ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  116  del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia - Testo A), promossi dal  Tribunale  ordinario  di
Roma con ordinanze del 20,  23  e  17  aprile  2015,  rispettivamente
iscritte ai nn.  133,  134  e  168  del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nn.  27
e 36, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti l'atto di costituzione  di  R.  R.,  nonche'  gli  atti  di
intervento    dell'Unione    delle    Camere     penali     italiane,
dell'Associazione difensori  d'ufficio  Roma  e  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2016 e nella  camera  di
consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi gli avvocati Beniamino Migliucci per l'Unione delle  Camere
penali  italiane,  Andrea  Florita   per   l'Associazione   difensori
d'ufficio Roma, Francesco Tagliaferri per  R.R.  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanze del 17,  20  e  23  aprile  2015,  il
giudice penale del Tribunale ordinario di Roma ha sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  116  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia - Testo A), per contrasto con gli artt. 3, 97 e  111  della
Costituzione; 
    che  il  rimettente  -  chiamato  a  decidere   sull'istanza   di
liquidazione  del  compenso  professionale  ai  difensori,   nominati
d'ufficio, di soggetti irreperibili  -  osserva  che  la  tutela  del
credito del difensore d'ufficio da parte dello  Stato  determinerebbe
un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto ai  difensori  di
fiducia, che sopportano l'alea dell'irreperibilita' o dell'insolvenza
dei propri assistiti; 
    che tale  disparita'  non  sarebbe  bilanciata  dall'esigenza  di
garantire il diritto di difesa, di cui  all'art.  24  Cost.,  poiche'
esso tutela anche le parti che intendono avvalersi di un difensore di
fiducia e la sua attuazione sarebbe, in  ogni  caso,  assicurata  dal
meccanismo del patrocinio a spese dello Stato, di cui agli artt. 74 e
seguenti del d.P.R. n. 115 del 2002; 
    che,  l'illegittimita'  della  previsione  non  sarebbe   esclusa
dall'obbligatorieta'    dell'assunzione    dell'incarico,     poiche'
l'iscrizione nelle liste dei  difensori  d'ufficio  avviene  su  base
volontaria e la valutazione del rischio di insolvenza non puo' essere
anticipata al momento dell'iscrizione; 
    che l'irragionevole disparita' di trattamento si  determinerebbe,
ad avviso del rimettente, anche rispetto  al  difensore  di  soggetto
ammesso al patrocinio a spese  dello  Stato,  poiche'  la  disciplina
dell'istituto  prevede  oneri  e   responsabilita'   a   carico   del
richiedente,  nonche'  limiti  all'ammissibilita'  del  beneficio   e
meccanismi di controllo e revocabilita', mentre il sistema  delineato
dall'art.  116  subordina  il  pagamento  dell'onorario   alla   mera
irreperibilita' dell'assistito o alla sua insolvenza; 
    che,  evidenzia  ancora  il  rimettente,  la  certezza  di  veder
remunerato il proprio operato potrebbe spingere il difensore a scelte
di  strategia  processuale  (quali  la  proposizione  di  impugnative
palesemente infondate ovvero la scelta del rito ordinario in luogo di
quello   alternativo)   non   funzionali   al    miglior    interesse
dell'assistito, ma tese, invece, a lucrare un  maggior  compenso  per
se', con conseguente aggravio dei  carichi  di  lavoro  degli  uffici
giudiziari e lesione dei principi di buon andamento  e  imparzialita'
della pubblica amministrazione, di  cui  all'art.  97  Cost.,  e  del
principio di ragionevole durata del processo,  di  cui  all'art.  111
Cost., la cui lesione e' stata evocata nei giudizi  iscritti  ai  nn.
133 e 134 del registro ordinanze 2015; 
    che, nel giudizio iscritto al n. 134 del registro ordinanze 2015,
si e' costituito l'avvocato R.R. concludendo per  la  non  fondatezza
della questione, poiche' le fattispecie messe a  confronto  non  sono
comparabili e l'illegittimita' costituzionale della  norma  non  puo'
derivare dall'uso distorto e strumentale  che  di  essa  puo'  essere
fatto in concreto; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto in  tutti
i giudizi, deducendo l'inammissibilita' delle questioni  per  erronea
interpretazione, da parte del rimettente, della  norma  che,  per  il
pagamento del compenso, richiede,  non  la  semplice  irreperibilita'
dell'assistito, ma l'infruttuoso tentativo di  recupero  del  credito
professionale; 
    che la difesa erariale deduce, altresi', la non fondatezza  della
questione, poiche' la  situazione  del  difensore  d'ufficio  non  e'
comparabile con quella del difensore di  fiducia  e  con  quella  del
difensore  di  soggetto  ammesso  a   gratuito   patrocinio,   mentre
l'incidenza  sul  buon  andamento  ed   efficienza   della   pubblica
amministrazione   e   sulla   ragionevole   durata    del    processo
deriverebbero, in via ipotetica, dall'uso distorto della norma e  non
dalla disciplina da essa dettata; 
    che nei giudizi iscritti ai nn. 133 e 134 del registro  ordinanze
2015 e' intervenuta l'Associazione dei  difensori  d'ufficio  che  ha
asserito di avere un  interesse  qualificato,  inerente  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio, avendo, tra i propri fini statutari,
quello di promuovere iniziative  per  garantire  l'equa  e  sollecita
retribuzione del difensore d'ufficio, e ha chiesto la declaratoria di
inammissibilita' ovvero di non fondatezza delle questioni; 
    che nel giudizio iscritto al n. 133 del registro  ordinanze  2015
e'  intervenuta  l'Unione  delle  Camere  penali  italiane,  che   ha
rappresentato il proprio interesse al giudizio in considerazione  del
ruolo  ad  essa  attribuito  dall'art.   29,   comma   1-bis,   delle
disposizioni di attuazione del  codice  di  procedura  penale,  nella
formazione e valutazione dell'idoneita' degli avvocati che  intendono
esercitare la difesa d'ufficio, e ha chiesto la declaratoria  di  non
fondatezza della questione. 
