ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis  del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei  reati
in materia di imposte sui redditi e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999,  n.  205),  promosso  dal
Tribunale di Treviso nel procedimento penale a carico di B.  M.,  con
ordinanza del 31 marzo 2015, iscritta al n. 10 del registro ordinanze
2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,
prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  B.  M.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, con ordinanza  del  31  marzo  2015,  il  Tribunale
ordinario  di  Treviso,  ha  sollevato  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis  del  decreto  legislativo  10  marzo
2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in  materia  di  imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205): 
    a) per contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione,
in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e  reso
esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98; 
    b) per contrasto con l'art. 3 Cost.,  nella  parte  in  cui,  con
riferimento ai fatti commessi sino  al  17  settembre  2011,  punisce
l'omesso versamento delle ritenute  risultanti  dalla  certificazione
rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore  ad  euro  50.000
per ciascun periodo d'imposta, anziche' ad euro 103.291,38; 
    che il giudice a quo premette di essere chiamato a  giudicare,  a
seguito della riunione di tre procedimenti di opposizione  a  decreto
penale di condanna, una persona imputata  del  reato  previsto  dalla
norma  censurata  per  aver   omesso   di   versare,   quale   legale
rappresentante di  una  societa'  per  azioni,  ritenute  alla  fonte
risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti  relative  a
tre diversi anni d'imposta: il 2007, per un importo di  euro  76.687;
il 2008, per un importo di euro 512.541; il 2009, per un  importo  di
euro 313.176; 
    che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata si porrebbe in
contrasto con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  al
principio del ne bis in idem sancito dall'art. 4 del Protocollo n.  7
alla CEDU, in forza del  quale  «Nessuno  puo'  essere  perseguito  o
condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato  per  un
reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato  a  seguito  di
una sentenza definitiva conformemente alla  legge  e  alla  procedura
penale di tale Stato»; 
    che, secondo un consolidato orientamento della Corte europea  dei
diritti   dell'uomo,   ai   fini   dell'applicazione   della   citata
disposizione si deve  tenere  conto  non  della  mera  qualificazione
formale attribuita alla misura dalla legislazione nazionale, ma della
natura effettiva della sanzione cui il  soggetto  si  trova  esposto,
desunta dalla sua gravita' e afflittivita'; 
    che, nella specie, in base a quanto dedotto e  documentato  dalla
difesa, gli omessi versamenti  di  ritenute  contestati  all'imputato
sono stati sanzionati ai sensi dell'art. 13 del  decreto  legislativo
18 dicembre 1997, n.  471  (Riforma  delle  sanzioni  tributarie  non
penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore  aggiunto
e di riscossione dei tributi, a norma  dell'articolo  3,  comma  133,
lettera q, della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662),  che  prevede
l'applicazione di una sanzione  amministrativa  pari  al  trenta  per
cento dell'importo non versato; 
    che le sanzioni irrogate sono gia' state interamente  pagate  per
l'anno 2007, mentre per gli  anni  2008  e  2009  sono  in  corso  di
pagamento    secondo    i    piani    di    ammortamento    stabiliti
dall'amministrazione    finanziaria:    sicche'    i    provvedimenti
sanzionatori amministrativi dovrebbero ritenersi ormai definitivi; 
    che  le  sanzioni  in  questione,  per   la   loro   gravita'   e
afflittivita', avrebbero senza dubbio natura sostanzialmente  penale:
con la conseguenza che, ove l'imputato abbia gia' pagato la sanzione,
la sua sottoposizione a procedimento penale per il medesimo fatto  si
tradurrebbe in un bis in idem lesivo della garanzia convenzionale; 
    che, in senso  contrario,  non  varrebbe  evocare  l'orientamento
della giurisprudenza di legittimita' secondo il quale tra  l'illecito
sanzionato in via amministrativa dall'art. 13 del d.lgs. n.  471  del
1997 e quello penalmente represso dall'art. 10-bis del d.lgs.  n.  74
del  2000  non  sussisterebbe  un  rapporto  di  specialita',  ma  di
