ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 2,
della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35  (Disposizioni
in materia di cave. Modifiche alla l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e  l.r.
65/2014), promossi dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato il 29  maggio  -  3  giugno  2015,  depositato  in
cancelleria il 3 giugno 2015  ed  iscritto  al  n.  60  del  registro
ricorsi 2015, e dal Tribunale ordinario  di  Massa  nel  procedimento
vertente tra Omya spa e Cave Statutario srl e Comune di Carrara,  con
ordinanza del 17 marzo 2016, iscritta al n. 96 del registro ordinanze
2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  20,
prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Toscana, della  Omya
spa ed altra, del Comune di Carrara, nonche' gli atti  di  intervento
del Presidente della Regione Toscana, della Omya spa e della Societa'
Guglielmo Vennai spa ed altre; 
    udito nell'udienza pubblica del  20  settembre  2016  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto  per  la  Societa'
Guglielmo Vennai spa ed altre, l'avvocato dello Stato  Maria  Letizia
Guida per il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  gli  avvocati
Giuseppe Morbidelli per Omya spa ed  altra,  Domenico  Iaria  per  il
Comune di Carrara, Marcello Cecchetti e Lucia Bora per il  Presidente
della Regione Toscana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 29  maggio  2015,
ricevuto il 3 giugno 2015 e depositato nello stesso giorno (reg. ric.
n.  60  del  2015),  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 32, comma 2, della legge della  Regione  Toscana  25  marzo
2015, n. 35 (Disposizioni in materia di  cave.  Modifiche  alla  l.r.
78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014). 
    L'art. 32, comma 2, prevede che  «Considerata  la  condizione  di
beni appartenenti al patrimonio  indisponibile  comunale  degli  agri
marmiferi di cui alle  concessioni  livellarie  gia'  rilasciate  dai
Comuni di Massa e Carrara e dalle soppresse "vicinanze"  di  Carrara,
gia'  disciplinate  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  2,  della  legge
regionale 5 dicembre 1995, n. 104 (Disciplina  degli  agri  marmiferi
dei Comuni di Massa e Carrara), nonche' dei  beni  estimati,  di  cui
all'editto della duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina del 1  febbraio
1751, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della  presente
legge, i Comuni di Massa e Carrara provvedono alla  ricognizione  dei
tali beni, danno comunicazione dell'accertamento  ai  titolari  delle
concessioni  e  delle  autorizzazioni  alla  coltivazione  dei   beni
medesimi  e  provvedono  ai  conseguenti  adempimenti  ai  sensi  del
presente capo». 
    2.- Secondo il ricorrente, tale disposizione  sarebbe  innovativa
rispetto a quanto previsto dal combinato disposto dei  commi  l  e  2
dell'art. l della legge della Regione Toscana 5 dicembre 1995, n. 104
(Disciplina degli agri marmiferi di proprieta' dei Comuni di Massa  e
Carrara), secondo cui gli agri marmiferi appartengono  al  patrimonio
indisponibile comunale se di essi il Comune risulti  proprietario  ai
sensi delle normative in atto all'entrata in  vigore  della  medesima
legge regionale. 
    Ritiene  la  difesa  statale  che  tale   norma   non   contempli
espressamente i «beni estimati» e che il  rinvio  alle  normative  in
atto all'entrata in vigore della legge  regionale  n.  104  del  1995
presenti margini di ambiguita'. 
    Dopo aver richiamato la sentenza di questa Corte n. 488 del 1995,
l'Avvocatura generale dello Stato osserva come il  regio  decreto  29
luglio 1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare
la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno),  nel  delegare
ai Comuni di Carrara e di Massa l'emanazione di un  regolamento  «per
disciplinare le  concessioni  dei  rispettivi  agri  marmiferi»,  non
contenesse alcun espresso riferimento ai «beni estimati». 
    2.1.- Ad avviso del ricorrente, inoltre, la natura giuridica  dei
«beni estimati»  sarebbe  oggetto  di  dibattito  tra  gli  studiosi.
Secondo un primo orientamento, su tali beni sussisterebbe un  vero  e
proprio diritto di proprieta'; essi  sarebbero  oggetto  di  atti  di
compravendita, nonche' di acquisti all'asta nell'ambito di  procedure
esecutive, senza che si sia mai resa necessaria alcuna autorizzazione
comunale. 
    Vengono citate, a questo riguardo, una autorevole dottrina e  una
pronuncia giudiziale  che  ha  distinto  «due  tipologie  di  terreni
marmiferi, alcuni terreni cosiddetti  agri  marmiferi,  risultano  di
proprieta' del Comune di Carrara e detenuti dalle societa' in  regime
di concessione, altri invece di proprieta'  delle  societa'  medesime
c.d.  beni  estimati»  (Commissione  tributaria   provinciale   della
Toscana, Massa Carrara, sez. II, sent. 31 gennaio 2011, n. 14). 
    Secondo un opposto orientamento, fondato soltanto  su  pareri  di
studiosi  di  chiara  fama,  i  «beni  estimati»  non  avrebbero  mai
costituito oggetto di piena  proprieta';  l'editto  del  1°  febbraio
1751, infatti, si sarebbe limitato ad attribuire a  soggetti  privati
diritti di godimento su beni che rientravano nella  proprieta'  delle
cosiddette «vicinanze». 
    Tuttavia, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, il r.d.
n.  1443  del  1927  avrebbe  abrogato  la  legislazione  preunitaria
precedente, cosi'  che  sussisterebbero  dubbi  circa  la  perdurante
validita' della teste' indicata qualificazione giuridica. 
    2.2.- La disposizione regionale impugnata, nell'includere i «beni
estimati»  nell'ambito   del   patrimonio   indisponibile   comunale,
nonostante consistenti elementi facciano ritenere che tali beni siano
oggetto di proprieta' privata, colmerebbe una lacuna nell'ordinamento
civile italiano. 
    Essa, pertanto, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto una  simile  operazione  spetterebbe  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile». 
    3.- Con atto depositato il 7 luglio 2015,  si  e'  costituita  in
giudizio la Regione Toscana, chiedendo che il ricorso sia  dichiarato
inammissibile e comunque infondato. 
    3.1.-  La   difesa   regionale   eccepisce,   in   primo   luogo,
l'inammissibilita'  del  ricorso   per   insufficiente,   erronea   e
incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    Ad avviso della Regione, infatti, lo Stato avrebbe  sollevato  la
questione  di  legittimita'  costituzionale   muovendo   dall'erroneo
presupposto che la legislazione estense sia stata abrogata  dal  r.d.
n. 1443 del 1927. 
    Tale affermazione, tuttavia, sarebbe smentita dalla  sentenza  di
questa Corte n. 488 del 1995, ai sensi  della  quale  l'art.  64  del
richiamato r.d. «ha mantenuto in vigore la  legislazione  preunitaria
solo in via transitoria, fino al giorno dell'entrata  in  vigore  dei
detti regolamenti»; si tratta dei regolamenti previsti dall'art.  64,
comma 3, del richiamato r.d., con i quali i Comuni di Massa e Carrara
sono chiamati a disciplinare i propri agri marmiferi. 
