ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7 (Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nel procedimento vertente tra Cerutti Rosanna e il Comune di Paderno Dugnano e altri, con ordinanza del 5 novembre 2015, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2016. Udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con ordinanza del 5 novembre 2015 (r.o. n. 21 del 2016), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7 (Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione), in riferimento all'art. 136, comma primo, della Costituzione e all'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale); nonche' in riferimento all'art. 117, comma terzo, Cost., in relazione all'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - testo A), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98; e altresi' in riferimento all'art. 97 Cost. 2.- Il Tribunale rimettente ricorda di avere gia' sollevato la stessa questione di legittimita' costituzionale con ordinanza del 20 giugno 2013 (r.o. n. 260 del 2013), della quale riporta integralmente il contenuto. 2.1.- Il Tribunale rammenta di essere stato adito dalla proprietaria di un immobile, sito nel territorio del Comune di Paderno Dugnano, confinante con un'area nella quale il Comune ha autorizzato, con permesso di costruire, un intervento di ristrutturazione mediante demolizione dell'edificio esistente e ricostruzione con sagoma diversa. La ricorrente ha rivolto al Comune istanza di autotutela in relazione al permesso di costruire, invocando la sentenza n. 309 del 2011, successiva al rilascio del provvedimento, con cui questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui escludeva l'applicabilita' del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione; dell'art. 103 della stessa legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplicava l'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, il cui comma 1, lettera d), nel testo allora vigente, stabiliva il principio fondamentale secondo cui rientrano nella definizione di ristrutturazione edilizia solo gli interventi di demolizione e ricostruzione con identita' di volumetria e di sagoma rispetto all'edificio preesistente; nonche', infine, dell'art. 22 della legge della Regione Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative - Collegato ordinamentale 2010), il quale, in via di interpretazione autentica del citato art. 27, comma 1, lettera d), della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, prevedeva che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, la ricostruzione dell'edificio che seguiva a demolizione fosse «da intendersi senza vincolo di sagoma». L'istanza di autotutela e' stata respinta dal Comune in ragione del sopravvenuto art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012, il quale, riferendosi «agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza della Corte Costituzionale del 21 novembre 2011, n. 309», prevede che, «al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonche' le denunce di inizio attivita' esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012». Nel caso, il permesso di costruire era stato rilasciato, e la comunicazione di inizio lavori era stata acquisita al protocollo, prima delle date rispettivamente previste dall'art. 17 citato. La ricorrente ha impugnato il provvedimento negativo del Comune, insieme al permesso di costruire, e ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012, in riferimento all'art. 136 Cost. 2.2.- Nel pronunciarsi sul ricorso, il Tribunale ripercorre l'evoluzione legislativa del vincolo di sagoma nelle ristrutturazioni edilizie, evidenziando come il ricorso potrebbe essere accolto, se non fosse intervenuto l'art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012, che, anche alla luce dell'interpretazione datane dal Comune, «deve intendersi nel senso della volonta' del legislatore regionale di sanare il titolo edilizio rilasciato in spregio alla (o per meglio dire privando di efficacia la) declaratoria di incostituzionalita'» contenuta nella sentenza n. 309 del 2011. 2.3.- Il Tribunale precisa che la rilevanza della questione non e' influenzata dall'inciso, contenuto nella disposizione impugnata, secondo cui i titoli ivi considerati restano validi ed efficaci «fino al momento della dichiarazione di fine lavori»: quale che sia il significato dell'inciso in questione, nella fattispecie oggetto del giudizio principale, al momento dell'emanazione degli atti impugnati, la comunicazione di fine lavori non era ancora intervenuta. Ne' il rigetto dell'istanza di autotutela potrebbe considerarsi atto meramente confermativo del permesso di costruire, divenuto nel frattempo inoppugnabile: in seguito all'istanza della ricorrente, e' stato avviato un nuovo procedimento, nel quale e' stata compiuta una nuova istruttoria e sono stati valutati gli elementi sopravvenuti, quali appunto la sentenza n. 309 del 2011 e l'art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012. 2.4.- Cio' premesso, in merito all'art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012 il Tribunale solleva diverse questioni di costituzionalita': in primo luogo, per contrasto con l'art. 136, comma primo, Cost. e con la legge cost. n. 1 del 1948, giacche' la disposizione legislativa regionale avrebbe inteso limitare gli effetti per il passato della sentenza n. 309 del 2011, escludendo che essa rilevi per i titoli edilizi anteriori alla sua pubblicazione; in secondo luogo, perche' la disposizione impugnata sarebbe affetta dallo stesso vizio accertato dalla sentenza n. 309 del 2011 con riguardo alle disposizioni allora in questione, determinando un contrasto con l'art. 117, comma terzo, Cost., in relazione all'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2011, nel testo allora vigente. 