ette  disposizioni
[...]  al  pari  di  qualsiasi  precetto  legislativo,  non   possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e  arbitrariamente  incidere
sulle situazioni sostanziali, poste in essere  da  leggi  precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica [...]» (sentenza n. 349 del  1985;  in  senso  analogo,  ex
plurimis, sentenze n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del  2009;
n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999). 
    L'esame della norma in contestazione e della sua ratio conduce  a
escludere che il legislatore abbia operato una scelta irragionevole e
arbitraria alla stregua del principio evocato. 
    Le ragioni che hanno giustificato la riduzione  degli  importi  e
dei volumi  d'acquisto  delle  prestazioni  vanno  individuate  nella
finalita', espressamente dichiarata dal legislatore,  di  far  fronte
all'elevato  e  crescente  deficit  della  sanita'  e  alle  esigenze
ineludibili di bilancio e di contenimento della  spesa  pubblica,  da
valutare nello specifico contesto di  necessita'  e  urgenza  indotto
dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il Paese a partire dalla
fine del 2011. Un  contesto  nel  quale  le  misure  di  riequilibrio
dell'offerta sanitaria per esigenze di razionalizzazione della  spesa
pubblica  costituiscono  una  «"causa"   normativa   adeguata»,   che
giustifica la penalizzazione degli operatori privati (sentenze n.  34
del 2015 e n. 92 del 2013). 
    Nello scrutinare la legittimita' costituzionale  di  disposizioni
finalizzate  al  contenimento  della  spesa  pubblica   nel   settore
sanitario, questa Corte ha avuto  piu'  volte  modo  di  ribadire  la
necessita' che la  spesa  sanitaria  sia  resa  compatibile  con  «la
limitatezza  delle  disponibilita'  finanziarie  che  annualmente  e'
possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale  degli
interventi  di  carattere  assistenziale  e   sociale,   al   settore
sanitario» (sentenze  n.  203  del  2008  e  n.  111  del  2005).  In
particolare, ha osservato che «non e'  pensabile  di  poter  spendere
senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni  quale  ne  sia  la
gravita'  e  l'urgenza;  e'  viceversa  la  spesa  a   dover   essere
commisurata  alle  effettive  disponibilita'  finanziarie,  le  quali
condizionano la quantita' ed il livello delle prestazioni  sanitarie,
da  determinarsi  previa  valutazione   delle   priorita'   e   delle
compatibilita' e tenuto ovviamente conto delle fondamentali  esigenze
connesse  alla  tutela  del  diritto  alla  salute,  certamente   non
compromesse con le misure ora in esame» (sentenza n. 356  del  1992).
La giurisprudenza costituzionale ha chiarito,  altresi',  che,  anche
nel regime dell'accreditamento introdotto dall'art. 8, comma  5,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L.  23
ottobre  1992,  n.  421),  il  principio  di  concorrenzialita'   tra
strutture  pubbliche  e  strutture  private  e   di   libera   scelta
dell'assistito «non e' assoluto  e  va  contemperato  con  gli  altri
interessi costituzionalmente protetti, in considerazione  dei  limiti
oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra  in  relazione
alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267  del  1998,  n.
416 del 1996)» (sentenza n. 94 del 2009). 
    Le risorse disponibili per la  copertura  della  spesa  sanitaria
costituiscono  quindi   un   limite   invalicabile   non   solo   per
l'amministrazione  ma  anche  per  gli  operatori  privati,  il   cui
superamento  giustifica  l'adozione  delle   necessarie   misure   di
riequilibrio finanziario (in tale senso Consiglio di Stato,  adunanza
plenaria, sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4). 
    Anche sul versante  della  disciplina  convenzionale,  l'espresso
collegamento operato  dalla  norma  contestata  tra  le  esigenze  di
contenimento della spesa pubblica e l'intervento sugli  importi  e  i
volumi di acquisto dei contratti  sanitari  consente  di  considerare
integrato il requisito del legittimo interesse pubblico, il quale, ai
sensi  dell'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU,   puo'
giustificare  l'ingerenza  da  parte  di  un'autorita'  pubblica  nel
pacifico godimento dei «beni». Piu' precisamente la Corte EDU -  dopo
aver premesso che le  autorita'  nazionali  sono  generalmente  nella
migliore posizione  per  decidere  cosa  sia  di  pubblico  interesse
nell'attuazione degli interventi  di  razionalizzazione  della  spesa
pubblica  -  ha  a  sua  volta  anch'essa  piu'  volte  espressamente
affermato che il  pubblico  interesse  puo'  consistere  anche  nella
necessita'  di  ridurre  la   spesa   pubblica   in   ragione   della
particolarita' della situazione economica (sentenza 19  giugno  2012,
Khoniakina contro Georgia, paragrafo  76;  sentenza  20  marzo  2012,
Panfile contro Romania, paragrafi 11 e 21; sentenza 6 dicembre  2011,
Šulcs contro Latvia, paragrafi 25  e  29;  sentenza  7  giugno  2001,
Leinonen contro Finlandia). 
