ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  2,  (in
particolare commi 1, 2, 3,  4,  5,  6,  7,  8,  9  e  14),  e  5  (in
particolare comma 4), della legge della Regione  Calabria  27  aprile
2015, n. 11, intitolata «Provvedimento generale recante norme di tipo
ordinamentale  e  procedurale  (collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2015)», promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 26-30 giugno 2015,  depositato
in cancelleria il 1° luglio 2015 ed iscritto al n.  71  del  registro
ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giuseppe Naimo per la Regione
Calabria. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 26-30 giugno 2015, depositato nella cancelleria di questa Corte il
successivo 1° luglio e iscritto al n. 71 del registro  ricorsi  2015,
ha promosso, ai sensi dell'art. 127 Cost., questioni di  legittimita'
costituzionale della legge della Regione Calabria 27 aprile 2015,  n.
11 «Provvedimento generale recante  norme  di  tipo  ordinamentale  e
procedurale (collegato alla manovra di finanza regionale  per  l'anno
2015)», per violazione degli artt. 117, comma terzo, e  120,  secondo
comma, della Costituzione. 
    2.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene che gli artt.  2  e
5, comma 4, della  censurata  legge  regionale  ledano  gli  invocati
parametri costituzionali, in quanto interferenti  con  i  poteri  del
Commissario ad acta, nominato per l'attuazione del piano  di  rientro
dal disavanzo sanitario con delibera del Consiglio dei  ministri  del
12 marzo 2015. 
    2.1.- In particolare,  l'art.  2,  nel  disporre  misure  per  il
contenimento delle spese degli enti, fissa, a partire  dall'esercizio
finanziario 2015, un tetto massimo di spesa per il  personale  (spesa
che «al lordo degli oneri  riflessi  e  dell'IRAP,  non  puo'  essere
superiore a quella sostenuta nell'anno 2014») e stabilisce  riduzioni
di spesa, rispetto all'anno 2014, per l'acquisto di beni e di servizi
specificamente elencati. Dispone, inoltre, che la definizione  esatta
delle riduzioni dovra'  essere  determinata,  entro  limiti  indicati
dalla legge medesima, per  ciascun  ente  sub-regionale,  «attraverso
linee di indirizzo dettate dalla Giunta  regionale  entro  60  giorni
dalla entrata in vigore della  presente  legge».  Secondo  la  difesa
statale, la  portata  normativa  di  questa  disposizione  troverebbe
applicazione anche nei confronti  delle  aziende  e  degli  enti  del
servizio   sanitario   regionale,   essendo   destinatari   di   tale
disposizione,  accanto  agli  enti  strumentali,  gli  istituti,   le
agenzie, le fondazioni, gli enti dipendenti, anche le «aziende». Tale
applicazione ostacolerebbe l'operato -  o  si  porrebbe  comunque  in
contraddizione con le funzioni amministrative -  del  Commissario  ad
acta  incaricato  dell'adozione,  tra  gli   altri,   di   interventi
finalizzati alla razionalizzazione e al contenimento della spesa  per
il personale e per l'acquisto  di  beni  e  servizi  (secondo  quanto
affermato nei punti 5 e  6  della  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri del 12 marzo 2015). 
    2.2.- L'art. 5, comma 4, della legge censurata prevede che, nelle
more dell'accertamento del debito,  lo  stanziamento  di  un  preciso
capitolo dello stato di previsione della spesa del bilancio regionale
operi  come  «limite  inderogabile  all'assunzione  di   obbligazioni
giuridiche ed economiche verso terzi», e  stabilisce  il  conseguente
«blocco  delle  procedure  di  accreditamento  di   nuove   strutture
socio-sanitarie» che, per le relative prestazioni, determinino  spese
eccedenti la disponibilita' del bilancio.  Anche  tale  disposizione,
dunque, ad avviso della difesa statale, interferirebbe con  i  poteri
del Commissario ad acta, cui e' stato affidato il mandato di adottare
i provvedimenti necessari  al  riassetto  della  rete  di  assistenza
territoriale (secondo quanto affermato nel  punto  4  della  predetta
deliberazione del Consiglio dei ministri). 