2.5.- In diversi passaggi, il Tribunale - pur ribadendo che l'interpretazione preferibile della disposizione in questione e' quella che attribuisce ad essa effetti sananti dei titoli ivi contemplati - ipotizza anche una lettura alternativa: la disposizione potrebbe essere intesa come se avesse il piu' circoscritto effetto di paralizzare solo il potere amministrativo di autotutela, «formulando una valutazione astratta di prevalenza dell'interesse del privato al mantenimento in essere dell'atto rilasciato su quello pubblico volto al ripristino della legalita' violata». Tale ipotesi e' considerata per sostenere che, quand'anche al rigetto dell'istanza di autotutela si negasse la «valenza di atto sostanziale di conferma di validita' del permesso di costruire rilasciato», per considerarlo invece quale «atto di rifiuto dell'esercizio del potere di autotutela», la questione di legittimita' costituzionale sarebbe comunque rilevante: l'inoppugnabilita' del permesso di costruire, per scadenza del termine di impugnazione, non incideva sulla potesta' di autotutela del Comune, paralizzata, nel caso, esclusivamente dalla disposizione in questione, anche qualora si intenda quest'ultima non come norma di sanatoria, ma, appunto, come limite alla potesta' di autotutela. Ove si adottasse questa ipotesi, ad avviso del rimettente si prospetterebbe un profilo di contrasto con l'art. 97 Cost.: «in antitesi con i principi di legalita' e buon andamento della pubblica amministrazione sanciti dalla suddetta norma costituzionale», la disposizione in questione avrebbe sacrificato «in maniera aprioristica i suddetti valori», senza richiedere una comparazione in concreto degli interessi coinvolti. Ad avviso del Tribunale, sarebbe emblematica di questo «ultroneo sacrificio» proprio la fattispecie oggetto del giudizio principale, in cui «l'autorita' amministrativa ha ritenuto di non potere esercitare il proprio potere di autotutela nonostante la fase esecutiva dell'attivita' edilizia assentita fosse ferma alla fase iniziale e, dunque, non ancora cristallizzato in capo al privato quell'affidamento che, in astratto, giustifica il mantenimento in essere di un titolo illegittimo». 3.- Il Tribunale ricorda, poi, che sulla relativa questione la Corte costituzionale si e' pronunciata con ordinanza n. 35 del 2015, restituendo gli atti al rimettente, affinche' procedesse a un rinnovato esame della rilevanza alla luce del sopravvenuto d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, il cui art. 30 ha modificato, tra l'altro, l'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, espungendo dalla definizione della ristrutturazione edilizia il rispetto della sagoma precedente. Il Tribunale conviene che, a seguito di tale novita' normativa, la sagoma preesistente non rileva piu' come elemento che, se non rispettato, determina la qualificazione dell'intervento edilizio come nuova costruzione, piuttosto che come ristrutturazione. Nondimeno, ad avviso del rimettente, il citato art. 30 non ha portata retroattiva ed e' innovativo nel contenuto, in quanto modifica il concetto di ristrutturazione, ampliandolo rispetto alla consolidata interpretazione della normativa previgente. L'art. 30 non puo' neppure considerarsi norma di interpretazione autentica: risponde, anzi, a una ratio legis specifica, dovuta a «circostanze particolari di profilo economico e sociale», «quand'anche per necessita' di semplificazione». Di qui la perdurante rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata sull'art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012, il quale finirebbe per «sterilizzare ratione temporis» la portata della sentenza n. 309 del 2011. La questione sarebbe altresi' non manifestamente infondata, per le ragioni, sopra riportate, e gia' illustrate nella precedente ordinanza di rimessione. Considerato in diritto 1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con ordinanza del 5 novembre 2015 (r.o. n. 21 del 2016), solleva questioni di costituzionalita' dell'art. 17, comma 1, della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7 (Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione), il quale, in relazione agli «interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza n. 309 del 2011», «al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati», prescrive che i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 (data di pubblicazione della sentenza citata), nonche' le denunce di inizio attivita' esecutive alla medesima data, siano considerati titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012. Ad avviso del rimettente, tale disposizione violerebbe l'art. 136 della Costituzione e l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale), in quanto limiterebbe gli effetti per il passato della sentenza di questa Corte n. 309 del 2011, escludendo che la perdita di efficacia delle disposizioni, dichiarate costituzionalmente illegittime da tale sentenza, rilevi per i titoli edilizi rilasciati in base alle stesse disposizioni prima della pubblicazione della sentenza (a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012). Sarebbe altresi' violato l'art. 117, comma terzo, Cost., in relazione all'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - testo A) - nella versione anteriore alle modifiche di cui all'art. 