ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9,  comma
4, 13, comma 7, lettere a) e c), 17, commi 3 e 4, 18 e 45 della legge
della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24  (Codice  del  commercio),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
spedito per  la  notificazione  il  22  giugno  2015,  depositato  in
cancelleria il 25 giugno 2015  e  iscritto  al  n.  70  del  registro
ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  4  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato  Marcello  Cecchetti  per  la
Regione Puglia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 22 giugno 2015 (Reg. ric. n. 70 del
2015), il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato  gli
articoli 9, comma 4, 13, comma 7, lettere a) e c), 17, commi 3  e  4,
18 e 45 della legge della  Regione  Puglia  16  aprile  2015,  n.  24
(Codice del Commercio), per violazione degli artt. 3, 41, 97  e  117,
primo e secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione. 
    1.1.- I censurati artt. 9, comma 4, e 13, comma  7,  lettera  c),
intervengono nell'ambito degli orari di apertura e di chiusura  degli
esercizi commerciali, stabilendo rispettivamente che: la Regione e  i
Comuni promuovano «accordi  volontari»  fra  gli  operatori  volti  a
garantire il rispetto e l'attuazione delle disposizioni in materia di
sostegno della maternita' e paternita' e di coordinamento  dei  tempi
della citta', nonche' in materia di poteri del Sindaco di  coordinare
e riorganizzare gli orari delle predetta attivita'; il Comune,  nella
elaborazione  di  «progetti  di  valorizzazione  commerciale»,  possa
prevedere interventi in materia di orari di apertura. 
    Secondo il ricorrente le norme  di  cui  sopra  violerebbero,  in
primo luogo, l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  che
riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la  materia
«tutela  della  concorrenza»,  in  quanto  regolano   una   variabile
concorrenziale, qual e' quella degli orari  di  apertura  e  chiusura
degli esercizi commerciali, che lo Stato ha disciplinato nell'art. 31
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per
la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n.  214,  secondo  cui  le  attivita'  commerciali  si
esercitano senza vincoli e prescrizioni riguardanti il rispetto degli
orari di  apertura  e  di  chiusura:  del  resto,  la  giurisprudenza
costituzionale avrebbe, per tale ragione, gia'  ritenuto  che  questa
norma statale sia vincolante per le Regioni nelle sentenze n. 65 e n.
27 del 2013 e n. 299 del 2012. 
    Inoltre, e piu' specificamente, l'art. 9, comma  4,  della  legge
reg. Puglia n. 24 del 2015, promuovendo  esplicitamente  accordi  tra
operatori  volti  a  creare  un  coordinamento  consapevole  su   una
variabile concorrenziale, qual e' appunto  l'orario  degli  esercizi,
legittimerebbe intese restrittive della concorrenza vietate dall'art.
2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287  (Norme  per  la  tutela  della
concorrenza  e  del  mercato)  e  dall'art.  101  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma  il  25
marzo 1957, cosi' violando anche l'art. 117, primo comma, Cost.,  che
impone il rispetto degli obblighi assunti nei  confronti  dell'Unione
europea anche da parte del legislatore regionale. 
    Ne', secondo la difesa dello Stato,  a  legittimare  l'intervento
legislativo regionale varrebbe il riferimento ai capi I e  VII  della
legge 8 marzo  2000,  n.  53  (Disposizioni  per  il  sostegno  della
maternita' e della paternita',  per  il  diritto  alla  cura  e  alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta'), e all'art.
50, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267  (Testo
unico  delle  leggi   sull'ordinamento   degli   enti   locali).   Si
tratterrebbe, infatti, di disposizioni  anteriori  alla  riforma  del
titolo V della Costituzione che «vanno, quindi, considerate  superate
dalla legislazione statale sopravvenuta, e in  particolare  dall'art.
31 d.l. 201/2011». Inoltre, l'illimitata discrezionalita'  attribuita
all'ente locale attraverso tali generici riferimenti  alla  normativa
statale, introdurrebbe un elemento  di  incertezza  nella  disciplina
dell'attivita' commerciale, cosi' da rappresentare un altro vulnus al
corretto svolgimento della concorrenza. 
    1.2.- Il ricorrente censura, inoltre, l'art. 13, comma 7, lettera
a), della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, che consente  ai  Comuni,
nell'ambito dei progetti di valorizzazione commerciale, di vietare la
vendita di  particolari  merceologie  o  l'attivita'  in  particolari
settori merceologici. 
    La norma regionale, pertanto,  reintrodurrebbe  limitazioni  gia'
abrogate dal legislatore statale nell'esercizio della sua  competenza
esclusiva in materia di «tutela della concorrenza», segnatamente  con
l'art. 34, comma 3, lettera d), della legge n. 214 del  2011  (recte:
del d.l. n. 201 del 2011) e con l'art. 3, comma 9, lettera f),  della
legge 14 settembre 2011, n. 148 (recte: del decreto-legge  13  agosto
2011,  n.   138,   recante   «Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo.»),  che  vietano  le
limitazioni merceologiche. 
    1.3.- Riguardo al censurato art. 17 della legge reg. Puglia n. 24
del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come  la
disposizione, al comma 3,  subordini  ad  autorizzazione  commerciale
l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento  di  settore  di
vendita o l'ampliamento della superficie di  una  "media"  o  "grande
struttura  di  vendita"  e,  al  comma  4,  preveda  per  i   "centri
commerciali" e per le "aree commerciali integrate" che l'apertura, il
trasferimento di  sede,  il  cambiamento  di  settore  di  vendita  e
l'ampliamento della  superficie  necessitino  di  autorizzazione  per
l'intero centro e di autorizzazione  o  segnalazione  certificata  di
inizio attivita' (SCIA), a seconda  della  dimensione,  per  ciascuno
degli esercizi al dettaglio presenti nel centro medesimo. 
    Secondo il ricorrente, detta normativa si porrebbe  in  contrasto
con i principi di semplificazione e liberalizzazione stabiliti  dalla
legislazione statale e, segnatamente,  dall'art.  19  della  legge  7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento  amministrativo)  -
secondo cui la SCIA e' sostitutiva di ogni atto di  autorizzazione  o
licenza per l'esercizio di un'attivita' commerciale - e  dagli  artt.
31 e 34 della legge n. 214 del 2011  (recte:  del  d.l.  n.  201  del
2011), nonche' «dall'art. 1 della legge 27/2012», che  hanno  abolito
le autorizzazioni espresse, con la sola  esclusione  degli  interessi
pubblici piu' sensibili indicati dalla Direttiva n.  2006/123/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa  ai
servizi nel mercato interno. 
    Rimarca la difesa dello Stato, che  le  disposizioni  statali  in
materia   di   SCIA   costituiscono,   secondo   la    giurisprudenza
costituzionale (viene citata la sentenza n. 164  del  2012),  livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
di tal che la loro  violazione  determina  un  vulnus  all'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., che riserva in via  esclusiva  alla
competenza dello Stato la legislazione in materia. 
    Sotto   altro   profilo,   la   trasgressione   alle   norme   di
liberalizzazione contenute nella predetta normativa statale - la  cui
immediata portata precettiva e abrogativa sarebbe stata riconosciuta,
con riferimento all'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, dalla  sentenza
n. 125 del 2014 della Corte costituzionale - altererebbe altresi'  le
condizioni di piena concorrenza tra gli operatori, cosi'  da  violare
anche l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    1.4.- Il ricorrente censura anche  l'art.  18  della  legge  reg.
Puglia n. 24 del 2015, secondo cui i Comuni debbono  individuare  nei
loro  strumenti  urbanistici  le  aree  idonee  all'insediamento   di
strutture commerciali,  stabilendo  altresi'  che  l'insediamento  di
"grandi strutture di vendita" e di "medie  strutture  di  vendita  di
tipo M3" sia consentito solo in aree con profilo urbanistico idoneo e
oggetto di piani urbanistici attuativi, al fine di prevedere opere di
mitigazione ambientale, di  miglioramento  dell'accessibilita'  e  di
riduzione dell'impatto socio-economico. 