    2.3.- Entrambe le disposizioni censurate si porrebbero,  inoltre,
ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  in   violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con l'art. 2,  commi
80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge finanziaria  2010)»,  che  vieta  l'adozione  da  parte  della
Regione commissariata di nuovi provvedimenti, anche legislativi,  che
siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro,  e  per
conseguente  contraddizione  con  i   principi   fondamentali   della
legislazione statale in materia di coordinamento della finanza  e  di
tutela della salute. 
    3.- La Regione Calabria, con atto di costituzione  depositato  in
data 3 agosto 2015, chiede che la  questione  sollevata  sull'art.  2
della  legge  regionale  sia  dichiarata  inammissibile,  o  comunque
infondata.   Secondo   la   difesa   regionale,    l'inammissibilita'
discenderebbe dalla mera considerazione che la norma  impugnata  mira
al contenimento delle risorse pubbliche e che, anche ove  la  Regione
avesse legiferato in ambito sanitario, non  sarebbe  derivata  alcuna
effettiva lesione delle prerogative del Commissario, stante l'assenza
di  misure  commissariali.  In  ogni  caso,  la   questione   sarebbe
infondata, non rivolgendosi il contenuto normativo della disposizione
censurata  alle  aziende  sanitarie:  secondo  la  difesa  regionale,
infatti, lo Stato ricorrente sarebbe caduto nell'errore di diritto di
ricondurre le aziende sanitarie alla categoria degli enti strumentali
della Regione, nonostante non sia  possibile  cosi'  qualificarle  in
virtu' dell'art. 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  502
(Riordino  della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a   norma
dell'articolo 1 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421),  come  la
pronuncia della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 10 aprile  2012,
n. 5675  confermerebbe.  La  non  applicabilita'  della  disposizione
censurata alle aziende  sanitarie  troverebbe  conferma,  secondo  la
difesa regionale, nel suo precedente storico (l'art.  3  della  legge
della  Regione  Calabria.  30   dicembre   2013,   n.   56,   recante
«Provvedimento  generale  recante  norme  di  tipo  ordinamentale   e
finanziario. Collegato alla manovra di finanza regionale  per  l'anno
2014»), il quale, pur presentando identica formulazione, non  e'  mai
stato  sospettato  di  invasione   della   sfera   delle   competenze
commissariali (e percio' non e' mai stato  impugnato  dal  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri),  e  comunque  non  ha   mai   trovato
applicazione nel settore sanitario. 
    3.1.- Con riferimento  alla  questione  sollevata  nei  confronti
dell'art. 5, comma 4, della legge regionale censurata, la  resistente
chiede che ne sia dichiarata l'infondatezza, affermando che con  tale
norma,   dal   carattere   comunque   «temporaneo,   "difensivo"    e
cautelativo», la Regione Calabria ha inteso incidere, nel  senso  del
contenimento, solo sul versante "sociale" della spesa: essendo  ormai
esclusa la necessita' della firma della  Regione  sui  contratti  coi
soggetti accreditati, alla Regione  non  rimarrebbe  altro  strumento
idoneo ad evitare il «vertiginoso aumento delle strutture accreditate
nel settore socio sanitario,  con  conseguente  esponenziale  aumento
della correlata  spesa».  Infine,  la  norma  impugnata  attesterebbe
semplicemente il blocco degli accreditamenti in Calabria  gia'  posto
in essere dal Commissario ad acta con decreto n. 26 del 2015. 
    4.- Con memoria depositata in data 14 ottobre  2016,  la  Regione
insiste  perche'  siano  accolte  le  argomentazioni  gia'  formulate
nell'atto di costituzione. In riferimento alle censure sollevate  nei
confronti dell'art. 5, comma 4, della legge regionale n. 11 del 2015,
richiamando la sentenza n. 227  del  2015  di  questa  Corte  che  ha
dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  di  alcune  disposizioni
della stessa Regione Calabria per interferenza con  le  funzioni  del
Commissario ad acta ma «in ragione  del  loro  specifico  contenuto»,
esclude che possa  ritenersi  sussistere  in  materia  sanitaria  una
«aprioristica  impossibilita'  per   la   Regione   di   legiferare»,
soprattutto  quando  le  disposizioni  regionali  siano  dirette   al
contenimento della spesa  e  siano  -  come  nel  caso  di  specie  -
incidenti solo la «quota sociale di esclusiva pertinenza del bilancio
regionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il  26-30  giugno  2015  e  depositato
nella cancelleria di questa Corte il successivo 1° luglio (reg.  ric.