    Osserva la resistente che il Regolamento del  Comune  di  Carrara
sugli agri marmiferi e' stato approvato con delibera consiliare n. 61
del 2005 ed e' esso, dunque, ad aver determinato il superamento della
legislazione estense, sino a quel momento rimasta vigente.  Pertanto,
il riferimento legislativo richiamato dallo Stato  sarebbe  errato  o
incompleto. 
    3.2- In  ogni  caso,  secondo  la  Regione,  le  censure  statali
sarebbero  formulate  in  termini   generici,   non   essendo   state
evidenziate le ragioni per le quali le norme regionali comportino  la
violazione del parametro evocato. 
    3.3.-  Nel  merito,  ad  avviso  della  difesa   regionale,   non
sussisterebbe alcuna lacuna nell'ordinamento. Con la norma in  esame,
infatti, la Regione si sarebbe limitata a prendere atto della  natura
giuridica pubblica dei «beni estimati», cosi' come  risultante  dalla
normativa statale di riferimento. 
    3.3.1.- In particolare,  osserva  la  resistente,  la  proprieta'
pubblica, e precisamente del Comune di Carrara, dei  «beni  estimati»
discenderebbe  dalla  legislazione   estense.   L'editto   teresiano,
infatti, avrebbe  innanzitutto  ribadito  la  proprieta'  degli  agri
marmiferi in capo alle vicinanze, nonche' il  carattere  inalienabile
ed imprescrittibile della stessa, secondo quanto gia' previsto  dallo
Statuto della Citta' di Carrara del 1574 di Alberico Malaspina;  tale
editto  avrebbe  poi  riconosciuto,  in  via  generale,  alle  stesse
vicinanze il diritto allo sfruttamento del  sottosuolo  agrario,  che
veniva ad essere "coltivato" dai "vicini", in base ad una concessione
livellaria  rilasciata  dalla  vicinanza;  infine,   intervenendo   a
dirimere  una  vertenza  proposta  dalla  vicinanza  di  Torano,  che
lamentava occupazioni illegittime dei suoi agri da parte dei vicini e
di estranei, si sarebbe limitato, in via eccezionale, a esonerare  in
perpetuo i possessori dei beni iscritti  negli  estimi  da  oltre  un
ventennio dal versamento di qualsiasi corrispettivo  pecuniario  alle
vicinanze, come controprestazione dell'utilizzo degli agri, in  forza
di un diritto feudale di regalia. 
    Il richiamato editto, dunque, avrebbe confermato il  diritto  dei
privati all'escavazione, ma non avrebbe trasferito la proprieta'  dei
beni,  anche  perche'  al  regnante  su  delega  dell'imperatore  non
spettava  disporre  dei  diritti  di  proprieta',  ma  era  riservato
esclusivamente il diritto allo sfruttamento dei  giacimenti  minerari
ricompresi negli agri vicinali stessi. 
    Pertanto, nell'esercizio del suo  potere  regalistico  sui  marmi
carraresi, la duchessa non avrebbe potuto disporre di cio' di cui non
era titolare, dovendo invece necessariamente limitarsi a disporre  in
ordine allo sfruttamento del sottosuolo minerario. 
    In definitiva, secondo la Regione, per le cave  insistenti  negli
agri vicinali non iscritte all'estimo, ovvero iscritte a nome  di  un
privato da meno di venti  anni,  l'editto  avrebbe  previsto  che  le
vicinanze concedessero lo sfruttamento della cava dietro pagamento di
un canone; invece, per le cave iscritte  all'estimo,  a  nome  di  un
privato, da oltre vent'anni, la duchessa - in sanatoria ed in via del
tutto eccezionale - avrebbe deciso di inibire azioni di  recupero  da
parte delle vicinanze rispetto al  diritto  allo  sfruttamento  delle
cave, concedendo ai  loro  possessori  il  diritto  di  godimento  in
perpetuo delle stesse  e  sottraendoli  alla  regola  dell'onerosita'
delle concessioni, in forza del diritto feudale di regalia sui marmi. 
    L'editto teresiano,  pertanto,  avrebbe  sancito  la  regola  del
regime concessorio per lo sfruttamento di tutte le cave di marmo  del
Comune di Carrara proprio in ragione della proprieta' pubblica  delle
stesse; la differenza tra  le  cave  con  iscrizione  ultraventennale
all'estimo e le altre consisterebbe  unicamente  -  ad  avviso  della
Regione - nella fonte del provvedimento concessorio, dal momento  che
per i beni estimati la concessione era stata rilasciata  direttamente
dal sovrano con l'editto del 1751, mentre per tutte  le  altre  cave,
pur insistenti negli agri marmiferi, la concessione veniva rilasciata
dalle vicinanze prima e,  in  seguito  alla  loro  soppressione,  dal
Comune. 
    Secondo  la  disciplina  contenuta  nella  legislazione  estense,
dunque, entrambe le  concessioni  riguarderebbero  comunque  beni  di
proprieta' vicinale, oggi comunale, in  regime  di  indisponibilita',
costituendo  i  «beni  estimati»  una  species  della  piu'  generale
categoria degli agri marmiferi. 
    3.3.2.- La Regione, inoltre, sottolinea che da un punto di  vista
"fisico", gli agri marmiferi di Carrara, in assoluta prevalenza, sono
cave miste con presenza "indistinta" di agri intestati al catasto  in
capo al Comune e agri cosiddetti estimati. Pertanto, ove si ritenesse
di  dover  sottrarre  i  beni  estimati  al  regime  concessorio,  si
determinerebbe l'impossibilita' di procedere con  gara  anche  per  i
restanti agri marmiferi. 
    3.3.3.- Peraltro, ad avviso della difesa regionale, la proprieta'
pubblica delle cave di marmo del comprensorio  apuano  sarebbe  stata
ulteriormente ribadita dal r.d. n. 1443 del 1927,  che  all'art.  64,
ultimo comma, ha attribuito ai Comuni di Massa e  Carrara  il  potere
regolamentare in ordine ai propri agri  marmiferi,  sancendo  in  via
definitiva la specialita' delle cave apuane di marmo rispetto a tutte
le altre cave del territorio nazionale. 
    Cio' troverebbe conferma nella sentenza della Corte di cassazione
24 maggio 1954, n. 1679, secondo la quale gli agri  marmiferi  «hanno
un regime analogo a quello delle altre cave quando siano sottratte al
proprietario del suolo per essere concesse a  terzi,  divenendo  beni
patrimoniali indisponibili». 
    Alla luce di queste risultanze, sarebbe  evidente  come  i  «beni
estimati»,  gia'  secondo  la  disciplina  estense,   rientrino   nel
patrimonio indisponibile comunale al pari  di  tutte  le  altre  cave
insistenti sugli agri marmiferi di Carrara, con conseguente legittimo
assoggettamento alle norme dei regolamenti comunali. 