    Secondo la difesa dello Stato,  la  predeterminazione  con  legge
regionale di nuovi divieti di localizzazione, avulsa da una  verifica
territoriale o da forme di coinvolgimento e  partecipazione  popolare
nelle forme del giusto procedimento,  non  potrebbe  essere  compresa
nell'esercizio  del  potere   di   pianificazione   urbanistica,   ma
determinerebbe un limite allo sviluppo  del  commercio  condizionando
l'insediamento di nuove attivita', in contrasto con gli artt. 3,  41,
97 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  alla  citata
Direttiva n. 2006/123/CE. 
    Ad avviso del ricorrente, infatti, dagli artt. 31, comma 2, e 34,
comma 3, della legge n. 214 del 2011 (recte:  del  d.l.  n.  201  del
2011) e dall'«art. 1  della  legge  n.  27/2012»  si  ricaverebbe  il
principio secondo cui nel nucleo essenziale delle liberta' economiche
rientrerebbe quella di localizzare  le  attivita'  commerciali  senza
divieti e limiti preventivi, cosi' da consentire il pieno svolgimento
della concorrenza tra gli operatori. 
    La censurata normativa regionale, ponendosi in contrasto con tali
disposizioni,  violerebbe,  quindi,  la  liberta'   economica   degli
operatori (artt. 3 e 41 Cost.), l'interesse alla riduzione al  minimo
dei vincoli amministrativi (rilevante ex art. 97  Cost.)  e,  infine,
quelle sulla competenza statale esclusiva in materia di «tutela della
concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e). Infatti, stabilire
che qualunque  struttura  commerciale,  indipendentemente  dalle  sue
dimensioni e dal suo oggetto, possa insediarsi nel territorio solo se
cio'  sia   previsto   in   uno   strumento   urbanistico   comunale,
significherebbe  condurre  la  pianificazione  urbanistica  oltre  il
proprio limite naturale di prescrizione delle  destinazioni  generali
del  territorio,  per  diventare  uno  strumento  di   programmazione
dell'attivita' economica, che pone i presupposti  per  l'introduzione
di vincoli, divieti e disparita' di trattamento a  base  territoriale
di intere categorie di attivita' di  commercio  o  tra  attivita'  di
commercio analoghe. 
    Inoltre, subordinare  l'insediamento  di  strutture  di  notevoli
dimensioni - ma fra loro eterogenee (in quanto estese da un minimo di
1.501  metri  quadri  ad  un  massimo  di  15.000  metri  quadri)   -
all'adozione di un  «piano»  urbanistico  attuativo,  significherebbe
condizionare   l'attivita'   economica   a   preliminari    decisioni
amministrative latamente discrezionali, escludendo arbitrariamente la
possibilita' di attuazione convenzionata con il privato. 
    1.5.- Il ricorrente impugna, infine, l'art. 45 della  legge  reg.
Puglia n. 24 del 2015, secondo cui i nuovi impianti di  distribuzione
del  carburante  devono  essere  dotati   di   almeno   un   prodotto
ecocompatibile GPL o metano, «a condizione che non vi siano  ostacoli
tecnici o oneri economici eccessivi». 
    In tal modo, secondo la difesa dello Stato, viene introdotta  una
barriera all'accesso al mercato della distribuzione di carburanti  in
rete, perche' si introduce un obbligo asimmetrico  (gravante,  cioe',
solo  sugli  operatori  nuovi  entranti)  di  fornire   un   prodotto
eco-compatibile:  in  particolare  la  norma   regionale   stabilisce
l'obbligo come regola, prevedendo come eccezione la  possibilita'  di
dimostrare che ottemperare a tale obbligo determini ostacoli  tecnici
o oneri economici eccessivi  e  sproporzionati  (cosi'  da  addossare
l'onere della prova al richiedente), mentre la legislazione statale -
segnatamente l'art. 17, comma 5, del decreto-legge 24  gennaio  2012,
n. 1 (Disposizioni urgenti per  la  concorrenza,  lo  sviluppo  delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27  -  pone  come
regola la liberta' di iniziativa e come  eccezione  l'imposizione  di
obblighi    asimmetrici,    subordinandoli    al    rispetto    della
proporzionalita' (il cui onere probatorio ricade,  quindi,  sull'ente
che rilascia l'autorizzazione). 
    Palese sarebbe, pertanto, la violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. in  punto  di  tutela  della  concorrenza  e
dell'art. 117, primo comma, Cost. per mancato rispetto degli obblighi
assunti nei confronti dell'Unione europea. 
    2.- Con memoria depositata il 30  luglio  2015,  giusta  delibera
della Giunta regionale 22 luglio 2015, n. 1503, si e'  costituita  in
giudizio la Regione Puglia, chiedendo che il ricorso  sia  dichiarato
inammissibile o infondato. 
    2.1.- In particolare, in relazione agli artt. 9, comma 4,  e  13,
comma  7,  lettera  c),  della  legge  regionale  n.  24  del   2015,
concernenti gli orari degli esercizi commerciali, la Regione contesta
l'ammissibilita' della censura  relativa  alla  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., in quanto il ricorso non  enuncia  i  motivi
per i quali gli «accordi» tra operatori, previsti dalle  disposizioni
censurate, sarebbero riconducibili alle «intese» vietate dall'art.  2
della legge n. 287 del 1990 e dall'art. 1 del TFUE. 
    In ogni caso, ad avviso della resistente, questa censura  sarebbe
infondata nel merito, in quanto gli accordi predetti, concernendo gli
orari di apertura, hanno oggetto  diverso  rispetto  a  quello  delle
intese vietate dalla legislazione sulla concorrenza e  non  sarebbero
riconducibili a restrizioni dell'offerta quantitativa.  Inoltre,  gli
accordi in parola sarebbero inidonei a  incidere  sulla  concorrenza,
rimanendo il singolo commerciante libero di aderirvi o meno. Aggiunge
poi la Regione Puglia che palese  risulterebbe  l'infondatezza  della
censura  relativa  all'art.  13,  comma  7,  lettera  c),  in  quanto
quest'ultima previsione non contempla - e, quindi,  non  incentiva  -
alcun tipo di accordi e, come tale, non  potrebbe  violare  in  alcun
modo il divieto di intese. 
    2.2.- Riguardo poi ai medesimi artt. 9, comma 4, e 13,  comma  7,
lettera c),  la  censura  relativa  alla  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost. sarebbe infondata. 
    Ad avviso della resistente, infatti,  le  disposizioni  censurate
non si tradurrebbero in vere e  proprie  «imposizioni  normative»  di
orari di apertura, queste si'  vietate,  ma  rientrerebbero  in  quel
minimo margine di  azione  che  sul  punto  deve  ritenersi  comunque
residuare in capo al legislatore regionale, in quanto titolare  della
competenza in materia di  «commercio».  Infatti,  secondo  la  difesa
della  Regione  Puglia,  sia  il  legislatore   nazionale,   sia   la
giurisprudenza  costituzionale,  hanno   mostrato   di   essere   ben
consapevoli  che  una  «totale  anarchia»  degli  orari  di  apertura
potrebbe collidere con molteplici  interessi  collettivi  di  rilievo
costituzionale, che proprio con le disposizioni  regionali  impugnate
verrebbero tutelati. 
    2.3.- Con riferimento all'art. 13, comma  7,  lettera  a),  della
legge regionale n. 24 del 2015, la resistente  ha  osservato  che  la
censura relativa alla violazione dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.
sarebbe inammissibile, in quanto detto parametro  costituzionale  non
risulta indicato nella delibera del Consiglio  dei  ministri  che  ha
autorizzato il  giudizio,  ne'  nel  ricorso  e'  stato  indicato  il
parametro interposto che, essendo trasgredito dalla norma  regionale,
determinerebbe la violazione costituzionale. 