n.  71  del  2015),  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, ai sensi dell'art. 127  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 5, comma 4,  della  legge
della  Regione  Calabria  27   aprile   2015,   n.   11,   intitolata
«Provvedimento  generale  recante  norme  di  tipo  ordinamentale   e
procedurale ( Collegato alla manovra di finanza regionale per  l'anno
2015)», per violazione degli artt. 117, terzo comma, e  120,  secondo
comma, della Costituzione. 
    Ad avviso del ricorrente, l'art. 2 violerebbe l'art. 120, secondo
comma, della Costituzione in quanto prevede, a partire dall'esercizio
finanziario 2015, misure per  il  contenimento  delle  spese  per  il
personale e per l'acquisto  di  beni  e  di  servizi  per  «gli  Enti
Strumentali, gli Istituti, le Agenzie, le Aziende, le Fondazioni, gli
altri enti dipendenti, ausiliari o vigilati dalla Regione, anche  con
personalita' giuridica di diritto privato, la  Commissione  regionale
per l'emersione del lavoro irregolare», e  prevede  altresi'  che  la
definizione esatta delle  riduzioni  sia  determinata,  entro  limiti
indicati dalla legge medesima, per ciascun ente, «attraverso linee di
indirizzo dettate  dalla  Giunta  regionale  entro  60  giorni  dalla
entrata in vigore della presente legge». Secondo la  difesa  statale,
la portata normativa di questa disposizione  troverebbe  applicazione
anche nei confronti delle aziende e degli enti del servizio sanitario
regionale, cosi'  ostacolando  l'operato  del  Commissario  ad  acta,
nominato  per  l'attuazione  del  piano  di  rientro  dal   disavanzo
sanitario con delibera del Consiglio dei ministri del 12 marzo  2015,
e incaricato, ai fini del risanamento del  disavanzo  sanitario,  tra
l'altro, di razionalizzare e contenere le spese per  il  personale  e
per l'acquisto di beni e di servizi. 
    Anche l'art. 5, comma 4, della legge reg. Calabria n. 11 del 2015
interferirebbe  con  i  poteri  del   Commissario   ad   acta.   Tale
disposizione fissa, nelle more dell'accertamento  del  debito,  nello
stanziamento di un preciso capitolo dello stato di  previsione  della
spesa del bilancio regionale il «limite  inderogabile  all'assunzione
di obbligazioni giuridiche ed economiche verso terzi»,  e  stabilisce
il conseguente «blocco delle procedure  di  accreditamento  di  nuove
strutture  socio-sanitarie»  che,  per   le   relative   prestazioni,
determinino spese eccedenti la  disponibilita'  del  bilancio,  cosi'
interferendo, secondo il ricorrente, con le scelte commissariali, nel
cui  ambito  rientra  l'adozione  dei  provvedimenti   necessari   al
riassetto della rete di assistenza territoriale. 
    Entrambe  le  disposizioni,  inoltre,  violerebbero  i   principi
fondamentali della legislazione statale in materia  di  coordinamento
della  finanza  pubblica  e  di  tutela  della  salute,   in   quanto
contrasterebbero con l'art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre
2009, n. 191, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» che vieta
alle Regioni sottoposte al piano di rientro di adottare provvedimenti
nuovi che possano ostacolarne l'attuazione. 
    2.- Nel merito, entrambe le questioni, sollevate  per  violazione
degli artt. 117, terzo  comma,  e  120,  secondo  comma,  Cost.  sono
fondate. 
    3.- Questa Corte ha piu' volte affermato che  la  disciplina  dei
piani di rientro dai deficit di  bilancio  in  materia  sanitaria  e'
riconducibile  a  un   duplice   ambito   di   potesta'   legislativa
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della
salute e coordinamento della finanza pubblica (ex plurimis,  sentenza
n. 278 del 2014). In particolare, ha  affermato  che  costituisce  un
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quanto
stabilito dall'art. 2, commi 80 e 95, della legge n.  191  del  2009,
per cui sono vincolanti, per le Regioni che li abbiano  sottoscritti,
gli accordi previsti dall'art. 1, comma 180, della legge 30  dicembre
2004, n. 311, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge   finanziaria   2005)»,
finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e  al  ripianamento
dei debiti (da ultimo, sentenza n. 227 del 2015). 