    Considerato che il giudice penale del Tribunale ordinario di Roma
dubita della legittimita' costituzionale dell'art.  116  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia - Testo A), nella parte in cui prevede  la  garanzia  dello
Stato per il pagamento delle  spese  e  degli  onorari  spettanti  al
difensore d'ufficio, che non e' stato in grado di reperire il proprio
assistito, perche' determinerebbe  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento con il difensore di fiducia  e  con  quello  di  soggetto
ammesso al beneficio del gratuito patrocinio  e  potrebbe  indurre  a
scelte di strategia processuale lesive dei principi di buon andamento
ed imparzialita' della  pubblica  amministrazione  e  di  ragionevole
durata del processo; 
    che, in considerazione dell'identita' della  norma  denunciata  e
della parziale identita' delle censure, i giudizi vanno  riuniti  per
essere trattati congiuntamente e decisi con un'unica pronuncia; 
    che, in via preliminare, deve essere confermata l'ordinanza letta
nel corso dell'udienza pubblica e qui  allegata,  che  ha  dichiarato
inammissibile l'intervento dell'Associazione dei difensori  d'ufficio
e dell'Unione delle Camere penali italiane; 
    che la questione e' manifestamente infondata; 
    che la lesione dell'art. 3 della Costituzione per  ingiustificata
disparita' di trattamento  non  sussiste  quando,  in  considerazione
della diversita' delle fattispecie  poste  a  confronto,  la  diversa
disciplina  delle   situazioni   si   giustifichi   in   termini   di
ragionevolezza (ex multis, sentenza n. 146 del 2016); 
    che, con riferimento al confronto con il difensore di fiducia, la
convenzione in ordine alla corresponsione degli  onorari  integra  il
rapporto di  mandato  libero  professionale  che  lega  il  difensore
all'assistito, esponendo sul piano privatistico il legale  a  rischio
di inadempimento da parte del proprio cliente, situazione questa  che
non e' in alcun modo comparabile  al  mandato  difensivo  del  legale
nominato d'ufficio, che e'  chiamato  ad  una  prestazione  ex  lege,
imposta dallo Stato per l'attuazione del diritto  di  difesa  di  cui
all'art. 24 Cost. e non rinunciabile; 
    che  la  diversita'  delle  situazioni  non   e'   incisa   dalla
volontarieta' dell'iscrizione nelle liste  dei  difensori  d'ufficio,
poiche' essa non riguarda  l'assunzione  di  uno  specifico  incarico
defensionale, rispetto  alla  cui  accettazione  il  legale  nominato
d'ufficio non ha alcuna disponibilita', non potendo rifiutare; 
    che, quanto alla disciplina del patrocinio a spese  dello  Stato,
essa rinviene il suo presupposto nella non abbienza del  beneficiario
e l'onere di pagamento e' posto definitivamente a carico dell'erario,
mentre la liquidazione della difesa di ufficio, il cui presupposto si
rinviene  nella  irreperibilita'  ovvero  insolvenza  dell'assistito,
costituisce  una  mera  anticipazione,  che  lo  Stato  e'  tenuto  a
recuperare (ordinanze n. 160 del 2006, n. 328 e n. 266 del 2003); 
    che il rischio di scelte difensive inutilmente onerose e comunque
sanzionabili  disciplinarmente  non  e'   direttamene   riconducibile
all'applicazione della norma,  ma  costituisce  un  inconveniente  di
fatto, non implicante un profilo di costituzionalita' ai sensi  degli
artt. 97 e 111 Cost. (in tal senso, sentenza n. 157 del 2014); 
    che, inoltre, il riferimento all'art. 97 Cost.  risulta  estraneo
alla concreta fattispecie denunciata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi dinanzi  alla
Corte costituzionale.