    In ogni caso, la censura sarebbe infondata nel merito  anche  con
riguardo  alla  dedotta  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., in quanto la disposizione regionale non sarebbe in
grado, di per se', di determinare alcun vulnus alla Costituzione. 
    La  norma  regionale,  infatti,  si   limiterebbe   a   stabilire
genericamente  che,  nell'ambito  dei  progetti   di   valorizzazione
commerciale, i  Comuni  possano  apporre  vincoli  o  restrizioni  di
vendita di particolari merceologie o  settori  merceologici,  con  la
conseguenza che qualsiasi illegittimita' della  restrizione  potrebbe
derivare esclusivamente dal singolo progetto  elaborato  in  concreto
dal  Comune  (come  tale,  da  far  valere   nelle   opportune   sedi
giurisdizionali) e non dalla normativa regionale censurata. 
    2.4.- Le censure  relative  all'art.  17,  commi  3  e  4,  della
medesima legge regionale impugnata, che prevedono autorizzazioni  per
l'apertura,  il  trasferimento   e   l'ampliamento   degli   esercizi
commerciali,  secondo  la  difesa  della  Regione  Puglia,  sarebbero
infondate. 
    Infatti, le norme censurate  non  sarebbero  idonee  a  integrare
alcuna violazione della competenza legislativa esclusiva dello  Stato
in materia di «tutela della concorrenza» (art.  117,  secondo  comma,
lettera e, Cost.), in quanto si limitano a prevedere genericamente la
necessita' di un'autorizzazione comunale, senza null'altro  stabilire
in ordine alle procedure o ai requisiti per il rilascio della  stessa
e, pertanto, senza introdurre alcuna deroga alla  disciplina  dettata
dalla vigente legislazione nazionale: anche in questo  caso,  quindi,
non sarebbero le disposizioni legislative regionali a confliggere con
le disposizioni statali in materia,  ma  solo,  ed  eventualmente,  i
criteri autorizzatori in concreto adottati  di  volta  in  volta  dal
Comune. 
    Parimenti non potrebbe  ritenersi  violato  l'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost., in quanto il principio  di  semplificazione
amministrativa, costituente  «livello  essenziale  delle  prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e  sociali»,  trova  corpo  in   una
disciplina statale che gia' prevede  deroghe  a  tutela  di  esigenze
imperative di interesse generale che abbiano rilievo costituzionale. 
    2.5.- Riguardo all'art. 18 della medesima legge regionale  n.  24
del   2015,   concernente   la   localizzazione   di   aree    idonee
all'insediamento di strutture commerciali, la resistente ha osservato
che le censure relative alla violazione degli artt. 3, 41, 97 e  117,
primo comma, Cost. sarebbero inammissibili per la loro genericita'  e
carenza assoluta di motivazione. 
    Le censure sarebbero comunque infondate nel merito  con  riguardo
all'ulteriore parametro costituzionale  dedotto  (art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost.), posto che le stesse disposizioni statali -
e, in particolare, il citato art. 31, comma 2, del d.l.  n.  201  del
2011 -  espressamente  consente  alle  Regioni  di  individuare  aree
interdette agli esercizi commerciali al fine di garantire  la  tutela
della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente,  incluso  l'ambiente
urbano, e dei beni culturali. Nessuna discriminazione  concorrenziale
potrebbe poi realizzarsi per questa via, posto che la norma regionale
lega  l'individuazione  delle  aree  interdette  non  al  "tipo"   di
attivita' commerciale, ma alle "dimensioni" della medesima. La stessa
previsione della necessita' di piani attuativi per le strutture  piu'
grandi, si impone proprio per  consentire  di  valutare,  sulla  base
delle  effettive  dimensioni  dell'insediamento,  la  sussistenza  di
interessi  che  ne  sconsiglino  la  realizzazione  ovvero   che   la
subordinino  a  opere  di   mitigamento   ambientale,   miglioramento
dell'accessibilita' e riduzione dell'impatto socioeconomico. 
    2.6.- In relazione all'art. 45, comma  1,  della  medesima  legge
regionale n. 24 del 2015, la resistente ha osservato che  la  censura
relativa alla violazione dell'art. 117, primo comma,  Cost.,  sarebbe
inammissibile, in quanto il parametro costituzionale dedotto  non  e'
menzionato  nella  delibera  del  Consiglio  dei  ministri   che   ha
autorizzato l'impugnazione e il ricorso non indicherebbe  neppure  il
parametro interposto integrante la violazione costituzionale. 
    La censura sarebbe comunque infondata  nel  merito  con  riguardo
alla dedotta violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost., in  quanto  le  disposizioni  statali  e  regionali  sarebbero
concordi nel sollevare gli operatori dall'obbligo di offerta di  piu'
tipologie di carburanti quando  cio'  comporti  ostacoli  tecnici  od
oneri  economici  eccessivi  e  non  proporzionati   alle   finalita'
dell'obbligo. 
    Una simile lettura  costituzionalmente  orientata  dell'impugnato
art. 45 consentirebbe di escludere qualsiasi  vulnus  costituzionale,
ne'   sarebbe   chiaro,   secondo   la   resistente,   perche'   tale
interpretazione sia stata  esclusa  dalla  Corte  costituzionale  con
riferimento ad una  disposizione  di  analogo  tenore  della  Regione
Umbria - l'art. 44 della legge della Regione Umbria 6 maggio 2013, n.
10  (Disposizioni  in  materia  di  commercio  per  l'attuazione  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e del decreto-legge  24  gennaio
2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo  2012,
n. 27. Ulteriori modifiche ed integrazioni della  legge  regionale  3
agosto 1999, n. 24, della legge regionale 20 gennaio  2000,  n.  6  e
della legge  regionale  23  luglio  2003,  n.  13)  -  che  e'  stata
dichiarata illegittima con la sentenza n. 125 del 2014. 
    3.- Con memoria depositata il 9 settembre 2016, la Regione Puglia
ha ribadito la richiesta di una declaratoria  di  inammissibilita'  o
infondatezza delle questioni sollevate, ulteriormente illustrando  le
ragioni gia' esposte nella memoria di costituzione. 
    3.1.- Ha osservato, in particolare, che le disposizioni di cui al
capo VII della legge n. 53 del 2000 e di cui all'art.  50,  comma  7,
del d.lgs. n. 267 del 2000, cui fa rinvio l'impugnato art.  9,  comma
4,  della  legge  reg.  n.   24   del   2015,   devono   considerarsi
implicitamente abrogate dall'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, di tal
che gli accordi volontari da promuovere sugli orari di lavoro  devono
considerarsi finalizzati alla sola solidarieta'  sociale,  che  nulla
avrebbe a che vedere con le lamentate distorsioni alla concorrenza. 
    3.2.- In ordine all'impugnazione degli artt. 17,  commi  3  e  4,
della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, ha aggiunto che il  Consiglio
dei ministri, in virtu' della  delega  contenuta  nell'art.  5  della
legge 7 agosto 2015,  n.  124  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni), ha approvato il 15
giugno   2016   uno   schema   di   decreto   legislativo    relativo
all'«[i]ndividuazione  di  procedimenti  oggetto  di  autorizzazione,
segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA), silenzio assenso
e  comunicazione  e  di   definizione   dei   regimi   amministrativi
applicabili a  determinate  attivita'  e  procedimenti»,  attualmente
all'esame  della  Conferenza  unificata  per   l'acquisizione   della
prescritta intesa con le Regioni. 
    Nel  predetto  schema  di  decreto  legislativo,  si  prevede  la
necessita'   di   un'autorizzazione    comunale    per    l'apertura,
l'ampliamento e  il  trasferimento  di  sede  delle  medie  e  grandi
strutture  di  vendita,   a   conferma   della   legittimita'   delle
prescrizioni  contenute  nella  disposizione  regionale  impugnata  a
questo proposito. 