    3.3.4.- La legge regionale di cui  si  tratta,  inoltre,  avrebbe
dettato la disciplina in una materia  pacificamente  attribuita  alla
competenza delle Regioni, sia prima, sia dopo la riforma del Titolo V
del 2001. 
    Con l'impugnato art. 32, comma 2,  infatti,  la  Regione  avrebbe
preso  atto  della  natura  pubblica  della  proprieta'   dei   «beni
estimati», limitandosi a introdurre una norma  meramente  ricognitiva
di disposizioni gia' presenti nella disciplina statale di riferimento
in tema di agri marmiferi del Comune di Carrara. 
    D'altra parte, secondo la difesa regionale, questa Corte, con  la
richiamata  sentenza  n.  488  del  1995,  avrebbe  riconosciuto   la
legittimita' costituzionale di leggi regionali che,  in  applicazione
del regime concessorio,  intervengano  a  modificare  i  rapporti  in
corso, costituiti come perpetui e gratuiti nel  sistema  estense,  in
coerenza con  i  principi  della  onerosita'  e  temporaneita'  delle
concessioni, gia' sanciti dal r.d. n. 1443 del 1927. 
    4.- Sono intervenute le societa' Omya , Guglielmo Vennai , Caro e
Colombi , Societa' Escavazione Marmi SEM ,  Successori  Adolfo  Corsi
Carrara srl e Marbo srl, affermando il proprio interesse ad  agire  e
la  propria  legittimazione  e  chiedendo  che  la  Corte,   ritenuta
l'ammissibilita' degli interventi, accolga le richieste  della  parte
ricorrente. 
    Ciascuna delle parti in prossimita'  dell'udienza  ha  depositato
memorie in cui ha ribadito le conclusioni gia' rassegnate. 
    5.- Nell'ambito di un giudizio civile promosso contro  il  Comune
di Carrara da alcune societa' private proprietarie di agri  marmiferi
- cosiddetti «beni estimati» - ubicati nel territorio  comunale,  per
l'accertamento del diritto di proprieta' di tali beni  in  capo  alle
stesse, il Tribunale ordinario di Massa, con ordinanza del  17  marzo
2016 (r.o. n. 96 del 2016), ha sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32,  comma  2,  della  legge  della  Regione
Toscana n. 35 del 2015, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 102,
111, 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  1  del  Primo
Protocollo addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, nonche' in  riferimento  all'art.  117,  secondo
comma, lettera l), e terzo comma, Cost. 
    5.1.- Riferisce  il  Tribunale  che,  ad  avviso  delle  societa'
attrici,  la   norma   censurata,   ricomprendendo   nel   patrimonio
indisponibile comunale i «beni estimati» di cui all'editto  di  Maria
Teresa Cybo Malaspina  del  1751,  nonostante  essi  risultino,  allo
stato, oggetto di proprieta' privata, sarebbe sostanzialmente volta a
realizzare un'espropriazione di tali beni. 
    Secondo il giudice a quo, la norma sarebbe volta a realizzare una
«ricognizione» di  quei  beni,  cui  i  Comuni  di  Massa  e  Carrara
dovrebbero provvedere entro 180 giorni dall'entrata in  vigore  della
legge. Tuttavia, essa non avrebbe portata ricognitiva, ma innovativa,
posto che intende disciplinare per il futuro il regime di tali  beni,
assegnando loro un assetto diverso da quello  attuale,  in  contrasto
con gli atti che ne hanno determinato l'odierna situazione. 
    5.1.1.- Nel ricostruire il contesto normativo di riferimento,  il
Tribunale rimettente osserva che i  «beni  estimati»  sono  pervenuti
agli attuali proprietari sia a seguito di atti di  compravendita  tra
privati, sia a seguito di atti di fusione tra societa', sia a seguito
di decisioni giurisdizionali; e che fin  dall'emanazione  dell'editto
teresiano sono stati considerati beni di natura privata. 
    Ai sensi del richiamato editto, infatti, «Se l'allibrazione delle
medesime  e'  seguita  venti  anni  prima   della   presente   Nostra
ordinazione, niun diritto pretendere mai piu' possa sopra di esse,  o
sopra i loro Possessori, la vicinanza ne' di cui  agri  sono  situate
non altrimenti che se a  favore  dei  possessori  medesimi  militasse
l'immemorabile, o la centennaria o concorresse a pro' loro un  titolo
il piu' legittimo che immaginare si possa». 
    Il rimettente, peraltro,  osserva  come  l'editto  del  1751  sia
venuto a regolamentare una situazione che  gia'  vedeva  molti  «beni
estimati», quelli cioe' iscritti  negli  estimi  dei  particolari  da
almeno venti anni, come beni di proprieta'  privata,  di  derivazione
allodiale, oggetto di attivita' estrattiva. 
    5.1.2.- A conferma della natura privata  di  tali  beni,  vengono
altresi' richiamati  l'art.  11  dell'editto  di  Maria  Teresa  Cybo
Malaspina del 21 dicembre 1771, l'art. 7 del  decreto  n.  246  sulle
miniere del 9 agosto 1808, i punti VII  e  VIII  della  notificazione
governatoriale (Petrozzani) del 24 settembre 1823 e l'art.  2,  comma
13, lettera h), della  notificazione  governatoriale  del  14  luglio
1846. 
    Piu' di recente, ad avviso del giudice a quo, anche  altre  fonti
normative presupporrebbero una  distinzione  tra  agri  marmiferi  di
proprieta'  comunale  e  agri  marmiferi  di  proprieta'  privata.  A
riguardo, vengono citati l'art. l della legge della Regione Toscana 5
dicembre 1995, n. 104 (Disciplina degli agri marmiferi di  proprieta'
dei Comuni di Massa e Carrara), la  legge  della  Regione  Toscana  3
novembre 1998, n. 78 (Testo  Unico  in  materia  di  cave,  torbiere,
miniere,  recupero  di  aree  escavate  e   riutilizzo   di   residui
recuperabili)  ed  il  regolamento  per  la  concessione  degli  agri
marmiferi comunali del Comune di Carrara, approvato con  delibera  n.
61 del 21 luglio 2005 (modificativo del  primo  regolamento  comunale
adottato il 29 dicembre 1994). 
    Secondo il rimettente, la stessa legge regionale n. 35  del  2015
presupporrebbe implicitamente tale doppio regime,  allorche'  prevede
la stipula con il privato «di una convenzione per l'utilizzo del bene
quale patrimonio indisponibile comunale» (art. 38, comma 6). 
    Anche la relazione della Commissione di  esperti  incaricata  dal
Comune di Carrara  di  predisporre  una  relazione  sulla  condizione
giuridica  degli  agri  marmiferi  comunali,  avrebbe   espressamente
riconosciuto il diritto di proprieta' privata sui «beni estimati». 
    A riprova della libera circolazione tra privati, che  avrebbe  da
sempre caratterizzato tali  beni,  vengono  altresi'  richiamate  una
serie di decisioni giurisdizionali in tal senso. 
