ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  87,  comma
3, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Palermo,
nel procedimento penale a  carico  di  S.P.,  con  ordinanza  del  15
settembre 2015, iscritta al n.  48  del  registro  ordinanze  2016  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  11,  prima
serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2015 il Tribunale ordinario di
Palermo, in composizione monocratica, ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale,
in forza del quale l'esclusione del responsabile civile «e'  disposta
senza ritardo, anche  di  ufficio,  quando  il  giudice  accoglie  la
richiesta di giudizio abbreviato». 
    Il giudice a quo premette di essere stato chiamato  a  procedere,
con giudizio direttissimo susseguente a convalida  dell'arresto,  nei
confronti di una persona  imputata  del  reato  di  omicidio  colposo
commesso  con  violazione  delle   norme   sulla   disciplina   della
circolazione stradale (art. 589, secondo, terzo e quarto  comma,  del
codice penale), nonche' del reato di cui all'art. 189, commi 1  e  6,
del d.lgs. 30 aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della  strada):
processo nel quale si erano costituiti come parti civili i  congiunti
della vittima. 
    Riferisce, altresi', che in una precedente udienza  il  difensore
dell'imputato aveva chiesto - senza opposizione delle parti civili  -
l'ammissione del suo assistito al giudizio abbreviato e la citazione,
quale  responsabile  civile,  di  una  societa'   di   assicurazioni,
eccependo,  a  questo   riguardo,   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 87, comma 3, cod. proc. pen. 
    Disposto il giudizio abbreviato, il rimettente reputa rilevante e
non manifestamente infondata, quanto alla richiesta di citazione  del
responsabile civile,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
prospettata dalla difesa. 
    In  proposito,  il  giudice  a  quo   osserva   come   la   Corte
costituzionale si sia gia' pronunciata su una precedente questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, cod.  proc.  pen.,
allora sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare  del  Tribunale
ordinario di Sassari. Detto giudice  aveva  rilevato  come  la  norma
censurata risultasse pienamente coerente con l'originaria  fisionomia
del giudizio abbreviato, stante la necessita'  di  «non  appesantire»
con la presenza del responsabile civile un giudizio allo stato  degli
atti  caratterizzato  dalla  massima  celerita'.  Tale  armonia  era,
tuttavia, venuta meno, trasformandosi in contrasto, a  seguito  delle
successive radicali modifiche del rito  alternativo,  soprattutto  ad
opera  della  legge  16  dicembre  1999,  n.  479   (Modifiche   alle
disposizioni sul procedimento davanti al  tribunale  in  composizione
monocratica  e  altre  modifiche  al  codice  di  procedura   penale.
Modifiche   al   codice   penale   e   all'ordinamento   giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della  professione
forense): modifiche a fronte delle quali il giudizio abbreviato,  per
caratteristiche e «impatto statistico», doveva essere considerato «un
vero e proprio giudizio di merito, alternativo a  quello  ordinario».
Di qui, dunque, il dedotto contrasto della norma tanto con  l'art.  3
Cost., sotto il profilo della «disparita'  di  trattamento  riservata
alla parte civile sul piano delle pretese risarcitorie»;  quanto  con
l'art. 24 Cost., per la lesione del  diritto  di  agire  in  giudizio
della stessa parte civile; quanto, ancora, con l'art. 111 Cost.,  per
il vulnus alla ragionevole durata del processo, inteso «come garanzia
non solo per l'imputato, ma per tutte le parti processuali e  per  la
collettivita' in generale». 
    Con l'ordinanza n. 247 del 2008, la  Corte  costituzionale  aveva
ritenuto la questione manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
rilevanza, in quanto sollevata  dopo  che  il  giudice  a  quo  aveva
dichiarato inammissibile la richiesta di citazione  del  responsabile
civile ai sensi dello stesso art.  87,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,
facendo, con cio', definitiva applicazione della  norma  censurata  e
consumando, cosi', il proprio potere decisorio. 
    Il Tribunale palermitano ritiene, tuttavia, di  dover  riproporre
«le censure di costituzionalita'», analogamente a quanto gia'  fatto,
nell'ambito del processo relativo ad una similare ipotesi  di  reato,
dalla Corte d'appello di Milano con ordinanza del 12 maggio 2014. 
    Nella specie, esso giudice rimettente non  avrebbe  consumato  il
proprio potere decisorio, non  avendo  adottato  alcun  provvedimento
sulla richiesta di citazione del responsabile civile formulata  dalla
difesa: richiesta che trova il suo  titolo  di  legittimazione  nella
sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 1998, a seguito  della
quale l'imputato e' abilitato a chiamare in giudizio  l'assicuratore,
nel caso di responsabilita' civile derivante - come  nella  specie  -
dall'assicurazione obbligatoria  prevista  dalla  legge  24  dicembre
1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti). 