    3.3.-   Infine,   in   ordine   alle    prescrizioni    contenute
nell'impugnato art. 45 della legge reg. n. 24 del 2015, in materia di
distribuzione del carburante, la resistente ha richiamato la  recente
sentenza n. 105 del 2016  della  Corte  costituzionale,  che  avrebbe
confermato la legittimita' di disposizioni analoghe  a  quelle  della
Regione Puglia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 22 giugno 2015, il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato gli  articoli  9,  comma  4,  13,
comma 7, lettere a) e c), 17, commi 3 e 4, 18 e 45 della legge  della
Regione Puglia 16 aprile 2015, n.  24  (Codice  del  Commercio),  per
violazione degli artt. 3, 41,  97  e  117,  primo  e  secondo  comma,
lettere e) e m), della Costituzione. 
    1.1.- Piu' precisamente, il ricorrente evidenzia che gli artt. 9,
comma 4, e 13, comma 7, lettera c), della legge reg. Puglia n. 24 del
2015 prevedono interventi regolativi degli orari  di  apertura  e  di
chiusura degli  esercizi  commerciali  attraverso  la  promozione  di
«accordi  volontari»  tra  operatori  e  attraverso   «programmi   di
valorizzazione commerciale». In  tal  modo,  le  citate  disposizioni
violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in  quanto
regolano una variabile concorrenziale che lo Stato  ha  disciplinato,
nell'esercizio  della  sua  competenza  esclusiva   in   materia   di
concorrenza, disponendo - all'art. 31 del  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 -  che  le
attivita' commerciali si  esercitano  senza  vincoli  e  prescrizioni
riguardanti il rispetto degli orari di apertura e di chiusura. 
    1.2.- Con riguardo al solo art. 9, comma 4,  della  citata  legge
regionale n. 24 del 2015, il  ricorrente  reputa  che  tale  norma  -
promuovendo esplicitamente accordi tra operatori volti  a  creare  un
coordinamento consapevole sulla variabile concorrenziale  dell'orario
di apertura degli esercizi - contrasti anche l'art. 117, primo comma,
Cost., in quanto legittimerebbe intese restrittive della  concorrenza
vietate dall'art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la
tutela della concorrenza e del mercato) e dall'art. 101 del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma  il
25 marzo 1957, in violazione degli  obblighi  assunti  nei  confronti
dell'Unione europea. 
    1.3.- La difesa dello Stato  censura  poi  l'art.  13,  comma  7,
lettera a), della stessa legge regionale n. 24 del 2015, che consente
ai  Comuni,  nell'ambito  dei  citati  progetti   di   valorizzazione
commerciale, di vietare  la  vendita  di  particolari  merceologie  o
l'attivita' in particolari settori merceologici. 
    Cosi' facendo la norma  violerebbe  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., in quanto reintroduce  limitazioni  gia'  abrogate
dal legislatore statale nell'esercizio della sua competenza esclusiva
in materia di «tutela della concorrenza», segnatamente con l'art. 34,
comma 3, lettera d), della legge n. 214 del 2011 (recte: del d.l.  n.
201 del 2011) e con l'art. 3, comma 9, lettera  f),  della  legge  14
settembre 2011, n. 148 (recte: del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.
138,  recante  «Ulteriori  misure  urgenti  per  la   stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo»),  che  vietano  le  limitazioni  alla
commercializzazione di determinati prodotti. 
    1.4.- Il ricorrente ha poi osservato che l'art. 17, commi 3 e  4,
della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, subordina  ad  autorizzazione
commerciale l'apertura, il trasferimento di sede, il  cambiamento  di
settore di vendita o l'ampliamento della superficie di una "media"  o
"grande struttura di vendita" e prevede, per i "centri commerciali" e
per le "aree commerciali integrate", che l'apertura, il trasferimento
di sede,  il  cambiamento  di  settore  di  vendita  e  l'ampliamento
necessitino di autorizzazione per l'intero centro e di autorizzazione
o segnalazione certificata di  inizio  attivita'  (SCIA),  a  seconda
della dimensione, per ciascuno degli esercizi al  dettaglio  presenti
nel centro medesimo. 
    Simile norma, ad  avviso  dello  Stato,  violerebbe  l'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., in quanto si pone in contrasto  con
i principi di semplificazione e liberalizzazione stabiliti  in  punto
di  SCIA  dalla  legislazione  statale.  Segnatamente  la  disciplina
regionale contrasterebbe con l'art. 19 della legge 7 agosto 1990,  n.
241 (Nuove norme sul procedimento  amministrativo),  secondo  cui  la
SCIA e' sostitutiva di ogni atto  di  autorizzazione  o  licenza  per
l'esercizio  di  un'attivita'  commerciale.  Allo  stesso   modo   il
contrasto sussisterebbe con gli artt. 31 e 34 della legge n. 214  del
2011 (recte: del d.l. n. 201 del 2011), nonche' con l'«art.  1  della
legge 27/2012»,  che  hanno  abolito  le  autorizzazioni  commerciali
espresse, con la sola esclusione delle autorizzazioni concernenti gli
interessi  pubblici  piu'   sensibili,   indicati   dalla   Direttiva
2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  del  12  dicembre
2006, relativa ai servizi nel mercato interno. 
    La   censurata   previsione   di    un'autonoma    autorizzazione
commerciale, secondo il  ricorrente,  violerebbe  anche  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, ponendosi  in  contrasto
con i sopra citati principi  di  semplificazione  e  liberalizzazione
contenuti  nella  legislazione  statale  ricordata,  altererebbe   le
condizioni di piena concorrenza tra gli operatori. 
    1.5.- Quanto all'art. 18 della legge reg. Puglia n. 24 del  2015,
il ricorrente osserva che la disposizione  stabilisce  che  i  Comuni
debbono individuare nei loro strumenti  urbanistici  le  aree  idonee
all'insediamento di strutture commerciali e  prevedere  altresi'  che
l'insediamento di «grandi strutture di vendita» e di «medie strutture
di vendita di tipo M3»  sia  consentito  solo  in  aree  con  profilo
urbanistico idoneo e oggetto di piani urbanistici attuativi. 
    Detta norma confliggerebbe con gli artt. 3 e 41 Cost.  in  quanto
sacrificherebbe il nucleo essenziale della liberta'  economica  degli
operatori, ricavabile dagli artt. 31, comma 2, e 34, comma  3,  della
legge n. 214 del 2011 (recte: del d.l. n. 201 del 2011) e  dall'«art.
1  della  legge  n.27/2012»;  con  l'art.   97   Cost.,   in   quanto
sacrificherebbe l'interesse degli operatori alla riduzione al  minimo
dei vincoli amministrativi, pure affermato dalle norme statali  sopra
citate; con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  in  quanto
altererebbe le condizioni per il pieno  sviluppo  della  concorrenza,
tutelata dalle norme statali sopra  citate;  con  l'art.  117,  primo
comma, Cost., in quanto contravverrebbe  agli  obblighi  assunti  nei
confronti  dell'Unione  europea   in   merito   alla   tutela   della
concorrenza. 
    1.6.- Infine, e' impugnato l'art. 45 della legge reg.  Puglia  n.
24 del 2015, che stabilisce che i nuovi impianti di distribuzione del
carburante devono essere dotati di almeno un prodotto  ecocompatibile
GPL o metano, «a condizione che non vi siano ostacoli tecnici o oneri
economici eccessivi». 
    In tal modo, la  norma  violerebbe  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., in quanto introduce una  barriera  all'accesso  al
mercato della distribuzione di carburanti in rete, perche' impone  un
obbligo asimmetrico (gravante,  cioe',  solo  sugli  operatori  nuovi
entranti) di fornire un  prodotto  eco-compatibile,  prevedendo  come
eccezione la  possibilita'  di  dimostrare  che  ottemperare  a  tale
obbligo determini ostacoli tecnici  o  oneri  economici  eccessivi  e
sproporzionati  (cosi'  da   addossare   l'onere   della   prova   al
richiedente). Diversamente, la legislazione  statale  -  segnatamente
l'art.  17,  comma  5,  del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27  -  pone  come
regola la liberta'  di  iniziativa,  subordinando  la  previsione  di
eventuali obblighi al rispetto della proporzionalita' (il  cui  onere
probatorio ricade, quindi, sull'ente che rilascia l'autorizzazione). 