    5.2.-  Quanto  alla  rilevanza  della  questione,  il  rimettente
osserva   come   la   domanda   abbia   ad   oggetto   l'accertamento
dell'esistenza del  diritto  di  proprieta'  in  capo  alle  societa'
attrici rispetto ai «beni estimati», mentre  la  norma  impugnata  ne
assume la titolarita' in capo all'ente pubblico convenuto. 
    Ad avviso del giudice a quo, non sarebbe  neppure  possibile  una
interpretazione costituzionalmente  orientata  che  consenta  di  non
ritenere la norma in contrasto con i parametri costituzionali. 
    Infatti, sia la ricostruzione storica dei trasferimenti a seguito
dei quali le societa' attrici si  affermano  proprietarie  dei  «beni
estimati»,   sia   l'esistenza   delle   decisioni    giurisdizionali
richiamate, evidenzierebbero come tali beni  siano  stati  da  sempre
ritenuti suscettibili di libera circolazione tra privati  secondo  le
ordinarie regole della proprieta' privata, a  differenza  degli  agri
marmiferi comunali. 
    Osserva il rimettente come il regime differenziato riservato agli
agri marmiferi  comunali,  da  una  parte,  ed  ai  «beni  estimati»,
dall'altra, venga confermato  anche  dalla  diversa  regolamentazione
operata per gli uni e per gli altri dallo stesso Comune di Carrara. 
    In proposito, secondo il giudice  a  quo,  l'assunto  del  Comune
secondo cui la legge regionale n. 35 del 2015 si sarebbe «limitata  a
esternare (dichiarare) la natura che detti beni posseggono  ex  se  e
cioe' in ragione della loro provenienza [...]», sarebbe incompatibile
con la ricostruzione storica delle vicende dei «beni estimati»; essa,
al contrario, confermerebbe la tesi delle societa' attrici  circa  il
plurisecolare riconoscimento di un  diritto  di  piena  proprieta'  a
favore dei privati sui beni in questione. 
    Piuttosto, ad avviso del rimettente, il significato  della  norma
avrebbe  una  portata  ben  piu'  ampia   di   quella   ricollegabile
all'espressione utilizzata, proprio in  virtu'  dell'attuale  assetto
dei beni, incompatibile con una mera attivita' di «ricognizione». 
    Nonostante la  sua  formulazione  testuale,  la  norma  impugnata
sarebbe diretta  ad  operare  un  vero  e  proprio  trasferimento  al
patrimonio indisponibile comunale della proprieta' di tali  beni  dai
soggetti privati  che  li  hanno  a  vario  titolo  acquistati;  cio'
comporterebbe, secondo il rimettente, la rilevanza della questione ai
fini dell'accoglimento o del rigetto della domanda. 
    5.3.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
deduce in primo luogo il contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., in quanto  la  regolamentazione  della  proprieta'
privata apparterrebbe  indiscutibilmente  alla  potesta'  legislativa
dello Stato in materia di «ordinamento civile». 
    Peraltro, secondo il rimettente, una disciplina come quella posta
in essere dalla Regione con la  norma  impugnata  non  sarebbe  stata
consentita  neppure  al  legislatore  statale,  posto  che  lo  Stato
potrebbe incidere in via diretta sulla proprieta' privata solo  nelle
forme e con  i  limiti  della  legislazione  sull'espropriazione  per
pubblica utilita'. 
    5.3.1.- Viene poi denunciato il contrasto con l'art.  117,  comma
3, Cost., perche' nella materia del «governo del territorio», in  cui
sarebbe   ricompresa   la   disciplina    degli    agri    marmiferi,
l'espropriazione  verrebbe  in  rilievo  solo  in  quanto   attivita'
strumentale all'acquisizione di suoli per la realizzazione  di  opere
pubbliche, mentre nel  caso  in  esame  il  trasferimento  dei  «beni
estimati» al patrimonio indisponibile comunale sarebbe finalizzato al
mero incremento patrimoniale in favore dell'ente pubblico. 
    5.3.2.- La norma censurata violerebbe, altresi',  gli  artt.  42,
secondo e terzo  comma,  e  97  Cost.,  in  quanto  realizzerebbe  il
trasferimento coattivo di quelle proprieta' dai privati al patrimonio
indisponibile  comunale  e  dunque  determinerebbe   una   sorta   di
espropriazione di quei beni in un  caso  non  previsto  dalla  legge,
senza indennizzo e  senza  l'indicazione  di  un  motivo  d'interesse
generale  che  la  giustifichi;  essa,  inoltre,  realizzerebbe  tale
effetto  espropriativo  in  difetto  di  un   regolare   procedimento
amministrativo  governato  dai   principi   di   buon   andamento   e
imparzialita'. 
    5.3.3.- Sarebbe, inoltre, violato l'art. 3 Cost., sia perche'  la
norma impugnata sottrarrebbe i «beni  estimati»  privati,  costituiti
dagli agri marmiferi, solo ai proprietari di tali  beni  ubicati  nei
comuni  di  Massa   e   di   Carrara;   sia   perche'   realizzerebbe
l'espropriazione dei soli «beni estimati» costituiti da cave,  e  non
dei  «beni  estimati»  costituiti  da  terreni  agricoli  o  da  beni
destinati ad usi diversi. 
    5.3.4.- Viene altresi' denunciato il contrasto  con  l'art.  117,
comma  l,  Cost.,  in  relazione  all'art.  l  del  Primo  Protocollo
addizionale alla CEDU, in quanto la norma impugnata esproprierebbe di
fatto i «beni  estimati»,  senza  indicare  le  ragioni  di  utilita'
sociale ad essa sottese e senza prevedere alcun indennizzo. 
    5.3.5.- La norma impugnata, infine, violerebbe gli artt. 24,  42,
102 e 111 Cost., perche', nel caso in cui si volesse  riconoscere  ad
essa una funzione regolatrice  del  conflitto  tra  ente  pubblico  e
privati titolari del diritto di proprieta' sui  «beni  estimati»,  il
legislatore regionale si sarebbe indebitamente sostituito al  giudice
ordinario nella pretesa di risolvere, al  di  fuori  di  un  processo
regolato  dalla  legge,   il   conflitto   esistente   tra   soggetti
dell'ordinamento. 
    Peraltro, ad avviso del giudice  a  quo,  sarebbe  fuorviante  il
richiamo effettuato nei  lavori  preparatori  della  legge  regionale
censurata alla sentenza  n.  488  del  1995,  della  quale  la  legge
regionale n.  35  del  2015  sarebbe  attuazione.  Quella  decisione,
infatti, riguarderebbe i soli rapporti concessori relativi agli  agri
marmiferi di proprieta' dei Comuni, senza alcun riferimento agli agri
marmiferi di proprieta' privata. Il fatto che  la  pronuncia  non  si
occupi   degli   agri   marmiferi   costituenti    «beni    estimati»
confermerebbe, secondo il rimettente, la  distinzione  esistente  tra
agri  marmiferi  di  proprieta'  dei  Comuni  e  agri  marmiferi   di
proprieta' privata. 
