ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 2 luglio 2015 (doc. IV-bis, n. 2-A), promosso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Milano, con ricorso depositato in cancelleria il 18 marzo 2016 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di ammissibilita'. Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Franco Modugno. Ritenuto che, con ricorso depositato il 18 marzo 2016, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Milano ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato con riferimento alla deliberazione del Senato della Repubblica del 2 luglio 2015 (doc. IV-bis, n. 2-A), con la quale quest'ultimo ha dichiarato la propria incompetenza, «data la non ministerialita' dei reati» contestati, riguardo alla «domanda di autorizzazione a procedere in giudizio ai sensi dell'art. 96 della Costituzione, presentata nei confronti del senatore Giulio Tremonti, nella sua qualita' di Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, [...] per i reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 del codice penale (corruzione per atti contrari ai doveri dell'ufficio)»; che il Giudice per le indagini preliminari chiede alla Corte costituzionale di: a) dichiarare che «non spettava al Senato della Repubblica attribuire una qualificazione giuridica dei fatti ascritti a Tremonti Giulio diversa da quella prospettata dal Tribunale dei Ministri al quale andava rimessa in via esclusiva»; b) affermare, «in subordine», che «non spettava al Senato della Repubblica attribuire una qualificazione giuridica dei fatti ascritti a Tremonti Giulio diversa da quella prospettata dal Tribunale dei Ministri, senza sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale»; c) «per l'effetto, previo annullamento dell'atto in contestazione, [...] ritrasmettere gli atti al Senato della Repubblica per l'esercizio delle prerogative ai sensi dell'art. 96 della Costituzione»; d) o, «in alternativa, [...] stabilire la natura ministeriale o meno del reato in questione ed assumere le decisioni conseguenti»; che il ricorrente premette di essere investito, nell'ambito del predetto procedimento penale, della richiesta di archiviazione depositata dall'Ufficio del pubblico ministero in data 3 marzo 2016, conseguente alla delibera adottata dal Senato della Repubblica in data 2 luglio 2015, con la quale e' stata approvata la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari di «dichiarare l'incompetenza del Senato, ai sensi del comma 4 dell'art. 135-bis del Regolamento, data la non ministerialita' dei reati di cui al documento in titolo, con la conseguente restituzione degli atti all'autorita' giudiziaria» (doc. IV-bis, n. 2-A); che il ricorrente riferisce, altresi', che nella relazione della Giunta si riteneva che il reato oggetto di contestazione «non fosse di natura ministeriale, in quanto, sostanzialmente, per buona parte commesso prima che il Tremonti divenisse Ministro della Repubblica» o, comunque sia, «senza certezze sufficienti sulla circostanza che il patto corruttivo si realizzasse, per cosi' dire, anche solo un attimo dopo che costui avesse formalmente assunto la carica di ministro della Repubblica»; che, a giudizio del Giudice per le indagini preliminari, «soggetto legittimato allo scopo di preservare le proprie attribuzioni costituzionali», la scrutinanda richiesta di archiviazione sollecitata dall'Ufficio del pubblico ministero comporta «la necessita' della proposizione del conflitto», avendo la stessa per oggetto - «come evidente dalla formulazione dell'ipotesi accusatoria» - un reato qualificato e configurato come «ministeriale» sul quale il giudice adito, «pur non possedendo alcuna competenza funzionale, viene comunque chiamato a dichiarare, nel procedimento sottoposto al suo giudizio, la volonta' del potere cui appartiene»; che, in particolare, il Senato della Repubblica avrebbe invaso le attribuzioni del potere giudiziario, quanto alla qualificazione giuridica e alla natura ministeriale o no del reato contestato, non spettando sul punto all'organo parlamentare alcuna valutazione vincolante rispetto all'Autorita' giudiziaria; che, ove il Senato della Repubblica non avesse condiviso la valutazione operata dal Collegio per i reati ministeriali, costituito ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'art. 96 della Costituzione), avrebbe dovuto sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, secondo quanto specificato nelle sentenze n. 88 e 87 del 2012, nonche' n. 29 del 2014; che, sempre a giudizio del ricorrente, la Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari avrebbe ritenuto appartenere alle proprie prerogative il disconoscimento della natura ministeriale del reato ascritto al senatore Tremonti e la conseguente restituzione degli atti all'Autorita' giudiziaria procedente «affinche' il procedimento proseguisse nelle forme ordinarie»; che, in conseguenza, il Senato della Repubblica sarebbe cosi' andato oltre l'ambito del suo legittimo intervento, tale da limitarsi all'apprezzamento delle esimenti ministeriali previste dall'art. 