    Palese sarebbe, pertanto, la violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. in  punto  di  tutela  della  concorrenza  e
dell'art. 117, primo comma, Cost. per mancato rispetto degli obblighi
assunti nei confronti dell'Unione europea. 
    2.- In via preliminare deve osservarsi  che  la  Regione  Puglia,
regolarmente costituitasi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilita'
di talune delle questioni sollevate. 
    2.1.- In relazione all'impugnazione degli artt. 9, comma 4, e 13,
comma 7, lettera c),  della  legge  regionale  n.  24  del  2015,  ha
eccepito l'inammissibilita' delle questioni  sollevate  con  riguardo
alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., per genericita'  o
carenza della motivazione. 
    L'eccezione e' fondata. 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante nell'affermare  che,
nei  ricorsi  in  via  principale,  non  solo   deve,   a   pena   di
inammissibilita',  essere  individuato  l'oggetto   della   questione
proposta  (con  riferimento  alla  normativa  che  si  censura  e  ai
parametri che si  ritengono  violati),  ma  il  ricorrente  ha  anche
l'onere di esplicitare un'argomentazione di  merito  a  sostegno  del
vulnus  lamentato,  onere  che  deve  considerarsi  addirittura  piu'
pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi  incidentali  (ex
multis,  e  da  ultimo,  sentenza  n.  38  del  2016).  Ancora   piu'
esplicitamente e  proprio  in  relazione  al  rispetto  di  normativa
comunitaria, la sentenza n. 63 del 2016 ha precisato  che  «l'assenza
di   qualsiasi   argomentazione   in   merito   ai   presupposti   di
applicabilita' delle norme dell'Unione europea alla  legge  in  esame
rende il riferimento a queste ultime generico (sentenze  n.  199  del
2012 e n. 185 del 2011)». 
    Nella specie il ricorso si e' limitato  a  individuare  le  norme
censurate e i parametri evocati con  le  relative  norme  interposte,
asserendo semplicemente  che  tali  disposizioni  promuoverebbero  un
coordinamento  consapevole  tra  gli  esercenti  su   una   variabile
concorrenziale, quale  sarebbe  quella  degli  orari  di  apertura  e
chiusura, e che, cosi' facendo, legittimerebbe intese vietate. 
    Tuttavia, lo stesso ricorso non  si  fa  carico  di  ricostruire,
neppure   in   termini    meramente    assertivi,    i    presupposti
(particolarmente articolati) cui e' subordinato il divieto di intese,
con particolare riguardo  alla  natura  della  delega  a  privati  di
decisioni economiche, al  pregiudizio  al  commercio  tra  gli  Stati
membri e alla conseguente applicabilita' della normativa europea alla
specie in esame. Analoghe lacune si evidenziano poi con riguardo alla
rinuncia dell'ente pubblico territoriale a controllare l'applicazione
del divieto, agli elementi da cui dedurre (anche solo  astrattamente)
la probabilita' che si verifichino  significative  alterazioni  della
concorrenza, alla natura diretta o indiretta  della  influenza  sulla
concorrenza medesima, rinunciando, del resto, ad una completa, e  pur
necessaria, indicazione della conferente  giurisprudenza  comunitaria
o, almeno, delle indicazioni da questa desumibili. 
    Sotto questo profilo, pertanto, la censura sembra  effettivamente
generica e, come tale, inammissibile  limitatamente  al  citato  art.
117, primo comma, Cost. 
    2.2.- La medesima eccezione di inammissibilita'  per  genericita'
della motivazione e' stata poi  reiterata  dalla  Regione  resistente
anche in relazione all'impugnazione dell'art. 18, limitatamente  alle
censure relative alla violazione degli artt. 3, 41, 97 e  117,  primo
comma, Cost. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Anche in questo caso nel ricorso si esplicita il contenuto  della
disposizione  censurata,  ritenendola  espressiva  di  una  norma  di
programmazione economica che, attribuendo il potere  di  condizionare
l'insediamento di nuove attivita' commerciali solo  in  alcune  zone,
indipendentemente dal loro oggetto e dalle dimensioni dell'esercizio,
eccederebbe  i  limiti  della  consueta  attivita'  di   zonizzazione
urbanistica,  cosi'  da  condizionare  illegittimamente   il   libero
mercato. 
    Tuttavia, in relazione alla violazione dei parametri ex artt.  3,
41, 97 e  117,  primo  comma,  Cost.  il  ricorso  risulta  meramente
assertivo.  In  ossequio  alla  giurisprudenza  costituzionale  sopra
richiamata, i parametri evocati, anche in considerazione  della  loro
ampiezza espressiva, avrebbero dovuto  essere  oggetto  di  una  piu'
approfondita disamina, che ne evidenziasse gli aspetti  rilevanti  in
relazione alla disposizione impugnata, in modo da supportare la  loro
asserita violazione con argomenti specifici,  tali  da  consentire  a
questa Corte di comprendere e saggiare nel merito la fondatezza delle
censure. 
    La genericita' delle censure riferite alla violazione degli artt.
3,  41,  97   e   117,   primo   comma,   Cost.   determina   percio'
l'inammissibilita' delle relative questioni. 
    2.3.- Analogamente generiche sono anche le  censure  riferite  al
parametro interposto, individuato semplicemente  nell'«art.  1  della
legge 27/2012». 
    L'art. 1 della legge 24  marzo  2012,  n.  27,  infatti,  dispone
soltanto  la   conversione   in   legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,  recante  «Disposizioni  urgenti
per  la  concorrenza,  lo  sviluppo   delle   infrastrutture   e   la
competitivita'». 
    Nei termini in cui e' effettuata, pertanto,  l'indicazione  della
norma interposta non consente neppure di  individuare  la  pertinente
disposizione  del  decreto-legge  cui  il  ricorrente  intende   fare
riferimento. 
    2.4.- La Regione resistente ha infine eccepito l'inammissibilita'
dell'impugnazione degli artt. 13, comma  7,  lettera  a),  e  45,  in
entrambi  i  casi  limitatamente  alle  censure  che  si  riferiscono
all'art. 117, primo comma, Cost., in quanto il predetto parametro non
risulta incluso nella delibera di autorizzazione. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Occorre ricordare, infatti, che la giurisprudenza  costituzionale
(da ultimo sentenze n. 46 del 2015 e n. 298 del 2013) e' costante nel
ritenere  che  l'omissione  di  qualsiasi  accenno  ad  un  parametro
costituzionale  nella  delibera  di  autorizzazione  all'impugnazione
dell'organo  politico,  comporta  l'esclusione  della  volonta'   del
ricorrente di promuovere la questione al  riguardo,  con  conseguente
inammissibilita' della questione che,  sul  medesimo  parametro,  sia
stata proposta dalla difesa nel ricorso. 
    Poiche' nella delibera  di  autorizzazione  all'impugnazione  dei
citati artt. 13, comma 7, lettera a),  e  45,  non  e'  fatta  alcuna
menzione della censura relativa all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
deve dichiararsi l'inammissibilita' della questione  limitatamente  a
quel parametro. 
    3.-  Nel  merito,  e'  fondata  la  questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 9, comma 4, e 13,  comma  7,  lettera  c),
della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, che prevedono  interventi  in
punto di orari degli esercizi commerciali, per  violazione  dell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  il  quale  riserva  alla
competenza esclusiva  dello  Stato  la  legislazione  in  materia  di
«tutela della concorrenza». 