«progressione»,  posto  che  il  primo  resta  integrato  dall'omesso
versamento delle ritenute alle singole scadenze  mensili,  mentre  il
secondo postula un omesso versamento di entita'  superiore  a  50.000
euro per periodo d'imposta che si protragga sino  al  termine  finale
per  la  presentazione  della  dichiarazione  annuale  di   sostituto
d'imposta; 
    che  detto  indirizzo  giurisprudenziale  apparirebbe,   infatti,
superato dal costante orientamento della Corte di Strasburgo, secondo
il quale, ai fini dell'applicazione dell'art. 4 del Protocollo  n.  7
alla CEDU, occorre verificare se i fatti siano i  medesimi  sotto  il
profilo storico-naturalistico, e non dal  punto  di  vista  del  loro
inquadramento giuridico; 
    che, nell'ipotesi in esame, la sostanziale  identita'  dei  fatti
risulterebbe incontestabile, giacche' la condotta  integrativa  tanto
dell'illecito  amministrativo  che  dell'illecito   penale   consiste
nell'omesso versamento delle ritenute certificate,  senza  che  possa
assumere rilievo la diversita' dei termini  di  adempimento  previsti
dalle due normative; 
    che la questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo,
essendo provato che, per tutte le  annualita'  d'imposta  di  cui  si
discute,  il   procedimento   per   l'applicazione   della   sanzione
amministrativa prevista dall'art. 13 del d.lgs. n. 471  del  1997  e'
stato definito: con la conseguenza che, in caso di accoglimento della
questione, l'imputato dovrebbe essere prosciolto  da  tutti  i  reati
contestatigli; 
    che la norma censurata si porrebbe, altresi',  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost., nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi
sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso  versamento  di  ritenute
per importi non superiori ad euro 103.291,38 per  periodo  d'imposta:
cio', in ragione della ingiustificata disparita' di trattamento della
fattispecie considerata  rispetto  a  quella  dell'omesso  versamento
dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), di cui  all'art.  10-ter  del
d.lgs. n. 74 del 2000, quale risultante a seguito della  sentenza  n.
80 del 2014 della Corte costituzionale; 
    che entrambe le norme avrebbero, infatti, riguardo  a  situazioni
nelle quali il detentore di somme di spettanza del fisco ne omette il
versamento alle scadenze previste dalla  legge,  pur  dopo  essersene
dichiarato debitore nelle dichiarazioni annuali e, quindi, in assenza
di  comportamenti  fraudolenti  nei  confronti   dell'amministrazione
finanziaria; 
    che l'equivalenza delle due condotte sarebbe confermata dal fatto
che l'art. 10-ter richiama il  precedente  art.  10-bis  al  fine  di
individuare tanto la soglia  di  punibilita'  che  la  pena:  il  che
renderebbe irrazionale la permanenza di soglie di punibilita' diverse
in relazione ai soli fatti commessi sino al 17 settembre 2011; 
    che anche con riguardo all'omesso versamento di ritenute sarebbe,
d'altro canto, ravvisabile l'ingiustificata disparita' di trattamento
rispetto ai delitti di cui agli artt. 4 e 5  del  d.lgs.  n.  74  del
2000,  riscontrata  dalla  sentenza  n.  80  del  2014  in  relazione
all'omesso versamento dell'IVA: la dichiarazione infedele e  l'omessa
dichiarazione costituirebbero, infatti,  illeciti  incontestabilmente
piu' gravi, sul piano  dell'attitudine  lesiva  degli  interessi  del
fisco, rispetto all'omesso versamento di somme di cui il contribuente
si e' comunque riconosciuto debitore; 
    che anche tale questione sarebbe rilevante nel  giudizio  a  quo,
giacche', in caso di suo accoglimento l'imputato andrebbe  esente  da
responsabilita'  penale  per  l'omesso  versamento   delle   ritenute
relative all'anno d'imposta 2007,  il  cui  importo  e'  inferiore  a
103.291,38 euro; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili  o,  in
subordine, infondate; 
    che si e' costituito, altresi', B.M.,  imputato  nel  giudizio  a
quo, il quale ha svolto deduzioni adesive alle tesi  del  rimettente,
chiedendo l'accoglimento delle questioni. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di  Treviso  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
10 marzo 2000, n. 74  (Nuova  disciplina  dei  reati  in  materia  di
imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a  norma  dell'articolo  9
della legge 25 giugno 1999, n. 205), ventilandone il contrasto: 
    a) con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in  relazione
all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU),  adottato