    Tali accordi assicurano, da  un  lato,  la  partecipazione  delle
Regioni alla definizione dei percorsi di  risanamento  dei  disavanzi
nel settore sanitario e, dall'altro, escludono che la  Regione  possa
poi adottare unilateralmente misure - amministrative  o  normative  -
con essi incompatibili (sentenza n. 51  del  2013).  Qualora  poi  si
verifichi  una  persistente  inerzia  della  Regione  rispetto   alle
attivita' richieste dai suddetti accordi e concordate con  lo  Stato,
l'art. 120, secondo comma,  Cost.  consente  l'esercizio  del  potere
sostitutivo  straordinario  del  Governo,  al  fine   di   assicurare
contemporaneamente l'unita' economica della Repubblica  e  i  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla
salute (art. 32 Cost.). A  tal  fine  il  Governo  puo'  nominare  un
Commissario ad acta, le  cui  funzioni,  come  definite  nel  mandato
conferitogli e come specificate dai programmi operativi (ex  art.  2,
comma 88,  della  legge  n.  191  del  2009),  devono  restare,  fino
all'esaurimento  dei  compiti  commissariali,  al  riparo   da   ogni
interferenza degli organi regionali - anche qualora  questi  agissero
per via legislativa -  pena  la  violazione  dell'art.  120,  secondo
comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 227 del 2015, n. 278 e n.  110
del 2014, n. 228, n. 219, n. 180 e n. 28 del 2013 e gia'  n.  78  del
2011). 
    4.-  Dai   principi   enunciati,   costanti   nella   pluriennale
giurisprudenza costituzionale in materia,  discende  l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni  impugnate,  entrambe  interferenti
con i poteri affidati al  Commissario  ad  acta  dalla  delibera  del
Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2015. 
    4.1.- Al fine di realizzare il Piano di rientro dal disavanzo del
servizio  sanitario  regionale  (secondo  l'Accordo  firmato  il   17
dicembre 2009 tra il Ministro della salute, il Ministro dell'economia
e  delle  finanze  e  il  Presidente  della  Regione  Calabria),  con
deliberazione del Consiglio dei Ministri del 30 luglio  2010,  stante
la persistente inerzia della Regione Calabria rispetto alle attivita'
richieste dal suddetto  accordo,  il  Presidente  pro  tempore  della
Giunta regionale e' stato nominato Commissario ad acta.  In  seguito,
un mandato di analogo contenuto e' stato conferito dal Consiglio  dei
ministri, con delibera del 12 marzo 2015,  al  nuovo  Commissario  ad
acta e a un sub Commissario unico per l'attuazione del vigente  Piano
di rientro, incaricati di alcuni interventi. 
    Questi  assumono  rilievo,   per   le   presenti   questioni   di
legittimita' costituzionale, la razionalizzazione e  il  contenimento
della spesa per il personale e per l'acquisto di beni e servizi, e il
riassetto della rete di assistenza  territoriale  (come  risulta  dai
punti 4, 5 e 6 della delibera del Consiglio dei  ministri  da  ultimo
citata). 
    4.2.- L'impugnato art. 2 della legge reg. Calabria n. 11 del 2015
prevede,  a  partire  dall'esercizio  finanziario  2015,  misure   di
contenimento della spesa per il personale e per l'acquisto di beni  e
di servizi  per  gli  enti  sub-regionali,  individuando  i  soggetti
destinatari di tali misure ne «gli Enti Strumentali, gli Istituti, le
Agenzie, le  Aziende,  le  Fondazioni,  gli  altri  enti  dipendenti,
ausiliari o vigilati dalla Regione, anche con personalita'  giuridica
di diritto privato, la  Commissione  regionale  per  l'emersione  del
lavoro irregolare». 
    Sebbene tra i soggetti destinatari di tali misure di contenimento
delle spese non risultino esplicitamente menzionate le aziende e  gli
enti  del  servizio  sanitario  regionale,  la   formulazione   della
disposizione e' di tale ampiezza da includerli, a  prescindere  dalla
loro qualificazione giuridica. 