    5.4.- In conclusione, secondo  il  giudice  a  quo,  non  sarebbe
possibile ritenere che la norma non incida  su  beni  attualmente  di
proprieta'  privata,  sul  presupposto  che  solo  «alcuni  cavatori»
riterrebbero sussistente il diritto di proprieta' in capo a  soggetti
privati, poiche' il riconoscimento in capo ai privati del diritto  di
proprieta' sui «beni estimati»  sarebbe  stato  oggetto  di  numerosi
provvedimenti  giurisdizionali,  oltre  che  di  rogiti  notarili  di
trasferimento. 
    Neppure sarebbe possibile ricondurre la questione nell'ambito dei
rapporti di concessione, posto che per i «beni estimati» non  risulta
che il Comune abbia mai chiesto, ne' imposto, il pagamento di canoni. 
    6.- Con atto depositato il  6  giugno  2016,  e'  intervenuto  il
Presidente  della  Regione  Toscana  deducendo  l'inammissibilita'  e
l'infondatezza della questione. 
    6.1.- La Regione eccepisce, in primo luogo,  l'irrilevanza  della
questione,  in   quanto   il   rimettente   muoverebbe   dall'erroneo
presupposto interpretativo che il censurato art. 32, comma 2, sia una
norma  innovativa,  la  quale,  prevedendo  per  la  prima  volta  la
titolarita'  pubblica  dei  «beni  estimati»,  ne  determinerebbe  la
sostanziale espropriazione, al di fuori delle garanzie procedimentali
previste dall'ordinamento per gli espropri. 
    Al contrario, secondo la difesa regionale, la norma impugnata non
avrebbe introdotto  alcuna  innovazione  in  materia  di  ordinamento
civile, ma avrebbe solo preso atto della natura gia'  pubblica  della
proprieta' dei «beni estimati», limitandosi a prevedere,  nell'ambito
della generale disciplina delle cave, una norma meramente ricognitiva
di disposizioni gia' presenti nella disciplina statale di riferimento
in tema di agri marmiferi del Comune di Carrara. 
    Di conseguenza, secondo la  Regione,  la  lamentata  lesione  del
diritto di proprieta' privata dei «beni  estimati»,  non  deriverebbe
dalla norma regionale, ma dalla disciplina  statale  di  riferimento,
che  fin  dai   tempi   dell'ordinamento   preunitario   affermerebbe
l'appartenenza al demanio comunale di tali beni. 
    6.2.-  Nel  merito,  la  Regione  deduce   l'infondatezza   della
questione sollevata  in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., svolgendo i  medesimi  argomenti  gia'  illustrati
nell'atto di costituzione nel giudizio in via principale. 
    6.2.1.- Quanto alla censura relativa  alla  violazione  dell'art.
117, terzo comma, Cost., il richiamo a  tale  parametro  sarebbe  del
tutto inconferente, in quanto l'oggetto della disciplina recata dalla
norma  impugnata  non  afferirebbe  alla  materia  del  «governo  del
territorio», ma per l'appunto a quella delle  «cave»,  di  competenza
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    6.2.2.- Del pari non fondata sarebbe la  questione  sollevata  in
riferimento agli artt. 42, secondo  e  terzo  comma,  Cost.,  nonche'
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. l  del  Primo
Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto la  norma  impugnata  non
avrebbe inciso in alcun  modo  sulla  proprieta'  privata  dei  «beni
estimati»,  trattandosi  di   beni   di   proprieta'   pubblica   che
costituirebbero una species della piu' generale categoria degli  agri
marmiferi. 
    6.2.3.- Neppure sarebbe violato l'art. 97 Cost., perche' la norma
impugnata non avrebbe realizzato alcun effetto espropriativo,  avendo
ad oggetto la  regolamentazione  del  rapporto  concessorio  di  beni
pubblici, in conformita' ai principi statali e comunitari vigenti. 
    6.2.4.- Ugualmente priva di pregio sarebbe  la  censura  relativa
alla violazione dell'art. 3 Cost., perche'  la  norma  impugnata  non
avrebbe determinato alcuna sottrazione dalla titolarita' dei  privati
dei «beni estimati», rientrando questi nel patrimonio del  Comune  al
pari degli agri marmiferi; d'altra  parte,  secondo  la  Regione,  la
circostanza che i «beni estimati» siano un unicum presente  solo  nel
Comune di Carrara, giustificherebbe  il  loro  espresso  richiamo  ad
opera della disposizione censurata e determinerebbe la non  identita'
delle situazioni messe a confronto dal rimettente. 
    6.2.5.- Infine, ad  avviso  della  Regione,  neanche  la  censura
relativa alla violazione degli artt. 42, secondo  e  terzo  comma,  e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Primo Protocollo
addizionale alla CEDU [recte: agli artt. 24, 42, 102  e  111  Cost.],
sarebbe fondata,  in  quanto  il  censurato  art.  32,  comma  2,  si
limiterebbe a prendere  atto  della  proprieta'  pubblica  dei  «beni
estimati»,  senza  operare  alcuna  indebita  sostituzione   rispetto
all'autorita' giudiziaria. 
    Che poi il Comune non abbia mai chiesto il pagamento di canoni in
relazione  a  tali  beni  dimostrerebbe,  ad  avviso  della  Regione,
l'indebito arricchimento, senza titolo, da parte delle  societa'  che
operano  nel  comprensorio  lapideo   apuano,   e   giustificherebbe,
pertanto,  l'intervento  del  legislatore  regionale  a  tutela   del
corretto utilizzo del patrimonio pubblico. 
    6.3.- Con una memoria depositata in prossimita' dell'udienza,  la
Regione Toscana ha insistito affinche' la  questione  sia  dichiarata
irrilevante o comunque infondata. 
    7.- Con atto depositato il 7 giugno 2016, si sono  costituite  le
societa' Omya e Cave Statuario srl,  chiedendo  l'accoglimento  della
questione. 
    7.1.- Osservano le parti private come  i  diritti  di  proprieta'
sugli  agri  marmiferi  costituenti  «beni  estimati»,  di  cui  esse
risultano titolari, abbiano circolato da secoli secondo il regime dei
beni oggetto  di  proprieta'  privata.  Esse  hanno  acquistato  tali
diritti a titolo derivativo in forza di  atti  negoziali  o  di  atti
giurisdizionali, oppure a titolo originario, per usucapione accertata
in sede giurisdizionale. 
    Ad avviso delle parti private, gli atti di trasferimento indicati
nell'ordinanza  di  rimessione  testimonierebbero   come   la   norma
impugnata costituisca un elemento  di  rottura  rispetto  al  diritto
vivente, al di fuori di ogni potere attribuito  alle  Regioni  e  con
grave pregiudizio  di  diritti  fondamentali,  quali  il  diritto  di
proprieta'. 
    7.1.1.- Secondo le parti private,  l'editto  teresiano  del  1751
avrebbe risolto una controversia tra una vicinanza ed alcuni soggetti
privati  che  avevano  iscritto  le  loro  cave   agli   estimi   dei
particolari, senza tuttavia pagare la «colletta». 