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 - in quanto verrebbero affermate la validita' e l'efficacia di titoli edilizi riferiti a interventi di ristrutturazione di edifici mediante demolizione e ricostruzione con sagoma diversa, in violazione del principio fondamentale della legislazione statale, che la sentenza n. 309 del 2011 ha desunto dall'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2011, nel testo allora vigente, secondo il quale rientravano nella definizione di ristrutturazione edilizia solo gli interventi di demolizione e ricostruzione con identita' di volumetria e di sagoma rispetto all'edificio preesistente. In subordine, qualora il censurato art. 17, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2012 fosse interpretato nel senso (non di affermare la validita' e l'efficacia dei titoli edilizi ivi considerati, bensi' piu' limitatamente) di paralizzare in via generale e astratta il potere di autotutela dell'amministrazione in relazione ad atti basati sulle disposizioni legislative dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 309 del 2011, sarebbe violato l'art. 97 Cost.: cosi' intesa, la norma regionale sacrificherebbe aprioristicamente la legalita' e il buon andamento della pubblica amministrazione, impedendo una comparazione in concreto, in sede di autotutela, tra gli interessi generali e quelli privati coinvolti in ciascuna fattispecie. 2.1.- Preliminarmente, considerato che il rimettente ripropone questioni gia' sollevate dinanzi a questa Corte, in relazione alle quali e' stata disposta la restituzione degli atti (ordinanza n. 35 del 2015), occorre verificare se il giudice abbia assolto all'onere di riesaminare la rilevanza e i termini delle stesse questioni, alla luce delle novita' normative, in termini non implausibili (ex plurimis, sentenze n. 162 e n. 46 del 2014, n. 321 del 2011). La verifica ha esito positivo. Il giudice ha esaminato l'art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, ne ha argomentato il carattere innovativo ed ha escluso la sua applicabilita' ai fatti di causa, in particolare perche' i provvedimenti impugnati sono anteriori alla nuova normativa. Cosi' facendo, il giudice ha fatto plausibile applicazione del principio secondo cui «lo ius superveniens non puo' venire in evidenza nel giudizio di costituzionalita' sollevato dai giudici amministrativi poiche', secondo il principio tempus regit actum, la valutazione della legittimita' del provvedimento impugnato va condotta "con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione"» (sentenza n. 49 del 2016; si veda anche sentenza n. 30 del 2016). 2.2.- Neppure osta all'ammissibilita' la circostanza che il TAR abbia fatto ampio riferimento alla propria precedente ordinanza di rimessione, integralmente riportata nella nuova, con l'aggiunta di considerazioni, sia pure sintetiche, sul carattere innovativo e non retroattivo dello ius superveniens. Il giudice rimettente deve fornire, nell'atto di promovimento, un'esauriente ed autonoma motivazione, mentre il mero recepimento di argomenti sviluppati dalle parti o rinvenuti nella giurisprudenza, anche costituzionale, non basta di per se' a chiarire «le ragioni per le quali "quel" giudice reputi che la norma applicabile in "quel" processo risulti in contrasto con il dettato costituzionale» (sentenza n. 22 del 2015). Cio' non impedisce che il rimettente riferisca il contenuto di pronunce della Corte costituzionale o di altri atti del procedimento a quo, purche' corroborato da proprie considerazioni con le quali illustri, in relazione al giudizio principale, le ragioni dei dubbi di legittimita' costituzionale prospettate a questa Corte (sentenze n. 51 e n. 10 del 2015). 3.- Nel merito, la questione sollevata in riferimento all'art. 136 Cost. e all'art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 e' fondata. Questa Corte ha gia' stigmatizzato (ex plurimis, sentenza n. 169 del 2015) le disposizioni con cui il legislatore, statale o regionale, interviene per mitigare gli effetti di una pronuncia di illegittimita' costituzionale, per conservare o ripristinare, in tutto o in parte, gli effetti della norma dichiarata illegittima. Tale e' il caso della disposizione impugnata, emanata al dichiarato «fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati» in relazione agli «interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza n. 309 del 2011». Essa, come risulta esplicitamente dal suo tenore letterale, mira a convalidare e a confermare nell'efficacia gli atti amministrativi emessi in diretta applicazione della precedente normativa regionale, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla citata pronuncia di questa Corte, i cui effetti la disposizione regionale vorrebbe parzialmente neutralizzare. A nulla rilevano, ovviamente, i mutamenti successivamente intervenuti nella legislazione statale, che hanno rimosso il divieto di alterazione della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie, su cui si fondavano le dichiarazioni di illegittimita' costituzionale contenute nella sentenza n. 309 del 2011: come gia' precedentemente osservato, l'odierna questione e la norma che ne costituisce oggetto concernono situazioni anteriori a tale innovazione della legislazione statale e non sono da essa interessate. Per questi motivi la disposizione impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 136 Cost., mentre resta assorbito ogni altro motivo di censura.