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione,  il
giudice a quo ribadisce che la disposizione dell'art.  87,  comma  3,
cod. proc. pen., risultava coerente  con  la  struttura  impressa  al
giudizio abbreviato dal codice di procedura penale del 1988, il quale
accordava all'imputato la facolta' di chiedere, con il  consenso  del
pubblico ministero,  che  il  processo  fosse  definito  nell'udienza
preliminare e stabiliva che su  tale  richiesta  il  giudice  potesse
provvedere favorevolmente ove ritenesse il processo  definibile  allo
stato degli atti. 
    L'istituto e' stato, peraltro, ridisegnato dalla legge n. 479 del
1999, la quale ha eliminato il requisito del  consenso  del  pubblico
ministero,  introducendo,  altresi',  la  facolta'  dell'imputato  di
subordinare la richiesta ad una integrazione  probatoria  (art.  438,
comma 5, cod. proc. pen.) e il potere del giudice di assumere,  anche
d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione (art.  441,
comma 5, cod. proc. pen.). 
    Gli interventi  del  legislatore  e  della  Corte  costituzionale
succedutisi nel tempo  avrebbero  portato,  quindi,  ad  un  giudizio
abbreviato «estremamente diverso e molto piu'  composito»  di  quello
originario, a fronte del quale la rigida  regola  di  esclusione  del
responsabile civile, quante volte il rito  alternativo  sia  ammesso,
non troverebbe  piu'  giustificazione.  Detta  regola  era  ritenuta,
infatti,  espressiva  delle   esigenze   di   celerita'   proprie   e
caratteristiche dell'istituto: ma  se  l'affermazione  poteva  essere
valida in relazione alla disciplina originaria del  codice  di  rito,
non lo sarebbe  piu'  in  confronto  all'attuale  assetto  normativo,
profondamente   modificato   dalle   possibilita'   di   integrazione
probatoria, di rinnovazione della richiesta del rito alternativo sino
alla dichiarazione di apertura del dibattimento  (per  effetto  della
sentenza della Corte costituzionale n. 169  del  2003)  e  di  revoca
della richiesta stessa  da  parte  dell'imputato  in  caso  di  nuove
contestazioni  (art.  441-bis  cod.  proc.  pen.),  oltre  che  dagli
interventi sui limiti dell'appello previsti dall'art. 443 cod.  proc.
pen. 
    Varrebbero,  inoltre,  con  riguardo  alla  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo, le considerazioni svolte dalla  Corte  costituzionale
nella  citata  sentenza  n.  112  del  1998,  riguardo   all'assoluta
identita' delle posizioni del convenuto in un giudizio civile per  il
risarcimento  del  danno  provocato  dalla  circolazione  di  veicoli
sottoposti all'assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 990
del 1969, e dell'imputato per il  quale,  in  relazione  al  medesimo
illecito, vi sia stata costituzione  di  parte  civile  nel  processo
penale: con la conseguenza che violerebbe il principio di uguaglianza
la mancata attribuzione al secondo del potere -  riconosciuto  invece
al primo - di chiamare in garanzia il proprio assicuratore. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o  comunque
infondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, il giudice a quo non potrebbe
sollevare la questione senza avere prima  ammesso  la  citazione  del
responsabile civile e atteso la sua costituzione. 
    L'ordinanza di rimessione  non  indicherebbe,  inoltre,  in  modo
adeguato le specifiche ragioni di contrasto tra la norma censurata  e
i parametri costituzionali invocati, limitandosi ad operare un rinvio
per relationem alle motivazioni dell'ordinanza  di  rimessione  della
Corte d'appello di Milano del 12 maggio 2014. 
    Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. 
    Come  affermato  ancora  di  recente  dalla   giurisprudenza   di
legittimita',   la   presenza   del   responsabile   civile    appare
«ontologicamente  incompatibile»   con   il   rito   abbreviato,   in
considerazione dell'esigenza di «non gravare il giudizio stesso,  che
dovrebbe  essere  caratterizzato  dalla  massima   celerita',   della
presenza, non indispensabile, di soggetti la cui posizione e'  incisa
solo sul piano privatistico dalla decisione penale». 