    6.3.- Sotto  un  altro  profilo,  facendo  riferimento  a  quanto
affermato dalla giurisprudenza costituzionale circa il fatto che  una
mutazione ex lege dei rapporti di durata deve  ritenersi  illegittima
quando incide sugli  stessi  in  modo  «improvviso  e  imprevedibile»
(sentenze n. 64 del 2014 e n. 302 del 2010,  entrambe  relative  alla
incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri  di  determinazione
dei  canoni  concessori  di  beni  demaniali),  va  rilevato  che  la
disposizione censurata non si presta a tale rilievo. 
    Per un verso, infatti, si deve considerare che, nel contesto  del
mercato   "amministrato"    delle    prestazioni    sanitarie,    «la
sopravvenienza dell'atto determinativo  della  spesa  solo  in  epoca
successiva  all'inizio  di  erogazione  del  servizio»  ha  carattere
«fisiologico» (ex plurimis, Consiglio di  Stato,  sezione  terza,  30
gennaio 2013, n. 598; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze
12 aprile 2012, n. 3 e n. 4; Consiglio di Stato,  adunanza  plenaria,
sentenza 2 maggio 2006, n. 8), con  la  conseguenza  che  l'operatore
prudente e accorto non puo' non sapere di essere esposto a correttivi
dei contenuti economici del contratto imposti in corso d'anno. 
    Per altro verso, va sottolineato che, come ricordato, l'art.  15,
comma 14, e' entrato in vigore il 6 luglio 2012, in un momento dunque
nel  quale,  nel  corso  dell'anno  di  riferimento,  era  ancora   a
disposizione degli operatori privati il tempo necessario per porre in
essere tutte le  misure  organizzative  e  strategiche  necessarie  a
evitare o  attenuare,  nell'arco  temporale  dello  stesso  anno,  le
conseguenze negative dell'intervento  legislativo,  mentre  non  puo'
essere  dato   rilievo   in   questa   sede,   nello   scrutinio   di
costituzionalita' della norma contestata dal rimettente, ai tempi dei
provvedimenti amministrativi di attuazione  successivamente  adottati
dalle amministrazioni competenti. 
    6.4.- Da ultimo, questa Corte ha sottolineato che il  legislatore
deve compiere un  «necessario  bilanciamento»  tra  il  perseguimento
dell'interesse pubblico sotteso al mutamento normativo e la tutela da
riconoscere al legittimo affidamento di coloro che  hanno  conseguito
una situazione sostanziale consolidata  sulla  base  della  normativa
previgente (sentenza n. 236  del  2009).  L'intervento  normativo  in
esame proporziona in maniera non irragionevole il peso  imposto  agli
operatori privati  al  fine  che  il  legislatore  intende  con  esso
realizzare. La misura di riduzione che  i  privati  sono  chiamati  a
sopportare non puo' essere ritenuta un onere  individuale  eccessivo,
sia per i tempi con i quali  e'  stata  imposta,  sia  perche',  come
visto,  non  va  intesa   come   riferita   alle   prestazioni   gia'
legittimamente erogate, prima della sua entrata in vigore,  oltre  la
previsione di spesa massima rideterminata ai  sensi  della  norma  in
contestazione,   sia   ancora   perche'   essa   comporta   riduzioni
quantitative alquanto modeste e  calibrate  in  considerazione  delle
aspettative di credito degli operatori sanitari, in  una  percentuale
minore per il periodo piu' ravvicinato e un progressivo  (pur  sempre
ridotto) aumento per i periodi successivi. 
    Per questi stessi motivi si deve ritenere salvaguardato il giusto
equilibrio che, secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU,  deve
sussistere tra le esigenze dell'interesse generale della comunita'  e
l'obbligo di proteggere i  diritti  fondamentali  della  persona  (ex
plurimis, sentenza 13 gennaio 2015, Vekony contro Ungheria, paragrafo
32; sentenza 30 giugno 2005, Jahn e altri contro Germania,  paragrafi
93-95; sentenza 3 luglio 2003, Buffalo  srl  in  liquidazione  contro
Italia, paragrafo 32; sentenza 5 gennaio 2000, Beyeler contro Italia,
paragrafo 114). 
    6.5.-  Alla  luce  delle  considerazioni  fin  qui  esposte,   le
questioni sollevate con riferimento agli artt. 3,  97  e  117,  primo
comma, Cost. sono da ritenere infondate. 
    7.- Ad avviso del TAR, la norma contestata viola l'art. 41 Cost.,
poiche' impedirebbe la  remunerazione  di  prestazioni  gia'  erogate
dalle strutture sanitarie accreditate, ledendo cosi' la  liberta'  di
iniziativa economica privata delle stesse. 
    La questione e' infondata. 
    La censura muove dal presupposto, come visto erroneo, secondo  il
quale le riduzioni di spesa previste dal comma 14 inciderebbero anche
sulle prestazioni sanitarie  gia'  erogate  dalle  strutture  private
accreditate in esecuzione degli accordi  contrattuali  stipulati  con
gli enti del SSN. 