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989; che, come affermato dalla Corte e in linea con l'orientamento della dottrina che si assume prevalente, non spetterebbe alle Camere la facolta' di scrutinare (quantomeno in via esclusiva) la natura ministeriale dei reati, in quanto competenza (quantomeno concorrente) del Tribunale dei Ministri, dovendo esse limitarsi al solo apprezzamento «in termini insindacabili, se congruamente motivati», della sussistenza di condotte significative della tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o del perseguimento di un interesse pubblico preminente; che, secondo il ricorrente, il Senato della Repubblica avrebbe, nella specie, «censurato e rimodulato il merito del provvedimento adottato dal Tribunale dei Ministri, con una valutazione connotata da un effetto di usurpazione o di menomazione sostanziale delle attribuzioni del potere giudiziario e con una decisione che comporta un effetto di menomazione procedurale che vanno entrambe rimosse attraverso la proposizione di un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato». Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte e' chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione; che, preliminarmente, occorre esaminare se sussista il requisito di ordine soggettivo prescritto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953; che il conflitto appare carente sotto il predetto profilo, non possedendo il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Milano, come egli stesso dichiara, «alcuna competenza funzionale» in ordine alla valutazione circa la natura ministeriale del reato; che, infatti, questa Corte ha gia' riconosciuto «che il ramo del Parlamento competente ai sensi dell'art. 96 Cost. possa esprimere una propria valutazione sulla natura del fatto contestato al ministro, purche' essa si collochi all'interno della procedura per reato ministeriale attivata dall'autorita' giudiziaria» (sentenze n. 88 e 87 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 29 del 2014); che, a fronte di una deliberazione parlamentare la quale, come nel caso di specie, attribuisca una qualificazione giuridica dei fatti ascritti al Ministro diversa da quella prospettata dal Collegio per i reati ministeriali, quest'ultimo puo' ben sollevare conflitto di attribuzione dinanzi a questa Corte; che, nondimeno, della diversa valutazione in ordine alla natura del fatto contestato al ministro la Camera competente deve dare comunicazione al Collegio per i reati ministeriali, in ossequio al principio costituzionale di leale collaborazione nonche' in analogia con quanto previsto dall'art. 9, quarto comma, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione) e dall'art. 4, comma 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'art. 90 della Costituzione); che, ad ogni modo, l'assenza di formale comunicazione della deliberazione parlamentare non osta alla proposizione del conflitto da parte del Tribunale dei Ministri competente; che, infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sentenza n. 110 del 1970); che, se un conflitto fra poteri puo' sorgere anche a fronte di un'omissione lesiva di attribuzioni altrui (ex plurimis, sentenza n. 241 del 2009 e sentenza n. 406 del 1989), a maggior ragione puo' essere sollevato quando un atto esista ancorche', come nella specie, non ne sia stata data formale comunicazione all'«organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere» che si assume menomato; che, alla luce di quanto rappresentato, il ricorrente, proprio perche' e' e si e' riconosciuto privo di «competenza funzionale», non puo' che disporre, quindi, la trasmissione degli atti al Collegio per i reati ministeriali, costituito ex art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989, da ritenersi necessaria, ai sensi del precedente art. 6, ogni qual volta «venga ravvisata, quantomeno sotto il profilo del dubbio, l'ipotizzabilita' di un reato ministeriale [...] dal p.m. o, successivamente, dal g.i.p» (Cassazione penale, sezione terza, 6 agosto 1992, n. 2865); che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile, restando assorbito l'esame di ogni altro profilo e requisito.