    Pur considerando le modifiche  strutturali  subite  dal  giudizio
abbreviato dopo l'entrata in vigore del nuovo codice, il mantenimento
del regime di incompatibilita'  tra  tale  rito  e  la  presenza  del
responsabile civile costituirebbe frutto di una scelta  discrezionale
del legislatore, rispettosa tanto del principio di ragionevolezza che
del  diritto  di  difesa  della  parte  civile  e  del  principio  di
ragionevole  durata  del  processo,  tenuto  conto  anche  della  non
operativita' - nei confronti del responsabile civile - della causa di
sospensione del giudizio civile prevista dall'art. 75, comma 3,  cod.
proc. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Palermo dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale,
in forza del quale l'esclusione del responsabile civile «e'  disposta
senza ritardo, anche  di  ufficio,  quando  il  giudice  accoglie  la
richiesta di giudizio abbreviato». 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
3 della Costituzione, determinando una ingiustificata  disparita'  di
trattamento tanto della parte civile  che  dell'imputato,  sul  piano
delle pretese risarcitorie, rispetto al giudizio ordinario. 
    Violerebbe, altresi', l'art. 24 Cost., compromettendo il  diritto
di agire in  giudizio  dei  predetti  soggetti  processuali,  nonche'
l'art. 111 Cost., per  contrasto  con  il  principio  di  ragionevole
durata del processo. 
    2.- Le eccezioni di inammissibilita'  della  questione  formulate
dalla Presidenza del Consiglio dei ministri non sono fondate. 
    Il giudice a quo, dopo aver disposto il giudizio  abbreviato,  si
trova a dover decidere sulla richiesta  dell'imputato  di  citazione,
quale   responsabile   civile,   del   suo   assicuratore   per    la
responsabilita'  civile  automobilistica.  Non  implausibilmente,  il
rimettente ravvisa nella norma denunciata - che  impone  l'automatica
estromissione del responsabile civile dal giudizio  abbreviato  -  un
ostacolo  all'accoglimento  di  detta  richiesta.  Non  e',   dunque,
condivisibile la tesi della difesa dello Stato, secondo la  quale  la
questione avrebbe potuto  essere  sollevata  solo  dopo  l'ammissione
della citazione del responsabile civile  e  la  sua  costituzione  in
giudizio. 
    L'ordinanza di rimessione non puo' neppure ritenersi motivata per
relationem,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza.   La   Corte
rimettente richiama, bensi', una precedente ordinanza  di  rimessione
della Corte d'appello di  Milano  (cosi'  come  altra  ordinanza  del
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Sassari),
ma ne riproduce, per sintesi, i contenuti, dichiarando di aderirvi. 
    3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Come emerge dalla relazione al progetto preliminare del codice di
procedura penale,  l'esclusione  automatica,  «senza  ritardo,  anche
d'ufficio», del responsabile civile, prevista dalla  norma  censurata
quando sia disposto il  giudizio  abbreviato,  trova  giustificazione
«nell'intento di non gravare tale  tipo  di  giudizio,  che  dovrebbe
essere caratterizzato dalla massima celerita',  della  presenza,  non
indispensabile, di soggetti la cui posizione puo' restare incisa solo
sul piano privatistico dalla decisione penale». 
    Contrariamente a quanto assume il  rimettente,  detta  ratio  non
risulta affatto scalfita dalle successive modifiche della  disciplina
del rito alternativo operate dalla legge 16  dicembre  1999,  n.  479
(Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in
composizione monocratica e altre modifiche  al  codice  di  procedura
penale. Modifiche al codice  penale  e  all'ordinamento  giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della  professione
forense): modifiche consistite, in  particolare,  nella  soppressione
del requisito del consenso del pubblico ministero e nella  previsione
di possibili integrazioni del materiale  probatorio  utilizzabile  ai
fini della decisione, tanto su istanza dell'imputato (art. 438, comma
5, cod. proc. pen.), quanto  per  iniziativa  officiosa  del  giudice
(art. 441, comma 5, cod. proc. pen.). 
    Come gia' rilevato  da  questa  Corte,  a  seguito  della  citata
novella legislativa il  rito  abbreviato  continua  a  costituire  un
modello alternativo  al  dibattimento  che,  da  un  lato,  si  fonda
sull'intero materiale raccolto nel corso delle indagini preliminari -
in base  al  quale  l'imputato  accetta  di  essere  giudicato  -  e,
dall'altro, consente una limitata acquisizione di elementi  meramente
integrativi, si' da mantenere la  configurazione  di  rito  "a  prova
contratta" (ordinanza n. 57 del 2005). Di conseguenza, anche se viene
richiesta o disposta una integrazione probatoria, «il minor dispendio
di tempo e di energie processuali rispetto al procedimento  ordinario
continua  [...]  ad  essere  un  carattere  essenziale  del  giudizio
abbreviato» (sentenza n. 115 del 2001).  Solo  in  cio',  del  resto,
risiede la ragione giustificativa dell'effetto  premiale  annesso  al
rito, consistente in una significativa riduzione della pena  inflitta
nel caso di condanna (art. 442, comma 2, cod. proc. pen.). 