    3.1.- Il legislatore statale e'  intervenuto  per  assicurare  la
liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, dapprima  in
via sperimentale e poi a regime,  con  l'art.  3,  comma  1,  lettera
d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti
per il rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento  e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248. Attualmente, in seguito alla  modifica  disposta  dall'art.  31,
comma 1, del d.l. n. 201 del 2011,  le  attivita'  commerciali,  come
individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore  del  commercio,   a   norma
dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e quelle
di somministrazione di  alimenti  e  bevande  si  svolgono  «senza  i
seguenti  limiti  e  prescrizioni»  concernenti,  tra  l'altro,   «il
rispetto degli orari di  apertura  e  di  chiusura,  l'obbligo  della
chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di
chiusura infrasettimanale dell'esercizio». 
    Tale ultima modifica, contenuta nel citato art. 31, comma 1,  del
d.l. n. 201 del 2011, e' stata oggetto di impugnazione  da  parte  di
numerose Regioni che hanno lamentato la violazione  della  competenza
legislativa regionale residuale in  materia  di  commercio  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Questa Corte, con sentenza n.  299  del  2012,  ha  ritenuto  non
fondate le questioni di  costituzionalita'  sollevate  dalle  Regioni
ricorrenti, dovendosi inquadrare l'art. 31, comma 1, del d.l. n.  201
del 2011 nella materia  «tutela  della  concorrenza»,  di  competenza
esclusiva dello Stato. 
    A seguito di tale pronuncia,  la  Corte  costituzionale,  con  le
sentenze n. 27 e n. 65 del 2013 e n.  104  del  2014,  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di diverse  norme  regionali  con  le
quali si erano regolati gli  orari  degli  esercizi  commerciali,  in
quanto contrastanti con l'espresso divieto di limiti  e  prescrizioni
in materia, contenuto nella citata normativa statale. 
    Analogo  contrasto  deve  essere  ravvisato  nella  specie,   con
riferimento alle impugnate disposizioni della Regione Puglia. 
    3.2.- L'art. 9, comma 4, della legge reg. Puglia n. 24 del  2015,
infatti, stabilisce che la Regione e  i  Comuni  promuovono  «accordi
volontari» tra operatori commerciali  volti  alla  regolazione  degli
orari di esercizio, con cio' ponendosi in  aperto  contrasto  con  il
perentorio e assoluto divieto contenuto nella descritta  legislazione
statale, in modo da determinare una violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. 
    Ne' vale a escludere detta violazione il  carattere  «volontario»
degli  accordi  che  la  legge  regionale  impugnata  prefigura.   La
legislazione  statale  vigente  e'  perentoria   nell'affermare   che
l'attivita' commerciale e' esercitata «senza limiti  e  prescrizioni»
concernenti gli orari. Il divieto previsto riguarda,  pertanto,  ogni
forma di regolazione, diretta o indiretta, degli orari di  esercizio:
sia quelle prescritte per via normativa, sia quelle frutto di accordi
tra operatori economici. 
    3.3.- L'art. 13 della legge reg. Puglia n. 24 del  2015,  prevede
che i Comuni - in  accordo  con  i  soggetti  pubblici  e  i  privati
interessati,  con  le   associazioni   del   commercio   maggiormente
rappresentative  anche  in  sede  locale,   le   organizzazioni   dei
consumatori e dei sindacati - elaborino «progetti  di  valorizzazione
commerciale» esaminando «le politiche pubbliche riferite all'area, la
progettualita' privata e  l'efficacia  degli  strumenti  normativi  e
finanziari in atto, al  fine  del  rilancio  e  della  qualificazione
dell'area stessa e  dell'insieme  di  attivita'  economiche  in  essa
presenti». Ai sensi del censurato comma 7, lettera c),  del  medesimo
articolo, il legislatore regionale ha previsto che, tra  i  possibili
contenuti di tali progetti, rientrino anche «interventi in materia di
orari di apertura». 
    Anche in questo caso la legge regionale  dispone  in  materia  di
orari degli esercizi commerciali, in contrasto con il citato  divieto
assoluto  e  perentorio  di   regolazione,   disposto   dallo   Stato
nell'ambito della sua competenza  esclusiva  in  materia  di  «tutela
della concorrenza». Conseguentemente anche l'impugnato art. 13, comma
7, lettera c) deve  ritenersi  violare  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost. 
    3.4.-  Non  puo'  essere  condiviso  l'argomento  dedotto   dalla
resistente,   secondo   cui   l'eventuale   illegittimita'   potrebbe
riguardare solo gli «atti» in concreto adottati in applicazione delle
disposizioni impugnate (cioe' i singoli accordi o i singoli programmi
di valorizzazione), ma non la disposizione di legge regionale che  li
prevede. 
    A fronte di  un  divieto  assoluto  di  regolazione  degli  orari
disposto dalla legge dello Stato, e' proprio l'aver fornito una  base
legale  all'adozione  di  atti  concernenti   tale   problematica   a
determinare  la  violazione  costituzionale  lamentata.  Del   resto,
qualunque sia il contenuto dei singoli atti, esso contrasterebbe  con
l'assolutezza del divieto stabilito dal  legislatore  statale,  tanto
che,  in  sede  giurisdizionale,  la  loro   illegittimita'   sarebbe
pregiudizialmente condizionata dalla declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  delle  disposizioni  legislative  regionali  che   li
prevedono. 
    3.5.- La  totale  liberalizzazione  degli  orari  degli  esercizi
commerciali non costituisce una soluzione imposta dalla Costituzione,
sicche' lo Stato potra' rivederla in tutto o in parte,  temperarla  o
mitigarla. Nondimeno, nel vigore del  divieto  di  imporre  limiti  e
prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell'esercizio  della
sua competenza esclusiva a tutela della  concorrenza,  la  disciplina
regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima
sotto il profilo della  violazione  del  riparto  di  competenze.  Ne
consegue che gli artt. 9, comma 4, e 13, comma 7, lettera  c),  della
legge reg. Puglia n. 24 del 2015 devono essere dichiarati illegittimi
per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    4.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  dubita  altresi'
della legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 7, lettera  a),
della legge reg.  Puglia  n.  24  del  2015,  che,  tra  i  possibili
contenuti dei «programmi di valorizzazione  commerciale»,  stabilisce
possa esservi «il divieto di vendita  di  particolari  merceologie  o
settori merceologici». 
    La questione e' fondata. 
    Il divieto  di  vendita  previsto  dalla  legislazione  regionale
risulta letteralmente in contrasto con l'art. 34,  comma  3,  lettera
d), del citato d.l. n. 201 del 2011, secondo  cui  sono  abrogate  le
restrizioni  concernenti  il  «divieto,  nei  confronti   di   alcune
categorie, di commercializzazione di taluni prodotti» e con l'art. 3,
comma 9, lettera f), del d.l. n. 138 del 2011,  secondo  cui  tra  le
restrizioni abrogate e' compresa ogni «limitazione dell'esercizio  di
una attivita' economica ad alcune categorie o divieto, nei  confronti
di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti». 
    Si tratta, anche in questo caso, di disposizioni statali  dettate
per evitare restrizioni alla  libera  concorrenza  e  discriminazioni
concorrenziali tra operatori,  come  tali  rientranti  nell'esercizio
della competenza esclusiva dello Stato in materia  di  «tutela  della
concorrenza». Conseguentemente, le disposizioni regionali  che,  come
quelle  oggetto  del  presente  giudizio,  mantengano  tali  tipi  di
restrizioni  sono  costituzionalmente  illegittime,  per   violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    5.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  contesta   la
legittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 3 e  4,  della  legge
reg.  Puglia  n.  24  del  2015,  in  quanto,  richiedendo   apposite
autorizzazioni all'esercizio delle attivita' commerciali da parte del
Comune, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettere e) e m), Cost. 
    La questione e' fondata. 