    La vicinanza avrebbe rivendicato i propri diritti sulle  cave  e,
quindi, anche  la  facolta'  di  aprirle.  L'editto  non  si  sarebbe
limitato a risolvere la  controversia,  accogliendo  le  ragioni  dei
«particolari», ma avrebbe dettato la disciplina per il futuro. 
    Sarebbe evidente la  volonta'  del  sovrano,  laddove  nega  alle
vicinanze qualsiasi pretesa non solo verso  i  possessori,  ma  anche
sopra  le  cave  («sopra  di  esse»),   se   iscritte   agli   estimi
(«allibrazione») da vent'anni; d'altra parte,  il  riferimento  cosi'
ampio all'immemorabile o alla  centennaria,  nonche'  ad  ogni  altro
titolo, «il piu' legittimo che immaginare si possa», confermerebbe il
riconoscimento dell'esistenza di un diritto di piena  proprieta',  in
ragione  del  quale  i  «beni  estimati»   sarebbero   sempre   stati
considerati di proprieta' privata. 
    7.1.2.- Inoltre, anche nel  periodo  antecedente  all'editto  del
1751, vi erano proprieta' di cave trasferite o  comunque  soggette  a
vicende traslative, tra le quali vi erano proprieta' allodiali e beni
riconducibili  direttamente  alla  definizione  di  «beni  estimati»,
iscritti negli estimi come beni intestati a  privati;  tutti  i  beni
sarebbero  poi  confluiti  nella  categoria  piu'  ampia  dei   «beni
estimati», all'interno dei quali sarebbe oggi impossibile distinguere
le proprieta' allodiali dagli originari «beni estimati». 
    7.1.3.- La difesa delle parti private elenca, altresi', una serie
di  atti  normativi  posteriori  all'editto  del   1751   che   fanno
riferimento direttamente, o indirettamente, a cave di  proprieta'  di
privati,  evidenziando  come  anche  le  fonti  normative  successive
abbiano sempre considerato i «beni estimati» di proprieta' privata. 
    7.1.4.- Nel periodo post-unitario, inoltre, la  dottrina  sarebbe
stata  pacifica  nell'ammettere  la  proprieta'  privata  dei   «beni
estimati»; e anche la Commissione istituita dal Comune di Carrara per
redigere il primo  regolamento  degli  agri  marmiferi,  non  avrebbe
dubitato del fatto che  i  «beni  estimati»  siano  pacificamente  da
considerarsi beni di proprieta' privata. 
    7.1.5.- Le  parti  private  riportano,  altresi',  una  serie  di
pronunce giurisdizionali dalle quali la natura privata di  tali  beni
risulterebbe pacifica; evidenziano, inoltre, che in favore del regime
proprietario di tali beni deporrebbero sia la precedente legislazione
regionale (art. 1 della legge regionale n.  104  del  1995),  sia  il
regolamento degli agri marmiferi del Comune di Carrara, il quale  non
avrebbe mai richiesto il pagamento del canone concessorio  sui  «beni
estimati». 
    7.2.- Pertanto, secondo le parti  private,  sia  la  legislazione
preesistente alla legge regionale n. 35  del  2015,  sia  il  diritto
vivente,  sia  la  prassi   amministrativa,   avrebbero   da   sempre
considerato i  «beni  estimati»  come  beni  di  proprieta'  privata,
riconoscendo che essi non appartengono  al  patrimonio  indisponibile
comunale.  Esse,  dunque,  aderiscono  in   toto   alle   conclusioni
rassegnate  dal  Tribunale  ordinario  di  Massa,   concludendo   per
l'accoglimento della questione. 
    7.3.-  Le  parti  private,  inoltre,  hanno  rivolto  istanza  di
trattazione congiunta e riunione del presente giudizio con quello  di
cui al ricorso n. 60 del 2015, in ragione della comunanza delle norme
impugnate e delle questioni sollevate. 
    7.4.- Con memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  le
parti private, deducendo l'erroneita' della ricostruzione del  Comune
di Carrara e della Regione Toscana, insistono nelle conclusioni  gia'
rassegnate nell'atto di costituzione. 
    8.- Con atto depositato il 7 giugno 2016,  si  e'  costituito  il
Comune di Carrara deducendo l'inammissibilita' e l'infondatezza della
questione. 
    8.1.- La difesa comunale eccepisce, in primo luogo, l'irrilevanza
della questione  per  l'erroneo  presupposto  interpretativo  da  cui
avrebbe mosso il rimettente. L'impugnato art. 32, comma  2,  infatti,
non  avrebbe  carattere  innovativo,  ma  meramente  ricognitivo   di
pregresse disposizioni gia'  vigenti  nell'ordinamento  giuridico  in
tema di agri marmiferi comunali. 
    8.1.1.- Anche laddove si ritenesse che la questione  inerente  la
natura dei «beni estimati» sia opinabile,  cio'  renderebbe  comunque
inammissibile   la   prospettata    questione    di    illegittimita'
costituzionale. La difesa comunale, infatti, osserva che le  societa'
attrici hanno proposto un'azione di accertamento del proprio  diritto
di proprieta' con riferimento a certi beni; a fronte di tale domanda,
il Comune ne ha rivendicato la piena  proprieta',  non  perche'  tale
proprieta' sia stata dichiarata da una legge  regionale,  ma  perche'
tale e' la natura  propria  dei  «beni  estimati»,  in  virtu'  delle
caratteristiche che essi posseggono. 
    La questione sollevata risulterebbe, al piu',  condizionata  alla
eventualita' che la ricostruzione "pubblicistica"  della  natura  dei
«beni estimati» sia errata, il che renderebbe assolutamente  evidente
il difetto di attuale rilevanza della questione. 
    Ad avviso del Comune, l'assunto del giudice a  quo  sulla  natura
privata dei beni estimati sarebbe  del  tutto  apodittico;  il  thema
decidendum sarebbe quello  dell'accertamento  della  natura  di  tali
beni, che prescinderebbe dal contenuto della legge  regionale  n.  35
del 2015 e al quale il rimettente si sarebbe sottratto. 
    8.2.- Nel merito, il Comune deduce  l'infondatezza  di  tutte  le
questioni con motivazioni analoghe  a  quelle  addotte  dalla  difesa
regionale. 
    8.3.- Con memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Comune di Carrara ha insistito affinche' la questione di legittimita'
costituzionale sia dichiarata irrilevante e comunque infondata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento  all'art.  117,  secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  32,
comma 2, della legge della Regione  Toscana  25  marzo  2015,  n.  35
(Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r.  78/1998,  l.r.
10/2010 e l.r. 65/2014). 
    Ad avviso della difesa statale, tale disposizione, nell'includere
i beni estimati nel  patrimonio  indisponibile  comunale,  nonostante
consistenti elementi facciano ritenere  che  essi  siano  oggetto  di
proprieta' privata, colmerebbe  una  lacuna  nell'ordinamento  civile
italiano, violando la competenza esclusiva dello Stato in materia  di
«ordinamento civile». 