    Una disposizione  siffatta  interferisce  inevitabilmente  con  i
compiti   attribuiti   al   Commissario   ad   acta,    volti    alla
«razionalizzazione», oltre che al «contenimento», della spesa per  il
personale e per l'acquisto di beni e servizi in ambito sanitario. Ne'
vale a escludere l'illegittimita' costituzionale  della  disposizione
impugnata la considerazione che essa si muove nella  direzione  della
riduzione della spesa, in armonia con gli  obiettivi  perseguiti  dal
Commissario ad acta. A prescindere dal  fatto  che  questa  Corte  ha
ritenuto la sussistenza  dell'illegittimita'  della  legge  regionale
anche quando l'interferenza con i poteri del Commissario e' meramente
potenziale (sentenze n. 227 del 2015 e n. 110 del 2014), nel caso  in
esame l'azione richiesta al Commissario consiste non in  un  semplice
contenimento quantitativo della  spesa  sanitaria,  ma  in  una  piu'
complessa opera di razionalizzazione della stessa: un'opera che  puo'
implicare tagli, ma anche redistribuzioni delle risorse  disponibili,
secondo  un  disegno  complessivo  e  organico.  In  tale  articolato
intervento il Commissario ad acta potrebbe essere ostacolato  da  una
riduzione delle spese disposta dalla  legge  impugnata  in  modo  del
tutto disarmonico rispetto alle scelte commissariali. 
    Il fatto poi che la disposizione demandi alle linee di  indirizzo
dettate dalla Giunta regionale il  compito  di  determinare  l'esatta
entita' delle riduzioni di spesa riguardanti  ciascun  ente,  incluse
dunque anche le aziende sanitarie, rende manifesta una situazione  di
interferenza con le funzioni commissariali, potenzialmente  idonea  a
ostacolare  l'obiettivo  di  risanamento   del   servizio   sanitario
regionale  secondo  un  unitario  disegno  razionale  (ex   plurimis,
sentenze n. 110 del 2014, n. 228 del 2013, n. 78 del 2011, n.  2  del
2010, n. 193 del 2007). 
    4.3.-  Analoghi  argomenti   conducono   alla   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, della legge  reg.
Calabria n. 11 del 2015. 
    La   disposizione   censurata   stabilisce   che,   nelle    more
dell'accertamento del debito, un determinato stanziamento nello stato
di previsione di spesa del bilancio regionale (capitolo  U6201021301,
UPB 6.2.01.02) opera quale  «limite  inderogabile  all'assunzione  di
obbligazioni  giuridiche  ed  economiche  verso  terzi»,  dal   quale
consegue il blocco delle  procedure  di  accreditamento  delle  nuove
strutture  socio-sanitarie  che,   per   le   relative   prestazioni,
determinino spese eccedenti la citata disponibilita' del bilancio. 
    Come detto, tra le funzioni attribuite  al  Commissario  ad  acta
rientra, in virtu' del punto 4)  della  delibera  del  Consiglio  dei
ministri adottata il 12 marzo  2015,  il  «riassetto  della  rete  di
assistenza  territoriale».  Una   disposizione,   come   quella   qui
censurata,  che  stabilisce  un  limite  massimo  all'assunzione   di
obbligazioni  verso  terzi   e   il   blocco   delle   procedure   di
accreditamento di  nuove  strutture  socio-sanitarie  eccedenti  tale
limite e' certamente riconducibile al riportato ambito di  intervento
del Commissario ad acta. 
    L'individuazione  di  un  limite   massimo   ha   sempre   natura
ambivalente: dispone ad un tempo il divieto di oltrepassare una  data
soglia, ma altresi' l'implicita autorizzazione  a  lambirla.  Sicche'
appare evidente che la disposizione censurata, lungi dal  determinare
il blocco assoluto delle procedure  di  accreditamento,  consente  di
seguitare ad ampliare il novero dei soggetti accreditati fintanto che
le relative spese non eccedano la disponibilita' del  bilancio,  come
quantificata nella citata unita' previsionale. Di qui  l'interferenza
con  il  mandato  del  Commissario   ad   acta   e   la   conseguente
illegittimita' costituzionale della disposizione.