    5.1.- In primo luogo deve osservarsi che gli impugnati commi 3  e
4 dell'art. 17  prevedono,  rispettivamente,  che  «[l]'apertura,  il
trasferimento di  sede,  il  cambiamento  di  settore  di  vendita  e
l'ampliamento della superficie di una media  o  grande  struttura  di
vendita  sono  soggetti  ad  autorizzazione  rilasciata  dal   comune
competente  per  territorio»  (comma  3)  e  che  «[l]'apertura,   il
trasferimento di  sede,  il  cambiamento  di  settore  di  vendita  e
l'ampliamento della superficie di un centro commerciale e di  un'area
commerciale integrata necessitano di: a) autorizzazione per il centro
come tale, in quanto media o grande  struttura  di  vendita,  che  e'
richiesta dal suo promotore o, in assenza, congiuntamente da tutti  i
titolari degli  esercizi  commerciali  che  vi  danno  vita,  purche'
associati per la creazione del centro commerciale; b)  autorizzazione
o SCIA, a seconda delle dimensioni, per ciascuno  degli  esercizi  al
dettaglio presenti nel centro» (comma 4). 
    Le disposizioni regionali censurate introducono la necessita'  di
un'autorizzazione  comunale  finalizzata  fra  l'altro  a  consentire
l'esercizio del commercio, in ordine alla  quale  rimette  ai  Comuni
l'individuazione di procedure e presupposti specifici. 
    La previsione di un tale provvedimento autorizzatorio, a  maggior
ragione se di contenuto indefinito  e  rimesso  sostanzialmente  alla
discrezionalita' dell'amministrazione, contraddice  esplicitamente  i
principi di semplificazione e liberalizzazione stabiliti dall'art. 19
della legge n. 241 del 1990 - secondo cui la SCIA e'  sostitutiva  di
ogni atto di  autorizzazione  o  licenza  anche  per  l'esercizio  di
un'attivita' commerciale - e dagli artt. 31 e 34 del d.l. n. 201  del
2011,  che  hanno  affermato  la  liberta'  di   apertura,   accesso,
organizzazione e svolgimento delle attivita' economiche, abolendo  le
autorizzazioni espresse e i controlli ex ante, con la sola esclusione
degli atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo,
posti a tutela di  specifici  interessi  pubblici  costituzionalmente
rilevanti  e  compatibili  con  l'ordinamento  dell'Unione   europea,
secondo quanto stabilito dalla Direttiva n. 2006/123/CE  relativa  ai
servizi nel mercato interno, e comunque nel rispetto del principio di
proporzionalita'. 
    Poiche'  le   citate   disposizioni   statali   in   materia   di
semplificazione,  in  quanto  riferite   ad   attivita'   economiche,
costituiscono principi di  liberalizzazione,  e  rientrano  anzitutto
nella competenza in tema di tutela della concorrenza (sentenza  n.  8
del 2013 e n. 200 del 2012); d'altra parte, questa Corte ha  ritenuto
che, in generale, i principi di semplificazione  amministrativa  sono
espressione dei livelli essenziali delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e sociali (sentenza n. 164 del 2012); sicche', la loro
violazione determina un vulnus all'art. 117, secondo  comma,  lettere
e) e m), Cost., che riserva in via esclusiva  alla  competenza  dello
Stato la legislazione in materia. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  impugnato  anche
l'art. 18 della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, che  stabilisce  la
previsione  di   una   zonizzazione   commerciale   negli   strumenti
urbanistici generali e la  necessita'  di  piani  attuativi  per  gli
insediamenti  commerciali  di  maggiori  dimensioni,  ritenendo   che
anch'esso violi l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    6.1.- L'impugnato art. 18 stabilisce che i Comuni individuino  le
«aree idonee all'insediamento di strutture commerciali  attraverso  i
propri strumenti urbanistici, in conformita' alle  finalita'  di  cui
all'articolo 2, con particolare riferimento al dimensionamento  della
funzione commerciale»,  prevedendo  altresi'  che  l'insediamento  di
«grandi strutture di vendita e di medie strutture di vendita di  tipo
M3 e' consentito solo in aree idonee sotto il profilo  urbanistico  e
oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di prevedere  le
opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita'
e/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie». 
    In questo campo la legislazione statale e' intervenuta con l'art.
31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, che e' bene richiamare nel suo
tenore testuale:  «costituisce  principio  generale  dell'ordinamento
nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi  commerciali  sul
territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di
qualsiasi altra natura, esclusi quelli  connessi  alla  tutela  della
salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano,
e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i  propri
ordinamenti  alle  prescrizioni  del  presente  comma  entro  il   30
settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza  discriminazioni
tra gli operatori, anche aree interdette agli  esercizi  commerciali,
ovvero  limitazioni  ad  aree  dove  possano   insediarsi   attivita'
produttive e  commerciali  solo  qualora  vi  sia  la  necessita'  di
garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente,  ivi
incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali». 
    In  riferimento  al  citato  comma  2  dell'art.  31,  la   Corte
costituzionale (sentenza n. 104 del 2014) ha ritenuto che  si  tratta
di un legittimo intervento  del  legislatore  statale  nell'esercizio
della competenza esclusiva in materia di  concorrenza.  Tuttavia,  la
disposizione  non  preclude  ogni  ulteriore   intervento   normativo
regionale sul punto. Occorre, infatti, osservare che, a differenza di
quanto  avvenuto  con   riferimento   agli   orari   degli   esercizi
commerciali, pure espressione della competenza statale a tutela della
concorrenza, la legge  dello  Stato  non  pone  divieti  assoluti  di
regolazione,  ne'  obblighi  assoluti  di  liberalizzazione,  ma,  al
contrario, consente alle Regioni e agli enti locali  la  possibilita'
di prevedere «anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero
limitazioni ad aree dove possano insediarsi  attivita'  produttive  e
commerciali», purche' cio' avvenga  «senza  discriminazioni  tra  gli
operatori» e a tutela di  specifici  interessi  di  adeguato  rilievo
costituzionale,  quali  la  tutela  della  salute,  dei   lavoratori,
dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. 
    6.2.- Tale specifica apertura al  legislatore  regionale  per  la
regolazione delle zone adibite alle attivita' commerciali  attraverso
gli strumenti urbanistici corrisponde, del resto, a  un  orientamento
della giurisprudenza di questa  Corte  -  espresso  a  partire  dalla
sentenza n. 200 del 2012 - che adotta una nozione di liberalizzazione
intesa come «razionalizzazione della regolazione», compatibile con il
mantenimento degli oneri «necessari alla  tutela  di  superiori  beni
costituzionali». 
    Similmente, la sentenza n. 8 del 2013 ha ribadito che  «in  vista
di  una  progressiva  e  ordinata  liberalizzazione  delle  attivita'
economiche» siano fatte salve «le regolamentazioni giustificate da un
interesse generale, costituzionalmente rilevante  e  compatibile  con
l'ordinamento comunitario», che siano «adeguate e proporzionate  alle
finalita' pubbliche perseguite», cosi' da «garantire che le dinamiche
economiche non si svolgano in contrasto con l'utilita' sociale e  con
gli altri principi costituzionali». 
    In  questa  prospettiva,  prosegue  la  Corte  con  la   medesima
decisione  n.  8  del   2013,   «i   principi   di   liberalizzazione
presuppongono che le  Regioni  seguitino  ad  esercitare  le  proprie
competenze in materia di regolazione delle attivita' economiche», sia
pure «in base ai principi indicati dal legislatore statale». 
    Tale orientamento ha consentito il formarsi di una giurisprudenza
costituzionale che non esclude ogni intervento legislativo  regionale
regolativo delle attivita' economiche, ma vigila sulla legittimita' e
proporzionalita'  degli  stessi  rispetto  al  perseguimento  di   un
interesse di  rilievo  costituzionale:  tale  e'  stato  ritenuto  ad
esempio, un precetto  regionale,  in  materia  di  distribuzione  del
carburante, contenente un "obbligo conformativo" alla norma  statale,
di  carattere  relativo  e  non  assoluto,  a  tutela  di  «specifici
interessi pubblici» (sentenza n. 105 del 2016). 