    Inoltre, va escluso che la  previsione  determinerebbe  il  venir
meno di ogni residuo margine di utile con conseguente  compromissione
della liberta' di  iniziativa  economica  privata  -  come  lamentano
alcune  parti  ricorrenti  nel   processo   principale   -,   essendo
indimostrato che il contenuto precettivo della norma produca un  tale
effetto. 
    Va peraltro ricordato che la tutela  costituzionale  della  sfera
dell'autonomia  privata  non  e'  assoluta.   Secondo   la   costante
giurisprudenza costituzionale, non e' configurabile una lesione della
liberta' d'iniziativa economica allorche' l'apposizione di limiti  di
ordine generale al suo esercizio  corrisponda  all'utilita'  sociale,
come sancito dall'art. 41, secondo  comma,  Cost.,  purche',  per  un
verso, l'individuazione di quest'ultima non appaia arbitraria e,  per
altro  verso,  gli  interventi  del  legislatore  non  la  perseguano
mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis,  sentenze  n.  56
del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009). 
    In un caso analogo, relativo a uno  sconto  imposto  ex  lege  ai
produttori di farmaci, questa Corte  ha  ritenuto  che  la  lamentata
compressione   nella    determinazione    del    prezzo    non    sia
costituzionalmente illegittima per lesione dell'art. 41 Cost., quando
si riveli preordinata, in maniera ne' sproporzionata, ne' inidonea, a
consentire  il  soddisfacimento  contestuale  di  una  pluralita'  di
interessi costituzionalmente rilevanti, tra  i  quali  va  annoverato
anche l'obiettivo di contenere la spesa sanitaria  (sentenza  n.  279
del 2006). 
    8.- E' infondata anche la  questione  sollevata  con  riferimento
all'art. 32 Cost. 
    Ad avviso del rimettente, le riduzioni delle previsioni di  spesa
potrebbero compromettere il diritto alla salute  garantito  dall'art.
32  Cost.,  in  quanto  sarebbero  giustificate   solo   da   ragioni
economico-finanziarie  e  si  aggiungerebbero  ad   analoghe   misure
adottate in precedenza. 
    Questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  «la  tutela  del
diritto alla salute non puo' non  subire  i  condizionamenti  che  lo
stesso legislatore incontra nel distribuire  le  risorse  finanziarie
delle quali dispone», con la  precisazione  che  «le  esigenze  della
finanza  pubblica  non  possono  assumere,  nel   bilanciamento   del
legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere  il  nucleo
irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come
ambito inviolabile della dignita' umana» (sentenza n. 309  del  1999;
nello stesso senso, sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1995, n. 304
e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992 e n.  455  del  1990).  In  questi
termini,  «nell'ambito  della  tutela  costituzionale  accordata   al
"diritto alla salute" dall'art. 32 della Costituzione, il  diritto  a
trattamenti sanitari "e' garantito a ogni  persona  come  un  diritto
costituzionale  condizionato  dall'attuazione  che   il   legislatore
ordinario ne da' attraverso il bilanciamento dell'interesse  tutelato
da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente  protetti,
tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore  incontra
nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative
e finanziarie di cui dispone al momento" (v. sent. n. 455  del  1990;
v. anche sentt. nn. 218 del 1994, 247 del 1992, 40 del 1991, 1011 del
1988, 212 del 1983, 175 del 1982)» (sentenza n. 304 del  1994;  nello
stesso senso, sentenza n. 200 del 2005). 
    Come rilevato, le  riduzioni  della  spesa  complessiva  disposte
dalla norma in esame sono relativamente esigue in termini percentuali
e gravano esclusivamente sui contratti o sugli  accordi  vigenti  nel
2012 per l'acquisto di  prestazioni  sanitarie  da  soggetti  privati
accreditati. Nonostante esse si risolvano in una riduzione del volume
annuo complessivo delle prestazioni erogabili da tali  soggetti,  non
vi e' alcuna evidenza che il diritto alla salute  dei  cittadini  sia
inciso dalla norma - considerata  in  se'  o  insieme  a  non  meglio
precisate misure anteriori evocate dal rimettente - al punto tale  da
comprimere  il  suo  nucleo  irriducibile,   ne'   che   l'opera   di
bilanciamento perseguita  dal  legislatore,  al  fine  di  conseguire
l'obiettivo di  risparmio,  abbia  irragionevolmente  commisurato  la
concreta attuazione del diritto alla salute alle risorse esistenti  e
al rispetto dei vincoli di bilancio pubblico. 
    In definitiva, l'affermazione della  possibilita'  che,  a  causa
delle misure in esame, la funzionalita' del SSN sia  compromessa  con
conseguente pregiudizio del diritto  alla  salute  dei  cittadini  si
risolve  «in  un'argomentazione  meramente  ipotetica  che,   appunto
perche' tale, e' inidonea a dare consistenza alla censura»  (sentenza
n. 94 del 2009).