    Il richiamato art. 32, comma  2,  viene  altresi'  censurato  dal
Tribunale ordinario di Massa, con ordinanza del  17  marzo  2016,  in
riferimento allo stesso art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.,
nonche' agli artt. 3, 24, 42, 97, 102, 111, 117, primo comma,  Cost.,
in  relazione  all'art.  1  del  Primo  Protocollo  addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), e 117, terzo
comma, Cost. 
    2.- I due giudizi hanno ad oggetto  la  medesima  disposizione  e
pongono questioni in gran  parte  analoghe,  sicche'  possono  essere
riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3.-  In  via  preliminare  va  ribadita  l'inammissibilita',  nel
giudizio promosso  con  ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, dell'intervento delle societa' Omya ,  Guglielmo  Vennai  ,
Caro e Colombi , Societa' Escavazione Marmi SEM ,  Successori  Adolfo
Corsi Carrara srl e Marbo srl. 
    Deve essere  pertanto  confermata  l'ordinanza,  pronunciata  nel
corso  dell'udienza  pubblica  e  allegata  alla  presente  sentenza,
adottata in  conformita'  della  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, secondo cui il giudizio di legittimita'  costituzionale  delle
leggi,  promosso  in  via  d'azione,  si  svolge  esclusivamente  tra
soggetti titolari di potesta' legislativa e non ammette  l'intervento
di soggetti che ne siano privi, fermi restando per  costoro,  ove  ne
ricorrano i presupposti, gli altri mezzi  di  tutela  giurisdizionale
eventualmente esperibili (ex plurimis, sentenze n. 118 e  n.  31  del
2015, n. 210 del 2014, n. 285, n. 220 e n. 118 del 2013, n.  245,  n.
114 e n. 105 del 2012, n. 69 e n. 33 del 2011, n. 278 del 2010). 
    D'altra parte, non  risultano  neppure  pertinenti  i  precedenti
citati dalla difesa delle parti private (sentenze n. 344 del  2005  e
n. 353 del 2001), i  quali,  ancorche'  relativi  a  giudizi  in  via
principale, riguardano pur sempre  interventi  spiegati  da  soggetti
titolari di  potesta'  legislativa;  ne'  e'  pertinente  l'ulteriore
giurisprudenza   costituzionale   richiamata,   che   non    riguarda
l'intervento nei giudizi in via principale. 
    4.-  Ancora  in  via  preliminare  devono  essere  esaminate   le
eccezioni di inammissibilita' sollevate dalle parti. 
    4.1.- Nel giudizio in via principale la Regione ha  eccepito,  in
primo  luogo,  l'inammissibilita'  del  ricorso   per   insufficiente
ricostruzione del  quadro  normativo,  in  quanto  lo  Stato  avrebbe
sollevato la  questione  muovendo  dall'erroneo  presupposto  che  la
legislazione estense sia stata abrogata  dalla  legge  mineraria  del
1927. 
    E'  bensi'  vero  che  questa  Corte  ha  smentito   una   simile
interpretazione, chiarendo come l'art. 64 del r.d. n. 1443  del  1927
abbia «mantenuto in vigore la legislazione preunitaria  solo  in  via
transitoria,  fino  al  giorno  dell'entrata  in  vigore  dei   detti
regolamenti» (sentenza n. 488 del 1995),  e  che,  dunque,  l'effetto
abrogativo della legislazione  estense  debba  essere  ricondotto  al
regolamento  comunale,  non   alla   legge   del   1927;   nondimeno,
l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo  dal  quale  muove  il
ricorrente sarebbe eventualmente motivo di  non  fondatezza,  non  di
inammissibilita' della questione (sentenza n. 117 del 2015). 
    L'eccezione, pertanto, non puo' essere accolta. 
    4.2.-  Non  merita  accoglimento  neppure  l'ulteriore  eccezione
sollevata  dalla  Regione,  secondo  la  quale  il  ricorso   sarebbe
inammissibile per genericita' delle censure. 
    Il  ricorrente,  infatti,  non  si  e'  limitato   a   richiamare
genericamente l'art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.,  ma  ha
evidenziato  come  la  natura  giuridica  dei  beni  estimati   fosse
controversa,  dando  conto  degli  opposti  orientamenti   dottrinali
formulati a riguardo; ed ha altresi' specificato la ragione  per  cui
l'inclusione dei  beni  estimati  nel  patrimonio  indisponibile  dei
Comuni di Massa e Carrara  violerebbe  il  parametro  costituzionale,
individuandola  nell'aver  il  legislatore  regionale   indebitamente
colmato una lacuna dell'ordinamento in materia civilistica. 
    A ben vedere, dunque, «Il ricorso -  ancorche'  conciso  -  rende
[...]  ben  identificabili  i  termini  delle   questioni   proposte,
individuando le disposizioni impugnate,  i  parametri  evocati  e  le
ragioni dei dubbi di legittimita' costituzionale»  (sentenza  n.  241
del 2012). 
    4.3.- Nel giudizio in via incidentale, poi, sia la  Regione,  sia
il Comune di Carrara, hanno eccepito l'irrilevanza  della  questione,
deducendo che si tratterebbe di una norma meramente ricognitiva,  che
non  avrebbe  introdotto  nell'ordinamento  una   regola   precettiva
autonoma. 
    Neppure questa eccezione e' fondata. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «[i]l giudizio
di rilevanza [...]  e'  riservato  al  giudice  rimettente,  si'  che
l'intervento della Corte deve limitarsi ad accertare  l'esistenza  di
una   motivazione   sufficiente,   non    palesemente    erronea    o
contraddittoria, senza spingersi fino  ad  un  esame  autonomo  degli
elementi  che  hanno  portato  il  giudice  a   quo   a   determinate
conclusioni. In altre parole, nel giudizio di  costituzionalita',  ai
fini  dell'apprezzamento  della  rilevanza,  cio'  che  conta  e'  la
valutazione che il rimettente deve fare in ordine  alla  possibilita'
che  il  procedimento  pendente  possa   o   meno   essere   definito
indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata,  potendo
la Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista,
appaia assolutamente priva di fondamento (ex plurimis, sentenze n. 91
del 2013, n. 41 del 2011 e n. 270 del  2010)»  (sentenza  n.  71  del
2015). 
    Un simile presupposto non si verifica  nel  caso  di  specie,  in
quanto il rimettente ha motivato in maniera non implausibile circa la
portata innovativa della norma impugnata, soprattutto rispetto ad  un
assetto normativo e  giurisprudenziale  che,  fino  a  quel  momento,
avrebbe a suo avviso consolidato l'opposta  configurazione  dei  beni
estimati come beni privati. 
    5.- Nel merito, la questione relativa alla  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., e' fondata. 
    5.1.- Con la legge regionale n. 35 del 2015 la Regione Toscana ha
dettato un'organica disciplina dell'attivita' estrattiva  nell'ottica
di salvaguardare, come risulta dallo stesso preambolo della legge, le
«particolarita' storiche, giuridiche ed economiche che caratterizzano
i beni compresi nel suo territorio», tra i quali  rientrano  anche  i
cosiddetti beni estimati, di  cui  all'editto  della  duchessa  Maria
Teresa Cybo Malaspina del 1° febbraio 1751. 