    6.3.- Non contraddice detto orientamento la sentenza n.  104  del
2014 con cui questa Corte ha ritenuto costituzionalmente  illegittime
alcune disposizioni  regionali  che  precludevano  l'insediamento  di
esercizi commerciali in determinate zone, in particolare  nel  centro
storico  degli   agglomerati   urbani.   In   tale   caso,   infatti,
l'illegittimita'  costituzionale  e'  stata  dichiarata  in   ragione
dell'assolutezza del divieto stabilito dal  legislatore  regionale  e
della discriminazione tra operatori che ne  sarebbe  derivata.  Anche
nella suddetta decisione, la Corte non ha mancato di sottolineare che
l'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011 consente di introdurre limiti alla
apertura  di  nuovi  esercizi  commerciali  per  ragioni  di   tutela
dell'ambiente «ivi incluso  l'ambiente  urbano»  e  attribuisce  alle
Regioni la possibilita' di  prevedere  «anche  aree  interdette  agli
esercizi  commerciali,  ovvero  limitazioni  ad  aree  dove   possano
insediarsi attivita' produttive e commerciali». La  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale pronunciata  in  quel  caso  si  radica
nella assolutezza del divieto stabilito dalla norma regionale  e,  in
definitiva,  nella   sua   sproporzione   rispetto   alle   finalita'
perseguite,   tale   da   frapporre   una   ingiustificata   barriera
all'ingresso nel mercato, discriminatoria  nei  confronti  dei  nuovi
operatori. 
    6.4.- Cio' premesso sui principi da applicare  nella  specie,  va
osservato  che  la  previsione  di  zonizzazioni  commerciali   negli
strumenti  urbanistici  generali  e  di  piani  attuativi   per   gli
insediamenti  piu'  grandi,  rientra  proprio  in  quegli  spazi   di
intervento regionale che lo stesso legislatore statale, con il citato
art. 31 del  decreto-legge  n.  201  del  2011,  ha  salvaguardato  a
condizione che, come e' possibile e doveroso  fare,  la  zonizzazione
commerciale non si traduca nell'individuazione di aree precluse  allo
sviluppo di  esercizi  commerciali  in  termini  assoluti  e  che  le
finalita'  del  «dimensionamento  della   funzione   commerciale»   e
dell'«impatto socio-economico», siano volte alla cura di interessi di
rango costituzionale, indicati  nella  medesima  disposizione  e  che
risultano  coerenti  con  quelli  dichiaratamente  perseguiti   dalla
impugnata  legge  regionale  n.  24  del  2015  (art.  2,  richiamato
esplicitamente dall'art. 18). 
    La  possibilita',  pertanto,  che  la  citata  zonizzazione   sia
utilizzata per proteggere dalla concorrenza gli  esercizi  esistenti,
confinando l'apertura dei nuovi in aree distanti o  non  competitive,
concerne non la previsione legislativa regionale, quanto  l'eventuale
illegittimo esercizio in concreto del potere amministrativo in  campo
urbanistico da parte dal singolo Comune, censurabile nelle  opportune
sedi di giustizia amministrativa, senza che esso possa dirsi in alcun
modo legittimato dalle disposizioni regionali in esame e dovendosi al
contrario  ritenere  in  contrasto  con  esse,   come   correttamente
interpretate. 
    In  conclusione,  sul  punto,  la   questione   di   legittimita'
costituzionale concernente l'art. 18 citato non e' fondata. 
    7.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha infine  impugnato
l'art. 45 della legge reg. Puglia n. 24 del 2015, dubitando della sua
legittimita' in relazione all'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),
Cost. 
    La questione e' fondata. 
    7.1.- Il citato art. 45 stabilisce  che  i  «nuovi»  impianti  di
distribuzione del  carburante  devono  essere  dotati  di  almeno  un
prodotto ecocompatibile GPL o metano, «a condizione che non vi  siano
ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi». 
    Si tratta di una norma  che  introduce  come  regola  un  obbligo
asimmetrico, in quanto gravante  solo  sui  nuovi  distributori,  pur
prevedendosi in via di eccezione la possibilita'  di  derogarvi,  ove
l'interessato ne dimostri l'eccessiva onerosita' sul piano tecnico  o
economico. 
    La legislazione statale, invece, con l'art. 17, comma 5, del d.l.
n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,
della legge n.  27  del  2012,  pone  come  regola,  a  tutela  della
concorrenza,  la  liberta'  d'iniziativa   da   parte   dei   singoli
distributori, stabilendo solo in via d'eccezione la  possibilita'  di
imporre obblighi asimmetrici,  pur  sempre  subordinati  al  rispetto
della proporzionalita'. 
    Nel caso della legge regionale  in  esame,  l'onere  della  prova
dell'eccessiva onerosita' ricade sull'operatore economico, mentre nel
caso della legge statale esso  grava,  al  contrario,  sull'Ente  che
rilascia l'autorizzazione. 
    7.2.- Questa Corte, con la sentenza n. 125 del 2014, ha  ritenuto
- pronunciandosi sull'art. 43 della  legge  della  Regione  Umbria  6
maggio  2013,  n.  10  (Disposizioni  in  materia  di  commercio  per
l'attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201  convertito,
con modificazioni, dalla  legge  22  dicembre  2011,  n.  214  e  del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Ulteriori modifiche ed integrazioni
delle leggi regionali 3 agosto 1999, n. 24, 20 gennaio 2000, n.  6  e
23 luglio 2003, n. 13), di  contenuto  del  tutto  analogo  a  quella
impugnata  in  questa  sede  -  che   simili   previsioni   regionali
determinano una violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera  e),
Cost. in materia di  tutela  della  concorrenza,  in  quanto  rendono
eccessivamente oneroso l'ingresso di nuovi operatori entranti  in  un
determinato  settore  di  mercato,  con  correlativa  discriminazione
concorrenziale tra operatori gia' presenti  e  quelli  che  intendano
accedervi. 
    Anche la gia' citata sentenza n. 105  del  2016  -  che  pure  ha
ritenuto non illegittimo l'art. 1, comma 1, lettere d) ed  e),  della
legge della Regione Lombardia 19 dicembre 2014, n.  34  (Disposizioni
in materia di vendita dei carburanti per autotrazione.  Modifiche  al
titolo II, capo IV della legge regionale 2  febbraio  2010,  n.  6  -
Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio  e  fiere),
che prevedeva la presenza contestuale di piu' tipologie di carburanti
- si inserisce coerentemente nel corso dei precedenti della Corte sul
punto. Nella specie la violazione  costituzionale  e'  stata  esclusa
rimarcandosi,  in  particolare,  che  la  legge  regionale  censurata
introduceva l'obbligo anche per gli impianti  esistenti  in  caso  di
loro  ristrutturazione,  cosi'  da  attenuare   se   non   escludere,
l'asimmetria  tra  vecchi  e  nuovi   operatori;   inoltre,   si   e'
sottolineata  la  transitorieta'  del  vincolo,  previsto  «fino   al
completo raggiungimento di  tutti  gli  obiettivi  di  programmazione
regionale». 
    7.3.- Tali peculiarita' di disciplina - che hanno indotto  questa
Corte a evidenziare specifici caratteri di flessibilita' nella  legge
regionale lombarda sui distributori di carburante, cosi' da  superare
il vaglio  di  legittimita'  costituzionale  -  non  sussistono,  per
contro, in riferimento alla legge della Regione Puglia qui censurata,
del tutto sovrapponibile a quella umbra dichiarata illegittima. 
    Non vi e' infatti, nella  legge  regionale  impugnata  in  questa
sede, alcun elemento da  cui  desumere  margini  di  flessibilita'  o
caratteri che denotino la transitorieta' del vincolo. 
    Tali rilievi conducono questa Corte a esprimere  una  valutazione
negativa della ragionevolezza e della  proporzionalita'  della  norma
regionale impugnata, in coerenza con i precedenti in tal senso.