    Considerazioni  analoghe  valgono   con   riguardo   agli   altri
interventi sulla  disciplina  del  rito  alternativo  richiamati  dal
giudice a quo e,  in  particolare,  alla  facolta'  dell'imputato  di
rinnovare, nel caso di rigetto, la richiesta di  giudizio  abbreviato
subordinata ad una integrazione probatoria sino alla dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado, introdotta  dalla  sentenza
n. 169 del 2003 di questa Corte: pronuncia nella  quale  si  rimarca,
tra l'altro, come l'introduzione di tale facolta' sia  conforme  alle
finalita' di economia processuale  proprie  del  rito  alternativo  e
coerente, altresi',  con  il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo, enunciato dall'art. 111, secondo comma, Cost. 
    In questa prospettiva, l'esclusione del responsabile  civile  dal
giudizio abbreviato continua, dunque, a connotarsi  come  una  scelta
non irragionevole  -  proprio  perche'  anch'essa  coerente  con  gli
immutati obiettivi di  fondo  del  rito  speciale  -  effettuata  dal
legislatore nell'esercizio dell'ampia discrezionalita' di cui fruisce
nella disciplina degli istituti processuali. 
    4.- Nessun pregiudizio al diritto di azione  della  parte  civile
deriva, d'altronde, dalla soluzione legislativa censurata. 
    Per espresso disposto dell'art. 88, comma  2,  cod.  proc.  pen.,
infatti,  l'esclusione  del  responsabile   civile   non   pregiudica
l'esercizio in sede civile dell'azione risarcitoria. Inoltre, ove  la
parte civile non accetti il  giudizio  abbreviato  -  com'e'  in  sua
facolta' - essa non  subisce  neppure  la  sospensione  del  processo
civile fino alla pronuncia della sentenza penale non piu' soggetta  a
impugnazione, prevista dall'art. 75, comma 3, cod. proc.  pen.  (art.
441, comma 5, cod. proc. pen.). 
    Riguardo, poi, all'imputato, anche quando venga in rilievo  (come
nel caso di specie)  la  disciplina  dell'assicurazione  obbligatoria
della responsabilita' civile prevista dalla legge 24  dicembre  1969,
n.  990  (Assicurazione  obbligatoria  della  responsabilita'  civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e  dei  natanti)  -
ipotesi nella quale questa  Corte  ha  riconosciuto  all'imputato  il
diritto  di  citare  nel   processo   penale   l'assicuratore   quale
responsabile civile (sentenza n. 112 del  1998)  -  e'  dirimente  la
considerazione che l'operativita' della norma  censurata  dipende  da
una libera scelta dell'imputato medesimo, finalizzata  a  lucrare  un
trattamento premiale in cambio della rinuncia a determinate  garanzie
riconosciutegli  nel  procedimento  ordinario  (quale,  appunto,   la
richiesta di giudizio abbreviato). 
    5.-  Parimenti  insussistente  risulta,  infine,   la   ventilata
violazione del principio di ragionevole  durata  del  processo  (art.
111, secondo comma, Cost.). 
    La norma denunciata e' funzionale, anzi,  alla  realizzazione  di
tale obiettivo, in quanto volta a rendere piu' celere la  definizione
del processo  penale  che  si  svolga  con  il  rito  alternativo  in
questione. 
    6.- A quanto  precede  va  aggiunto  che  la  pronuncia  ablativa
invocata  dal  rimettente  darebbe  adito  ad  un  assetto  normativo
inaccettabile  sul  piano  costituzionale,  in   quanto   chiaramente
contrastante con la garanzia di inviolabilita' del diritto di  difesa
(art. 24, secondo comma, Cost.). 
    La rimozione della norma censurata comporterebbe, infatti, che il
responsabile civile possa vedersi coinvolto in un giudizio  basato  -
come l'abbreviato - su prove precostituite, alla cui  formazione  non
ha partecipato: e  cio'  senza  fruire  ne'  della  facolta'  di  non
accettare il rito -  riconosciuta  alla  parte  civile  -  ne'  della
facolta' di chiedere integrazioni probatorie, anche al solo  fine  di
contrastare quelle richieste eventualmente dall'imputato, come invece
e' consentito al  pubblico  ministero  (art.  438,  comma  5,  ultimo
periodo, cod. proc. pen.). 
    7.- La questione va dichiarata, dunque, non fondata.