    I beni estimati sono cave di limitate dimensioni territoriali, le
quali, in ragione delle peculiari caratteristiche morfologiche che le
contraddistinguono,  non  sono  ormai  coltivabili  singolarmente   e
risultano in parte  incorporate  all'interno  di  una  stessa  unita'
produttiva insieme a cave pubbliche, soggette a concessioni comunali. 
    Davanti  alle  moderne  tecnologie  che   rendono   sempre   piu'
opportuna, ai  fini  dell'efficienza  dell'attivita'  estrattiva,  la
gestione comune di cave contigue,  anche  se  assoggettate  a  regimi
giuridici diversi; davanti alle disfunzioni dovute a tale  diversita'
di regime ed insite nell'esperimento della procedura di gara per  una
soltanto di  esse;  e  davanti  infine  alle  sempre  piu'  avvertite
esigenze ambientali che richiedono rigorose regole di tutela,  comuni
per tutte le cave, il legislatore regionale ha  ritenuto  di  poterle
sottoporre ad un medesimo regime concessorio, sulla  premessa  che  i
beni estimati appartengano al patrimonio indisponibile del Comune. 
    5.2.- E' ben possibile che tale premessa  sia  la  piu'  conforme
all'intento e alla ratio dell'editto teresiano del  1751,  che  venne
adottato dalla sovrana nella non  modificata  cornice  dello  statuto
dato a Carrara dal suo predecessore Alberico nel 1574. 
    In base allo statuto tutti gli agri marmiferi erano di proprieta'
delle antiche vicinanze, da chiunque fossero detenuti e utilizzati, e
i  detentori  erano  percio'  tenuti  al  pagamento  alle   vicinanze
dell'annuale livello. 
    L'editto di Maria Teresa si limitava a cancellare  l'obbligo  del
livello per le cave per le quali esso non fosse stato pagato da  piu'
di venti anni. Le cave  cosi'  identificate  vennero  definite  «beni
estimati». 
    Quali fossero tali beni e quale dovesse essere il loro  effettivo
regime giuridico fu materia di controversia negli anni successivi. 
    Dopo venti anni, un nuovo editto  -  la  cosiddetta  legge  delle
usurpazioni del 1771 - affido' ad un'apposita commissione il  compito
di effettuare una ricognizione dei  beni  vicinali  e  di  recuperare
quelli indebitamente  occupati,  ma  questo  lavoro  non  ebbe  alcun
seguito. 
    Una  nuova   commissione   fu   istituita   dalla   notificazione
governatoriale Petrozzani del 1823 per verificare la legittimita' del
possesso di tutte le cave, ma anche questa si concluse  senza  esito.
Ne' la situazione muto' con il nuovo catasto  terreni  del  1905.  Il
Comune  distinse  le  cave  in  tre  diverse  tipologie  -  cave   in
concessione, concordate e contestate - ma non  si  attivo'  presso  i
possessori affinche' chiedessero il rilascio delle  concessioni,  ne'
avvio' le procedure per regolarizzare i mappali contestati. 
    Nel 1928 una nuova ordinanza del Podesta' fisso'  un  termine  di
trenta giorni per la presentazione delle domande  di  rilascio  delle
concessioni. Le domande furono raccolte e catalogate, ma  ancora  una
volta, come nei precedenti tentativi di riordino, non si  arrivo'  ad
un risultato utile. 
    Nel 1955 la commissione  di  esperti  incaricata  dal  Comune  di
predisporre il regolamento per la concessione  degli  agri  marmiferi
comunali, ai sensi dell'art. 64, comma 3, del regio decreto 29 luglio
1927, n. 1443 (Norme di carattere  legislativo  per  disciplinare  la
ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno), qualifico' i beni
estimati come beni di proprieta' privata; nondimeno il  Comune,  fino
al 1994, non adotto' alcun regolamento. 
    Le vicende successive all'editto del 1751, dunque,  sono  segnate
da una sequenza di plurisecolari  inefficienze  dell'amministrazione,
che hanno impedito le verifiche e gli accertamenti necessari a  porre
ordine alla materia. 
    5.3.- Tuttavia, e' un dato storicamente incontrovertibile che nel
diritto vivente venutosi a consolidare nei  secoli  diciannovesimo  e
ventesimo, i beni estimati non sono trattati come  beni  appartenenti
al patrimonio indisponibile del Comune, al quale dal 1812 erano stati
trasferiti i beni delle vicinanze allora abolite. 
    E' un fatto che il Comune di Carrara non ha mai  incluso  i  beni
estimati tra quelli appartenenti al proprio patrimonio indisponibile;
e che, quando, nel 1994, ha adottato il suo primo regolamento che, ai
sensi della legge  mineraria  del  1927,  poneva  fine  alla  vigente
legislazione estense, quei beni non sono stati trattati. 
    La stessa legge regionale 5 dicembre  1995,  n.  104  (Disciplina
degli agri marmiferi dei Comuni di  Massa  e  Carrara),  con  cui  la
Regione ha per la prima volta disciplinato la materia  -  istituendo,
fra l'altro, un nuovo sistema concessorio di matrice  regionale,  con
il quale viene reciso ogni legame con il livello estense -  qualifica
gli agri marmiferi di  Massa  e  Carrara  come  beni  del  patrimonio
indisponibile comunale «se di essi il Comune risulti proprietario  ai
sensi delle normative in atto all'entrata in vigore  della  presente»
(art. 1, commi 1 e 2). 
    Di conseguenza, la riconduzione dei beni  estimati  ai  beni  del
patrimonio indisponibile del Comune operata dall'impugnato  art.  32,
comma 2, si configura alla stregua  di  un'interpretazione  autentica
dell'editto di Maria Teresa, effettuata con legge della  Regione,  in
palese contrasto con tutta la prassi precedente. Cio', in  base  alla
giurisprudenza  di  questa  Corte,  esula,   nella   materia,   dalle
competenze della Regione. 
    Infatti, «come precisato da questa Corte con la sentenza  n.  232
del 2006, la potesta' di interpretazione autentica spetta a  chi  sia
titolare della funzione legislativa nella materia  cui  la  norma  e'
riconducibile» (sentenza n. 290  del  2009).  Ed  e'  innegabile  che
l'individuazione della natura pubblica o privata dei beni  appartiene
all'«ordinamento civile». 
    Pertanto,  la  Regione  ha  ecceduto  i  limiti   della   propria
competenza legislativa, violando l'art. 117, secondo  comma,  lettera
l), Cost. Il che e' accaduto non in ragione degli interessi  pubblici
che il legislatore regionale ha inteso tutelare, ma  perche'  a  tale
tutela la Regione deve, se lo ritiene, provvedere con  le  competenze
che possiede,  non  con  competenze  che  costituzionalmente  non  le
spettano. 
    6.- Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.