a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato  e  reso  esecutivo  con
legge 9 aprile 1990, n. 98; 
    b) con l'art. 3 Cost., nella parte in  cui,  con  riferimento  ai
fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento
delle  ritenute  risultanti  dalla   certificazione   rilasciata   ai
sostituiti per un ammontare non superiore ad euro 103.291,38; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'  intervenuto
il decreto legislativo 24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del
sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1,  della
legge 11 marzo 2014, n. 23), che ha apportato un ampio  complesso  di
modifiche al  sistema  sanzionatorio  tributario,  tanto  penale  che
amministrativo; 
    che,  nel  quadro  degli  interventi  di  revisione  del  sistema
sanzionatorio penale, l'art. 7  del  citato  decreto  legislativo  ha
modificato anche la norma censurata, stabilendo, per un verso, che le
ritenute, il cui omesso versamento  assume  rilievo  penale,  possano
risultare, oltre che dalla certificazione rilasciata  ai  sostituiti,
anche dalla dichiarazione di  sostituto  d'imposta  (donde  il  nuovo
nomen  iuris  del  reato,  risultante  dalla  rubrica,   di   «Omesso
versamento di ritenute dovute o certificate») e innalzando, al  tempo
stesso - per quanto qui piu' interessa -  la  soglia  di  punibilita'
dell'illecito dai precedenti 50.000 euro a 150.000 euro  per  ciascun
periodo d'imposta: dunque, ad un importo piu' elevato di  quello  che
il giudice a quo  ha  chiesto  a  questa  Corte  di  introdurre,  con
riguardo ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011; 
    che la novella  legislativa  del  2015  ha,  inoltre,  sostituito
l'art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, introducendo una speciale  causa
di non punibilita' di taluni reati tributari  -  tra  cui  quello  di
omesso versamento delle ritenute dovute  o  certificate  -  collegata
all'integrale  pagamento  del  debito  tributario,   comprensivo   di
sanzioni amministrative e interessi,  prima  della  dichiarazione  di
apertura del dibattimento di primo grado; 
    che il comma 3 del novellato art. 13  stabilisce,  altresi',  che
qualora, prima dell'apertura del dibattimento, il  debito  tributario
risulti in fase di estinzione mediante  rateizzazione,  e'  accordato
all'imputato - al fine di fruire della causa di non punibilita' -  un
termine di tre mesi, prorogabile, a discrezione del giudice, una sola
volta e per non oltre (ulteriori) tre mesi; 
    che secondo quanto riferito dal giudice a quo, nel caso di specie
il debito tributario e' gia' stato estinto con riguardo ad uno  degli
anni  d'imposta  in  contestazione  (il  2007),  mentre  per  le  due
annualita' successive e' in corso di estinzione sulla base del  piano
di ammortamento stabilito dall'amministrazione finanziaria; 
    che, conformemente a  quanto  gia'  deciso  da  questa  Corte  in
rapporto ad analoghe questioni (con  riguardo  a  questione  volta  a
denunciare la violazione del  principio  «ne  bis  in  idem»  sancito
dall'art. 4 del Protocollo n. 7 alla  CEDU,  come  conseguenza  della
duplicazione di  procedimenti  sanzionatori  in  materia  tributaria,
ordinanza n.  112  del  2016;  con  riguardo  a  questioni  intese  a
censurare la soglia di punibilita' dell'omesso versamento di ritenute
certificate, ordinanze n. 89 e n. 14 del 2016, n. 256 del  2015),  va
quindi disposta la restituzione degli atti al giudice a  quo  per  un
nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza  delle
questioni sollevate alla luce del mutato quadro  normativo:  cio',  a
prescindere da ogni rilievo riguardo alla carenza, nel caso di specie
- eccepita dall'Avvocatura generale dello Stato - del presupposto  di
applicabilita'  dell'evocato  principio   del   ne   bis   in   idem,
rappresentato  dall'identita'  del  soggetto  sottoposto  a   duplice
procedimento sanzionatorio per il medesimo fatto (essendo  l'imputato
nel giudizio  a  quo  chiamato  a  rispondere  del  reato  di  omesso
versamento delle ritenute nella veste di legale rappresentante di una
societa' per azioni, alla quale soltanto sono state dunque  applicate
le sanzioni amministrative, in base a quanto disposto dall'art. 7 del
d.l. 30 settembre 2003, n. 269,  recante  «Disposizioni  urgenti  per
favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici», convertito, con modificazioni,  dalla  legge  24  novembre
2003, n. 326). 
    Visto l'art. 9, comma 2, delle norme integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale.